The
Unexpected Guest
Hai
fatto davvero molto tardi stasera. In realtà non
è nemmeno più
sera, sono già le 2:30 a.m. passate e di certo un bel pezzo
della
tua notte è già andato allegramente a farsi
benedire. Sono mesi,
ormai, che mediti seriamente di cambiare lavoro. Questi turni ti
stanno lentamente ammazzando, ogni giorno un po' di più. E
domani
devi essere al bar alle 8:00 a.m., non te lo sarai forse scordato,
Mireille? No, ovvio che no, ci ha pensato Denis - il tuo capo
rompiscatole - a ricordartelo almeno due milioni di volte durante
tutta la serata.
Hai
proprio bisogno di un bagno caldo, in fretta anche, prima di crollare
da sonno direttamente sul parquet.
Mentre
l'acqua scroscia, riempiendo la tua bella vasca - costata un botto,
ma ne valeva assolutamente la pena! - ti levi di dosso i vestiti che
odorano di birra, whiskey e non si sa bene cos'altro - meglio in
effetti non farti troppe domande, a questo punto - Senti le giunture
cigolare e sospiri, sedendoti sul bordo in ceramica ed osservando il
bagnoschiuma scivolare, fluido e sinuoso, nell'acqua, formando subito
grandi bolle profumate al cocco. Adori quella fragranza, ti fa stare
bene e riesce perfino a strapparti un fugace sorriso di
soddisfazione.
Sei
a mollo da quasi dieci minuti, ormai, circondata dal piacevole tepore
stai perfino rischiando di addormentarti lì, in quella sorta
di
limbo liquido e profumato. Ma non ne trovi il tempo perché,
pochi
istanti dopo, nel mezzo dell'ovattato rilassamento, uno scricchiolio
fuori posto distrae i tuoi pensieri già alla deriva e tu
sbatti le
ciglia, vagamente confusa, prima di ritrovarti sommersa da un'onda
anomala causata da un - enorme - oggetto appena precipitato nella
vasca - la TUA vasca, dannazione! Quella comodissima,
accessoriatissima, superfiga, ecc., ecc. -
«Ma
che diavolo...?!»
Strilli
indignata, non appena riesci a sputacchiare l'acqua accidentalmente
finita in bocca. Ancora una volta rimani però spiazzata da
ciò che
ti compare improvvisamente di fronte: la figura di un essere umano,
parrebbe, qualcuno comunque di non meglio identificato, qualcuno che
è appena riemerso tra le bolle del tuo bagno rilassante - o
almeno
così doveva essere - Lo fissi per cinque, dieci secondi, gli
occhi
ridotti a due fessure e i denti scoperti in un ringhio poco
raccomandabile. Anche il tizio ti fissa, un solo momento,
sconcertato, poi spalanca gli occhi, indietreggiando quel tanto che
può permettergli lo spazio angusto in cui si trova, nel
momento
stesso in cui tu gli urli contro.
«Tu
chi cazzo sei?!»
Non
gli offri neppure il tempo necessario a formulare una risposta
decente. Ora sei perfettamente desta e decisamente incazzata,
pertanto passi direttamente all'azione e lo spedisci, senza troppi
complimenti, oltre il bordo della vasca, con il prezioso aiuto di un
pugno deciso e di un calcio perfettamente bilanciato. "Mossa
da manuale",
direbbe Armand. Al momento nella tua testa c'è spazio solo
per
un'implacabile furia omicida verso quell'imbecille guardone che ha
deciso di fari visita nel momento sbagliato. Intanto, il corpo del
malcapitato, è scivolato sul pavimento, arrestandosi solo
dopo aver
incontrato il muro dietro di sé. Eh già, Armand
lo ha sempre
sostenuto che ci sai decisamente fare nel menar le mani, non per
niente sei in assoluto la prima del suo corso di Savate.
(*)
Ghigni,
intimamente soddisfatta di te. Quel tipo, chiunque egli sia, ha
proprio scelto il bagno sbagliato. Scuoti la testa, chiedendoti dove
diavolo finirà questo mondo, se nemmeno nel proprio bagno si
può
stare tranquilli. Nel mezzo di tali pensieri, per un momento il tuo
sguardo si sposta, distratto, sulla figura fradicia ed accartocciata
dell'intruso. I tuoi occhi verdi lo osservano per un attimo, quasi
incuriositi malgrado tutto poi, lentamente, si sgranano mentre il tuo
viso perde gradualmente colore, divenendo cereo.
