Nuova pagina 1
Disclaimer: I
personaggi della storia non mi appartengono e vengono da me utilizzati non a
scopo di lucro, ma semplicemente per divertimento.
Beta:
IoSonoSara
Attenzione:
Linguaggio e accenni ad una relazione tra fratelli (Nathan/Peter).
Note:
Ambientata nella storyline di Five Years Gone (puntata 1x20),
esattamente nel Febbraio 2009, la prima parte, e alla fine della medesima
puntata, l’ultima parte.
Il titolo
viene da Every You And Every Me dei Placebo (grazie a IoSonoSara,
oh mia lovvata *_*).
Se
qualcuno degli eventi accennati non vi torna, guardate questa
timeline, HeroesWiki è l’amore puro!
♥
Something borrowed, something
blue
Essere
perfettamente soddisfatto della propria situazione gli bastava. Non aveva
importanza guardarsi allo specchio e vedere il viso di un altro, essersi dovuto
adattare alla sua vita, ai suoi atteggiamenti. Riusciva persino ad ignorare il
fatto che nessuno considerasse speciale lui, Gabriel Gray, occupati com’erano a
srotolare la lingua per leccare il culo del Signor Presidente.
Doveva
trattenere le risate, ogni volta. Ogni singola volta. Si concentrava sul
piacere di vederli strisciare, crogiolandosi nel potere che possedeva, nella
possibilità di decidere delle loro vite quasi fosse stato uno di quegli
imperatori di Paesi inesistenti che si trovano nei libri per bambini.
Li
leggeva anche lui, una volta, quei libri. E, come tutti i bambini, ci aveva
creduto, con la speranza negli occhi, mentre sua madre gli diceva che un giorno
anche lui avrebbe potuto essere un re.
Sei
orgogliosa di me, ora, mamma? Sono il Presidente degli Stati Uniti, mamma.
A volte
desiderava che fosse ancora viva solo per dirle questo.
Nemmeno
vestire i panni di Nathan Petrelli fu troppo difficile. Lo aveva osservato a
lungo, prima di agire, era stato accurato nello studiare ogni sua mossa; questa
volta c’era troppo in ballo, non avrebbe potuto permettersi di mandare tutto
all’aria per scarsa attenzione. No, era stato preciso, come un vero assassino. E
poi si era insinuato nella sua vita come se gli fosse sempre appartenuta.
Principalmente, fu merito del potere: gli stava così bene, addosso.
Vivere in
famiglia – avere una moglie, dei figli – era qualcosa che poteva anche gestire.
Essere il Presidente degli Stati Uniti implica un sacco di doveri e
responsabilità; tutti ottimi motivi per passare del tempo extra in ufficio o
nelle sue stanze private quando non voleva moglie o bambini fra i piedi. Heidi,
inoltre, era una donna piacevole. Sapeva rimanere al suo posto, non era
necessariamente invadente; Sylar pensava che Nathan l’avesse istruita per bene.
L’unico
buco nero della vita di Petrelli era rimasto suo fratello Peter.
Sylar
sapeva com’erano andate le cose. Sapeva chi davvero esplose quella notte,
al Kirby Plaza, e sapeva come Nathan aveva coperto le tracce alla
perfezione, lasciando ricadere la colpa sul povero e innocente
Gabriel Gray. E sapeva, anche, dell’incrinatura che, dopo l’otto novembre
duemilasei, aveva intaccato definitivamente il rapporto dei due fratellini.
Certo,
dopo tutti quegli anni, non aver ancora capito come esattamente Peter
funzionasse lo irritava non poco. Aveva chiesto a Mohinder, si era fatto
spiegare, ma non riusciva ancora a digerire il pensiero che quel ragazzo fosse
in grado di fare esattamente tutto ciò che faceva lui. Tutto, senza
eccezioni e senza la minima fatica, il minimo impegno – dopo che lui, al
contrario, aveva dovuto macchiarsi le mani di sangue, uccidere persone su
persone, per arrivare a quel punto.
Era un
buco nero, Peter. Un buco nero che lo incuriosiva, lo stuzzicava; era un
giocattolo – il migliore, il più bello – che continuava a restare sullo scaffale
più alto e a sfuggirgli, senza nemmeno dargli la possibilità di esaminarlo.
