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ATTENZIONE, SPOILER DEL SETTIMO LIBRO.
Disclaimer: I
personaggi della storia non mi appartengono. Sono di proprietà di J.K.Rowling, per
tanto completamente frutto di fantasia, e vengono da me utilizzati non a scopo
di lucro, ma semplicemente per divertimento.
Beta:
IoSonoSara (grazie,
mia cara *_*)
Personaggi: Albus
Dumbledore, Aberforth Dumbledore, Ariana Dumbledore, Gellert Grindelwald
Pairing:
Gellert/Albus
Avvertimenti: Opinioni offensive sull’omosessualità (ma siamo nel 1900
gente, non potevo fare altrimenti), Spoiler del settimo libro e
CANON SLASH, SI’, CANON SLASH.
Note:
Oh, la-là, finalmente questa fic è arrivata. Ci ha messo secoli, ma eccola qui.
Prima
cosa: è tutta per
Fireflie e per il
suo compleanno (che era ieri, yeah, sono puntualissima ç_ç). Lei l’ha richiesta
per il nostro FE (Thank
you for being my friend) e a lei è dedicata, con tutto il mio affetto. Spero
ti piaccia, cara. ♥
Seconda cosa: il titolo viene dall’omonima canzone dei Garbage, che è
loro. È loro, punto.
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The World Is
Not Enough
La notte
è buia e, benché sia estate, fresca. Aberforth cammina senza vedere a un palmo
dal proprio naso, ma, fortunatamente, conosce tanto bene i boschi intorno a
Godric’s Hollow da non averne bisogno.
Tenta di
non sentire l’insicurezza farsi strada dentro di lui. Ha lasciato sola Ariana e
sta seguendo suo fratello: nessuno dovrebbe arrivare a tanto, a fidarsi così
poco del suo stesso sangue. Il nodo alla gola si stringe, i suoi pugni anche, ma
gli basta sentire le loro voci in quell’esatto momento per dimenticare
tutto e procedere.
Ariana
sta dormendo, si
dice. E Albus, ultimamente, non ha fatto proprio nulla per meritarsi quella
fiducia.
Così si
avvicina ancora alla radura, si accuccia dietro alcuni cespugli e osserva suo
fratello parlare vivacemente con quel Gellert Grindelwald. Si sono visti a
lungo, nel pomeriggio, ma eccoli di nuovo lì, a discutere delle loro… stupide
ambizioni. Aberforth tenta farsi più vicino per ascoltare meglio, ma la
notte è troppo silenziosa e non gli conviene rischiare di essere scoperto.
Li
guarda, due figure scure che si muovono nel buio. Grindelwald gesticola
animatamente, come se non riuscisse a contenersi; Aberforth l’ha visto altre
volte comportarsi così e non è difficile immaginare che qualche grande idea lo
sconvolga. Probabilmente si tratta di una nuova scoperta riguardante i loro
progetti di conquistare il mondo. Folli che non sono altro.
L’atteggiamento di suo fratello, però, lo stupisce.
Albus è
fermo, sembra comunque in ascolto, ma non ha reazioni. Normalmente, al solo
sentire parlare di quei progetti, il ragazzo si anima, si entusiasma come
raramente Aberforth l’ha visto fare prima dell’arrivo dell’altro ragazzo.
Eppure, adesso, le spalle di Albus sono rigide, le braccia tese lungo i fianchi,
quasi non avesse l’energia di replicare, e tutto ciò lo confonde e incuriosisce.
Che sia così terribile, quello che Grindelwald gli sta dicendo, da lasciarlo
interdetto? Che suo fratello sia finalmente rinsavito e abbia compreso i suoi
sbagli?
Ma poi
ogni dubbio nella testa di Aberforth viene cancellato, lasciando il posto al
vuoto, all’impossibilità di articolare un pensiero coerente. Perché Gellert ha
fatto qualche passo avanti, ha afferrato Albus per le spalle e l’ha baciato. E
ora Aberforth sta guardando il proprio fratello baciare un altro ragazzo e non
sa che fare, mentre l’ira e il disgusto si mescolano rischiando di farlo
esplodere. Stringe i pugni, forzandosi a non fare rumore, a non rivelare la
propria presenza, e continua ad osservare la scena.
Albus,
dopo qualche attimo in cui è rimasto immobile, solleva le mani e le appoggia sul
torace di Gellert, staccandosi da lui bruscamente. Scuote la testa e
indietreggia, dicendo qualcosa che Aberforth non riesce di nuovo a sentire; poi,
si allontana rapidamente nella direzione che porta alla loro casa.