«Non
è possibile»
Bisbigli,
nervosa e sconcertata. Eppure la prima impressione che hai avuto,
osservandolo, non sembra volerti mollare. Lentamente ti risollevi,
gocciolante, e con cautela ti porti oltre il bordo, posando i piedi
umidi sul pavimento che, freddo com'è, ti fa rabbrividire.
Un passo
alla volta, sempre più angosciata ed incredula, ti avvicini
a quella
figura che ancora giace, priva di sensi, contro il muro. Chinandoti
su di lui scosti, con una mano, alcune pesanti ciocche di capelli,
scoprendo così finalmente il suo volto.
«Oh
merda!»
Esclami,
in un mezzo gorgoglio strozzato. I tuoi occhi non riescono proprio a
staccarsi da quel volto. Lo conosci; quante volte, in tutti quegli
anni, lo hai visto, immaginato, sognato, osservato. Scuoti nuovamente
la testa, sempre più sconvolta.
«Non...
Non può essere, non... Come può essere lui,
come... ?»
Il
lui
di cui parli mugugna qualcosa, arriccia le labbra facendone uscire un
lungo lamento incomprensibile.
«Accidenti!
Oh, maledizione, e ora che faccio?»
Beh,
Mireille, di certo non lo puoi lasciare lì così,
spiaccicato sul
pavimento bagnato del tuo bagno. È
pur sempre Roger Meddows Taylor, che diamine!
Con
un po' di fatica riesci a sollevarlo quel tanto che basta e a
trascinarlo fino al salotto. Dev'essere un falso magro, dato che
mostra ancora quell'apparenza di un fuscello ma, all'atto pratico,
pesa uno sproposito. Avevi una mezza idea di metterlo sul divano, ma
all'ultimo ti rendi conto di non avere abbastanza forza per issarlo
fin lassù, quindi ti risolvi ad adagiarlo sul grande tappeto
che
ospita il tuo basso tavolino in noce e, in un raro tentativo di farlo
stare appena un po' più comodo, gli ficchi un cuscino sotto
la
testa. Ansante, siedi infine a terra, ad ammirare i risultati delle
tue fatiche: il suo viso, dai tratti delicati, è un po'
più bianco
di quanto lo ricordassi, e ora spicca un grosso livido già
tendente
al violaceo che ne deturpa l'intero zigomo sinistro. Eh sì,
hai
fatto proprio un bel lavoro, stavolta, ci sei decisamente andata
giù
pesante. Ti perdi un momento in una smorfia contrariata: in fondo non
è colpa tua se lui ti è piombato quasi addosso,
facendoti prendere
un mezzo infarto. Se l'è cercata, alla fin fine ti sei
semplicemente
difesa da quello che credevi uno stupidissimo psicopatico
malintenzionato, che ne sapevi che fosse lui? I tuoi occhi si
spalancano di fronte alla consapevolezza improvvisa: lui, e lo
è
veramente, non c'è possibilità che tu possa
sbagliarti. È
vero, avrà almeno quarant'anni in meno di quanti dovrebbe,
ma non
hai dubbi che sia sul serio QUEL Roger Taylor. Sospiri, confusa,
mentre il tuo sguardo si sposta su di lui, soffermandosi nuovamente
su quel livido che, devi pur ammetterlo, stona terribilmente. Ti
sfugge un sorriso, immaginando la sua probabile espressione, dopo
aver scoperto quel bel regalino che gli hai lasciato, così
decidi di
trovare un rimedio che allevi in parte il danno. Prima però
sarebbe
meglio rivestirsi, non credi, Mireille? Non avrai certo intenzione di
farti beccare a girare per casa così, giusto? Veloce ti
infili una
maglietta e un paio di larghi pantaloni sportivi, poi ti fiondi in
cucina, afferri la tua scorta di ghiaccio dal freezer – nella
tua
disciplina capita spesso di dover far fronte ad un bel po' di lividi
– e torni dal tuo ospite inatteso, posando sul suo zigomo il
piccolo sacchetto gelato. Il freddo pare ridestarlo a sufficienza da
spingerlo a lamentarsi e il suo mugolio di protesta ti strappa una
lieve risata divertita.
«È
solo ghiaccio, non ti ammazza di certo».
“Almeno non lui”, pensi sadicamente.
Ti
agiti nervosa, notando le sue ciglia tremare, segno che di
lì a poco
riaprirà gli occhi e tu, Mireille, dovrai proprio avere
pronta una
buona spiegazione. Già, ma una spiegazione a cosa? E la
domanda più
inquietante in assoluto, naturalmente: “Come diavolo ci
è finito
in casa tua?”.