Così,
quando gli capitò l’occasione di avvicinarsi a lui, semplicemente, la colse al
volo.
*
Parkman
entrò nel suo ufficio con la solita espressione preoccupata, quella che si
stampava sul suo viso ogni santissima volta che portava una brutta notizia.
“Che c’è
questa volta, Parkman?” chiese, sollevando lo sguardo da alcuni documenti da
firmare.
L’uomo
respirò a fondo, per poi guardarlo fisso. “Abbiamo ricevuto una segnalazione. Si
tratta di suo fratello, Presidente, è stato avvistato.”
Sylar
posò la penna e decise in fretta. Si alzò, appoggiando i palmi delle mani sulla
scrivania e sporgendosi verso il capo della Sicurezza Nazionale. “Dove si
trova?”
“Presidente, stiamo parlando di un terrorista. Peter è ancora ricercato per
l’assalto alla prigione…”
“Ti ho
chiesto dove si trova, Parkman.”
“Presidente, devo insistere…”
“Parkman,” lo interruppe ancora, alzando la voce. “Si tratta di mio fratello.
Voglio vederlo un’ultima volta prima che venga imprigionato a vita, o… peggio.
Se è qualcosa che non puoi capire, non farlo. Dimmi solo dove cazzo si trova,”
continuò, scandendo attentamente la richiesta con il suo miglior tono
autoritario.
Matt
deglutì. “Come vuole,” sussurrò e, dopo aver tirato fuori dal cappotto un foglio
di carta, lo posò sulla scrivania. “Qui c’è l’indirizzo,” spiegò. “Le faccio
preparare la scorta?”
“Credo di
potermela cavare da solo, grazie,” rispose Sylar, in un tono che non ammetteva
repliche.
L’altro
annuì e, dopo un rapido gesto di saluto, lasciò l’ufficio.
*
Il
quartiere era uno dei più malfamati di New York – non che fosse una cosa di cui
stupirsi, chiaramente.
Sylar
camminò con passo rapido, il viso affondato nella sciarpa di lana, pressoché
celato alla vista altrui, e le mani ben al caldo nelle tasche del cappotto –
dove, tra le altre cose, teneva una pistola –, e percorse in pochi attimi la
strada che, dall’auto, lo separava dall’abitazione che gli era stata segnalata.
Parkman
gli aveva imposto la scorta, alla fine, ma i suoi ordini, pochi attimi prima,
erano stati ben chiari. “Osate avvicinarvi alla casa prima che io dia un qualche
segnale e ve ne pentirete.”
Attese
tre minuti buoni, prima che un piccolo spiraglio della porta si aprisse e, con
tono rabbioso, una voce chiedesse: “Che vuoi?”.
Sylar
guardò fisso nello spiraglio, intercettando lo sguardo di Peter. “Parlare,”
disse solo.
L’altro
rise nervosamente. “Certo, e dopo arrestarmi, magari?”
“No,”
pausa. “Non oggi, almeno.”
Restarono
a guardarsi per ancora qualche attimo, prima che il ragazzo più giovane
diventasse invisibile e la porta si aprisse il necessario per farlo entrare.
Una volta
dentro, non riuscì nemmeno a sentirla chiudersi perché venne scaraventato con
forza contro una parete. Telecinesi, a volte la odiava davvero. Si
trattenne, respirando a fondo, per non rispondere all’attacco.
“Cosa sei
venuto a fare, Nathan?”
La voce
di Peter provenne da un punto imprecisato della stanza; non solo il ragazzo
continuava a tenersi invisibile, ma impediva all’altro uomo di voltare la testa,
lasciandogli guardare solo il muro scrostato davanti a sé.
“Te l’ho
detto, voglio parlarti,” ribatté, tentando di dominare l’irritazione e non
lasciarla trapelare nemmeno nell’intonazione della voce.
“E gli
altri? Ci sono delle guardie? Dubito che il Signor Presidente sia venuto
fin qui tutto solo.”
Dalle
variazioni che percepiva nella sua voce, poteva notare come l’altro si stesse
spostando, presumibilmente per spiare fuori dalle finestre.
