01. The End
[La Fine della Guerra]
Nel caso di Harry
Potter
“Ricompensa”
“Qualcuno ha l’illusione che la
guerra possa finire con la morte del cattivo? Si ferma solo il sangue, ma
l’odore di marcio e fumo rimane per molto tempo. E chi meglio di me può
comprenderlo? Io, il Prescelto: chiamato a fare l’Eroe contro volontà. Siamo in
ginocchio; è evidente. Ma ci possiamo rialzare col tempo e una mano
particolare. A me basta quella di Ginny Weasley. E alla fine potrò dire
anch’io…”
Ma non posso fare niente adesso. Tutto quello che vorrei fare è tornare, riprendere quello che ho quasi perso
in guerra.
Ma sono ancora seduto qui, a contemplare il terreno dell’ultima
battaglia. Vorrei dimenticare tutto, ma so che non si può fare così di colpo…
quel ricordo mi rimarrà addosso ancora per molto tempo…
[Io stringevo la spada di Salazar Serpeverde, dentro sentivo Nagini
che si agitava, sapeva anche lei che avrei sancito la fine del suo adorato
Padrone. Ginny era proprio accanto a me, mi sosteneva, lei stringeva la
bacchetta e poi…
La spada era affondata nella poca carne che era rimasta addosso a Lord
Voldemort con un suono come di carta che si straccia. Avevo spinto più forte
che potevo finché la spada si era incastrata tra qualche osso e aveva arrestato
la sua affondata.
Voldemort aveva sputato sangue, mi era finito proprio in faccia: era disgustoso,
ma ero comunque riuscito a provare un’infinita soddisfazione.
Ginny aveva mosso la bacchetta. Lei è davvero molto forte, persino le
sue fatture lo dimostrano. Era riuscita a creare una crepa sulla spada di
Salazar Serpeverde.
A quel punto la cicatrice aveva cominciato ad impazzire. Non avrei mai
immaginato che potesse esistere un dolore fisico così intenso.
Avevo sentito l’ultimo sibilo di Nagini: lei si era contorta dentro la
spada ed era morta. L’ultimo Horcrux era distrutto. E ormai il corpo di Lord
Voldemort stava marcendo: era distrutto.
Dopotutto il colpo di grazia era stato semplice, se non fosse stato
per la mia testa che rischiava seriamente
di aprirsi in due.
Allora Ginny mi aveva aiutato a sedermi; mi sembrava ancora di
stringere la spada di Salazar, ma quella era ormai conficcata nel corpo di
Voldemort.
Era una cosa così bizzarra, ma non mi rendevo proprio conto di quello
che avevo fatto, era stato tutto fulmineo ed istantaneo: avevo davvero ucciso l’irriducibile
Signore Oscuro?
Non avevo molto tempo per le profonde riflessioni quando quella
dannata cicatrice era praticamente una fossa di inarrestabile ed allucinante
dolore.
Ma Ginny mi accarezzava il dorso della mano e allora cominciavo a
sentirmi meglio.
Poi il dolore era quasi scomparso e avevo riaperto gli occhi, piano,
tremendamente piano, e forse Ginny aveva approfittato della mia lentezza per
distogliere lo sguardo. Lei aveva voltato il viso, si era alzata, mi aveva
salutato e se n’era andata.]
Avevo detto che per risollevarmi mi bastava la mano di Ginny Weasley?
Ebbene non mi si concede neanche quella. La mano di Ginny stringe quella di un
altro ragazzo: ad osservarlo bene sembra la mia esatta copia senza occhiali e
con un sorrisetto educato e sinistro.
Dovrei esserne orgoglioso? Quel tipo mi somiglia. Forse Ginny ha
trovato un sostituto. Che il sostituto sia meglio dell’originale?
Ma non lo trovo giusto: abbiamo combattuto insieme, il colpo di grazia
l’abbiamo inferto insieme, io ho combattuto per lei… E ora Ginny sta con un
altro; non mi vuole più? Ha smesso di aspettarmi?
So che forse dovrei capire la sua decisione perché sono stato proprio
io a dirle di non aspettarmi. Pensandoci ora, quando non c’è più il pericolo
della guerra, mi sembra una cosa così infinitamente stupida. Ho rifiutato di stare con lei e le ho detto di non
aspettarmi. Non ho parole per descrivermi… sono proprio così idiota?
E ora devo pagare per la mia idiozia. Ma non lo trovo comunque giusto.
E’ vero, io ho fatto una scelta: ho scelto il Bene Superiore e non
sono stato accanto ai miei cari… ma, per
Merlino!, dovevo sconfiggere il Male!
So che suona molto egoistico, ma: chi ha sofferto più di me in questa
guerra? Io sono il Prescelto orfano che non ha mai trascorso un anno della sua
vita in pace e che ha dovuto imparare ad uccidere perché gli era stata lasciata
sulle spalle una missione incredibilmente pesante.
E qualcuno potrebbe pensare o augurarsi che l’infelice esistenza di
questo sventurato ragazzo si concluda con un lieto fine? Io sono il primo che
se lo augurava, ma evidentemente devo fare ancora qualcosa per conquistarmi il
mio ‘lieto fine’. Eppure dopo questa guerra, dopo aver sconfitto da solo Lord
Voldemort mi pare che io non abbia nient’altro da fare, che abbia già
dimostrato tutto, quanto valgo e che questo basti per garantirmi un’eterna
gratitudine.
Ma qui nessuno mi ringrazia! Né Ginny che se n’è andata con la mia
brutta copia, né questi Auror che stanno trascinando via i Mangiamorte e che a
mala pena mi vedono, né Ron ed Hermione… chissà poi dove sono finiti quei due?
Credevo di essere modesto ma adesso voglio che qualcuno mi ringrazi.
Soprattutto voglio che lo faccia Ginny. Per
Merlino, voglio solo la felicità!
Cos’altro devo fare? La guerra non è ancora finita?
*^*
[La Fine della
Guerra]
Nel caso di Ronald
Weasley
“Stima”
Perfetto. Ero convinto di non poter tener testa alla fama di Harry?
Con questo abbiamo chiarito il dubbio: ho appena ucciso un Dissennatore.
So che se Hermione fosse cosciente, mi direbbe che sono uno zotico
ignorante: “Che imbecille, Ron! I Dissennatori sono in sostanza simili ai
fantasmi quindi sono già morti, non puoi pretendere di ucciderli!”
Ebbene, io, Ronald Weasley, in un modo o nell’altro, ho ucciso un Dissennatore.
Magari non l’ho proprio ucciso, ma di sicuro l’ho fatto sparire. Non sparito
nel senso che è tornato a nascondersi nel suo banco di nebbia, ma che si è
proprio dissolto.
Ero lì, svenuto nel bel mezzo di quel labirinto con un braccio
praticamente squarciato – di questo ringrazio molto Bellatrix Lestrange… arg!
Se la ritrovo giuro che gliela faccio pagare, davvero! A meno che sia già
morta… bah, ho questa sensazione – e all’improvviso sento qualcuno che mi alita
addosso.
E’ già insopportabile l’alito di un essere umano che si lava i denti
tutti i giorni, ma vi immaginate l’alito di una creatura in putrefazione da
secoli e che è stimata per il suo bacio mortale? Hermione dice che è persino
insopportabile da vedere, figuriamoci sentirsi quelle labbra o, più
propriamente, quella ventosa che ti soffia contro!
E oltre che puzzolente era anche gelido. Un freddo tremendo! Già la
mia faccia era insensibile per lo svenimento, se poi ci aggiungiamo un freddo
polare…
In pratica mi stavo ibernando sotto l’alito del peggior Dissennatore e
sapevo di non potermi muovere e che il destino della mia anima sarebbe stato
davvero oscuro: venir risucchiata dalla bocca di quella cosa orribile che mi
fluttuava sopra.
Ma poi era sopraggiunto lui! Quel grand’uomo che io, in verità, ho
apprezzato ben poco.
Il comandante dell’Ordine, Albatros, con un magistrale Patronus era
riuscito ad allontanare il Dissennatore.
Io desideravo solo ringraziarlo. Ma non ho potuto nemmeno alzarmi:
quel dannato Dissennatore era ripiombato dal cielo fiancheggiato da un’orda di
mantelli neri… già, altri Dissennatori, ma non veloci quanto lui.
Ci sono letteralmente piovuti addosso. E ho scoperto che Albatros è
proprio un grande combattente: il suo Patronus di forma indefinita era davvero
sorprendente: potente e abbagliante.
Tutta quella luce mi aveva dato la forza per riprendermi. Già, persino
il mio braccio squarciato sembrava essersi risanato. Fissavo Albatros a bocca
aperta e continuavo a saziarmi gli occhi di quella stupenda luce argentata.
Poi c’era stato un botto ed Albatros era strisciato a terra. Non avevo
perso un attimo: col braccio buono avevo estratto la bacchetta e l’avevo
puntata contro il Dissennatore che gli stava volando addosso.
Era stato uno schiocco, un attimo. Il mio fedele cagnolino balzava
fuori dalla bacchetta, ma mi era sembrato più grintoso e agguerrito del solito:
e, infatti, eccolo! che azzannava il Dissennatore e lo faceva dissolvere.
Sono il primo in tutta la storia magica che riesce a fare una cosa del
genere!
Voglio dire: accidenti! Se avevo qualche problemino di autostima –
d’accordo, era davvero un problema enorme – adesso tutto scorre via come acqua
limpida, non vi pare?
Ho ucciso un Dissennatore! Come mi chiameranno? Ronald lo
sterminatore, Ronald lo spacca-Dissennatori?
D’accordo, qui c’è da fare concorrenza con Cornelius Caramell lo spacca-Goblin,
ma… per Merlino! Ho fatto proprio una cosa fuori dal mondo. Non vedo l’ora che
Hermione si svegli: immagino la sua faccia…
Ehm, ehm, so che lei è davvero una buona e brava ragazza e non ha mia
avuto il coraggio di dirmi in faccia che, in effetti, oltre che avere la sfera
emotiva di un cucchiaino, non sono neanche particolarmente sveglio in certe
cose, ad esempio nell’ambito sentimentale-romantico.
Ma ora c’è un netto ribaltamento della situazione: mi innalzerà su un
piedistallo d’oro!
Anche Albatros dovrebbe essere parecchio soddisfatto, in fondo sono un
suo sottoposto. Meglio avvisare entrambi.
Ora mi chino sul caro Albatros per esprimergli tutta la mia gratitudine.
Certo che visto così da vicino il suo volto sembra tanto vecchio e stanco,
quasi pietrificato… beh, in effetti è davvero gelido. Oh Merlino! Non mi dire
che è morto!
Controllo e ricontrollo e all’ultimo esame mi rendo conto che i miei
disperati richiami non fanno altro che disperdersi nell’aria: Albatros, il
comandante dell’Ordine, è morto.
“Hermione, Hermione! Albatros, il comandante, è andato, è morto!”
Sono talmente agitato che non faccio più caso al mio pomposo orgoglio
da sterminatore di Dissennatori e forse non faccio neanche attenzione all’incolumità
di Hermione.
So solo che sono sconvolto: Albatros è morto per me. Ho bisogno che
qualcuno di sensato – e chi meglio di Hermione? – mi dica che non è colpa mia.
Allora la prendo per il colletto della camicia e con l’altra mano le
circondo la vita per tentare di sollevarla. Lei geme, è ancora svenuta. Anzi,
forse sta peggio di prima, le ho fatto fare un movimento troppo improvviso.
Allora la riappoggio a terra e ritiro la mano. Forse Hermione ha
ragione: per me pensare è davvero uno sforzo perché ci metto davvero tanto a
realizzare che il sangue che ho sulle mani è il suo, è quello di Hermione. Sono
stato troppo brutale, troppo impulsivo: le ho fatto male, io!
Vorrei gridare aiuto: “Ehi! Qualcuno venga qui! Una ragazza – la mia ragazza
– sta per dissanguarsi!” Ma sono nel mezzo di un intricatissimo labirinto.
Perfetto, ripeto. Albatros è morto per me e ho fatto sanguinare
Hermione.
Forse sono davvero uno sterminatore.
*^*
[La Fine della Guerra]
Nel caso di Draco
Malfoy
“Riluttanza”
Ogni tanto lo scrosciare delle onde si affievoliva, e lui riusciva a
sentire il resto del mondo, il mondo reale, non quel limbo dalla sabbia
finissima e bianca. Ma poi ritornava l’alta marea e le immagini scomparivano.
Sapeva di essere sdraiato anche se non sentiva niente, il suo corpo
era come svanito, eppure avvertiva della sabbia calda sotto di lui e vedeva
delle stelle in cielo e le ammirava con gli occhi, ma non erano più i suoi
occhi grigi da mortale.
In fondo non era così spiacevole trovarsi lì, sdraiato su una spiaggia
lontanissima e tranquillissima. Solo il suono delle onde ed una visuale
costante: il cielo stellato, come mai l’aveva osservato, una miriade infinita
di luci allineate in una striscia, ma erano così vicine e così concrete che
forse non brillavano nel cielo ma nei suoi occhi o direttamente incastonate
nella sua anima.
Non era notte e non era giorno. All’inizio, vedendo quel trionfo di
stelle, aveva pensato alla notte, ma il cielo – o forse non era neanche il
cielo – era di un blu troppo intenso e puro, un colore irreale per qualcosa di
reale.
Alla fine l’aveva capito: era tutto irreale. Quella spiaggia e le
stelle. Anche la sensazione della sabbia tra le dita. Era morto.
Lo aveva capito durante i periodi di bassa marea, quando le onde si
ritiravano dalla spiaggia e le luci del cielo si spegnevano e il suo corpo
tornava a pulsare di dolore. Solo quando il dolore era al massimo aveva quelle
allucinazioni: il volto di sua madre in lacrime che lo chiamava.
Il mio figlio, il mio unico
figlio…
E allora avrebbe solo voluto tornare da lei per consolarla ma appena
protendeva il braccio – o qualsiasi cosa avesse al posto di quello – il dolore
diventava troppo intenso e reale e quelle dannate onde, così pacifiche e
rilassanti, tentavano di affogarlo. Anche la sabbia tiepida finiva per
ustionarlo e lo costringevano a stare fermo e immobile.
Poi il volto di sua madre spariva e ritornavano le stelle e la pace.
Si stava quasi abituando. Ormai non aveva più voglia di attaccarsi a quel
doloroso mondo reale.
Ma all’improvviso qualcun altro lo aveva chiamato, squarciando con
prepotenza il cielo stellato, irrompendo nella sua spiaggia tranquilla con una
luce accecante.
Strinse i denti – o almeno lo avrebbe fatto se avesse avuto un corpo.
Quella voce, l’aveva riconosciuta.
L’Assassina. Lei lo aveva ucciso. Lei era stata il suo ultimo ricordo:
Il suo viso, la sua bacchetta, un lampo verde e il cielo stellato.
La odiava e sicuramente non avrebbe risposto alla sua voce. Ma era
strano perché le stelle stavano cadendo e le onde si agitavano irrequiete.
Qualcosa stava facendo crollare tutto.
‘Avada Kenavra!”
La voce era troppo vicina, non era un’allucinazione come il richiamo
di sua madre. Era più vicina delle stelle.
‘Avada Kenavra!”
Il blu mistico di quel cielo stellato si stava squarciando, cadeva a
pezzi, lasciando che un intensissimo bagliore bianco si dispiegasse dietro di
lui.