«Ma
cosa...?!»
Lo
vedi sbarrare gli occhi azzurri e mettersi a sedere alla
velocità
della luce, salvo poi traballare per lo scatto repentino. Provi un
sorriso tirato e, nei tuoi limiti, cerchi di tranquillizzarlo.
«Andiamo,
non è niente... Per carità, non muoverti troppo
bruscamente, o
finirai col farti...»
«Ahii!»,
ringhia lui, piegandosi in due senza respiro.
«...
Male»,
termini, sconsolata, scommettendo in un bell'ematoma anche
all'altezza del suo stomaco.
Ohh,
d'accordo: magari hai esagerato, solo un pochino...
«Che
cazzo è successo?»,
borbotta Roger, sfiatato e giusto un po' scombussolato.
«Beh,
ecco... Non ne sono sicura, a dire il vero»
A
dirla proprio tutta, non hai la più pallida idea di cosa
stia
realmente succedendo. Fino ad ora non ci hai riflettuto troppo
perché... ehm... beh, non capita tutti i giorni di trovarsi
in casa
il batterista dei Queen. Però effettivamente ora sarebbe
proprio il
caso di provare a capirci qualche cosa di tutta questa assurda
storia.
«Mi
hai preso a botte»,
si lamenta lui, guaendo sconvolto.
«Vero.
E tu sei entrato nella mia
vasca senza il mio
permesso... mentre c'ero io»,
gli fai gentilmente notare.
«Come...
C-come sarebbe?»
Sembra
confuso, ti guarda visibilmente stranito e tu ti trovi a pensare che,
probabilmente, non fosse affatto sua intenzione finire a mollo nel
tuo bagnoschiuma al cocco.
«Sarebbe
che io mi stavo godendo un bagno caldo e rilassante, dopo una
faticosa serata di lavoro, quando tu hai deciso di tuffartici dentro.
Se volevi farmi compagnia... bastava chiedere»
Abbozzi
un sorriso divertito e ti godi i suoi occhioni che si spalancano
sempre di più, interdetti e sorpresi.
«Non
ti conosco nemmeno»
Tenta
di protestare, in sua difesa, e tu scrolli le spalle, rispondendo a
tono.
«Io
invece sì, ma questo non toglie che la casa e la vasca siano
mie e
nessuno mi ha avvertita della tua “cortese
visita”»
«Non
so come sia successo», sospira Roger, e quando ti guarda, per
un
attimo, smetti di respirare, «Non so nemmeno dove
sono», aggiunge,
con una nota di preoccupazione e confusione.
Recuperi
il sacchettino con il ghiaccio, lo posi sulla sua mano e,
gentilmente, gli indichi di appoggiarlo sulla pelle ormai gonfia.
«Lontano,
sei decisamente lontano da casa»
Lui
ti fissa sorpreso e schiude le labbra per tentare una possibile
replica che, però, non riesce ad uscire. Nervosamente ti
pettini i
capelli con le dita e lo guardi di sottecchi.
«Prima
di tutto, questa non è Londra. Qui siamo in Francia, a
Bordeaux per
la precisione. Inoltre...»
Inoltre
cosa? Come si dice ad una persona che si è appena fatta un
salto
temporale di una quarantina d'anni?
«Inoltre?»,
si fa avanti Roger, con un'evidente voglia di sapere.
«Che...
Che data era, l'ultima volta in cui ti sei svegliato, prima di
capitare qui?»
«Che
data? Cosa intendi?», lui ti scruta, perplesso, ma tu non hai
il
coraggio di dire null'altro, per il momento, «Il... 12
Marzo...»,
ha un fremito che non puoi non notare, prima di completare la sua
risposta, «1972»
Non
riesci proprio a trattenerti dal rabbrividire. Lo sapevi,
sì, già
dall'istante in cui hai scorto il suo viso sotto la cascata di
capelli fradici e scompigliati hai saputo la verità, ma...
Beh,
sentirlo dalle sue parole fa comunque un certo effetto.
«D'accordo,
io...»
Inspiri
a fondo e, mentre butti fuori il fiato, nel tuo cervello compare la
scritta lampeggiante “GAME OVER” che ti suggerisce
quanto ormai
sia troppo tardi per fare retromarcia.
«Oggi,
qui, è il 21 ottobre 2013 e...»
«C-cosa?»,
rantola il ragazzo che ti sta di fronte, assumendo un colorito
spettrale.