Peter non
lo spaventava. Sapeva benissimo che, per nulla al mondo, avrebbe fatto del male
al fratello. Era certo di poter essere sincero. “C’è un’auto con le mie guardie
del corpo dietro il palazzo. Ho ordinato loro di non entrare, sta’ tranquillo. E
ho una pistola, nella tasca sinistra del cappotto.”
Peter
sbuffò, ricomparendo e avvicinandosi rapidamente. Con dei gesti bruschi, senza
la minima accuratezza, frugò nel suo cappotto e tirò fuori l’arma. La guardò,
quasi sorpreso, rigirandosela in una mano.
“Cristo,
Nathan, cosa cazzo credevi di fare con questa?!”
“Non era
per te,” sbuffò l’altro, in risposta. “I miei agenti non mi avrebbero mai
lasciato arrivare da solo fino qua senza portarmi almeno quella dietro. Dove
diamine vivi, Peter?!”
Lentamente, mentre il ragazzo indietreggiava, Sylar sentì allentarsi la
pressione che lo teneva incollato al muro. Si girò verso il proprio
interlocutore, rassettandosi il cappotto, e poi, come se fosse in quella casa
per la chiacchierata più normale del mondo, si sedette sul divano logoro
sistemato lì accanto.
Peter
appoggiò la pistola su un mobiletto vicino alla porta d’ingresso. La stanza in
cui si trovavano era piccola, davvero un buco, così che, anche stando a ridosso
di due pareti opposte, finivano col distare solo un paio di metri.
Sylar
restò ad osservare il ragazzo analizzando ogni suo movimento. Erano lenti e lui
appariva nel complesso sicuro di sé, non più il ragazzino spaventato senza la
pallida idea di cosa fare che aveva incontrato tre anni prima. Aveva davanti un
uomo, e la cicatrice che segnava il suo volto, i capelli corti e la barba
incolta di qualche giorno sembravano testimoniarlo.
Con un
gesto del capo, indicò il posto accanto a sé sul divano. Peter lo guardò negli
occhi ed ebbe un attimo di esitazione; Sylar poté sentire il suo cuore
accelerare il battito, prima che, senza che il suo sguardo si spostasse, il
ragazzo camminasse verso di lui e si lasciasse cadere al suo fianco.
“Te lo
chiederò un’altra volta. Cosa vuoi, Nathan?”
Ogni suo
senso era stato allertato, pronto ad avvertire il minimo pericolo e a sfoderare
uno di quei meravigliosi poteri per difendersi. Sylar si chiese quanto la
situazione si sarebbe risolta a proprio favore, se avesse avuto Peter accanto a
sé fin dall’inizio. Le loro capacità sarebbero stata ineguagliabili, nessuno
avrebbe potuto contrastarli, ma solo ammettere di avere di fronte le due
creature più speciali del pianeta.
Era
inevitabile che cominciasse a desiderarlo; pensò che, anche adesso, aveva
bisogno di forze, che Peter gli sarebbe stato comunque utile – perché non si
poteva mai sapere con certezza cosa gli riservasse il futuro – e poi,
distintamente, che lo voleva.
Peter
sollevò un sopracciglio, bagnandosi le labbra. Scivolò sul divano più vicino a
lui e, senza dire una parola, lo afferrò per la nuca e lo baciò con insistenza.
Forzò la sua bocca ad aprirsi e Sylar dovette dominare lo stupore e,
semplicemente, rispondere al bacio. Evidentemente, c’era ancora qualcosa sui due
fratelli che non conosceva.
Peter si
staccò poco dopo. “Mi vuoi, Nathan? L’hai appena pensato. Sei forse venuto fin
qui per scoparmi un’ultima volta?” sussurrò rabbiosamente sulle sue labbra,
prima di afferrarlo per la gola e spingerlo disteso sul divano, come se volesse
strozzarlo. “Che fratello amorevole…” continuò, aumentando la stretta.
Sylar
maledisse il potere di Parkman e, a fatica, tentò di parlare. “Non hai sentito
tutto,” riuscì a dire, respirando stentatamente. “Ti voglio accanto a me.”
Peter
aggrottò le sopracciglia, allontanandosi di scatto e rimettendosi in piedi,
lasciando finalmente l’altro libero di riprendere fiato.