Distolse lo sguardo – o deviò quelli che erano i suoi occhi. In
qualche modo sapeva che se avesse continuato a fissare la luce sarebbe tornato
nel mondo reale col dolore reale. Avrebbe anche potuto, ma di certo non sarebbe
tornato per volere dell’Assassina.
‘Avada Kenavra! Avada…”
Sogghignò con le sue labbra immaginarie. La voce dell’Assassina si
stava arrendendo. Anche il cielo si stava per richiudere e finalmente avrebbe
potuto dormire in eterno.
Ma poi all’improvviso le onde si arrestarono, paralizzate da qualcosa
e fu assoluto silenzio. Una goccia pesante cadde, una pioggia di gocce delinearono
delle onde ad anello leggere: qualcosa stava emergendo.
Avrebbe tremato, se avesse avuto ancora un corpo. Ma non c’era più
pericolo, non poteva sentire nulla nel limbo. Fissò quella cosa emersa con una
curiosità sadica, troppo reale.
Erano occhi rossi e in lacrime. Delle labbra bianche che si schiusero
con una smorfia di dolore.
“Non mi lasciare, per favore.”
La voce era di fianco a lui, alle sue spalle, nella sua testa.
Desiderò solo abbandonare la pacifica spiaggia. E allora fissò la luce che
stava per esaurirsi lungo la fenditura risanata del cielo.
…
Fu come se lo avessero afferrato brutalmente al collo, trascinandolo fuori
da un liquido tiepido ed accogliente. In quel mondo reale c’era solo dolore.
“Draco!”
Delle lacrime calde gli macchiavano il viso ma non erano le sue.
L’Assassina stava piangendo. Stava piangendo per lui.
“Sei vivo, Draco! Ti ho portato indietro! Datti una mossa… Dimmi
qualcosa!”
Si rese conto di avere di nuovo le labbra e allora non esitò un solo
istante. “Maledetta assassina.”
Con tutto l’odio che aveva nel cuore che batteva ancora.
*^*
[La Fine della
Guerra]
Nel caso di Remus
Lupin
“Sbagliato”
È terribile questa situazione di stallo tra lupo e uomo.
Forse ancor più terribile di essere un Licantropo. Se fossi un
Licantropo non-pensante, non sarei consapevole di Nimphadora accanto a me,
spaventata e in lacrime, che mi accarezza il capo. Se fossi uomo, non mi
troverei a guaire tra le sue mani, ma l’aiuterei.
Essere una metà non mi piace.
La mente umana ragiona e velocemente constata i danni di Nimphadora e
registra i miei arti insensibili e sanguinanti. L’istinto da lupo mi rende
particolarmente sensibile al tocco di Nimphadora, al suono delle sue parole,
quasi incomprensibili tanto sono sussurrate (o sono io abituato ai latrati?),
all’odore della ferita sul suo braccio e alla sua paura.
Mi sento così sbagliato.
Tutto è sbagliato, in questa situazione.
Nimphadora dovrebbe essere a casa al sicuro, e io qui agonizzante
sotto le zanne di Greyback. Invece lei è qui, mi consola, mi dà forza, è lei
l’eroe.
Qui non va come nelle favole. È sbagliato che Cappuccetto Rosso tenga
tra le braccia un lupo, vero?
C’è solo una cosa giusta: l’odore del sangue di Greyback che giace
poco più in là, il ventre squartato e gli occhi gialli rivoltati all’indietro.
Ecco, questo mi fa stare meglio. Mi rafforza, diminuisce la mia
tristezza, e questo peso all’altezza del petto.
“Remus… sto bene… stanno tutti bene… la battaglia si sta spegnendo e i
Licantropi sono qui, dietro di me, che ti ubbidiscono…”
Nimphadora è una donna fortissima. E l’amo per questo. Ma anche se la
sua voce non trema e non varia, lo sento nell’aria l’odore delle sue lacrime. È
sottile, delicato, strano. Nuovo. Non ricordo di aver mai percepito odore di
lacrime in tutta la mia vita.
Sì, ho pianto, ma mai sotto sembianze di Licantropo. I Lupi Mannari
non piangono, sono belve. Non registrano il dolore altrui, solo la sensazione
delle zanne affondate in un corpo caldo. Greyback godeva per la sua strana
mente perversa. Io, invece, ora che riesco a ragionare, non posso evitare di
trovare tutto questo rivoltante.
Se fossi solo Licantropo non sentirei questa malinconia che mi fa
guaire come un cane.
Se fossi un uomo non sentirei le lacrime di Nimphadora, e sarei già
svenuto tra le sue morbide braccia.
C’è qualcosa di sbagliato, nell’essere un essere a metà.
Ma forse c’è semplicemente qualcosa di sbagliato in me.
*^*
[La Fine della
Guerra]
Nel caso di Ginny
Weasley
“Pazienza”
Vedo Harry che esce dal labirinto, che esce dalla battaglia, dalla
promessa di fare l’Eroe… finalmente.
Ho giurato che lo avrei aspettato pazientemente. Ma poi lui aveva
detto quelle cose: “Farai meglio a non aspettarmi, Ginny” ed era sparito.
Avrei dovuto fare affidamento su una persona del genere? Che scompare
con una promessa tanto fragile ed ingiusta? Quante volte lo avevo aspettato?
Quante volte mi ero fatta da parte perché lui si concentrasse solo sul Bene?
So che alla fine per lui ero scontata: io ero Ginny Weasley, il suo
amore inesauribile, che lo aveva aspettato dai dodici anni trafitta da un irriducibile
colpo di fulmine, che lo aveva aspettato nell’ombra quando lui si baciava con
Cho Chang, che aveva deciso di consolarsi con altri ragazzi, ma che alla fine
era bastato richiamare con un fugace bacio dopo una vittoriosa partita di
Quidditch. Come un cagnolino ubbidiente: un bacio ed ero di nuovo completamente sua.
E’ pericoloso. Non è molto salutare affidarsi completamente ad una persona, si sviluppa un’inguaribile
dipendenza. Ma è anche incredibilmente fantastico appartenere completamente ad una persona, ma devi
fidarti, devi essere certa che rimanga al tuo fianco. Lui continuava a
scomparire e a tornare. E io continuavo ad abbandonarmi completamente a lui. E lui spariva di nuovo.
E’ colpa mia; sono troppo blanda con lui ed essere blanda non fa parte
del mio carattere. Io sono forte, lo ero. Ma quell’ultimo addio mi ha fatto
odiare quel ‘completamente’; non volevo più stringere un legame così forte se
poi era destinato a disfarsi.
Ho smesso di aspettare.
Forse ho smesso definitivamente quella notte.
#Ricordo: Quegli occhi verdi…#
Non poteva concedersi di fermare le sue gambe e la sua mente, di
riposare, perché era soprattutto nei sogni che riviveva quel momento; persino
di giorno, in mezzo ad un gruppo sorridente di amici, riusciva a ricordare,
bastava solo che si lasciasse scivolare solo un poco nella calma.
Doveva tenere mente e corpo costantemente impegnati. Così quei tre
mesi fu l’allieva più agguerrita e motivata del campo d’addestramento di
Malocchio Moody.
“Signorina Weasley, oltre che le fatture potenti, sembra che sia riuscita
a sviluppare un’incredibile forza di volontà.”
Le ripeteva Moody in tono quasi ammirato e Ginny si rese conto di
riversare seriamente tutto il suo essere in quegli allenamenti perché non era
affatto facile estorcere dei complimenti a Malocchio.
E quando non c’era l’addestramento a tenerla impegnata, c’era la sua
famiglia.
“Quanto sei diventata chiacchierina, Ginny” le sorrideva suo padre “Mi
fa piacere, vuol dire che stai reagendo molto bene al…”
Poi Molly gli aveva lanciato uno sguardo assassino ed Arthur aveva
lasciato che quella conclusione sfumasse nell’aria e rimbombasse nella testa di
Ginny.
Abbandono.
Il legame con sua madre si era fatto ancora più stretto; le raccontava
di tutto: gli allenamenti con Moody, i progressi, quanto si deprimeva ad
osservare il cielo nebbioso, quanto desiderava che la guerra finisse… ma
evitava accuratamente quell’argomento.
“Ginny cara, sono contenta” le mormorava sua madre durante una delle
loro interminabili chiacchierate “Questa guerra sta diventando davvero
orribile: morti, persecuzioni, disastri e Dissennatori che pattugliano il
cielo. Ma una madre è felice quando vede i propri figli sereni. Tu sorridi
sempre, Ginny, e parli molto… ma non parli mai di lui.”
“Non c’è niente da dire” aveva tagliato corto Ginny con una voce più
affilata di quanto desiderasse.
Sua madre aveva spalancato gli occhi. Non aveva più accennato a lui.
Fred e George erano rimasti i soliti dispettosi e battaglieri gemelli
di casa Weasley. Quando il Ministero aveva attuato un approccio più drastico
per la questione dei Mangiamorte, i gemelli avevano cominciato a dosare gli
insulti nei riguardi del loro fratello perduto.
“Percy è un idiota. Ma un bravo idiota. Pare che al Ministero abbiano
finalmente deciso di fare qualcosa. Vero, Fred?”
“Confermo, George. Ma è anche vero che il Ministero vuole ostacolare
l’Ordine.”
“Già, ridicolo! Perché hanno paura che gli sfugga di mano il
controllo.”
“Bah! Non ce l’hanno mai avuto.”
“Assolutamente d’accordo, Fred. Senza contare che il capitano degli
Eclitti è un vero…”
“Lo dico io! Quel Marshall è proprio…” era intervenuto Ron sobbalzando
dalla sedia e turbando persino George.
Un istante dopo si era ritrovato una stampa di cinque dita rosse sulla
guancia sinistra.
“Mamma!” si era lamentato.
“Oh, ti prego, Ron” aveva ribattuto la signora Weasley “Non farmi
sentire in colpa. Te lo meritavi, non si dicono certe parole.”
Ron aveva assunto un broncio indignato. “Ho capito, ma non mi hai mai
preso a schiaffi da piccolo, ti pare il caso di cominciare adesso che sono un
uomo?”
A quel punto Fred e George non erano stati in grado di trattenere una
sonora risata. Ron era stato bersagliato da pacche sulle spalle e commenti
stuzzicanti riguardo alla sua presunta maturità sessuale.
“Chiudete la bocca!” aveva urlato Ron ai due gemelli “Qualcuno della
famiglia venga in mio aiuto… Ginny?”
L’aveva guardata in tono speranzoso. Lei aveva ricambiato, ma aveva
smesso di sorridere.
Ogni volta che Ron tornava a casa, sfuggiva sempre il suo sguardo. Tendeva
a non parlare molto col più giovane dei suoi fratelli: era abituata a vederlo
accanto a lui.
Quel ‘lui’ che incombeva su tutta la sua famiglia… Non sapeva come
gestire quella presenza.
Era stato merito di suo fratello Bill, ora che ci rifletteva: tutto
grazie a lui. Gli aveva dato un prezioso consiglio quella sera quando lui e
Fleur erano intervenuti ad uno dei classici cenoni di finesettimana di casa
Weasley.
“Sai, Ginny” le aveva sussurrato Bill all’orecchio mentre le grida
inebriate di Fred e George e quelle di rimprovero della signora Weasley
distoglievano da loro l’attenzione dei presenti “Fleur pensa che tu abbia
qualcosa che non va.”
Ginny lo aveva guardato molto male. “Ti prego, fratellone, non dirmi
che è Fleur a pensare al posto tuo.”
“No, no” si era difeso lui agitando le mani davanti al viso “Le ho
solo chiesto un consulto. Ti ho visto sorridere, Ginny, ma ho l’impressione che
ci sia qualcosa di forzato ed eccessivo nel tuo buonumore. Anche Fleur la pensa
esattamente come me.”
Ginny era rimasta in silenzio, sbuffando leggermente.
“E’ per via di Harry?” aveva mormorato Bill in un tono quasi colpevole
“Stai cercando di far finta che vada tutto bene?”
“Infatti” aveva replicato Ginny “C’è qualcosa di sbagliato?”
Bill le aveva rivolto uno sguardo solenne. “Siamo nel mezzo di una
guerra. Anche l’allegra compagnia che c’è a questo tavolo si spegnerà appena
visto il mondo che c’è là fuori, persino Fred e George si rattristano guardando
il cielo grigio infestato dai Dissennatori. La mia consolazione è Fleur e so
che senza la sua compagnia non riuscirei a distrarmi e a distogliere gli occhi
dalla guerra. Anche a te serve un diversivo, Ginny. Credo che ripensare a Harry
ora ti possa fare solo male.”
“Quindi sto facendo bene?” aveva bisbigliato Ginny.
“Non esattamente, sorellina, perché stai continuando a tenerti tutto
dentro. Hai seppellito il ricordo di Harry ma scommetto che sei sempre lì lì
per tirarlo fuori dal dimenticatoio.”
Il viso di Ginny si era chinato. “Azzeccato in pieno. Cosa mi
consigli?”
“Vai fuori e divertiti.”
Ginny l’aveva guardato stranita.
Bill le aveva mandato di rimando un sorriso trionfante. “Domani sera
io e Fleur andremo ad una specie di ricevimento: ci saranno solo Babbani.”
“Solo Babbani?” aveva ripetuto Ginny.
“Esatto, e qualche mago occasionale. Ma pensaci bene, ogni volta che
c’è un mago nei dintorni non si fa altro che parlare di Guerra Oscura. Con
vicino solo dei Babbani al massimo si parlerà di qualche attentato
terroristico. Sarà l’astuzia del Primo Ministro, ma pare che i Babbani siano
molto disinformati su questa guerra.”
“E sarà un bene?” gli aveva chiesto Ginny in tono speranzoso.
“Certo, sorellina, così potremo almeno dimenticare per un attimo la
guerra e magari riuscirai ad affrontare la partenza di Harry.”
Sentire quel nome le aveva dato una strana sensazione: da molto aveva
tacitamente proibito ai suoi famigliari di pronunciare quel nome. Ma in
quell’istante, quando lo risentì, capì di aver bisogno di un momento di pace
per ricordare ed accantonare il viso e gli occhi verdi di Harry.
E la sera del ricevimento incontrò la sua nuova diversione, i suoi
nuovi occhi verdi.
Era entrata nella sala trascinata letteralmente da Fleur.
“Aspetta qui, Ginny” le aveva biascicato mentre si scioglieva dal loro
braccetto “Vado a cercare Bill.”
E Ginny si era ritrovata inghiottita da quella sala piena di luci sui
lampadari di cristallo e seta luccicante in movimento. Era senza dubbio un
ricevimento di nobili Babbani.
La musica aveva attaccato una marcia lenta e molte delle coppie si erano
strette, pronte a volteggiare per la pista da ballo. Anche Fleur e suo fratello
avevano danzato nel centro del salone, attirando un naturale interesse data la
sfoggiante bellezza di Fleur e le cicatrici appariscenti sul viso di Bill.
Aveva visto suo fratello che le lanciava un’occhiata ammiccante. ‘Vai
a divertirti.’
Allora il suo sguardo era vagato su tutti gli invitati, analizzandoli
uno per uno ma senza darvi alcuna importanza. Finché i suoi occhi erano stati
costretti a soffermarsi su una persona:
Un ragazzo della sua età, probabilmente, che aveva un portamento
maturo e responsabile. C’era qualcosa di delicato nel suo sorriso cortese, ma
anche un velo di autorità, di possesso e di comando. Aveva dei bellissimi
capelli corvini, corti e ordinati e un viso distrattamente affascinante.