«Roger,
ti senti bene?»
«Non...
p-proprio»
Molla
nuovamente il ghiaccio che, subito dopo, inizia a liquefarsi tra le
sue gambe incrociate e ti fissa con il tipico sguardo di chi vorrebbe
supplicarti di ritrattare tutto, per di più l'effetto panda
del
suo occhio pesto la fa sembrare una scena ancora più
grottesca e
drammatica.
«Non
capisco... Che cosa sta succedendo?», ti chiede, con una
vocina
bassa ed esitante.
«È
proprio la stessa domanda che mi sono fatta io quando ho scoperto che
quello spiaccicato sul pavimento del mio bagno eri tu»
Gli
rispondi, dimenticando altrove qualunque genere di diplomazia. Lo
capisci quando Roger ti fissa con lo sguardo da cane bastonato e una
smorfia di evidente pena per la tua replica tutt'altro che gentile.
«Scusa.
Non ti avrei mai picchiato, se solo avessi saputo che eri tu.
Io...»
«Non
importa. Cioè... Ho capito e... spero di non meritarmi altri
calci,
in futuro».
È
incredibile, e anche un poco assurdo: entrambi avete quasi
ventitré
anni eppure lui, in questo momento, ha più l'aria di un
ragazzino
smarrito. Con quella nuvola di capelli in disordine e i grandi occhi
che si spostano, confusi, negli angoli più remoti del tuo
salotto –
forse alla ricerca di un'improbabile risposta – devi
ammettere che
un po' ti fa tenerezza. Ti viene in mente, guardandolo, “La
Piccola Fiammiferaia”,
e il paragone finisce per farti scoppiare a ridere senza un'apparente
buona ragione, contribuendo – fra le altre cose –
ad aumentare le
sue perplessità e la sua confusione.
«Mi
trovi molto divertente?», borbotta, un filo indignato.
«Uhm?
Oh, no... Cioè, forse un po' sì, ma non per
quello che credi»
La
tua spiegazione non è granché e lui sospira,
affranto, per poi
rabbrividire.
«Hey,
ti va un tea caldo? Non sarà certo la soluzione ad ogni tuo
problema, ma almeno ti riscalderà un po'. Che ne
dici?»
Normalmente
non sarebbe nella tua indole essere gentile e comprensiva, ma questo
caso è diverso e avere di fronte proprio lui cambia
decisamente le
carte in tavola.
«Mmph,
d'accordo»
Concede,
seppur riluttante, offrendoti così modo di allontanarti un
momento
da lui e – magari – provare a riflettere su quanto
ti è appena
capitato tra capo e collo.
Mentre
torni in salotto, avvicinandoti con due grosse tazze traboccanti di
un bollente liquido ambrato – l'idea di versarne tre dita
scarse in
una micro-tazzina di porcellana, come forse si sarebbe aspettato il
tuo ospite inglese, non ti ha nemmeno lontanamente sfiorata –
lui
ti guarda con un'espressione assorta e tu lo ricambi, incuriosita.
Non hai però il tempo di chiedere nulla, dato che la sua
voce ti
precede sul tempo con una nota leggermente confusa.
«In
Francia»
Sospira,
osservando con occhi grandi tutto quel tea totalmente mancante di
latte. D'istinto gli sorridi e, sedendoti, chiedi;
«Già...
Non sei mai stato qui da noi?», fa no
con la testa, «Nemmeno a Paris?»
«No,
mai», e lo vedi abbozzare un lieve sorriso, «Ma un
giorno ci
andrò... E sarò insieme ai miei compagni di
band... E ci sarà un
grande, enorme concerto, con migliaia di persone. E saranno tutti
lì
per noi: canteranno le nostre canzoni!», esclama, mentre i
suoi
occhi si accendono di entusiasmo e speranza.
Annuisci.
Sì, lo sai, succederà tutto quanto e vorresti
esserci, vorresti
poterli vedere, laggiù in fondo, su quel palco immenso,
oltre un
mare di gente.
«Ma
prima dovremo trovare un'etichetta
disposta a promuoverci», termina in un borbottio, tornando
d'un
tratto con i piedi per terra.
«Ancora
non si è fatta avanti nessuna casa discografica?»,
ti scappa dalle
labbra.
La
luce nei suoi occhi si spegne di botto, come se il padrone di casa
avesse appena abbassato l'interruttore.
«Non
ancora», sibila contrariato.
«La
troverete», affermi, con forse eccessiva sicurezza, tanto che
noti
un suo sopracciglio inarcarsi, scettico.
