Lo sciabordio dell'acqua sembrava
quasi rassicurante, eppure
fuori posto in maniera talmente inquietante che Sharon avrebbe
volentieri
preferito tenersi il grembiule sporco di sangue, piuttosto che lavarlo
lì.
Sapeva che si sarebbe macchiato di nuovo non appena avesse rimesso
piede nella
tenda, ma cercare di mantenere l'uniforme pulita era uno dei pochi
appigli
sbrindellati e malconci che le erano rimasti, lì al fronte.
Tra i bombardamenti, le cariche, il rombo delle mitragliette e la Marna
a poche
centinaia di metri dal loro ospedale improvvisato.
Smise di fregare furiosamente la stoffa, ormai di nuovo biancastra,
quando
iniziò a non sentirsi più le dita dal freddo e si
rialzò in fretta,
rassettandosi la gonna e avviandosi a passo svelto verso il campo.
Le infermiere usavano un vecchio sentiero immerso nella vegetazione per
andare
a prendere l'acqua al fiume e l'eventualità di non tornare
era dietro ogni ramo
spoglio o cespuglio spinoso.
Per questo a Sharon quasi sfuggì un grido nell'avvertire un
fruscio tra le
foglie accanto alle sue gambe, seguito da un debole rantolo.
Strinse i pugni attorno alla stoffa ancora bagnata del grembiule e
scostò
appena qualche fronda, ritrovandosi davanti a due uomini riversi a
terra.
L'odore e la vista del sangue le scivolarono addosso, privati ormai del
disgusto che le provocavano i primi tempi, e l'infermiera si
affrettò a
rilevare il battito cardiaco dei due.
Il soldato che portava la divisa inglese era ormai gelido e immobile,
mentre
l'altro respirava ancora.
Un respiro appena accennato e tremolante sotto una divisa tedesca,
nemica.
Probabilmente i militari che presidiavano il suo ospedale l'avrebbero
finito
seduta stante, ma Sharon non era arrivata fin lì per mietere
vite.
Notò una brutta ferita all'occhio sinistro e la
fasciò come meglio poté col
grembiule, senza soffermarsi a contemplare nuove macchie rosse spuntare
sulla
stoffa appena pulita e afferando il soldato da sotto le braccia per
riuscire a
sollevarlo e trascinarlo lungo i pochi metri che ormai li separavano
dal campo.
Un gruppetto di infermiere li notarono e si affrettarono ad aiutarla a
portare
il ferito all'interno della tenda affollata e malconcia, per poi
adagiarlo
sulla prima barella libera.
Nessuna domanda sulla divisa.
Nessuna domanda sulla provenienza.
Gli unici suoni che Sharon sentiva erano gli strascichi del respiro
dell'uomo e
i mormorii preoccupati delle sue college davanti alla sua ferita alla
testa: un
profondo taglio da baionetta gli correva lungo l'orbita distrutta.
Nel migliore dei casi avrebbe perso la vista dall'occhio sinistro.
Nel peggiore, e assai più comune, sarebbe morto per
setticemia.
Sharon scosse la testa, la mente concentrata unicamente sul compito di
pulire
la ferita con della garza e assicurarsi che non ci fossero schegge o
detriti al
momento di ricucirla.
Gli sarebbe rimasta una cicatrice irregolare e vistosa, ma non potevano
permettersi altro, specialmente con schiere infinite di altri pazienti
in
condizioni più o meno gravi.
Si occupò personalmente della fasciatura attorno al capo del
ferito e alla fine
si accasciò su una sedia lì vicino, il grembiule
sporco in grembo e lo sguardo
fisso su quel viso sconosciuto e sofferente.
Si concesse qualche istante per mettere in piedi una scusa valida per
persuadere
il medico a cui era sottoposta a lasciarla prendersi cura dello
straniero, poi
tornò a destreggiarsi tra le barelle come una farfalla
impazzita.
"Ho bisogno di un momento."
Vincent Nightray, ovvero il suo superiore, la stava osservando con
un'espressione sin troppo compiaciuta negli occhi eterocromi,
consapevole della
rabbia che le montava in petto ogni volta che lo faceva.