Ma erano stati i suoi occhi verdi a frenarle lo sguardo.
Erano magnetici ed incredibilmente consistenti.
Poi il ricordo di quel ragazzo dagli ipnotici occhi verdi era
diventato più concreto…
…
Parlò con una voce vellutata e cortese, ma che stranamente sembrava
imperiosa. “Signorina, lei continua a fissarmi.”
Ginny giunse le mani davanti al grembo, piegando leggermente il capo.
“Domando scusa.”
Fissò il ragazzo: lui sorrideva compiaciuto. Si era resa conto solo
dopo che la sua era stata la replica di una serva. Ma a quel ragazzo sembrava
che facesse incredibilmente piacere ricevere adulazioni tanto servili.
Lei si sentì umiliata ma al contempo affascinata.
Il giovane smise di sorridere e la fissò serio. “Tu non sei una
ragazza come le altre. Come ti chiami?”
“Ginny Weasley.” Le era sfuggito dalle labbra.
Le labbra di lui si erano piegate in uno strano e sinistro sorriso.
“Bene, Ginny, io sono Han Joshuel.”
Han protese la mano. Lei la osservò: incredibilmente simile a quella
di Harry ma più curata. In un attimo la sua mano si trovò stretta in quella di
lui.
“Piacere, Ginny Weasley.”
“Piacere” aveva replicato lei con un filo di voce.
Aveva abbassato lo sguardo, ma lui gliel’aveva fatto risollevare: solo
due dita delicate sotto il mento della ragazza.
Ginny sapeva che si stava prendendo troppa confidenza, la stava
toccando, era troppo vicino… eppure c’era qualcosa negli occhi verdi di Han…
Vide quegli occhi chiudersi e anche lei chiuse i suoi quando avvertì
il delicato tocco delle labbra del ragazzo contro le sue. Si abbandonò completamente.
Lui si allontanò dopo poco con un sorriso sornione. “Davvero molto
bella, Ginny Weasley… Weasley... perdonami, cara Ginny, ma credo di non
conoscere la tua famiglia; non siete di queste parti, vero?”
“In realtà sì, siamo una famiglia abbastanza nota” ribatté Ginny con
un singhiozzo, sperando di non essere risultata troppo impudente “E’ solo che
non credo che la tua famiglia e la mia abbiano le stesse conoscenze.”
Han sospirò. “Capisco. Apparteniamo forse a due mondi diversi?”
“In realtà sì” ripeté Ginny con la medesima espressione di prima.
Han sorrise ancora, affatto sorpreso. “Lo sospettavo.”
Lui allungò di nuovo una mano, aspettando che lei la prendesse: era un
suggello di fidanzamento.
Ginny esitò solo per un attimo.
Cosa stava facendo? Aveva persino rischiato di rivelare a quel Babbano
l’esistenza del mondo dei Maghi. E proprio in quella settimana il Ministero
aveva emanato una legge provvisoria che proibiva di smascherare la propria
identità di Mago ad un Babbano se non in situazioni strettamente necessarie.
Eppure lei avrebbe atteso a malapena due giorni per rivelargli: “Han,
sono una strega.” E lui le avrebbe risposto con un sorriso: “Lo sospettavo,
cara Ginny.”
Quegli occhi verdi…
Protese la mano.
Nessuno avrebbe mai potuto dirle che si era fidanzata con uno
sconosciuto per sfuggire da Harry perché quel ragazzo somigliava ad Harry,
almeno solo fisicamente.
Appena lui le strinse la mano e piantò quegli occhi verdi e penetranti
nei suoi, Ginny seppe che doveva smettere di aspettare.
*^*
[La Fine della
Guerra]
Nel caso di Hermione
Granger
“Intimità”
Riaprì delicatamente gli occhi. Le palpebre erano incredibilmente
pesanti e in corpo aveva una sensazione simile all’ebbrezza ma molto più
pacificante.
Cominciò piano ad abituarsi ai suoni e alle luci di quel luogo tutto
bianco. Capì che si trattava di un corridoio lungo ed affollato: gente
sgattaiolava da tutte le parti, c’era uno scalpiccio continuo, qualcuno si
lamentava, qualcuno gemeva, un bambino piangeva… Poi identificò quel corridoio:
il San Mungo.
Aveva avuto una visuale simile quando Fleur si era dovuta ricoverare
per una presunta gravidanza, poi gioiosamente confermata.
Sospirò ricordando quell’istante e si rese conto di quanto fosse
lontano soprattutto perché era un ricordo di guerra: e lei, in quell’istante,
non era più in guerra.
Una gioia commovente le arrivò agli occhi e la fece lacrimare piano:
la battaglia era conclusa. Sapeva che era tutto finito anche se nessuno lo
aveva confermato. L’atmosfera che tirava nell’ospedale di irritata
sbrigatività, la stessa voce a tratti scocciata e premurosa delle infermiere,
furono la sua conferma: stavano curando dei feriti perché tornassero ad una
vita pacifica, non stavano rattoppando dei soldati perché tornassero in guerra.
Ma i feriti erano molti. Tanti che erano stati costretti a sistemarla
su una barella lungo un corridoio. All’improvviso desiderò confermare quei
suoni con i propri occhi, e fece scorrere lo sguardo nelle vicinanze.
Fu il primo che vide e l’incontro con i suoi occhi marroni la
riempirono di incredibile felicità e rimprovero: era talmente impregnata nella
gioia del post-guerra che aveva scordato di pensare a suoi cari, a lui in
particolare, che l’aveva aiutata, l’aveva sostenuta, era diventato la sua
inguaribile dipendenza.
“Ron” biascicò tra le labbra socchiuse.
Ron scattò verso di lei, urtando la barella e facendola tentennare con
Hermione sopra: il viso gli si riempì di vergogna e disagio.
“Scusa” borbottò.
Il viso imbronciato di Ron la fece quasi commuovere. Un sorriso le si
formò sulle labbra. “E di cosa? Stai bene, sto bene… e la guerra è finita,
vero?”
“Sì” replicò Ron riprendendo un po’ di buonumore “Harry è stato
fantastico: ha ucciso Voldemort.”
Hermione bloccò la respirazione per un istante. Le bastava il silenzio
per contemplare quella piacevole verità: ‘Voldemort è morto’.
Ma notò che quel silenzio era collettivo. Molti occhi indignati erano
puntati su Ron. Un’infermiera stiracchiò le bende che aveva in mano e gli
rivolse un’occhiata stizzita.
“Impara a trattenere la lingua, ragazzo. Non si dovrebbero dire certe
cose in un ospedale con tanti feriti.”
Ron ammutolì con uno strano rantolo e tornò a fissare imbarazzato
Hermione.
Hermione ebbe uno scatto indignato. “Ron, cosa fai? Ti fai mettere i
piedi in testa?”
“Ha ragione” ribatté Ron in tono sommesso “Non avrei dovuto dire una
cosa del genere, non adesso soprattutto.”
“Come?” fece Hermione stupefatta “Hai fatto benissimo, la guerra è
finita. Qualcuno deve avere il coraggio di rompere l’incantesimo della paura:
se davvero Voldemort è morto allora
non c’è nessun motivo per temere il suo nome.”
Fissò decisa l’infermiera accanto alla lettiga, quella che aveva
attaccato Ron. Lei le rimandò un grugno indispettito e sembrò sul punto di
sputare per terra.
Ron si frappose per interrompere lo scambio di occhiate micidiali tra
le due. “Calma, calma, Hermione. Non è il caso che ti fai nemica una delle
poche infermiere efficienti del San Mungo; la maggior parte del personale
medico è fuori a soccorrere i feriti per strada.”
Hermione lo guardò con le sopracciglia corrugate. “Non ti riconosco
proprio, Ron. Non è da te tutto questo raziocinio. E’ successo qualcosa?”
Ron sfuggì immediatamente gli occhi nocciola di Hermione, desiderando
intensamente non far cadere lo sguardo sulla benda insanguinata che la ragazza
portava alla testa. ‘E’ colpa mia’, avrebbe pensato.
Hermione gli aveva forse chiesto cos’era successo? Tante cose.
“Moody è morto” mugugnò con rincrescimento.
Hermione sbarrò gli occhi, socchiudendo le labbra ma non vi uscì un
suono.
“E’ stato un Mangiamorte” continuò Ron con lo sguardo basso “Così
credono… credono che solo un Mangiamorte sarebbe stato capace di tanto.”
“Allora è morto in un modo orribile” singhiozzò Hermione, tornando a
stendersi sulla lettiga e a fissare il corridoio bianco.
“No” ribatté Ron riacquistando la sua risoluzione “In fondo è morto da
eroe. Ha combattuto contro un Mangiamorte e non c’è l’ha fatta, ma in fondo è
stata una morte…”
“Oh, smettila, Ron” sbottò Hermione irritata “Una morte precoce e
violenta non può essere eroica, è sempre terribile ed ignobile.”
Si girò su un fianco in un gesto molto infantile ma che sentiva di
dover fare. Forse era stata ingiusta con Ron, ma la morte di Moody, del loro
comandante, di tante altre persone innocenti, non potevano essere delle morti
eroiche, assolutamente no, erano tutte delle tragedie.
Lei rimase immobile ma lui non fece altrettanto. Lo sentì agitarsi
alle sue spalle, sospingere leggermente la lettiga e poi udì un lieve
scrosciare d’acqua e il battito regole di una goccia che cadeva in una
catinella. Spiò con la coda dell’occhio.
Ron aveva immerso le mani in una ciotola. Continuava a strofinare,
eppure dal lieve ondeggiare trasparente dell’acqua sembrava che le sue mani
fossero pulite. Hermione ebbe una sinistra sensazione nell’osservargli
l’espressione assorta del viso: troppo concentrata, quasi ipnotizzata.
Poi Ron alzò lo sguardo ed incontrò il suo. Da entrambi ci fu
imbarazzo e le mani di Ron cominciarono a strofinarsi con più foga nella
catinella d’acqua.
Hermione dischiuse le labbra. “Scusami per prima, Ron, è che… dovremo solo
piangere quando muore qualcuno, non possiamo pretendere di trovare delle scuse
per sfuggire al dolore.”
Le mani di Ron si fermarono e lui le rivolse un sorriso stiracchiato.
“Hai ragione, è solo che sono morte troppe persone. Se mi concentro sulla tristezza
della loro morte ho l’impressione di non reggere.”
Hermione sobbalzò piano. Era proprio Ron? Il ragazzo simpatico ma
semplice che credeva avere la sfera emotiva di un cucchiaino?
“Ron, cos’è successo?” gli richiese delicatamente Hermione.
“Te l’ho detto” replicò Ron “Troppe morti e credo… credo di averti
fatto male, Hermione.”
Solo in quell’istante Hermione si rese conto della fitta alla testa.
“Ma… i Dissennatori, Bellatrix…?”
Ron chinò il capo e una mano si immerse nel catino. “Sì, sono stati
loro, ma io… Albatros è morto per salvarmi… e io non ti ho trattato bene.”
Hermione non era certa di comprendere le parole di Ron.
‘Mi hai trattato male? E’
metaforico, Ron, o è quello che ti senti di aver fatto?’
Avrebbe voluto gridarglielo in faccia ma l’espressione misera del
ragazzo la bloccò.
Si fissarono reciprocamente ed Hermione seppe che quella dispettosa
scintilla che la sospingeva tra le braccia di Ron si era accesa.
Si protese verso di lui con le labbra dischiuse, desiderando un bacio.
Ron si fece avanti ma una mano sostava ancora nell’acqua.
Hermione desiderò socchiudere gli occhi, ma non ci riuscì: il volto di
Ron era contratto dall’ansia e lui la stava per baciare.
Si bloccò stranita e anche Ron fu fermo sul posto, quasi pietrificato.
Distese le labbra pronte per il bacio e fissò il volto arrossato del ragazzo.
Era un rossore da tensione, aveva imparato a riconoscerlo: era lo stesso che
aveva prima di una cruciale partita di Quidditch… e lui la stava per baciare.
Ron tornò al suo posto con uno scatto fulmineo e tutto piombò nel
silenzio. Hermione poggiò la testa sul cuscino, mordendosi il labbro inferiore
con un groppo di rancore nella gola.
Il silenzio era snervante. Allora Ron prese a risciacquarsi le mani
nel catino e sembrò che quell’attività lo rilassasse.
Hermione chiuse gli occhi, più infastidita dallo scrosciare dell’acqua
che dal silenzio. Continuò così finché Ron si alzò, congedandosi con un mugugno
impacciato.
Allora lei poté liberare le lacrime.
Avevano perso qualcosa durante quell’ultima battaglia: l’intimità.
Erano tornati come prima di quel giorno.
#Ricordo: il Primo Bacio#
Il governo despota di Scrimgeour a Hogwarts era tutto fuorché
permissivo, eppure Hermione, Ron, Ginny e Neville si impegnavano sempre ad
infrangere ed aggirare le regole, solo per quei brevi istanti insieme, per
sentire la piacevolezza della reciproca compagnia. E fu allora che divenne
evidente, per Hermione, quanto piacevole era la vicinanza di Ron.
“Non ce la faccio più” sospirò Neville “E’ peggio che con la Umbridge.
Siamo sempre osservati, non ce un attimo di tregua.”
“Marshall è un despota” inveì Ginny “Così come Scrimgeour, entrambi
talmente convinti di essere l’eccellenza della razza dei maghi. Ma sono certa
che se si dovessero trovare davanti i Mangiamorte non saprebbero neanche da che
parte prendere la bacchetta.”
“Forse Scrimgeour” convenne Hermione “Sembra che sia un grande comandante,
ma non ha molto sangue freddo e a quanto ho sentito dire non sa reagire bene
alle imboscate: è più uno stratega che un combattente. Ma forse Marshall
potrebbe…”
“Bah” la interruppe Ron con un verso indignato “Quello stronzo è un
inutile.”
“Ron!” lo seccò Hermione.
Ron sostenne il suo sguardo. “Non criticare, Hermione. Come puoi
elogiarlo dopo che ti ha tirato un pugno nello stomaco?”
“Non lo sto elogiando” si difese lei “Sto solo dicendo che come
combattente potrebbe cavarsela contro i Mangiamorte, e per noi questo è un
bene. Ciò non toglie che sia uno stronzo.”
Calò un silenzio stupefatto. Rare volte Hermione si esprimeva a
parolacce ritenendo che le volgarità fossero troppo grossolane e fastidiose.
Hermione diede un leggero colpetto di tosse e si rivolse a Ron, addolcendo
lo sguardo. “Comunque grazie per avermi difeso contro Marshall.”
Ron si agitò incomodo sotto lo sguardo di gratitudine di Hermione.
Fece volteggiare gli occhi per la stanza, soffermandosi infine sul viso
cangiante di Hermione. “Non è stato niente” ammise con un sospiro.
La ragazza sorrise. “Non dire così, ti sei persino rotto un braccio
per difendermi.”
Ron sorrise a sua volta.
Ginny lanciò delle occhiate furtive ai due e afferrò Neville per un
braccio che sobbalzò per la sorpresa.
“Io e Neville andiamo” annunciò la rossa trascinandosi dietro l’amico
“I nostri gruppi ci aspettano.”