«E
da dove arriva tutto questo ottimismo gratuito?»
«Non
è affatto ottimismo. È semplicemente
realismo», ed incroci le
braccia al petto, sfidandolo a contraddirti, cosa che lui si guarda
bene dal fare – ormai deve aver imparato a tacere, di fronte
al tuo
pessimo carattere -
«Mireille...»
Lo
fissi, sorpresa, mentre il suono del tuo nome, pronunciato dalla sua
voce, ancora riecheggia nella tua testa. Roger arrossisce
leggermente.
«L'ho...
L-l'ho pronunciato bene?»
«Direi
di sì», ridacchi, divertita dal suo imbarazzo,
«Dimmi pure, Roger»
«Non
è nulla, è solo che... Uhm...»
«Sei
preoccupato»
Non
sei mai stata un tipo particolarmente empatico, per questo ti
sorprendi realizzando quanto le sue espressioni lascino trasparire
con fin troppa chiarezza i suoi sentimenti.
«Sì,
un po'. Sono qui, nel paese sbagliato, nell'anno sbagliato
e...», ti
osserva, forse notando l'irrigidimento dei tratti del tuo viso,
«Cioè... Io non intendevo dire che sia un brutto
posto, solo...»
Sospiri,
arruffandoti i capelli fra le mani nervose, «Ho capito quello
che
intendi, invece. Vorresti tornare a casa tua, dai tuoi amici, in un
luogo che ti appartiene. È così,
giusto?»
«S-sì,
è... così»
Sembra
a disagio, ora. Velocemente ti fai un esame di coscienza per capire
se, per caso, hai detto qualcosa di irritante, qualcosa di
spiacevolmente sbagliato. Non trovi nulla di rilevante e torni ad
osservarlo, a tuo modo in ansia per tutto quel casino ingestibile che
ha piantato le tende in casa tua, per giunta alla fine di una
schifosissima giornata di lavoro. Stai per sbottare, chiedendo che
diavolo hai fatto stavolta ma, ancora una volta, lui riesce non si sa
come a precederti – È veloce, diavolo! Speri che
non lo sia
sempre, sistematicamente, in ogni occasione della sua vita: potrebbe
risultare imbarazzante – e, se prima ti era sembrato assorto
e
intento a rimuginare su uno dei massimi sistemi, d'un tratto scatta
in piedi, lasciandosi sfuggire fra le dita la tazza e la restante
parte del suo contenuto.
«Accidenti!»,
esclama, e i suoi occhioni ti scrutano di sottecchi con un'ombra
intimorita, «Mi dispiace», si affretta a dire,
cercando di
raccattare i cocci finiti sotto la poltrona e il basso tavolino.
«Lascia
perdere», le tue mani si avvicinano alle sue per frenarne i
frenetici movimenti, «Piuttosto, sembra quasi che tu abbia
appena
visto un fantasma»
In
effetti il suo viso è pallido e il modo in cui distoglie lo
sguardo
ha un che di nervoso e imbarazzato.
«Non
proprio. Ho... visto mia madre»
Lo
fissi, attonita, fino a quando lui deglutisce, evidentemente oppresso
dalla tua insistenza.
«Quando
è successo?», la tua voce è stranamente
calma, ma il tuo cuore
batte ora alla velocità della luce.
«Poco
fa. Era... Uhm... Lei era... nella tazza»
L'occhiataccia
scettica che gli riservi l'attimo successivo alla sua sparata, la
dice lunga sulla tua incredulità e – a tuo vedere
– giustifica
perfettamente le successive parole che gli rivolgi in tono
sprezzante.
«Eppure
non ho messo allucinogeni nel tea», ribatti sarcastica,
levandogli
frammenti di ceramica dalle dita tremanti.
«Non
sei divertente», ti fa notare, mugugnando offeso.
«Nemmeno
tu»
Il
tuo tono è definitivo e, onde evitare ulteriori interventi
fuori dal
mondo, lo molli lì, accucciato per terra, scomparendo
all'interno
della tua cucina.
«Io...
non ti piaccio»
Appena
il tempo materiale di tornare in salotto e lui ti accoglie con
l'ennesima espressione da cucciolo smarrito che ti spinge a chiederti
se non sia per caso colpa di qualche cibo avariato ingerito per
sbaglio a cena e quello non sia altro che un sogno assurdo,
tramutatosi in incubo giusto per l'occasione.
«No.