"La prego, dottore," tentò Sharon per l'ennesima volta, la
voce che
tremava appena. "Quell'uomo potrebbe non potersi permettere un
momento."
L'espressione del medico si fece appena più accigliata, il
sorriso mellifluo
più duro.
"E noi potremmo non poterci permettere di curare un nemico, signorina
Rainsworth."
"Non è un nemico, ma un paziente!"
Un sospiro da parte di Vincent e l'infermiera capì di aver
centrato il
bersaglio: se si fosse rifiutato di portare aiuto a un ferito, il
morale già
pesantemente provato dell'intera equippe medica sarebbe crollato del
tutto, con
rischio di ammutinamenti.
"Il nostro dovere qui è di salvare vite, indipendentemente
da dove siano
venute alla luce," insisté.
L'altro tacque per alcuni istanti che a lei parvero eterni, riempiti
dai
rimbombi delle mitragliette e le bombe, poi si schiarì la
gola e la scrutò
quasi avesse voluto incenerirla.
"E sia, il soldato ha il permesso di restare. Ma se non migliora entro
una
settimana è fuori."
Sharon incassò il colpo, congedandosi con un cenno del capo.
Una settimana era un arco di tempo terribilmente breve per riprendersi
da una
ferita come quella, ma la crocerossina aveva il sentore che lui avrebbe
potuto
farcela.
Si diresse verso la branda dove il soldato era stato spostato e gli si
sedette
accanto, i consueti e deboli lamenti degli altri feriti nelle
orecchie e
le iridi stanche posate su quel volto bendato, più bianco
della garza e più
stanco di lei.
Gli deterse la fronte con un panno bagnato, concedendosi un lieve
sorriso nel
sentire che il suo respiro si regolarizzava.
Poi crollò addormentata.
Si svegliò con il collo dolorante, le spalle intirizzite, le
labbra secche e un
singolo occhio rosso che la osservava.
Sussultò vistosamente, cosa che le procurò una
fitta alla nuca, e si affrettò a
passarsi una mano sul viso ancora assonnato, cercando di sistemarsi
qualche
ciocca ribelle dietro le orecchie.
L'occhio rosso apparteneva al soldato straniero, sveglio e lucido
contro ogni
previsione.
"Guten morgen, fräulein1,"
biascicò con una vena di
ironia che non mancò di far arrossire Sharon.
"Buongiorno," rispose in inglese, senza pensarci.
Per un attimo i muscoli facciali dell'altro parvero irrigidirsi, ma
l'uomo si
affrettò a nasconderlo con un ghigno stentato.
"Avevo il sospetto di essere capitato in un ospedale straniero,"
commentò in un inglese dall'accento marcato, ma per il resto
impeccabile.
L'infermiera aveva l'impressione che avrebbe voluto aggiungere
qualcosa, ma il
dolore doveva essere ancora troppo forte per permettergli conversazioni
troppo
lunghe.
"Non sforzarti, hai ricevuto una brutta ferita alla testa e perso molto
sangue," lo informò in tono pacato ma fermo, mentre
allungava una mano
verso un rotolo di garze pulite. "Ora ti cambio il bendaggio e
controllo
la situazione."
Dare del tu ai pazienti le veniva naturale, era un modo come un altro
per
guadagnare la loro fiducia in modo da poterli curare più
facilmente.
Il nuovo arrivato non parve infastidito dalla cosa e le
restò a guardarla in
silenzio mentre gli liberava il capo dal bendaggio macchiato di sangue.
Non batté ciglio neanche davanti all'espressione critica che
Sharon assunse
davanti alla sua ferita, limitandosi a fissarla con l'unico occhio sano.
Lei si mordicchiò il labbro inferiore e si chinò
appena per esaminare meglio il
taglio, che correva irregolare dal sopracciglio allo zigomo.
I punti non sembravano essersi infettati, ma per sicurezza li deterse
con
dell'acqua, spalmandovi poi sopra con quanta più delicatezza
possibile della
pomata antisettica e affrettandosi a ricoprire il tutto con le bende
pulite.
Avrebbe lavato le altre al più presto, assieme al grembiule.
Ancora e ancora.
Sentì un'ondata di nausea salirle dal petto e stava per
abbandonarsi contro lo
schienale della sedia in preda allo sconforto, quando il soldato le
sorrise di
nuovo.