E di due scomparvero lungo il corridoio lasciando Ron ed Hermione da
soli.
C’era della tensione nell’aria, ma non eccessivamente spiacevole,
sopportabile: imbarazzo.
Ron si schiarì la voce. Avrebbe potuto cavarsi da quell’impiccio
raccontando ad Hermione che anche il suo gruppo aveva bisogno di lui – cosa non
molto irreale data la totale inefficienza dei suoi compagni – ma sentiva che
doveva restare e tollerare l’imbarazzo, almeno per quella volta.
Così invitò Hermione a sedersi su una panchina messa sotto una
finestra del corridoio.
Fuori c’era solo nebbia e nessun raggio di sole penetrava la finestra;
il corridoio era lugubre. Ma entrambi avevano trovato la propria isola di
felicità.
“Ho controllato” mormorò Hermione, facendo saettare gli occhi in tutte
le direzioni tranne che sul viso di Ron “Nessuna guardia dovrebbe passare da
queste parti per i prossimi dieci minuti.”
“Bene” replicò Ron con un borbottio ed una voce stranamente roca ed
impacciata.
I due cominciarono a lanciarsi occhiate ad intervalli, distogliendo
con un guizzo lo sguardo, finché incrociarono gli occhi tremanti del compagno
che tentava di sfuggire. Quelli nocciola di Hermione acquistarono un po’ di
luce, ma non smisero di tremare. Ron socchiuse i suoi, riducendoli a due
fessure lacrimanti, puntati in quelli dell’amica.
Senza desiderarlo esplicitamente entrambi i loro corpi erano scivolati
sulla panchina, avvicinandosi. La distanza tra i loro visi si stava serrando e
lo sguardo di entrambi acquistava tenacia e perdeva timidezza ed incertezza.
Le loro labbra si sfiorarono appena e allora l’insicurezza fu
abbandonata. Hermione dischiuse le labbra, avvertendo l’ansia lontana e
sfumata. Anche le labbra di Ron smisero di tremare guadagnando fermezza,
convinte di potersi premere con foga contro quelle della ragazza.
All’improvviso, una terribile reminescenza della professoressa
Umbridge piombò su di loro.
“Ehm, ehm.”
Si staccarono di colpo, lanciandosi reciprocamente alle estremità
della panchina.
Lavanda Brown incombeva su di loro con uno sguardo atroce e le labbra
contratte dalla rabbia, imperiosa e contrariata quanto l’Inquisitore Supremo di
Hogwarts.
Fulminò Hermione in particolar modo, e anche Ron non fu risparmiato da
un’occhiata di pura indignazione. Ron era visibilmente imbarazzato, ma Hermione
levava il mento fiera.
Lavanda girò sui tacchi con una specie di piroetta mal riuscita ed
abbandonò i due, sperando di lasciarsi alle spalle uno sgradevole imbarazzo.
Ma, invece, non c’era imbarazzo tra i due, solo una complice occhiata
furfantesca.
“Beh, Hermione” soffiò Ron divertito “Dovevi calcolare anche
intromissioni del genere.”
“Non puoi contare sempre su di me, Ron” ribatté Hermione con
altrettanta gaiezza “Devi imparare da solo a gestire le tue ex.”
Contrariamente a quello che entrambi si erano aspettati, quel bacio
fallito non creò imbarazzo, solo una curiosa complicità che sarebbe poi andata
crescendo.
In pratica non avevano concluso molto su quella panchina, solo uno
sbrigativo bacio malriuscito ed interrotto. Ma l’importante era stato fatto:
avevano abbattuto la barriera dell’intimità.
*^*
[La Fine della
Guerra]
Nel caso di Samantha
Drake
“Ingrato”
Era seduta in un angolo a vegliare su di lui da più di due ore. La
malandata sveglia babbana di quella camera di motel segnava le 3.44.
Ad un certo punto desiderò solo di afferrare le sue spalle e scuoterlo
fino a farlo gemere e svegliare bruscamente. Lo spiacevole ricordo delle sue
prime parole dopo il ritorno non se n’era andato.
‘Maledetta Assassina’
Non c’era dolore o rimpianto nel cuore di Samantha, solo un’infinita
voglia di strozzarlo a mani nude. Aveva messo a repentaglio la sua missione, il
suo segreto per lui. E aveva anche
restituito a lui la vita.
Dall’esterno sarebbe anche potuta sembrare una storia a lieto fine:
quel dannato ragazzo avrebbe solo dovuto svegliarsi dalla morte con un sospiro
beato, stretto tra le sue braccia, ringraziandola con calde lacrime per avergli
restituito la vita; ed infine un sussurro che grondava di devozione: ‘ti amo,
salvatrice’.
Per i gusti di Samantha sarebbe stato troppo mieloso e cliché come
riappacificazione post guerra. Poi avrebbe dovuto esserci un inversione col ruolo
dell’uomo salvatore e della donna che si ridesta grazie ad un bacio d’amore;
ma, d’altronde, qualsiasi finale melenso sarebbe stato meglio di quello:
‘Maledetta Assassina.’
L’aveva sospirato a fior di labbra ed era svenuto di nuovo come un
ciocco. Non le aveva nemmeno lasciato il tempo per urlargli o, meglio,
sputargli in faccia. Una donna rischia tutto per il suo uomo e viene chiamata Assassina?
Poteva esserci un fondo di verità nelle parole di Draco. Come termine
strettamente tecnico ‘assassina’ si poteva addire a Samantha dato che era una
Mangiamorte e, sempre con perizia minuziosa, lo aveva ucciso. Ma lo aveva
ucciso per salvargli la vita. Senza contare che aveva solo inscenato la sua morte. Inoltre, sempre grazie a lei, Draco si
era perso il climax della battaglia.
‘Meglio per lui’, rifletté
Samantha con una storta di naso ‘Con la
resistenza d’animo che ha sarebbe crollato a terra dopo il primo scambio di
fatture.’
In sostanza: Draco Malfoy era un ingrato.
E nonostante la sua ingratitudine, Samantha l’aveva trascinato svenuto
fino a quella pidocchiosa camera babbana perché potesse riposare e riacquistare
le forze.
In sostanza: Samantha Drake era molto generosa.
‘Sono troppo buona.’
Continuava a pensare Samantha con un sogghigno mentre osservava Draco
che si rigirava nel letto in un sonno tormentato.
‘Pensandoci bene, però, credo di
volere che lui riapra gli occhi solo per sbattergli in faccia quanto lui sia
stato codardo ed io sia stata eroica.’
Il corpo di Draco terminò di
agitarsi e si bloccò in una posa talmente rigida da sembrare cadaverica.
Samantha si accostò al letto, poggiando il capo reclinato contro il
petto del ragazzo. Il battito era tornato regolare, il respiro anche: si stava
per svegliare.
Samantha levò il capo, scrutando dall’alto in basso le palpebre del
ragazzo che si contraevano e tentavano di aprirsi a fatica.
‘Sono pronta. Questa volta non
ti butterò le braccia al collo.’
Draco aprì gli occhi corrugando le sopracciglia e socchiudendo le
labbra. Mise malamente a fuoco la camera che lo circondava; riuscì a capire
solo due cose: era un pidocchioso alloggio babbano e non era solo.
Non tardò a riconoscere l’identità dell’altro soggetto: l’Assassina.
Tentò persino di sibilarlo tra le labbra, ma dalla gola gli giunse
solo un terribile conato. Affondò la testa contro il cuscino: il suo intero
corpo tremava e sudava; sentiva il cervello che gli pulsava contro il cranio e
le viscere che gli si attorcigliavano nell’addome.
“Perfetto” sogghignò Samantha “Stai così male che non hai la forza di
emettere neanche un suono.”
Si avvicinò al letto, rivolgendo a Draco un sorrisetto furbo. “E senza
la sua lingua biforcuta Draco Malfoy non vale niente.”
Draco ridusse gli occhi a due fessure, ma tenne le labbra premute.
“Perfetto” si compiacque Samantha, cominciando a passeggiare per la
stanza “Non vali niente. Direi che questo descrive in pieno la tua situazione
odierna, Draco: tutti ti credono morto e un morto non vale niente. Persino i
tuoi genitori ti credono morto.”
Samantha lanciò un’occhiata al volto di Draco e lo vide contrarsi
dalla rabbia.
“Mi dispiace, ma era necessario” proseguì lei “Ora che sei un cadavere
nessuno ti cercherà più per vendicarsi. In questo bellicoso clima post guerra
ci sono molti Babbani e Mezzosangue che gradirebbero molto stringere il bel
collo del presunto assassino di Albus Silente, nonché figlio di due
Mangiamorte, nonché rampollo di due opulente e nobili famiglie Purosangue.
Quindi ritieniti fortunato per essere morto.”
Si interruppe per fissare Draco dritto negli occhi ostili e plumbei.
“E sai di chi è il merito della tua fortuna? Solo mia. Io ho inscenato la tua morte e…”
Samantha dovette frenare il suo impeto vendicativo. Draco si stava
contorcendo, premendo le mani contro l’addome e annaspando faticosamente in
cerca d’aria.
Con uno sbuffo scocciato, Samantha afferrò un bicchiere, mescolando al
suo interno qualche flacone di liquido puzzolente e allungandone il contenuto a
Draco, poggiando il bordo del bicchiere contro le sue labbra.
“Bevi, Draco, ti farà bene.”
Draco fissò il liquido stagnante per un attimo: lei era l’Assassina;
chi gli assicurava che dentro quel bicchiere non ci fosse del veleno? Ma la
successiva ondata di terribili nausee gli fece passare la voglia di dubitare.
Aprì la bocca e ingoiò tutto, domandandosi a metà strada come avrebbero
fatto le sue viscere a reggere quel liquido disgustoso. Ma dopo un attimo tutto
si calmò e lui poté tornare a sdraiarsi anche se il tremendo mal di testa non
accennava a diminuire.
Samantha riordinò il set di flaconi con aria pensosa. “Cosa stavo
dicendo? Ah sì, tu sei libero perché sei morto, ma non è altrettanto semplice
per i tuoi genitori.”
Draco riuscì a scordare per un istante il martellio del suo cervello e
si concentrò sulle parole di Samantha.
“I tuoi genitori saranno processati come criminali di guerra.”
Samantha cercò lo sguardo di Draco, tentando di addolcire il suo ma
incontrò solo due occhi grigi e sorpresi.
La ragazza sospirò, massaggiandosi le tempie con due dita. “Perdonami,
Draco, mi sono scordata di farti il resoconto di quanto è successo mentre tu
fingevi bellamente di essere cadavere: Voldemort è morto, è stato il tuo amico
Potter ad ucciderlo.”
Draco sobbalzò sul letto accompagnato da una vigorosa ondata di
nausee. Avrebbe voluto dire tante cose se i malanni del suo corpo non glielo
avessero impedito: perché hai abbandonato il vecchio ‘Oscuro Signore’ in favore
del più impudente ‘Vold…’? Come ha potuto un incapace – ma forse non troppo –
come Potter battere l’Oscuro Signore? Secondo quale contorto ragionamento
Potter sarebbe mio amico? Perché mi hai ucciso?... Ma quella più pressante di
tutte era:
Potrò rivedere i miei genitori vivi?
All’improvviso la mano delicata di Samantha si poggiò sulla spalla di
Draco, massaggiandola piano “Non c’è di che preoccuparsi. Ci penserò io” la sua
voce si era fatta più dolce “Sia tua madre che tuo padre verranno assolti.
L’A.R.A.s ha molta influenza su certe cose.”
Lei gli rivolse un gran sorriso incoraggiante che lo fece ammutolire.
“Non preoccuparti, Draco, ti spiegherò tutto più tardi, quando tornerò
con i tuoi genitori.”
Draco abbassò lo sguardo, serrando le labbra e trattenendo un
singhiozzo: cominciava a sentirsi meglio, ma solo per quanto riguardava lo
stomaco… perché per il resto…
Lei gli si avvicinò scoccandogli un bacio sulla guancia con un sorriso
tenero. Lui si divincolò dal suo abbraccio scuotendo la testa come un bambino
restio e cocciuto.
Samantha assunse un’espressione collerica e senza pensarci due volte
assestò un colpo con mano sagittale al collo del ragazzo. Draco soffocò un
gemito di dolore, massaggiandosi la base del collo e fissando Samantha con
occhi socchiusi e lacrimanti per il colpo.
Lei sghignazzò ampiamente, staccandosi dal letto. Chiuse la porta con
un botto, sperando vivamente di aver fatto sobbalzare Draco, sogghignando
all’immagine del ragazzo che si contorceva per la nausea.
‘E’ uno schifoso ingrato’
pensò a denti stretti mentre usciva nel cuore della notte in quell’angolo
sperduto della periferia di Londra.
Draco era uno schifoso ingrato eppure Samantha stava facendo di tutto
per lui.
Si preparò alla Smaterializzazione, figurando l’edificio diroccato che
avrebbe dovuto ospitare il nuovo Ministero della Magia.
‘E’ uno schifoso ingrato, un
codardo, un piagnucolo, un debole, un voltafaccia, un ruffiano, un megalomane,
un cocco sia di mamma che di papà… forse non è neanche capace di amare, ma io
lo amo.’
*^*
[La Fine della
Guerra]
Nel caso di Ninphadora
Tonks
“Salvezza”
Remus le si era accucciato ai piedi, reggendosi debolmente sulle zampe
da Licantropo.
Tonks era crollata in ginocchio per terra, e aveva aperto le braccia
con un pallido sorriso. Un invito dolce: forse cominciava già ad entrare in
quella fase ‘materna’ dove le donne diventano o più isteriche o più smielate.
Le sarebbe piaciuto un bel pianto isterico, ma Tonks si era accorta di non
avere più forze per far scorrere una lacrima.
Avvertì l’ispido pelo di Remus contro le ginocchia sbucciate e il suo
respiro che le scaldava le gambe.
Guaiva come un cane, strusciando piano il capo contro le sue
ginocchia; Tonks sorrise debolmente, e la sua mano toccò senza paura il corpo
ancora ‘bestiale’ di Remus.
Tra la peluria color terra, vi erano incrostazioni di sangue e sporco.
Tonks controllò meticolosamente la pelliccia, stropicciandosi gli
occhi appannati per la nebbia dei Dissennatori (è colpa loro questa tristezza
che la schiacciava?) e per la stanchezza.
Aveva alcune abrasioni superficiali, ma qualche taglio era netto e andava
in profondità nella carne viva e pulsante di Remus. Tonks strinse i denti e si
morse un labbro, trattenendo le lacrime di rabbia e spavento.
Alzando gli occhi, scorse Greyback esalare gli ultimi respiri, il
ventre animalescamente squarciato, e intorno a lei vedeva solo Licantropi, che
guardavano Remus con i loro grandi canini.
Si era sempre chiesta come fossero spaventosi gli occhi di queste
creature che erano descritte solo dai libri di mostri e dalle favole. Ora li
vedeva: lucidi, tondeggianti e di vari colori – neri, cobalto e persino due
incredibili occhi verde foglia.
Non le sembravano affatto malvagi, mentre aspettavano un ordine dal
loro nuovo capo, il Lupo dagli occhi ambrati. Tonks sorrise, fiera di esserne
la compagna, e trattenne una piccola risata dolceamara tra le labbra.
“I lupi hanno solo una compagna per la vita” le aveva confessato Remus
una notte, accarezzandola nel buio della stanza.