Cioè... Maledizione, Roger, come diavolo fai ad uscirtene
con certe
frasi senza senso una dopo l'altra in così poco tempo? Ti
rendi
conto che mi stai facendo uscire di testa? Prima piombi nel mio
bagno, mi costringi a picchiarti, scopro che arrivi da quarant'anni
indietro nel tempo, mandi in pezzi una delle mie tazze preferite e mi
dici di averci visto dentro tua madre. Cazzo, io sono sveglia dalle
5:00 a.m.! Diciotto ore, ti rendi conto? Sto cercando di rimanere
calma, mi sto seriamente sforzando, per farlo, e TU mi accusi di non
provare simpatia nei tuoi confronti. Vuoi per caso che ti rompa
qualche osso? Se è proprio questo che desideri, puoi
benissimo
continuare su questa strada. Fra non molto mi salteranno i nervi e
allora sì che potrai chiedermi di nuovo perché
non mi piaci»
E
questa, mia cara Mireille, è una minaccia con i fiocchi.
Noti, con
un momento di ritardo, il suo spiccato pallore e, ormai
definitivamente rassegnata, sbuffi.
«Scusa.
Non... non ho intenzione di farti del male. Sono solo un po' stanca
e... Mi scoppia la testa e... Lo so che come padrona di casa faccio
schifo e so anche che non ti piace stare qui, che hai paura di non
poter più rivedere le persone che hai lasciato e che ti
vogliono
bene. Mi piacerebbe moltissimo poterti dire che so esattamente come
farti tornare indietro, ma sarebbe una balla colossale
perché io,
invece, non so proprio nulla, nemmeno come o perché ci sei
finito,
qui»
Per
un momento ti manca completamente il fiato sufficiente a continuare.
Mentre lui ti sorride, senti le gambe sciogliersi come cioccolata
fusa e sei costretta ad aggrapparti con le mani allo stipite della
porta per non cascare a terra. Avevi completamente dimenticato quanto
fosse potenzialmente pericoloso un suo sorriso, ma ora tutto
è
tornato chiaro nella tua testa. Cauta, raggiungi il divano e ci
sprofondi, esausta e piena di domande irrisolte.
«Andiamo
a fare un giro fuori?», ti propone a bruciapelo Roger.
Socchiudi
un occhio e lo fissi, dubbiosa, mormorando, «Sono le undici
passate.
Non sono certa di quanti metri riuscirei a percorrere sulle gambe,
prima di finire lunga distesa su qualche marciapiedi»
«Oh...»
Di
nuovo lo scruti, registrando la delusione dipinta in toni accesi sul
suo volto, in fondo ai suoi occhi chiari, e sospiri affranta,
chiedendoti quando – se – finirà questa
giornata infernale.
«D'accordo»,
concedi infine, stancamente, «Usciamo, ma...»
«Ma?»
«Se
dovessi addormentarmi da qualche parte, dovrai riaccompagnarmi a
casa, senza nemmeno un graffio. Intesi?»
Lo
vedi annuire, incredibilmente e insensatamente entusiasta alla
prospettiva di avventurarsi fuori, e sorridi fra te, tutto sommato
compiaciuta del risultato dei tuoi immani
sforzi per accomodare le cose.
Lui
corre avanti e indietro, adocchiando curioso ogni santissima vetrina
illuminata che incontra sulla vostra strada, mentre tu lo segui,
lentamente, tentando di trattenere qualche risata che ti sale
spontanea alla gola, osservandolo girare e girare come una trottola
impazzita. “Cielo”, ti ritrovi a pensare,
“Come diavolo farà
ad essere così attivo e vivace a quest'ora della notte? Dove
mai
nasconderà tante energie da sprecare?”
«Roger...»,
lo richiami, vedendolo allontanarsi per l'ennesima volta, e quando
lui si volta non riesci a fare a meno di distendere le labbra in un
sorriso, «Ma non ti stanchi mai?!», lo riprendi,
fintamente
esasperata, ed è bello vederlo sgranare gli occhi per la
sorpresa e,
forse, lo sconcerto.
«Stancarmi?
Ma che dici? La serata è appena all'inizio! È...
tutto così
luminoso, incredibile e... Entriamo in qualche locale,
Mireille!»,
ti propone di slancio, con lo sguardo pieno di meravigliata
aspettativa.
Non
attende nemmeno una risposta, ti si fionda quasi addosso,
afferrandoti per un braccio e trascinandoti con sé, tu che
invece
arranchi, stordita ma anche stranamente leggera.
«Hey!
Vacci piano, star!