"Mi ha trovato lei, fräulein?"
chiese in un sussurro, le
palpebre che lottavano per restare aperte.
Sharon si rassettò la divisa in un gesto automatico, per poi
annuire.
"Sì, a pochi passi dal campo."
La consapevolezza che se non fosse rimasto ferito l'avrebbe
probabilmente
uccisa si insinuò tra loro, ma l'infermiera la
scacciò ricambiando il suo
sorriso con dolcezza e lo straniero parve finalmente darsi il permesso
di
scivolare nel sonno.
Il resto della giornata passò quasi con lentezza, per quanto
potesse essere
lenta la vita al fronte, e Sharon ebbe il tempo di sciacquare la divisa
e
diversi bendaggi, mentre altre infermiere si occupavano a turno di
tenere
d'occhio il nuovo arrivato, dandole l'opportunità di
svolgere le sue mansioni
presso gli altri pazienti.
Nel tardo pomeriggio venne fermata da uno dei soldati stanziati al
campo, un
ragazzino troppo giovane per la guerra e dagli occhi troppo verdi per
la morte.
"Shaaaron," la chiamò, strascicando il suo nome con voce
allegra.
"Hai davvero trovato un tedesco ferito?"
Doveva averlo sentito dalle altre infermiere, probabilmente da Alice.
"Oz, ti dispiacerebbe non sbandierarlo ai quattro venti?" gli
intimò
con quanta più gentilezza le fu possibile usare.
Il giovane si affrettò a scusarsi, facendole però
notare che ormai lo sapevano
tutti.
"Comunque nessuno di noi ha intenzione di fargli del male,
tranquilla," la rassicurò alla fine.
"Oh, menomale."
I due si scambiarono un cenno di saluto, poi Oz tornò alla
sua ronda e Sharon
alla branda dello straniero.
Lui la aspettava sveglio e parve illuminarsi nel vederla arrivare.
"Fräulein," la accolse con espressione
divertita "le sue
colleghe mi fanno non poca paura, ce n'è una che non parla
mai."
Echo, pensò la crocerossina, lasciandosi
sfuggire un risolino soffocato.
"Sono felice di vederti così energico," sviò il
discorso, il dorso
della mano adagiato su quella guancia anemica per controllarne la
temperatura.
"Anche la febbre sembra essersi abbassata."
Vincent sarebbe stato costretto a lasciare che lei lo salvasse, ne era
sempre
più sicura.
"Come ti chiami?" si decise a chiedere, pentendosene immediatamente.
L'unico occhio sano del tedesco parve d'improvviso inghiottito nel caos
della
trincea, il viso si contrasse e Sharon si rese conto di poter quasi
sentire il
fragore delle armi che gli rimbombava in testa in quel momento.
Poi l'uomo parve ritrovare la calma.
"Xerxes Break."
Lei accolse quelle sillabe in silenzio, gli occhi socchiusi e le mani
in
grembo.
"Lei come si chiama, fräulein?"
continuò lo straniero,
nonostante la voce stesse tornando ad affievolirsi per il sonno.
"Sharon," rispose d'istinto, per poi affrettarsi ad aggiungere
imbarazzata
"Rainsworth. Sì."
"Bel nome..." fu tutto ciò che Xerxes riuscì a
farfugliare, prima di
essere nuovamente vinto dalla stanchezza.
La crocerossina si concesse un sospiro, sarebbe stata una settimana
lunga.
Note:
1 - "Buongiorno, signorina" in tedesco.
Yu's corner:
Halo, mein liebte!
Okay, lo ammetto, sto improvvisando.
Non l'ho mai studiato il tedesco, so solo qualcosina imparato tra i
miei viaggi
in Alto Adige e Germania, srry.
Comunque, salve!
Mi sono davvero imbarcata nella scrittura una long ambientata nella
prima
guerra mondiale? Così pare...
Ebbene, spero che questo inizio vi sia garbato perché io
Sharon crocerossina
dfjfkjashdahdk--
Fangirlamenti altamente indecorosi a parte, farò del mio
meglio e mando tutto
il mio ammmore a chiunque recensirà o seguirà
questo vaneggio.
Bye bye,
Yu.
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