Era strano ricordare quel bel momento proprio in quell’istante. Ma fu proprio il bel ricordo a farla
sorridere, e riuscì a dimenticarsi, per un istante, del paesaggio desolante
davanti a sé, le nuvole cupe e minacciose, la nebbia non ancora dissipata e la
terra brulla su cui giacevano accatastati corpi di uomini e bestie, uguali nella distruzione.
Un nuovo guaito interruppe il filo dei suoi pensieri, e Tonks sibilò,
continuando a coccolare Remus tra le braccia.
Anche se era in forma lupina, sentì un piacevole calore al petto, che
la riscaldava e l’assopiva un po’ – anche se era da ben dieci minuti che tentava
di non cedere al freddo pungente.
Doveva occuparsi di Remus. Di lui, del bambino e di se stessa.
“Remus… sto bene… stanno tutti bene…” lo rassicurò con voce tremula
“La battaglia si sta spegnendo e i Licantropi sono qui, dietro di me, che ti
ubbidiscono…”
Posò un bacio sul suo orecchio mangiucchiato. “Sono solo un po’ stanca
sai…? Avrei bisogno di dormire… però non posso… qualcuno deve salvarci e non
vedo nessuno qui intorno… sono tutti…” deglutì, e d’un tratto si rese conto
della realtà. Si trovavano in un campo deserto, isolato, in compagni di Lupi Mannari poco affidabili e in fin di
vita. Attorno, solo morte e desolazione.
Era come se fino a quel momento avesse vissuto una realtà ovattata,
forse a causa della spossatezza e della testa che continuava a girarle, leggera
come se fosse fumo.
Sentì il panico dilagare nella mente, che cominciava a fantasticare
febbrilmente su atroci e assurde fini invece di pensare a come togliersi
d’impiccio. Picchiettò il corpo di Remus nervosamente.
“Ci sono solo morti! Remus,
io devo avvisare qualcuno… dobbiamo salvarci!… devo…”
Una fitta al ventre la fece gemere e d’istinto si piegò in avanti,
cadendo con il respiro mozzato contro il corpo di Remus. Lo sentì ululare,
spaventato, e avvertì il suo sguardo crucciato e angustiato accertarsi che
stesse bene.
Tonks cercò di respirare normalmente, ma una nuova fitta al ventre le
fece allargare gli occhi e gridare forte. Con la coda degli occhi vide i suoi
capelli verdi-grigi. Un colore
malsano, come si ritrovava solo quando era indisposta o stava male.
Avvertì la gola pungerle acidamente e vomitò a terra, tossendo per non
soffocare.
Respira Tonks, respira! Devi
salvarli tu Remus e il bambino… perciò R E S P I R A!
Prese un respiro profondo, come se avesse trattenuto il fiato
sott’acqua, e gridò più forte che poteva.
“AIUTO! AIUTO!”
Non registrò nessun segno di ausilio,
ma solo gli occhi diventare fastidiosamente pesanti e il sapore nauseabondo del
vomito infondo alla gola.
Una nuova fitta la costrinse a stringersi il ventre con un braccio,
allargando gli occhi con orrore.
Non voleva morire. Non voleva morire. Dovevano salvarsi, lei Remus e
il bambino.
Le lacrime cominciarono a scorrerle sulle guance e lei a singhiozzare,
e intanto cercare di respirare come le avevano insegnato al corso di pre-parto
al San Mungo, in modo da incanalare più ossigeno possibile nei polmoni.
Uno, due, tre… niente panico
Tonks… uno, due, tre…
Maledizione, non poteva finire così! Dovevano essere una famiglia
felice, e Remus doveva essere un buon padre, e lei una brava madre, insegnare a
loro figlio ad andare sui manici di scopa, a mettersi le scarpe e, perché no?,
avrebbero potuto prendere un cane!
Il naso umido di Remus le toccò una guancia. Tonks annaspava per
l’aria, ma trovò la forza di rivolgergli un debole sorriso.
“R-Remus… dobbiamo… salvarci…”
Lo vide annuire col muso, e alzarlo al cielo. Un ululato si perse
nella notte, e a lui si unirono gli altri lupi.
Tonks pensò distrattamente che era un ottimo modo per attirare i
soldati.
Gli Auror potevano salvarli tutti…
(ma avrebbero salvato i Lupi Mannari?)
Fa i suoi pensieri si interruppero e non lo seppe mai. Il buio si era
impossessato della sua mente, e gli occhi si erano chiusi.
“Svenuta per il dolore”, avrebbe spiegato un volontario ad
un’infermiera del San Mungo. “L’abbiamo ripescata vicino ad un branco di Lupi
Mannari. Una paura, signorina Daisy, eppure non mi hanno fatto niente quando mi
sono avvicinato per prenderla, anzi si sono allontanati. Strano vero? Povera
stella, chissà che paura… per fortuna adesso se ne occupano gli Auror di quelle
bestie.”
*^*
[La Fine della
Guerra]
Lacrime
Il labirinto era alle sue spalle. La battaglia era alle sue spalle. E
davanti non aveva nessuno: Ginny era sparita.
Non c’era nessuno, solo una folla spropositata di soldati reduci dalla
battaglia. Stavano gridando qualcosa con un ritmo esultante:
“Harry Potter! Harry Potter!”
Harry avanzò tra quelle persone senza guardare nessuno, senza trovare
nessuno.
“Harry!”
Era un grido debole e preoccupato tra la folla esultante ma era una
voce conosciuta.
Harry allungò il collo, allontanando bruscamente le braccia esultanti che
tentavano di stringerlo. Oltre la calca più compatta c’era Hagrid, che sbucava
dalla mischia col suo corpo massiccio.
Harry incrociò il suo sguardo e lo vide sorridere con quel suo tipico
modo bonario e solare. Arrancò tra la folla che lo trascinava all’indietro,
cercando disperatamente di raggiungere quell’unico viso conosciuto.
Hagrid lo vide digrignare i denti per lo sforzo e allora aprì un varco
tra la folla con le sue enormi e forti braccia. I soldati esultanti si
lamentarono, ringhiando verso Hagrid ed Harry sentì di odiarli: odiava tutte
quelle persone che gli impedivano di raggiungere Hagrid.
Alla fine si sentì risucchiare verso l’uscita di quell’ammasso e si
ritrovò nell’abbraccio di Hagrid che cominciò a singhiozzare.
“Harry! Non ho parole…”
Harry aveva sperato che non ne avesse. Non voleva delle parole che gli
ricordassero della guerra, che insistessero perché lui diventasse il Prescelto,
l’Eroe di quella guerra.
Avvertì qualcuno stringergli le spalle e per un attimo si dileguò
dall’abbraccio di Hagrid con la ferma intenzione di colpire quell’impertinente,
ma si bloccò quando riconobbe il viso di Neville.
“Harry” gli sussurrò lui con un singulto.
Si abbracciarono come due fratelli.
Lo schiamazzo della folla si interruppe. C’era solo una gran calca per
assistere alla manifestazione sentimentale del Prescelto.
Sentì Neville che gli batteva due colpi sulla spalla, poi accadde
senza un preciso significato: due grosse lacrime gli scesero sulle guancie
arrossate. Un istante dopo la folla venne zittita dal pianto dirotto del
Prescelto.
Neville si agitò con un’espressione desolata, tentando di consolarlo.
Ma il resto dei presenti restò semplicemente basito. La notte era quieta e tra
quel silenzio si imponeva il pianto di Harry Potter.
Passarono molti minuti senza che l’atmosfera cambiasse finché un uomo
ardito osò azzardare:
“Sono lacrime di gioia!”
Era una voce tremendamente sicura ed isterica ma la folla scoppiò
comunque in grida di trionfo. La gaiezza si diffuse a macchia d’olio e soffocò
il pianto del Prescelto.
“Ha ragione!” gridò un altro più convinto “Non c’è motivo per essere
tristi, ora!”
La felicità si gonfiò e le lacrime di Harry vennero accantonate.
La folla prese a marciare, spingendo Neville, Hagrid e Harry: si era
formato un corteo in onore dell’Eroe di guerra.
*^*
[La Fine della
Guerra]
Rose nere
L’infermiera musona cominciava a spazientirsi: era il terzo giro a
vuoto per Ron in quell’ala dell’ospedale. L’atteggiamento bellicoso della donna
si era oltremodo aggravato dopo la sfuriata di Hermione.
‘Hermione…’ Pensò Ron mentre
imboccava un altro corridoio con aria smarrita.
Stava girando a vuoto: percorreva i corridoi uno ad uno, tranne quello
bianco e lungo dove c’era la barella di Hermione; ormai i reparti e la
logistica del terzo piano del San Mungo non avevano più segreti per lui.
Era tutto snervante e teso: malati che si lamentavano ovunque. Ma
anche un vagabondare senza meta tra i moribondi era più allettante dello
scomodo silenzio e dell’immobilità che si era creata con Hermione.
‘Dovrei sentirmi uno schifoso
verme. Lei sta male e io sono qui a fare niente. Ma non posso restare al suo
fianco se non riesco ad abbracciarla.’
Ron si tormentò i capelli rossi, ritornando al punto di partenza, dove
lo attendeva l’infermiera spazientita.
“Fai qualcosa di costruttivo, almeno” gli biascicò lei “Sii cavaliere
e porta dei fiori alla tua ragazza.”
Ron restò per un attimo inebetito. Lo sguardo dell’infermiera lo
trapassò da parte a parte, pronunciando ‘la tua ragazza’. Forse voleva saggiare
la sua reazione. L’espressione di Ron era rimasta immobile, scomposta
leggermente solo dalla sorpresa. Forse avrebbe accolto il suggerimento
dell’infermiera.
‘Dei fiori…’
Al piano inferiore c’era chi vendeva dei fiori in un botteghino
piazzato accanto al reparto dei malati terminali: un’infinità di rose nere.
“Vuoi qualche, ragazzo?” gli chiese la venditrice con un sorriso
raggiante, protendendo un rosa nera.
Ron indietreggiò con un’espressione esageratamente schifata. “No,
grazie.”
La venditrice parve enormemente delusa mentre ricacciava il gambo di rosa
nera in uno sfavillante bouquet. “Peccato” sospirò lei, lanciando un’occhiata
speranzosa nei dintorni “Ma pare che qui ci sia urgente bisogno di rose nere.”
Ron si allontanò con un groppo alla gola. Ormai era diventato normale
parlare di morte col sorriso sulle labbra.
‘Ora che la guerra è finita
nessuno ha più paura della morte. Tutti ci ridono sopra, ci guadagnano…’
Tornò al piano superiore. Domandò alla reception. Nessuno aveva fiori
da vendergli. C’erano solo quegli orribili rose nere.
Si sedette su una seggiola nei pressi del reparto ‘Malattie
infettive’. Osservò la gente che passava. Si consolò in una specie di fraterna
malinconia: non c’era nessuno che sorridesse sinceramente, riusciva a vedere
solo dei sorrisetti stiracchiati.
Poi incontrò un sorriso genuino: era quello di una bambina con un
occhio fasciato. Lei lo osservava con l’unico occhio visibile, tondo e marrone.
“Signore, stai cercando dei bei fiori?”
Ron tentò di fare un sorriso incoraggiante. “Infatti, tu mi puoi
aiutare?”
Lei rispose con un sorriso cordiale. “Io non posso. Poteva il mio
papà, ma adesso è morto.”
Il sorriso di Ron scomparve immediatamente ma quello genuino della
bambina restò sulle sue labbra mentre mormorava candidamente della morte dei
suoi genitori.
“I Mangiamorte hanno portato via papà e la mamma è caduta a terra così…
le faceva male il cuore.”
Ron biascicò un ‘mi dispiace’, ma la maggior parte delle sillabe fu
inghiottita da uno strano singhiozzo. Era terribilmente a disagio mentre la
bambina scuoteva la testa col solito sorriso.
“Niente. Mi dispiace a me per i tuoi fiori, signore. Prima di morire
la mamma mi ha detto che ci vorrà tanto tempo prima della stagione dei fiori
belli.”
La bambina sorrise di nuovo e la mente di Ron fece rizzare il suo
corpo all’improvviso, invocandogli di allontanarsi il più possibile da quella
diabolica bambina.
Le sue gambe si misero a correre, lasciandosi alle spalle il sorriso
della bambina e il chiosco di rose nere. Arrestò la sua fuga nel ‘Reparto
maternità’, forse l’unico luogo in cui sperava di trovare dei volti sereni e
delle famiglie integre.
Ma anche lì le lacrime si sprecavano.
Un guaritore completamente vestito di verde si fece avanti,
affrontando un gruppo di persone spaurite. Negò con il capo e i famigliari di
un bimbo nato prematuro e morto si sciolsero nella disperazione.
Ron strisciò contro il muro, il più lontano possibile da quelle urla
strazianti, ma non riuscì comunque ad estrometterle dai suoi pensieri. Tutta
quella sofferenza le ricordava Hermione, Hermione ferita su quella barella per colpa sua.
Hermione che non poteva consolare, abbracciare e baciare; quasi non
poteva toccarla, non poteva farlo di nuovo dopo quello che era successo nel
labirinto.
‘Non posso toccarla… come se
fosse morta.’
Un singhiozzo sfuggì anche a lui ma si disperse nel coro di pianti
della famiglia spezzata.
Marciò per quel tratto di corridoio e trovò una porta spalancata. Una
guaritrice contemplava l’interno della stanza con occhio critico, mugugnando
tra i denti: “Mi sembra troppo pallida, signora. La sua debolezza è da imputare
alla gravidanza oltre che allo stress subito in guerra. Secondo la sua cartella
ginecologica il padre del bambino sarebbe un Lupo Mannaro.”
Le labbra della guaritrice si arricciarono.
Alla smorfia della donna il cuore di Ron si gonfiò di disgusto ma
anche di una piacevole delizia: il figlio di un Lupo Mannaro? Il loro Lupo
Mannaro? Remus?
Si fiondò nella stanza, premurandosi prima di colpire la spalla della
guaritrice più forte che poteva.
Nel letto dell’ospedale giaceva Tonks con i capelli bianchi. Alla
vista di Ron ebbe un singulto.
“Ron?! Ron! Grazie a Merlino, Ron!”
La sua voce sembrava spezzata dal pianto e Ron non osò avanzare oltre.
“Devi aiutarmi, Ron. Ti prego, trova Remus, trova Remus e portalo da
me!”
“E’ escluso!”
Ron si voltò con rancore verso la guaritrice.
“E’ escluso” ribadì lei con voce arcigna “che un Lupo Mannaro varchi i
confini del San Mungo: escluso! Soprattutto in una nottata del genere.”
La guaritrice lanciò un’occhiata sprezzante alla finestra. Ron seguì
il suo sguardo: oltre il vetro, celata dalla nebbia, c’era una tonda luna
piena.
“Escluso” mugugnò sordidamente la guaritrice all’indirizzo di Tonks.
Tonks sembrò sciogliersi contro le lenzuola del letto, i capelli
riuscirono persino a diventare più pallidi del bianco: il suo viso era il
trionfo della disperazione. “Ron… trova Remus.”
Il capo di Ron si piegò in avanti poi indietro in modo ritmico: aveva
accennato, aveva detto di sì.
Il viso di Tonks si illuminò e i suoi capelli bianchi si tinsero di un
grigio topo non troppo cupo.
“E lei è anche una Metamorfamagus” borbottò la guaritrice con una
punta di disprezzo.