Sono già mezza morta di stanchezza, non vorrai darmi il
colpo di
grazia?!»
È
il tuo scherzoso rimprovero, che lui a mala pena ascolta ed al quale
non dà assolutamente peso, continuando invece a tirarti
appresso
meglio di un cane da slitta. “Ha un futuro assicurato sulle
piste
innevate”, pensi divertita, ma intanto lo segui di buon
grado,
curiosa di sapere che cosa scoverà sul proprio cammino e
dove vi
condurranno le sue gambe.
Infine
si ferma, senza avvertire e rischiando così di farti
schiantare
contro la sua schiena e l'entrata di quello che, ne sei sicura,
è
appena divenuto l'obbiettivo della sua serata.
«Che
cosa significa?», ti domanda, con un leggero fiatone a
spezzargli la
voce, indicando l'insegna un po' graffiata e illuminata da due fari
blu.
“FEUX
FOLLETS”,
c'è scritto, e tu lo fissi con la certezza che quel ragazzo
abbia
una sorta di radar incorporato.
«Significa
“Fuochi Fatui”. È un locale in cui
fanno, tra le altre cose,
anche musica dal vivo»
Per
quanto ti sembri assurdo e impossibile, i suoi occhi chiari si
accendono di ulteriore eccitazione e sfoggia un ampio sorriso
soddisfatto, prima di riappropriarsi di quello che, una volta, era il
tuo prezioso braccio destro e riprendere a tirarti.
«Entriamo!
Dai, dai, dai!»
E
tu davvero trovi che non ci sia modo di dirgli di no - e anche se ci
fosse, non ne avresti le forze -
«Surf
Rock!», esclama, fuori di sé, «Amo
già da impazzire questa città»
Scoppi
in una risata e scuoti la testa, «Sono contenta, anche se
scommetto
che dici così solo perché non hai mai visto la
capitale. Paris è
meravigliosa!»
«Anche
Bordeaux!», insiste, «Non avevo idea che in Francia
ci fossero così
tante luci»
“Nemmeno
io”, vorresti commentare, pensando che in effetti
è la realtà:
raramente, prima di quella sera, ti eri resa conto di quanto fosse
viva la tua città. Forse serve davvero uno sguardo esterno,
per
comprendere la bellezza di ciò che si ha sotto gli occhi
ogni
giorno.
Annuisci,
piano, «Hai ragione tu: è un bellissimo
posto»
«Ovvio
che ho ragione», gongola, sfoggiando un ghigno malizioso e
soddisfatto, «Andiamo a divertirci, Mireille. Più
tardi avrai tutto
il tempo che vorrai per riposarti, ma ora... è il momento di
vivere!».
Già,
ed è un puro miracolo se, per tornare a casa - all'alba
delle 3:00
a.m. - non ti tocca trascinartelo via in spalla, quel piccolo
mascalzone di un batterista. Eppure, anche mezzo intontito dalla
musica, dai cocktails, dal fumo e dalla gente chiassosa, riesce
comunque a mantenere quella curiosa espressione da folletto: delicata
ed assurdamente innocente, per uno che di innocente non ha proprio
niente, nemmeno la punta dei capelli.
«Bah,
tu sei fuori, Rog!», borbotti incredula.
«Anche
tu», biascica lui per tutta risposta, «Mi hai
appena riportato in
strada», ti prende per i fondelli il dispettoso folletto.
Non
puoi fare altro che sbuffare e alzare gli occhi al cielo, freddo e
sereno, ornato da milioni di spilli argentati.
La
strada di casa è lunga e lui ti costringe a numerose
fermate, dato
il suo scarso equilibrio che lo porta sempre troppo a ridosso degli
alberi allineati lungo la via. A volte ti capita di soffermarti sul
suo musino dalle mille sfumature, curiosa di osservare quella che
sarà la sua prossima espressione, e questo giochino ti
dà modo di
far volare più velocemente il tempo e la distanza che ancora
vi
separa dal tuo appartamento - che in quel preciso momento pare
profilartisi come uno dei luoghi più accoglienti al mondo -
Roger fa
del suo meglio per tentare un incontro ravvicinato con il pavimento
del pianerottolo di fronte alla tua porta, ma i tuoi riflessi,
incredibilmente, sono ancora piuttosto pronti, e lo riacchiappi al
volo, prima del disastro annunciato, appoggiandolo al muro come si
appoggerebbe un pacco troppo ingombrante e per nulla stabile.
«Vuoi
farti una doccia?»