L’altro
ragazzo resta a fissare la radura ormai vuota intorno a sé per qualche minuto.
Aberforth lo osserva, mentre un miscuglio di sensazioni contrastanti si agita
dentro di lui. Dovrebbe sentirsi tradito o rincuorato dal rifiuto di suo
fratello? Dovrebbe apprezzare il suo tirarsi indietro o incolparlo di quello che
è accaduto?
Attende
che Grindelwald se ne vada e poi, finalmente, si rimette in piedi e si allontana
anche lui, immergendosi nel buio della foresta. Non vuole tornare a casa,
perché, anche se non è sicuro di cosa dovrebbe provare, sa che, al
momento, odia Albus come non ha mai fatto.
~
“Dov’è
Aberforth?” chiede Ariana per la terza volta di fila nel giro di pochi minuti.
Albus
respira profondamente prima di rispondere, ancora una volta, “Non lo so, ma
tornerà presto, non preoccuparti.”
La
ragazzina annuisce con sguardo triste e riprende a giocare con la sua bambola,
mentre il fratello lancia un’occhiata fuori dalla finestra, sperando di veder
arrivare il membro mancante della famiglia.
È stanco
e la preoccupazione sicuramente non gli rende le cose più facili; una notte
completamente insonne, tutti quei pensieri, Aberforth che passa la notte fuori e
poi Gellert… già, soprattutto lui. È così stanco che vorrebbe lasciar perdere
tutto e andare a letto, ma poi il suo sguardo scivola sulla sorella, sulla
cucina in disordine, che nessuno ha ancora ripulito dalla cena della sera
precedente, e lascia perdere il proposito. Il senso di costrizione che quella
casa esercita su di lui preme sulle sue ossa e sembra quasi sempre sul punto di
sgretolarle.
Chiude
gli occhi e sospira, cullato dalla filastrocca infantile che sua sorella sta
cantando alla bambola. I pensieri scivolano da soli fino ai ricordi della notte
precedente. Ripercorre le parole di Gellert, la sensazione delle sue labbra
premute contro le proprie, e lo stomaco gli si contrae, mentre il sangue
affluisce sulle sue guance, rendendogli la testa pesante.
Lo ha
allontanato senza rifletterci troppo e, al momento, è sicuro di aver fatto la
cosa giusta, di dover necessariamente riflettere sulla questione, mettere in
ordine i pensieri e lasciar domare i desideri dalla ragione.
Ci è
sempre riuscito; eppure, l’ultimo mese sembra aver sancito la sua sconfitta,
perché mai si è lasciato andare così tanto come sta facendo con Gellert.
L’altro ragazzo rappresenta tutto ciò che lui può volere, tutto ciò che gli
mancava prima di conoscerlo, e, ad un tratto, il pensiero di allontanarsi da
lui, di privarsi della sua compagnia, della sua presenza al proprio fianco, gli
toglie il fiato.
È in quel
momento che la porta d’ingresso si apre e i passi di Aberforth risuonano nel
corridoio, prima che lui compaia in cucina, lo sguardo stanco – specchio esatto
di quello di Albus – e le sopracciglia aggrottate, le labbra contratte, quasi
contenessero qualcosa di amaro e velenoso e dovessero trattenersi dallo sputare
tutto fuori.
Ariana
corre da lui, appena lo vede, lanciandogli le braccia al collo e gridando: “Sei
tornato!”
Aberforth
ricambia l’abbraccio, evitando accuratamente di guardare suo fratello.
“Ariana,
va’ a giocare fuori per un po’, d’accordo? Io e Albus dobbiamo parlare,” le
dice, con un tono basso e calmo.
La
bambina lo guarda per un attimo indecisa, probabilmente alla ricerca di un
indizio su ciò che sta per accadere, ma lo sguardo di Aberforth, ora che è su di
lei, è affabile e dolce come tutte le volte che le parla; così Ariana si
convince e annuisce, saltellando fuori di casa con la bambola stretta al petto.
Ora che
sono soli, Aberforth assume nuovamente quel contegno rabbioso e velenoso che
aveva poco prima. Albus può sentire la tempesta arrivare, pronta ad abbattersi
su di lui – e su lui solo, perché ha sempre la sensazione che nient’altro, in
quella casa, potrà mai essere scalfito.
Stanco di
attendere, gli pare che affrontare il fratello sia la cosa migliore da fare.
“Dove sei
stato?” gli chiede, il tono piatto in modo da non dargli appigli per la lite che
sta cercando di provocare.