Ron inforcò la guaritrice col suo sguardo più risoluto e collerico. “Lei
non provi a dire altro di offensivo a Tonks. Si potrà avvicinare solo per
curarla, chiaro?”
La guaritrice storse la bocca. “E tu chi credi di essere?”
“Sono il Disseroctono, Ronald Weasley” gli venne fuori di getto, sotto
un’ondata di ira e di orgoglio.
Quell’affermazione poteva avere significato solo per Ron eppure la
guaritrice ammutolì all’istante, quasi soggiogata da un’intimidazione.
Ron la oltrepassò e la vide fare quasi una reverenza.
“Non preoccuparti, Tonks” mormorò sulla soglia della stanza; accanto
al letto di Tonks c’era un vaso di rose nere “Troverò Remus e ti porterò dei
bei fiori.”
*^*
[La Fine della
Guerra]
La Proposta che Non
si può Rifiutare
“Mi vuoi sposare?”
Venne fuori tra una tazza di the e qualche biscotto alle mandorle.
Ginny si bloccò ma non era sorpresa, solo frastornata.
Conosceva bene Han e sapeva che era un tipo da matrimonio precoce.
Anche se di carattere non impulsivo, voleva una cosa da Ginny e sapeva che
l’avrebbe avuta solo dopo un’ufficiale proposta di fidanzamento.
“Allora?”
Le richiese, prendendo un minuscolo boccone da una meringa schiumosa e
bianca. Ginny fremette quando ebbe l’impressione che intendesse fare la stessa
cosa con lei.
“Non ti sembra un po’ troppo presto?” gli chiese timidamente.
Han fece schioccare la lingua, rilassandosi contro la poltrona e
rivolgendole un’occhiata sorniona. “Mi sembra troppo tardi. La guerra è finita,
attendevo solo quello.”
“Bene” ribatté Ginny atona “Allora va bene.”
“Ottimo.” Commentò Han come in risposta ad un’ovvia replica.
Ginny sentì un vuoto allargarsi dallo stomaco: guardò fuori dalla
finestra e vide il cielo grigio e uggioso. Desiderò confondersi in quella
nebbia melanconica.
Dunque quella era la tanto attesa proposta di matrimonio. Non se l’era
sognata così; assolutamente no, eppure non aveva potuto rifiutare quell’invito
– quell’ordine.
Ripose il biscotto morsicato sul vassoio dei dolci. Han le rivolse un’occhiata
contrariata.
“Non sta bene, cara Ginny, riporre nel vassoio del cibo già
consumato.”
Ginny lo riprese e lo inghiottì.
“Bene” fece Han con un sospiro “Domani mia madre verrà da noi, ti
aiuterà a scegliere il vestito e il resto.”
Ginny gli rivolse un lieve accenno col capo, poi fu costretta a
poggiarlo sul guanciale del divano: le girava la testa. Han parlava di loro
come ‘noi’; accettando la proposta di matrimonio aveva sancito la loro eterna
unione, eterna. In quel contesto il
‘per sempre’ era davvero tragico.
Inoltre le parve che Han avesse già pianificato tutto, ancora prima di
ricevere la sua risposta. Lui era l’uomo delle infallibili certezze che non
accettava un no come risposta. E se Ginny avesse provato a dire ‘no’?
Lei avrebbe anche osato, ma era un azzardo troppo avventato: da sola
con lui in quell’antica casa isolata; non sapeva cosa era capace di fare quel
ragazzo in replica ad un ‘no’.
Non aveva paura. Era solo quel dolce sorriso tremendamente falso di
Han che la bloccava. O forse erano i suoi occhi verde tremendamente simili a
quelli di Harry.
“Vieni, Ginny, andiamo in camera mia.”
Le porse la mano con quel sorriso e già conosceva la risposta.
Ginny si sentì trascinata, mossa alle spalle da qualche filo
invisibile. Prese la mano di Han e si lasciò condurre come un ceco attraverso
quella casa buia. Furono di fronte alla camera di Han e lui la spinse dentro
senza neanche toccarla, solo con lo sguardo.
*
Non faceva che opprimerla: il sordido respiro di Han in quella
meschina camera da letto.
Alla fine si era alzata e Han l’aveva trattenuta per un polso,
reclamando un bacio che Ginny gli aveva concesso nell’oscurità. Anche nel buio
e nel sonno Han esigeva pieno possesso.
Ginny rabbrividì a quel pensiero perché lo collegò a quello che
avevano appena fatto.
Si alzò dal letto, coprendosi con le lenzuola macchiate. Han le
sussurrò un sonnolento: “Torna presto.”
E Ginny seppe che doveva ubbidire. Si chiuse in bagno, anche quello
zeppo di maiolica, marmo bianco, drappeggi bianchi e ricamati: tutto candido e
pulito. Non come il lenzuolo che stringeva attorno al corpo, non come il suo
corpo, non come lei.
Cercò nel buio una saponetta guidata dal dolce odore di lavanda. Si
tolse il lenzuolo. Degli spifferi gelidi la investirono, facendola sussultare e
allora si avvolse con una vestaglia di seta, anche quella bianca ed immacolata.
Cominciò a strofinare il lenzuolo con la saponetta, spruzzando l’acqua
gelida del lavandino lustro. La schiuma si gonfiò sulle sue mani, profumata e
piacevole. Aumentò il getto d’acqua fredda e avvertì una confortevole
insensibilità che si stava spargendo dalle dita. Continuò a passare la
saponetta e chiuse gli occhi, concentrata solo sullo scrosciare dell’acqua,
finalmente dimentica di quella notte.
Finché sentì uno strusciare di lenzuola e seppe che Han si stava
alzando. Chiuse immediatamente il rubinetto, ricacciando la saponetta nel suo
contenitore, schizzando delle gocce contro lo specchio nel buio, sentendosi una
donna meschina. Cattiva e vile, come un’assassina che tentava di lavar via il
sangue del suo delitto nel mezzo della notte.
La porta del bagno si aprì e Ginny desiderò solo che l’insensibilità
che aveva alle dita le giungesse fino al cuore.
“Allora, Ginny?” bisbigliò Han dallo spicchio aperto della porta “Cosa
fai?”
“Stavo lavando” rispose lei in tono sommesso.
Han aprì la porta piano, ma con una lentezza ferrea e contrariata.
“Non va bene, Ginny, c’è la servitù per questo genere di cose. Diventerai mia
moglie e non voglio più vederti insaponare della biancheria come una
lavandaia.”
“Mi dispiace” cinguettò Ginny.
Da piccola sua mamma le aveva insegnato la migliore tecnica a mani
nude e con la bacchetta per fare il bucato. Lei era una vera esperta con sei
figli maschi e irrequieti da gestire in una casa di campagna con fango e
polvere. Delle mattine madre e figlia si divertivano a pulire, passando il
sapone, mentre sparlavano dei maschi della famiglia. Ma per Han tutto quello
era indegno e servile.
Ma nonostante tutto, Ginny non riuscì a provare rabbia o rancore verso
Han, solo una bizzarra gratitudine.
“Non fa niente” le rispose Han dopo un po’. “Torniamo a letto. Manca
poco all’alba ma mi piacerebbe trascorrere questi brevi istanti tra luce e
ombra con te vicino.”
Ginny accennò piano e lo seguì fiduciosa, abbandonando il lenzuolo sul
lavandino. Peccato, era quasi riuscita a smacchiarlo.
Han si stese sul letto, trascinandosi le lenzuola candide fino al
petto, lasciando scoperto la parte di materasso riservata a Ginny.
Lei sussultò e lui le rivolse un sorriso sornione. “Prima togliti la
vestaglia, è di mia madre, non vorrei che si sgualcisse.”
L’argomentazione era valida e Ginny non si sentì di ribattere. Sciolse
il nodo e lasciò scivolare la seta sulle spalle fino a terra, in un mucchio ondeggiante
e lucido.
Fece un passettino verso il bordo del letto, ma Han le fece cenno di
fermarsi. Lei si immobilizzò. Lui la scrutò con occhi rapaci, ma la sua
compostezza restò quella di un gentiluomo impassibile.
“Bella” fiatò infine, distogliendo lo sguardo critico dal corpo nudo
della ragazza in penombra. Si voltò dall’altra parte e il suo respiro si fece
subito regolare e pacato.
Quando fu certa che si fosse addormentato, lei si stese al suo fianco
e i suoi sospiri le invasero di nuovo la testa. Era stesa sul materasso senza
coperte, il corpo completamente esposto al gelo notturno che opprimeva le
enormi finestre di quella camera. Le mani erano ancora insensibili, ma stavano
recuperando calore.
A Ginny sfuggì una lacrima senza significato: cominciava ad avere
molto freddo. Allora era una lacrima di lieve speranza: doveva solo attendere
che il suo corpo diventasse insensibile perché pulito e candido non lo sarebbe
mai più diventato.
*^*
[La Fine della
Guerra]
Gratta e Netta
Una promessa che non poteva essere rifiutata: doveva trovare Remus.
Dietro di lui c’erano i singhiozzi disperati di Tonks, i suoi occhi
imploranti e deboli, i suoi capelli pallidi dallo sfinimento; davanti a lui,
nella Londra semi distrutta dalla guerra, c’era un Lupo Mannaro da trovare.
Uscì dal San Mungo appena sorto il sole. Non aveva avuto il coraggio
di presentarsi da Hermione senza un bel mazzo di fiori sgargianti. Prima
avrebbe adempito alla sua promessa, poi avrebbe trovato dei bei fiori sia per Hermione
che per Tonks.
Ma sembrava che anche fuori dal San Mungo gli unici fiori che si
addicessero a quel paesaggio fossero le rose nere.
Tonks gli aveva indicato la zona del combattimento: accanto al Tamigi,
ghiacciato dal fiato dei Dissennatori, vicino alla Torre dell’Orologio che aveva
riflettuto le ombre di mostri folli e sanguinari.
Quella pungente descrizione onirica, le strade invase da soldati,
feriti e disperati lo condussero inevitabilmente nei ricordi più tragici di
quella guerra: il sangue di Hermione sulle sue dita. Ma sapeva di essere stato
fortunato: lui aveva perso qualcosa con Hermione, ma c’era chi aveva perso
un’amata intera, una persona cara, un amico, tutta la famiglia.
Eppure la perdita c’era stata e non riusciva a tollerarla: voleva
recuperare quello che aveva perso.
Si ritrovò nel luogo descritto da Tonks: lo osservò dall’altro del
parapetto di un ponte. La riva era costellata di Auror ed Eclitti; delle lunghe
strisce di sangue si incrociavano lungo la banchina. Guardò verso il basso: il
fiume ghiacciato si stava sciogliendo e anche il cielo che vi era riflesso
cominciava a perdere quella sua perenne sfumatura grigia e malinconica.
Il Tamigi stava per riprendere a scorrere libero dal fiato dei
Dissennatori, ma lungo il suo corso, per quella prima giornata di dopoguerra, sarebbero
traghettati solo cadaveri e sangue.
Storse il naso quando un odore pungente gli arrivò alle narici. Un
ammasso di sacchi di plastica fradici di sangue ingombrava la riva destra
attorniato da un olezzo di morte.
Il cuore di Ron saltò nel suo petto mentre le lacrime e le suppliche
di Tonks si risvegliavano nei suoi ricordi. Scese le scale, quasi saltando sui
gradini e afferrò un Auror indaffarato che aveva le maniche della divida
completamente intinte di sangue.
L’Auror gli lanciò un’occhiata sprezzante. “Cosa vuoi ragazzo? Non
dovresti essere qui. La temporanea legge marziale del Ministero stabilisce che
nessun civile può uscire dalle strutture di sicurezza senza il via libera.”
Ron spalancò gli occhi. “Una legge marziale?”
L’Auror in questione storse la bocca con una smorfia spazientita. Un
Eclitto dal viso comprensivo affiancò il primo, rivolgendosi a Ron.
“Ragazzo, forse è il caso che ti allontani, non è un bello
spettacolo.”
“Ho visto di peggio” rispose secco Ron.
L’Eclitto fece un sorriso stiracchiato. “Lo so, credo che dopo questa
guerra anche gli occhi di bambini innocenti conoscano il peggio, ma ti prego
comunque di allontanarti e di lasciare a noi il lavoro sporco.”
Ron lanciò un’occhiata nei dintorni e il suo sguardo si soffermò sui
sacchetti insanguinati. “State facendo pulizia?”
“Infatti: Gratta e Netta”
rispose l’Auror seccato.
L’Eclitto paziente annunciò con compiacimento: “Ora il Ministero si
sta risollevando e il suo primo comando è riordinare Londra. Quando avremo
ripulito le strade di tutte le vittime di questo massacro, la gente potrà
uscire all’aria aperta. Un altro squadrone si sta occupando di soccorrere i
feriti e di portarli al San Mungo. Ma se stai bene puoi trovare rifugio in una
delle strutture di assistenza del Ministero, basta chiedere a qualcuno che ti
accompagni.”
“Non ce n’è bisogno. Piuttosto” continuò Ron con un groppo in gola,
fissando allarmato il sangue che scorreva dai sacchetti “Cosa c’è lì dentro?”
L’Eclitto seguì lo sguardo inquieto di Ron ed ebbe un sospiro. “Oh,
non ti devi preoccupare, non trattiamo così male i corpi di uomini, anche per i
Mangiamorte ci sarà una degna sepoltura.”
Al suo fianco l’Auror fece un movimento improvviso, digrignando i
denti. “Non dire sciocchezze, dopo il casino che hanno fatto si meritano tutto
tranne che la dignità.”
L’Eclitto abbassò il capo, sconfortato. “So che la vendetta è il primo
istinto che si risveglia contro i criminali di guerra, però… non ti pare di
ricadere nello stesso sbaglio?”
“Prego?” ringhiò l’Auror.
“Prima i Mangiamorte disprezzavano i Babbani e i Mezzosangue” spiegò
l’Eclitto paziente “E ora vogliamo essere noi ad odiare i Mangiamorte?”
“Caro mio, non odiamo solo quelli” proclamò l’Auror con un ghigno
“Anche i Purosangue, i nobili tronfi e, per Merlino, anche i Serpeverde. Chi
viene smistato in quella Casa marcia è sicuro che finisca per diventare un Mago
Oscuro; secondo me bisognerebbe trovare un elenco di tutti gli studenti di Serpeverde
e sbatterli immediatamente ad Azkaban: prevenire è meglio che curare.”
L’Auror si allontanò con un atteggiamento soddisfatto e Ron ebbe un
nuovo tuffo al cuore.
‘Magari l’Eclitto ha ragione:
stiamo per sbagliare anche noi. Le idee di quell’Auror sono identiche a quelle
dei Mangiamorte. I soggetti si sono solo invertiti. Ma almeno c’è qualcuno che
lo capisce.’
Ron lanciò un’occhiata
speranzosa all’Eclitto che gli sorrise di rimando. “Purtroppo, ragazzo, non è
l’unico a pensarla così: anche il Ministero sta per adottare questa pericolosa
posizione.”
Ron concordò con decisione, ma bastò che il suo sguardo vagasse sui
sacchetti ammucchiati lungo la riva perché la sua grinta si spegnesse. “Mi
scusi, ma se non sono i cadaveri dei Mangiamorte, cosa c’è dentro quei
sacchetti?”