Tenti,
guidandolo verso il salotto. Ma lui - nel tempo che impieghi per
richiudere l'uscio - è già sprofondato nel tuo
divano e a te non
rimane che sospirare e prendere la via per la camera da letto. Prima
di raggiungerla sei però costretta a bloccarti a
metà strada,
sorpresa dall'inattesa ricomparsa della sua voce, per quanto flebile
e un poco impastata.
«Grazie...»
«Di
cosa?», indugi, ferma in mezzo alla sala, osservandolo
attenta.
«Per...
questa serata, per... avermi accompagnato e...», ridacchia
ora,
evidentemente divertito, «Per non avermi più
picchiato»
Ti
lasci sfuggire un piccolo sorriso e annuisci,
«Prego»
«È
stato...», sembra indeciso su cosa dire, o forse su come
dirlo,
infine prova, «Bello. Sì, è stata una
bella serata»
«Sì,
lo è stata»
Sei
malgrado tutto costretta ad ammettere. È vero, ti senti
esausta e
hai una voglia matta di abbracciare il tuo amato guanciale e
rotolarti nel tuo affezionato materasso, eppure sì, in fondo
le ore
appena trascorse si sono rivelate una piacevole esperienza.
«E
quindi grazie», ripete, con un tono curiosamente dolce,
«Sono stato
bene»
Senti
di doverti avvicinare a lui, per provare a dare almeno un senso alle
sue parole, per cercare un poco di chiarezza in più.
«Ne
sono felice, e...», ridacchi, sorpresa perfino da te stessa
«Avevi
ragione tu, di nuovo: è stata una buona idea uscire, questa
sera»
I
tuoi occhi osservano il suo viso distendersi e rilassarsi e, mentre
ti riserva un'ultima occhiata, lo ricopri con una leggera coperta.
«Sarà
meglio che tu ora dorma un po', o ti si rovinerà quel tuo
bel
faccino e domani ti ritroverai a fissare una mummia riflessa allo
specchio»
«Mmph...
Quanto sei simpatica, Mireille»
«Buona
notte, Roger»
Prima
di sprofondare a tua volta in un sonno più che meritato, la
tua
mente si sofferma a ripensare alle poche ore trascorse da che lui ti
è capitato fra i piedi, in modo tanto imprevisto, e sorridi.
È una
pazzia, probabilmente, ciò nonostante in quel poco tempo ti
sei
scoperta molto diversa da quella che credevi la solita Mireille. Una
bella serata, già: quattro ore in giro per la
città con Roger
Taylor. Assurdo.
E
forse lo è davvero: solo un'assurdità. Il mattino
seguente ti
svegli solo per un puro miracolo, alle 9:00 a.m. passate. Al lavoro
già ti avranno data per deceduta, ma anche volendo non
saresti
comunque riuscita a riaprire gli occhi ad un orario più
appropriato.
Senti la testa pesante, mentre arranchi verso il bagno, con un lungo
sbadiglio e due paia di occhiaie che fanno bella mostra di
sé sotto
i tuoi occhi ancora assonnati. È solo quindici minuti
più tardi,
dopo esserti concessa una breve doccia, quando di nuovo ti soffermi
sul tuo riflesso, che rammenti quel “piccolo
dettaglio”
quasi sprofondato nella discarica che è la tua mente in quel
momento: Roger, batterista di professione e rompiscatole per diletto,
abbandonato la notte precedente a smaltire i postumi di qualche ora
di eccessivo svago sul tuo divano.
«Cazzo»,
sbotti allucinata e, rapidamente, ti precipiti in salotto.
Non
hai però modo di raggiungere il suddetto divano. Ti fermi
prima,
osservandone la fodera spiegazzata e la coperta che ancora lo cela in
parte. Ma niente Roger. Allora deglutisci, il tuo cuore accelera
impercettibilmente l'andatura e, pur conoscendo l'inutilità
del
gesto, ti sforzi ugualmente di guardarti intorno, alla ricerca della
sua improbabile figura. No, lui non è lì,
né in sala né in cucina
e neppure in bagno. Sai, con incomprensibile certezza, che non si
trova più nemmeno all'interno di quell'appartamento.
È andato, o
meglio, è tornato: a casa sua, nel suo mondo, nel suo tempo.
Inspiri, cercando di controllare il percorso del fiato nel tuo corpo,
e mentre il battito del tuo cuore torna regolare, le tue labbra si
tendono in un sorriso tirato.
«Bentornato,
Roger».
FINE
(*)
Boxe
Française
http://www.savatepavia.it/savate.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Savate
|