“Non sono
affari tuoi,” risponder l’altro, astioso, facendo grattare una sedia sul
pavimento nell’atto di spostarla per sedersi di fronte al fratello.
“Come
vuoi,” Albus espira, già stanco di quel breve scambio di battute.
Cala il
silenzio, su di loro e sull’intera stanza; è un silenzio pressante, che tante
volte ha avvolto le loro vite dalla morte della madre. Albus ricorda un tempo in
cui non era così, in cui lui e Aberforth erano davvero due fratelli e non due
estranei costretti a vivere nella stessa casa e ad occuparsi di Ariana. Quando
gli accade di ripensare a quei momenti, vorrebbe sorridere, voltarsi verso
l’altro e dire Ti ricordi…?, ma quando alza lo sguardo, tutto gli appare
più che mai fuori luogo, così desiste dal proposito e tace ancora.
“Vi ho
visti, ‘stanotte,” dice finalmente Aberforth, guardando dritto davanti a sé.
Albus
sente lo stomaco sprofondare e contrarsi, la bocca diventa secca e la gola
gratta quando chiede: “Visto cosa?”
Aberforth
gli rivolge per la prima volta lo sguardo, anche se il gelo e il disappunto
annidati nei suoi non lo rendono affatto piacevole.
“Sai di
cosa sto parlando,” scandisce.
Albus si
fissa le mani, incapace di sostenere l’occhiata del fratello per la vergogna.
C’è ancora un attimo di silenzio, poi si fa coraggio e tenta di parlare.
“Senti…”
comincia, non sapendo nemmeno come continuare la frase.
Aberforth
solleva una mano e lo interrompe. “No, non riempirmi di chiacchiere, non mi
interessano,” dice. “Voglio solo che tu smetta di vederlo. Subito.”
La
richiesta appare ad Albus immediatamente crudele, non ha nemmeno bisogno di
rifletterci troppo. Sa già che non potrà mai eseguire qualcosa del genere, ci ha
pensato tutta la notte e altre notti prima di questa, esattamente tutte le volte
che ha avuto paura di essersi lasciato coinvolgere troppo da Gellert, fin dalla
prima volta che ha avvertito il suo sguardo come fuoco sulla pelle.
E la
risposta è sempre stata la stessa; ed è la stessa che dà a suo fratello, adesso.
“Non
posso, Aberforth.”
“Non
puoi? Non puoi?!” l’altro ormai urla, senza più controllarsi. Chiude gli occhi,
tentando di non lasciarsi scalfire. “Certo, puoi mandare all’aria la tua
famiglia, ma non puoi non lasciarti trascinare in questo… schifo!”
Aberforth
si alza e comincia a camminare in preda all’ira. “Dovresti essere grato che ti
abbia visto io, Albus. Cosa avremmo fatto se si fosse trattato di Ariana? O,
peggio, qualcuno del villaggio?!” si preme una mano sugli occhi ed espira a
fondo. “Merlino, non puoi trascinarci anche in questo!”
Il tono è
disperato, adesso, e Albus non può evitare un destabilizzante senso di colpa,
che gli causa una fitta di dolore al cuore.
“Voi non
siete coinvolti, non c’entrate nulla. È una cosa mia, solo mia…” tenta di dire.
“La gente
parla, Albus!” urla ancora il fratello. “Non posso credere che non ti
renda conto di quanto certi tuoi impulsi possano mandarci in rovina per
sempre. Abbiamo già abbastanza problemi, d’accordo? Potevo chiudere un occhio
sulle tue-- le vostre manie di grandezza, ma non di fronte a questo… questa cosa
disgustosa. Gellert Grindelwald deve sparire dalle nostre vite, prima che
ce le rovini per sempre,” conclude, puntando un dito contro di lui.
Albus si
alza in piedi, fa il giro del tavolo e si posiziona di fronte ad Aberforth.
“Ascolta,” comincia, appoggiando le mani sulle sue spalle. “Io non sono come te,
a me non basta… questo,” e, con un gesto della mano indica ciò che hanno
intorno. “Non posso accontentarmi come fai tu. Gellert può… noi, insieme,
possiamo raggiungere i nostri scopi, diventare qualcuno. Possiamo creare
un mondo migliore, in cui nessuno di noi maghi dovrà più nascondersi, nemmeno
Ariana!” il suo sguardo si fa speranzoso, sognante quasi, e poi il suo tono
diventa calmo e fermo, quando pronuncia l’ultima frase. “Lui non uscirà dalla
mia vita, non mi importa quante volte me lo chiederai.”