“Lupi Mannari” rispose l’Eclitto con un tono completamente sprezzante
“Stupide bestie oscure, con loro sì che si dovrebbero adottare le liste di
prescrizione e mandarli tutti a morte.”
Ron fu in grado solo di restare in silenzio. L’Eclitto si girò verso
di lui con un sorriso. “Beh, ti saluto ragazzo, devo andare a pulire questo
macello.”
Raggiunse il gruppo dei suoi colleghi e ordinò loro di distruggere le
carcasse di ‘quelle stupide bestie oscure’.
Forse, dopotutto, quell’Eclitto non aveva capito niente.
Quella guerra sanguinosa non aveva insegnato niente.
*^*
[La Fine della
Guerra]
Il Corteo
La folla si accalcava in tutte le direzioni, spingendo e sgomitando
per ammirare il grande Eroe di guerra: un’immensità di persone acclamanti in tripudio. Nel mezzo di quella calca c’era
Harry Potter, il Prescelto.
Neville e Hagrid lo spalleggiavano tra quell’orda urlante. In realtà
era più pressato tra i due: la gente irrompeva da tutte le parti, solo per
guardarlo, sperando di toccarlo.
Il corteo proseguiva e nessuno conosceva la meta: tutti seguivano il
gregge.
Da un lato un uomo forzuto teneva sollevate le barelle su cui erano
stesi i corpi di Malocchio Moody e Albatros, due valorosissimi soldati, che
forse avevano più merito di quelle lodi.
Harry spostò lo sguardo su tutte le bare e le lettighe da morto che
affluivano senza tregua da ogni strada e socchiuse gli occhi.
‘Dovrebbero ringraziare loro, la
gente che è morta combattendo, non me. Io ho ucciso Voldemort… ma… mi sembra
che sia stato inutile.’
All’improvviso scoppiò un boato di ringhi e latrati. Molta gente prese
a sputare per terra.
Harry si voltò e sentì il dondolio delle catene: prigionieri di
guerra, i Mangiamorte.
Ci fu un subitaneo scatto di violenza: molte persone tentarono di
andare addosso ai Mangiamorte muniti di ogni sorta di oggetto da macello,
bacchetta, o arma babbana che fosse.
Harry preferì distogliere lo sguardo, lo fece vagare finché si fermò
su un bambino, portato in tripudio ed acclamato quasi quanto lui. Ai suoi lati
c’erano i colonnelli Marshall e Gray. Entrambi troneggiavano sul corteo con
assenso ed esortazione.
“Chi è quel bambino?” domandò Harry a Neville, tentando di sovrastare
il frastuono della folla.
“Si chiama Jeremy Smith” rispose Neville, mentre tentava di respingere
delle mani invadenti “I suoi genitori sono morti durante la guerra. Lui ha solo
sei anni ed è riuscito a sconfiggere un Mangiamorte senza la bacchetta: è il
simbolo della resistenza, dei giovani Eroi.”
Gli occhi di Harry si incupirono quando Neville terminò la frase con
grande euforia ed approvazione.
Tornò a fissare Jeremy Smith: il suo viso era triste nonostante tutte
le ovazioni che riceveva. Era strano e innaturale vedere una tristezza del
genere sul volto di un bambino.
Una moltitudine di bare passò nella direzione opposta alla loro ed
Harry abbassò il capo.
‘Quanti morti però. Mi chiedo se
ne sia valsa la pena, se tutti questi sacrifici siano serviti a qualcosa.’
Sentì un ringhio, la voce di una persona, tremendamente impregnata di
odio: “Schifosi Mangiamorte! Non siete altro che delle bestie, diavoli! Andrete
a marcire ad Azkaban: questa è la fine che faranno tutti i Mangiamorte, i
Purosangue, i Serpeverde; luridi Purosangue!’
Ed ebbe la sua risposta.
*^*
[La Fine della
Guerra]
Salvate i Criminali
di Guerra!
Albert Gray aveva ormai raggiunto il massimo grado di onorificenza per
i servizi prestati in guerra. Ottenuta la carica di colonnello si apprestava ad
una scalata di prestigio che gli avrebbe anche permesso di raggiungere l’ambita
e, allo stesso tempo, traballante carica di Primo Ministro.
La riorganizzazione e l’assetto generale delle truppe e del Ministero
erano stati affidati in primo luogo al neo-colonnello di brigata John Marshall,
anch’egli un promettente candidato che però mai avrebbe accettato un incarico
sedentario.
Albert e Marshall erano quindi stati costretti a condividere un
estenuante pomeriggio di fuoco nel tentativo di dare una vaga parvenza d’ordine
alla burocrazia e all’esercito di maghi. Ormai non si contavano più i plotoni e
le associazioni paramilitari: Eclitti, Auror, Ordine della Fenice e un nutrito
gruppo innominato a sostegno di Harry Potter.
Ma vennero convocati per ricevere un ospite importante: un diretto
sottoposto dell’A.R.A.s, l’associazione che, a quanto pareva, aveva intralciato
i progetti di Lord Voldemort.
“L’associazione di cui fa
parte, signorina Drake… l’A.R.A.s se non sbaglio?... si sta circondando di
tante spiacevoli dicerie. Siete mercenari?”
Albert era stato costretto a ricevere l’ospite importante sulle scale
che portavano dal secondo al terzo piano del Ministero; il resto del piano era
completamente raso al suolo.
“I veri mercenari sono quelli della I.M.M.U.N.D.O. Noi ci limitiamo al
puro ed innocuo spionaggio.”
L’ospite importante aveva riscosso un certo interesse in John Marshall
che si era atteso un uomo attempato e dall’aria accademicamente diplomatica:
invece c’era una bella ragazza con un tatuaggio a forma di teschio con serpente
accuratamente esposto sull’avambraccio sinistro.
‘Nessuna vergogna di essere una
Mangiamorte’ rifletté Marshall con una smorfia sprezzante.
“Tanto innocuo non si direbbe” ribatté Albert in tono severo.
Samantha mantenne il volto rilassato e la voce asettica. “Noi non
abbiamo interferito in alcun modo allo sviluppo della Seconda Guerra Magica. Ci
siamo limitati ad infiltrare qualche spia tra le schiere dei Mangiamorte sotto
commissione.”
Marshall, terminata la sua attenta valutazione dell’ospite, decise di
optare per l’atteggiamento ostile. “Spionaggio… tsk, un lavoro decisamente
sporco.”
“Il doppiogioco è un lavoro sporco. Dietro i nostri obiettivi non vi è
nulla di personale, solo affari. L’A.R.A.s infiltra degli uomini per
raccogliere informazioni e poi vende queste informazioni al miglior offerente;
è una specie di asta” spiegò tranquillamente Samantha.
Albert mugugnò appena, imponendosi poi un atteggiamento più cortese.
“Suppongo che il prezzo di partenza non sia tanto basso.”
“A quanto ne so certe informazioni sono state vendute ad una tale
somma che basterebbe a mandare in rovina un’intera nazione.”
“Avete raggirato i Mangiamorte in fin dei conti, ma non siete molto
onesti.”
Samantha fece un sospiro paziente, levando il suo sguardo bicolore
verso Albert. “Non sia ingenuo, colonnello. Entrambi sapete bene quanto me che
associazioni totalmente oneste non possono sopravvivere in guerra.”
“Il Ministero…”
“Non è il caso di prenderci in giro” lo interruppe Samantha che,
nonostante le parole, continuava a modulare la voce su un tono cortese “Il
Ministero ha agito da vero egoista in questa guerra.”
Albert tossicchiò leggermente. “Allora, era venuta qui per propormi un
accordo, vero?”
“Non è propriamente un accordo, è una notifica” lo corresse Samantha
mentre recuperava un plico di fogli dall’aria ufficiale.
Albert sgranò gli occhi con un inizio di inquietudine. “Notifica? E di
cosa?”
“Dell’espatriazione della famiglia Malfoy.”
“Prego?”
“Ritengo che in un clima post-guerra tendente alla vendetta i Malfoy
non si troverebbero molto a loro agio in un Paese dove il loro nome è sinonimo
di Mangiamorte.”
Albert piegò le labbra quasi tentando di morsicarsele per contenere
una vivace protesta: non doveva dimenticarsi che quell’ospite era importante, ma più di tutto non poteva
dimenticare il suo senso dell’onore e i ricordi dei massacri perpetrati dai
Mangiamorte.
“E con ragione! La famiglia Malfoy ha fornito sostegno e appoggio a
Voldemort prima della sua presunta scomparsa e dopo. Non solo Malfoy Senior ma
anche il figlio è ormai certamente incriminato per cooperazione nell’assassinio
di Albus Silente.”
“In realtà è tutto uno spiacevole malinteso” mormorò Samantha con aria
semplice.
“Direi che è il caso di frenare la lingua” intervenne Marshall con la
sua solita fredda schiettezza “Qui non ci sono affatto dei malintesi: i Malfoy stanno dalla parte oscura e sono tuttora
sostenitori del privilegio esclusivo dato ai maghi Purosangue.”
A Samantha sfuggì un vago accenno di non curanza che contribuì ad
accendere l’indignazione di Albert. “Beh, sono un’antica famiglia, è naturale
un po’ di orgoglio.”
Albert ebbe un violento scatto di rabbia. “E’ proprio questo orgoglio che ha avviato una delle più
insensate guerre del nostro tempo, che ha fatto massacrare Babbani,
Mezzosangue, creature di ogni genere…”
“Quello che il mio collega sta cercando di dirle, signorina Drake” si
intromise nuovamente Marshall “è di abbassare la cresta: i Malfoy non se ne
andranno da questo Paese, mai, almeno
non prima di aver subito un processo equo e di aver ricevuto la punizione che
meritano.”
“Il processo non potrebbe mai essere equo. Già lei è prevenuto nei
loro confronti, ritiene che siano colpevoli” disse Samantha.
Le sue parole non fecero altro che marcare l’ostilità di Albert. “Ma
perché è così. Già una volta sono scampati grazie alla loro influenza monetaria
e aristocratica ma lo stesso errore non si ripeterà due volte! Verranno
condannati ed imprigionati ad Azkaban.”
Samantha scosse la testa, battendo le dita contro la ‘notifica’. “Non
lo ritengo corretto. Nel mio lavoro di spia ho potuto accertare le vere
intenzioni dei Malfoy. Pare che dalla ripresa di potere di Lord Voldemort
abbiano sviluppato una sorta di distacco dalle Arti Oscure, almeno quelle
affini a Lord Voldemort. Sembra che si siano resi conto della gravità e
dell’insensatezza, ma soprattutto della pericolosità, degli ideali del loro
Signore Oscuro. Ma ovviamente non potevano dichiarare apertamente il tradimento
perché, come tutti ben immaginiamo, la pena sarebbe stata la morte, così hanno
dovuto attendere l’ultimo momento per schierarsi dalla parte giusta.”
Marshall emise un borbottio ironico accompagnato da un sogghigno.
“Già, quando fa più comodo, si ritirano le carte dalla tavola: tipico dei
codardi.”
Samantha lo fissò con un accenno di irritazione che Marshall ricambiò
in pieno; poi riprese il suo ruolo da diplomatica. “Sia come sia, alla fine
della guerra erano schierati dalla parte opposta. Lord Voldemort ha ordinato
l’esecuzione di Draco Malfoy per insubordinazione e la stessa Narcissa Malfoy
si è rivoltata apertamente contro Lord Voldemort.”
“Credo che stiamo trascurando qualcosa” intervenne Marshall con un
ampio sorriso eclatante “Forse questi atti eroici da volta faccia dell’ultimo
minuto potrebbero fornire un attenuante, o più propriamente una scusa, ma che mi dice di Lucius Malfoy?
L’incarnazione fatta a uomo del Mangiamorte ambizioso?”
Samantha socchiuse gli occhi, come per raccogliere le idee, o
perlomeno trovare una scappatoia per rendere il suo discorso credibile. “Di lui
posso dirvi che dopo Azkaban non è stato più in grado di ragionare
adeguatamente.”
Marshall sbuffò, ancora appoggiato contro la ringhiera della scala.
“Bella scusa.”
“Io non scherzerei troppo dato che la sua temporanea infermità mentale
è stata causata dai brutali maltrattamenti del Ministero della Magia. Suppongo
fossero anche illegali e taciturne queste torture, vero? Colonnello, lei può
confermarmelo dato che era di stanzia ad Azkaban prima della sua distruzione”
insinuò Samantha con una punta di acidità.
Un fulmineo imbarazzo colse Albert. “Non è materia di discussione,
ora!” si riprese con l’indignazione “Non pretenderà che ci mettiamo a discutere
sui maltrattamenti subiti da quella famiglia di Mangiamorte quando loro stessi
sono stati fautori di torture inumane verso Babbani e Mezzosangue?”
“Mi rendo conto di risultare impertinente, ma sto cercando solo di
agire in modo corretto: non meritano una punizione” dichiarò Samantha con
risolutezza.
“Vorrebbe che li dessimo una medaglia al valore?” ironizzò Albert, in
verità con ben poca ironia nella voce.
“Non pretendo questo, ma solo un minimo di comprensione. Solo la
possibilità di allontanarsi dall’Inghilterra… se le suona più vendicativo può
anche annunciare pubblicamente che sono stati esiliati dall’Inghilterra per un
periodo da stabilirsi.”
“Impensabile” concluse Albert con rigidità irremovibile.
Marshall si staccò dalla ringhiera, consapevole del fatto che il
collega non avrebbe più proferito parola.
‘Vediamo se la carne è così
debole come dicono’. Pensò con un sogghigno, avvicinandosi alla
ex-Mangiamorte.
“Ma cos’è tutto questo interesse per la famiglia Malfoy?” domandò con
una particolare flemma maliziosa.
“Come ho detto vorrei solo fare…” cominciò Samantha in tono stanco.
“…la cosa più corretta”
terminò Marshall con una vocetta falsamente ingenua “Ma non ci saranno dietro
interessi personali?”
“Di che tipo?” domandò Samantha con altrettanta ingenuità.
“Ah, suvvia” imperversò Marshall con un sogghigno dei suoi “Che mi
dice di Draco Malfoy? Se non sbaglio dovrebbe avere all’incirca la sua età,
vero, signorina Drake?”
Samantha rimase imperturbabile. “E con questo?”
Marshall nascose a stento un sorriso di trionfo “La sua mancanza di
indignazione mi fa capire che ho centrato il bersaglio. Sarebbe molto poco
appropriato o corretto assolvere dei
veri criminali da tutte le loro colpe solo per una cotta. Che ne dice,
signorina Drake, forse ne dovrei parlare con l’A.R.A.s in persona?”
Il volto di Samantha restò assolutamente impassibile.
“Se sta insinuando che io abbia interessi sentimentali verso Draco
Malfoy, la devo proprio contraddire. Draco Malfoy è morto e io non avrei nessun
interesse ad affezionarmi ad un corpo freddo in decomposizione.”
Marshall cercò conferma dallo sguardo di Albert. Il colonnello Gray
fece un rapido movimento. Due guaritori avevano confermato il decesso del
ragazzo.
“Come ho detto prima vorrei solo fare la cosa giusta” concluse Samantha
con un ghigno eloquente all’indirizzo di Marshall “Allora buon pomeriggio. Ci
risentiremo tra breve.”
“Buon pomeriggio” disse Albert solo in risposta alla sua educazione.