“Cosa
significa questo? Vuoi propormi qualche incarico governativo per tenermi sotto
controllo?!”
Allentandosi il colletto della camicia, Sylar si rimise a sedere sul divano.
“Voglio che mio fratello ne esca vivo, ti sto solo offrendo una possibilità di
farlo. Alleati con me, Peter, è l’unico modo.”
“Cristo,
ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo? Allearmi con chi ha approvato la
cazzo di Legge Linderman?! Con chi ci sta rendendo la vita un inferno?!”
“Avresti
salva la vita. E la tua meravigliosa abilità non andrebbe sprecata.”
Peter
strinse i pugni, il tono di voce distorto dalla collera. “La mia?! E quella di
tutti gli altri, Nathan? E il resto della gente come noi? Loro possono
morire e tanti saluti?!” urlò. Poi, con voce più calma, strozzata quasi,
aggiunse: “Io non posso essere così egoista. Non posso essere come te.”
Sylar si
alzò in piedi e gli andò incontro. Gli girò intorno, posizionandosi dietro di
lui e appoggiando le mani sulle sue spalle. “Peter, sei ancora così ingenuo,
nonostante tutto,” sussurrò, vicino al suo orecchio. “Tu sei già come me. Te ne
vai in giro a fare attentati insieme a Nakamura per mostrare a tutti quanto sei
buono e bravo e che le tue abilità sono positive, uccidendo
la gente per farlo. Hai le mani macchiate di sangue esattamente come me, e per
il mio medesimo motivo: far vedere a tutti quanto sei speciale.”
Si
interruppe per accarezzargli una guancia con il dorso della mano, mentre il
ragazzo sembrava irrigidirsi ogni secondo di più.
“È per
questo che insieme saremmo perfetti,” continuò. “Ma se non vuoi, allora
non mi resta che dirti addio, Peter,” si sporse verso di lui e gli appoggiò,
lentamente, le labbra sulla guancia. “Perché la prossima volta che ci
incontreremo, probabilmente, dovrò ucciderti.”
E sarò
io a farlo, perché sono l’unico
a poterlo fare, pensò distintamente, sperando che il ragazzo gli leggesse la
mente, mentre si allontanava di qualche passo.
Si voltò,
raccolse la pistola dal mobiletto e la sistemò di nuovo nella tasca del
cappotto, preparandosi ad uscire da quella casa, sotto lo sguardo stranito di
Peter, che, ancora, non era riuscito a dire nulla.
“Addio,”
fu l’ultima parola che sussurrò, prima di aprire la porta e uscire di nuovo in
strada, nel freddo di febbraio.
***
Quando,
due anni dopo, si incontrarono nuovamente, Sylar non aveva dubbi su quello che
c’era da fare. Mostrargli chi era davvero, rivelargli di aver ucciso Nathan
molto tempo prima, ricordargli che non l’aveva nemmeno salutato, che lo aveva
odiato per tutto quel tempo, avevano indebolito Peter molto più di quanto
avessero fatto i propri poteri. Lo vide piegarsi sempre di più ad ogni parola,
mentre la furia montava e gli annebbiava la mente, lasciando che sbagliasse uno,
due, tre colpi.
Il
ragazzo diventò invisibile – segno che, davvero, era disperato –, ma fu una
mossa inutile, perché Sylar poteva sentire il battito del suo cuore aumentare,
individuandolo ovunque tentasse di nascondersi.
“Te
l’avevo detto, saremmo stati perfetti se ti fossi unito a me. Ma adesso…”
ghignò. “Adesso è troppo tardi e non puoi più essere il mio giocattolo. Adesso
morirai.”
Peter
riapparve e, affannato, lo fissò; di nuovo, lesse quel pensiero nella sua mente:
E io sono l’unico a poterti uccidere.
Chiuse
gli occhi, respirò a fondo e riconobbe che aveva ragione, che era proprio così.
Dall’altra parte della stanza, Sylar pensò che era vero anche il contrario, che
Peter, allo stesso modo, era l’unico a poterlo uccidere, ma, per quella volta,
non gliel’avrebbe lasciato scoprire. Affilò una lama di ghiaccio e avanzò verso
di lui – sapeva esattamente dove colpire.
|