Guarda
suo fratello negli occhi, mostrandogli tutta la sua determinazione.
Aberforth, al contrario, arriccia le labbra e lascia che traspaia il disgusto
dal suo atteggiamento; poi, si scosta bruscamente dal Albus, indietreggiando di
qualche passo.
“Come ti
pare,” commenta, gelido. “Come ti pare, Albus. Ma ti avverto, lascia me e
Ariana fuori da tutto questo. Non voglio saperne più nulla di te… di voi!” fa
per uscire dalla cucina, scuotendo la testa, ma si ferma poco prima di aver
varcato la soglia, voltandosi a guardare il fratello da sopra una spalla. “Non
darmi un motivo per sbattere fuori di casa te e le tue putride abitudini,”
minaccia, per poi girarsi e uscire definitivamente dalla stanza.
“Non puoi
sbattermi fuori di casa, sono sempre io il maggiore!” gli grida in risposta
Albus, decisamente rabbioso, anche se sa che è perfettamente inutile.
Aberforth
non lo ascolterà, come sempre.
Si lascia
cadere su una sedia e si prende la testa fra le mani, per un attimo sconfitto da
tutti quei pensieri che sembrano avergli succhiato via ogni energia vitale.
Dapprima,
pensa sia giunto finalmente il momento di riposare e dimenticare tutto, ma poi
si rende conto che ha un desiderio più forte che preme per essere soddisfatto:
vuole vedere Gellert. E, visto come si sono messe le cose, non ha più nessuna
intenzione di impedirselo.
~
Considerando il modo in cui Albus è andato via la notte precedente, Gellert
suppone che non lo rivedrà molto presto, a meno che non lo cerchi personalmente.
E non vuole farlo, non questa volta, perché si è già esposto troppo, ha già
fatto il suo primo passo e, ora, decisamente tocca all’altro.
Eppure,
la sua assenza pesa; la stanza – quella che occupa a casa di zia Bathilda e dove
di solito si riuniscono – sembra vuota e Gellert non è riuscito a chiudere
occhio per tutta la notte – o quanto ne restava –, continuando a fissare tutto
il tempo il soffitto bianco.
“Beh, non
ha importanza. Se fugge come un vigliacco è lui a perderci,” ha pensato ad un
tratto, aggiungendo di poter benissimo raggiungere i propri obiettivi da solo,
avendone certamente le capacità.
Solo che
con Albus accanto sarebbe tutto diverso; il ragazzo rappresenta esattamente ciò
che gli manca, ciò di cui ha bisogno. È, in un certo senso, il suo complementare
– e Gellert lo vuole così tanto.
Ha appena
smesso di rigirarsi tra le lenzuola pregiate del proprio letto sfatto, che un
leggero ticchettio alla finestra attira la sua attenzione. Salta in piedi, con
il cuore in gola, e corre ad aprire al gufo che conosce fin troppo bene.
Quando
legge il messaggio di Albus – che lo invita ad incontrarsi al solito posto
–, un ghigno gli increspa le labbra. Sapeva che non avrebbe resistito a lungo.
~
“Non mi
importa di loro,” sussurra Albus, sulle sue labbra, prima di baciarlo ancora.
“Li terremo fuori, perché non hanno importanza, vero? Nulla ha importanza per
noi,” continua.
Gellert
gli appoggia una mano sulla schiena, attirandolo più vicino. “Nulla,” concorda,
e lo bacia ancora.
Adesso,
sotto le sue mani, sotto i suoi tocchi, sente che finalmente Albus gli
appartiene. Lui lascia che le mani di Gellert vaghino sul proprio corpo, senza
più fermarlo, semplicemente rilassandosi tra le sue braccia a mormorando il suo
nome come una litania.
Ad un
tratto si ferma, staccandosi dall’altro quando basta per guardarlo negli occhi e
parlare.
“Grindelwald e Dumbledore, gli invincibili signori della morte!” esclama con
tono solenne. “Conquisteremo il mondo!” aggiunge poi, scoppiando a ridere subito
dopo e nascondendo il viso nell’incavo tra il collo e la spalla dell’altro.
Gellert
chiude un attimo gli occhi, ascoltando il suono di quella risata, avvertendo il
fiato dell’altro ragazzo solleticargli il collo e il calore del suo corpo
premuto contro il proprio, e si sente potente, la persona più potente del
pianeta.
Riapre
gli occhi e sorride. “Il mondo? Il mondo non è abbastanza per noi, insieme
avremo molto di più,” sussurra al suo orecchio, per poi baciarlo di nuovo.
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