*^*
[La Fine della
Guerra]
Bacio Acerbo
Doveva tornare da Ninphadora e dire ai suoi occhi imploranti e pieni
di fiducia che aveva fallito: Remus non era con lui. Forse era il suo quel
sangue che scorreva dai sacchetti putrefatti sulle rive del Tamigi: non aveva
avuto il coraggio di andare a verificare.
Era rimasto solo il dubbio. E Ron si pentì di non aver osato spiare
dentro quei sacchi: forse avrebbe incontrato la carcassa scomposta di Remus,
forse avrebbe solo incontrato una massa sanguinolenta irriconoscibile… ma forse
così i capelli di Ninphadora si sarebbero tinti per sempre di nero e forse lo
shock le avrebbe fatto perdere il bambino, l’ultimo dono del suo amato e
perduto Remus.
Ron scosse la testa, passandosi una mano sul viso. Non gli era mai
capitato di pensare ad una conciliazione in termini così macabri, non aveva mai
desiderato di immaginare come fosse la carcassa di Remus… eppure la guerra
l’aveva reso necessario.
Era di nuovo al San Mungo, attorniato dai soliti ed inesauribili
gemiti agonizzanti: la bancarella delle rose nere si era quasi svuotata con
enorme compiacimento della proprietaria: molte persone erano morte.
Ron attraversò il secondo piano sperando vivamente di non imbattersi
nella bambina diabolica con l’occhio fasciato. Finalmente arrivo nel Padiglione
della Maternità e ingoiò saliva.
Lui era sempre stato un tipo ansioso ma nulla gli aveva mai dato una
simile apprensione, come se l’esofago e le viscere gli si attorcigliassero
attorno alla gola. Toccò un paio di colpi alla porta di Ninphadora e attese ma
non gli arrivò nessuna risposta. Allora sospinse la porta con calma: forse
Tonks stava dormendo sfinita dall’attesa del suo arrivo, forse non osava
rivolgere la parola al messaggero che le avrebbe annunciato la morte di Remus.
Ma per fortuna la realtà era molto più piacevole dell’immaginazione di
Ron.
Remus era tornato e stringeva Ninphadora. Lei gli affondava il viso
sulla spalla, le mani artigliate disperatamente alla sua schiena, i capelli di
un argento sgargiante che scorrevano liberamente sul volto nascosto.
L’abbraccio si interruppe e cominciarono le carezze dolci. Le mani di
Remus erano incredibilmente delicate quando sfioravano le guance arrossate di
Tonks. Lei singhiozzava piano, sciogliendosi in quei soavi contatti,
socchiudendo le palpebre imperlate di lacrime. Si scambiarono un tenero bacio,
molto innocente e che fece sorridere entrambi contro le labbra bagnate del
compagno.
La mano di Remus sfiorò il ventre rigonfio di Tonks giocherellando con
le dita. Ninphadora fece uno dei suoi sorrisi impacciati e da bambina e Remus
si piegò in avanti per concederle un bacio meno innocente, passionale che la
fece sentire incredibilmente desiderabile e stupenda anche se era confinata in
quel letto d’ospedale, anche se il viso le si era contratto dall’angoscia,
anche se aveva temuto il peggio per Remus, anche se soffriva ancora per quella
guerra.
Le labbra si staccarono e Tonks si passò inconsciamente la lingua sul
labbro inferiore. Remus sfoderò il suo miglior sorriso da malandrino e
bisbigliò qualcosa all’orecchio di Ninphadora. I suoi sussurri la fecero
fremere e sorridere maliziosamente. Quando Remus catturò i suoi occhi accesi, i
capelli di Tonks si infiammarono di rosso vermiglio. Remus la fece sdraiare
piano sul letto, stendendosi al suo fianco e allora cominciarono a toccarsi
come due amanti.
Ron chiuse la porta stando ben attento a non fare cigolare niente.
Tonks e Remus si amavano. E anche Ron desiderò amare Hermione così,
con coccole e carezze più profonde di baci e mani avventuriere.
Si trovò all’istante al terzo piano, accanto alla barella di Hermione,
tanto repentinamente che sospettò di avere utilizzato la Smaterializzazione.
Hermione lo fissava con un braccio bendato. E gli occhi di Ron furono
catturati dalle bende leggermente macchiate di sangue, sfuggendo lo sguardo di
Hermione.
Gli diede incredibilmente fastidio. Chiuse gli occhi, ma delle chiazze
di buio gli restarono incollate sulle palpebre chiuse esattamente dove aveva
fissato le macchie di sangue. Li riaprì e protese il collo verso Hermione.
Si scambiarono un bacio. Ma era strano. Era impacciato e inopportuno.
Era prematuro. Era acerbo.
Ron si staccò, socchiudendo gli occhi e se ne andò: c’era affetto,
loro lo sapevano ma non riusciva a capirlo, ad ammetterlo, a manifestarlo. La
guerra aveva fatto tornare il tempo ad un lontano passato: il sesto anno; due
sedicenni tentavano di scoprire le emozioni dell’altro ma, soprattutto, i
propri sentimenti.
Hermione si girò su un fianco e cominciò a piangere. Sapeva che per
una relazione acerba come la loro era indispensabile il contatto fisico e la
passione per alimentare il genuino sentimento che la guerra aveva quasi
soppresso: l’amore.
*^*
[La Fine della
Guerra]
Il Lago e la Cravatta
Aprì gli occhi nel sonno, tuffandosi nel suo stesso incubo. Era
nell’acqua, galleggiava sulla superficie di un tiepido lago. Avvertiva lo
stesso scrosciare d’onde del suo precedente sogno: la morte.
L’acqua limpida si increspò e qualcuno gli salì a cavalcioni sulle
gambe, affondandogli il corpo nel lago. Il suo mento si alzò, annaspando verso
il cielo. Sapeva che se avesse bevuto anche solo un’oncia di quell’acqua
limpida, non avrebbe resistito alla tentazione di berne di più e sarebbe
affogato, inebriato da quel sapore: la morte.
Ma due mani gli stavano stringendo il collo, premendogli la testa
verso il basso. La vide riflessa nelle increspature del lago: l’Assassina. I
suoi occhi bicolore erano accesi di rosso e agognavano la sua morte.
“Bevi, Draco, ti farà bene.”
Draco storse la testa, sfuggendo il suo sguardo maniacale. Ma incontrò
ben peggio: due occhi rossi. Gli occhi del Signore Oscuro, gli occhi della
morte.
Si risvegliò con un gemito d’orrore, aprendo gli occhi bruscamente.
All’inizio vide solo nero, ma poi l’immagine gli fu più chiara: era ancora in
quell’alloggio babbano e anche questa volta non era solo.
Samantha era tornata e si era sdraiata al suo fianco, sopra le
coperte, con un braccio lungo il suo petto.
Draco le fissò il viso rilassato: era la stessa persona che l’aveva
ucciso e che aveva tentato di affogarlo nel suo incubo terribilmente reale.
All’improvviso Il braccio di Samantha si mosse verso l’alto, ma il suo
respiro era ancora regolare e pacato nel sonno. Draco si agitò. Lei era
l’Assassina. Le bastava poco per allungare quelle mani artigliate e stringergli
il collo, soffocandolo, come aveva fatto nel suo sogno.
Il cuore cominciò a martellargli nel petto. Fece vagare lo sguardo per
la stanza. Le tende erano tirate e ondeggiavano leggermente. Fuori non c’era la
luce del sole: era già tramontato per la seconda volta dal suo ritorno.
Ma era tutto buio ed era nell’oscurità che vedeva quegli occhi rossi:
erano dappertutto.
Il suo respiro si fece più ansante e, forse, proprio per questo,
Samantha si risvegliò.
Lei mugugnò appena, stiracchiandosi piano e Draco prese a sudare e
restò perfettamente immobile mentre il braccio della ragazza si ritirava dal
suo petto.
Samantha aprì i suoi occhi bicolore, puntandoli subito su Draco e lui
sobbalzò: gli stessi occhi dell’Assassina.
“Stai bene?” mugugnò Samantha piuttosto assonnata.
Draco annaspò.
‘No, non sto bene. Vorrei solo
che tu sparissi, Maledetta Assassina.’
Samantha osservò allarmata il volto di Draco: era pallido come quello
di un annegato ed era inzuppato d’acqua.
Come se avesse immerso la testa in un lago.
Si avvicinò per verificare le condizioni del ragazzo, protendendo una
mano. Il fiato di Draco si tagliò. La testa cominciò a martellargli in modo
atroce, molto più insopportabile di un Cruciatus.
Abbandonò il ricordo dell’incubo e si portò entrambe le mani alla
testa per stringerla e tentare di diminuire quell’inverosimile pressione.
Gli occhi cominciarono a lacrimare.
Samantha gli passò una mano tra i capelli biondi, sussurrandogli
piano: “Non ti preoccupare, tra poco passa. Sono i normali strascichi
dell’Avada Kenavra.”
Ma Draco non l’ascoltava: il dolore era tutto il suo mondo. Non
riusciva a concepire altro. I suoi occhi vagavano per la stanza, lacrimanti e
arrossati finché qualcosa li costrinse a spalancarsi.
Oltre il braccio di Samantha vedeva qualcosa, qualcosa che sembrava
completamente irreale.
I suoi gemiti cessarono e Samantha fissò incuriosita l’oggetto che era
stato in grado di placare i dolori del ragazzo: era la sua vecchia cravatta di
scuola.
Samantha allungò una mano e l’afferrò, passandoci due dita per
lisciare le seta verde e argento. Era uno dei simboli della Casa di Serpeverde,
quella sinistra accoppiata di colori.
Sull’estremità del tessuto c’era ricamato il nome del proprietario:
D. Malfoy
Gli occhi di Draco fissarono quella cravatta con avidità.
Samantha disse: “Te l’ho trovata in mano appena sei rinvenuto. Credo
che te la sia portata dietro prima dell’inizio della battaglia.”
Draco scosse piano la testa. Non aveva fatto nulla del genere: era
convinto che tutte le cose di scuola, che tutto il suo frangente di vita in
quella scuola fosse scomparso con il crollo di Hogwarts e, invece, eccolo!,
quel bel ricordo era ancora lì accanto lui.
Samantha gliela porse. Lui afferrò quella cravatta consumata.
Fu una reazione totalmente irreale ed inaspettata, come se due braccia
accoglienti lo avessero stretto in un’assoluta protezione: il dolore scomparve.
Chiuse gli occhi mentre Samantha gli sussurrava: “Non preoccuparti, i
tuoi genitori sono liberi: l’A.R.A.s l’ha sempre vinta.”
Strinse la cravatta contro il petto e non sognò più il lago.
*^*
[La Fine della
Guerra]
La Fine
Avanzava accanto a lui. Era perennemente al suo fianco.
Il sole era sorto da molto e stava quasi per raggiungere il suo
massimo splendore: la nebbia era dissolta, ma il grigio e la malinconia
rimanevano.
La sirena aveva smesso di suonare: la gente poteva camminare per le
strade pulite e immacolate. Il sangue della guerra era sparito, le ombre di
terrore erano svanite dalle strade ma restavano vive e pulsanti nel cuore delle
persone.
Lui bussò piano alla porta e anche quel lieve tocco riuscì a farla
sobbalzare di vergogna. Han varcò la soglia di Grimmauld Place numero 12 e
Ginny lo seguì fedele e arrossata.
Sua madre e suo padre li attendevano entrambi. Un messaggio aveva
preannunciato quel momento.
Ginny entrò in salotto scortata da Han e i suoi occhi si impregnarono
di quell’istante perché sapeva sarebbe stato il più decisivo della sua vita.
Han sorrise gentilmente. Sua madre tremò piano contro il divano su cui
era accasciata. Suo padre sorseggiò un bicchiere di Whiskey Incendiario – cosa che
non aveva mai fatto – gettato contro il caminetto del salotto, assolutamente
incurante della presenza del ragazzo.
Ginny riuscì solo a provare vergogna.
E Han disse: “Intendo sposare vostra figlia, signori Weasley. Lei ha
già dato il consenso, mi occorre solo il vostro permesso.”
I suoi magnetici occhi verdi brillarono di superiorità mentre sibilava
cordialmente quell’ordine.
Ginny chinò il capo: era finita.
Così come la guerra si era esaurita con la morte di Voldemort, così
era terminata la sua attesa di Harry.
Così come il dopoguerra non era altro che lo strascico del furore
della guerra, così il suo drastico rifiuto di aspettare Harry non era altro che
il culmine della sua attesa.
Era l’inizio di qualcosa di incerto. Ma soprattutto…
… Era la fine.
*=*=*=*=*=*=*=*
Eccoci che torniamo e non è passato neanche troppo tempo!!! Forse un
pochino, ma la proporzione tra la lunghezza del capitolo (più di 50 pagine!!!)
e la durata di realizzazione è perdonabile… Vero? -_^ Vi avvertiamo: questa
parte è a maggioranza romanticona (*_*) e c’è la possibilità che compaiano
delle fluff da diabete ma a noi piacciono così ^_^ Dopo gli orrori della guerra
finalmente i nostri tesori mettono su famiglia (dopo aver dimenticato i
fantasmi della guerra, del passato, le tresche, i tradimenti, le ingiurie, le
isterie, il parentado insopportabile ecc…).
Come vi sembra? Una degna continuazione di HP7? Meglio, peggio…
sbizzarritevi con ogni genere di commento, noi non ci offendiamo (Kaho no ma
Samy sì) ^_^
Grande Premeditazione: volete sapere quanti capitoli mancano
alla fine di questa fic? Ebbene sì, abbiamo già progettato tutto (Grande
Canovaccio! ndAutriciMode:Esaltate). Siamo
a 1/15 capitoli.
Appunti: forse il titolo ‘The End’ è un po’ tragico per il
capitolo d’inizio? Beh, volevamo trasmettere una certa inquietudine, dopotutto
è il Dopoguerra: quindi preparatevi all’ANGST! Siamo assai sadiche: Ginny non
si è ripigliata, è ancora tra i tentacoli di Han, Draco ha il panico notturno, Ron
ha un terribile blocco (povera Hermione ndAutriciMode:Sincere) e Harry ha
urgente bisogno di farmaci antidepressivi. Ma non temete perché ci sarà un
Happy Ending! L’avevamo promesso anche nella fic precedente ma alla fine tutto
si è esaurito con un Harry sconvolto e melanico (^_^); ma questa volta giuriamo
di adempiere al nostro dovere di fatine portatrici di gioia!!!
*Piccola nota da pignole ^_^: La Rosa Nera può
sembrare banale come fiore della morte (infatti a Samy fa ricordare i tempi
andati di Lady Oscar) ma era l’unica scelta possibile. Avevamo pensato di usare
il crisantemo che qui in Italia si porta tradizionalmente ai funerali, ma pare
che in Inghilterra i crisantemi si regalino per augurare un felice parto: questi
inglesi, così distanti da noi italiani. -_- Così perdonateci per la banalità
della Rosa Nera -_^, è stata un’esigenza di copione e di contesto britannico.
Next: “Need the Heroes or the Patriot?” (Dove
ci sarà un nuovo personaggio che è… ^__^ ndSamyKaho)
Dunque alla prossima. Non vi faremo attendere troppo, promesso!!!
^_- Seriamente: vi promettiamo un
capitolo lungo e relativamente
presto; con la seconda parte le parole si digitano che è un piacere ^_^
[P.S. = Kaho risponderà alle ultime recensioni via e-mail per motivi
che poi chiarirà (-_- ndSamy)]
Samy & Kaho