Far
Away.
Letteralmente, tutto è iniziato da Louis. E da Niall che ha proposto
agli altri di copiare il suo stile, perché gli piacevano le sue scarpe. Nessuno
di loro però si è mai consapevolmente fermato a pensare quanto abbiano tutti
preso da Louis senza accorgersene, e non solo per quanto riguarda il modo di
vestire.
È Louis che ha contagiato tutti con i suoi modi di fare calorosi,
il suo bisogno continuo di mettere le mani addosso agli altri e di far sentire
la sua presenza, i suoi darling e love, i suoi
sguardi affettuosi sfrontati, la sua timidezza inesistente nel dimostrare
davanti a chiunque i sentimenti che prova per qualcuno.
È successo prima con Harry, che era il più plasmabile, forse perché
è il più giovane o forse perché tutti quei comportamenti erano già nelle sue
corde, solo nascosti sotto una facciata da ragazzo troppo educato da risultare
quasi perfetto. Poi è venuto Niall, che è sempre un po' il jolly del gruppo e
scivola facilmente e agilmente nelle tendenze degli altri, se gli va. Con Zayn
è stato più difficile, perché scalfire la maschera da bad boy dietro la quale
si protegge è una cosa che pochi riescono a fare. Quando prende anche lui l’abitudine
di accarezzare i compagni nei momenti più inopportuni e a fissarli mentre
parlano come se non ci fosse niente di più bello al mondo, in quei brevi
momenti appare come per incanto il vero Zayn, quello con il sorriso
stupidamente felice e la faccia da schiaffi, quello che darebbe tutto per i
suoi amici. E, in quei casi, davvero non c'è niente di più bello al mondo.
Corrompere Liam, il serio e pacato e ambizioso Liam, è stato più
difficile. Liam è forte, determinato, vuole arrivare in alto sempre, vuole
essere il migliore. Ma soprattutto, Liam ha paura. Paura che se si lascerà
andare, anche solo un pochino, perderà tutto quello per cui ha lavorato così
duramente. Che se non terrà lui le redini di tutto, i suoi sogni crolleranno ai
suoi piedi, franando sul suo orgoglio. Liam da sempre vuole essere il migliore,
ma quando lo mettono in una band con quattro sconosciuti, la sua prospettiva è
costretta a cambiare. Non deve più reggere da solo sulle spalle il peso del
mondo, può condividerlo con altre quattro persone. Non deve più essere il
migliore, ma assicurarsi che tutti loro siano i migliori. Per questo è così
orgoglioso quando Niall suona la chitarra sul palco, o quando Zayn e Harry
azzeccano quella nota particolarmente difficile, o quando Louis ottiene il suo
primo assolo in una canzone. Per questo spreca parole di incoraggiamento e lodi
sperticate ma sincere: perché è genuinamente orgoglioso di loro, e di dove sono
riusciti ad arrivare, insieme.
Il suo cambiamento è graduale, perché all'inizio gli fa persino strano
il comportamento di quel ragazzo dagli occhi blu che lo chiama love
anche se non lo conosce e che non rispetta gli spazi vitali di nessuno e che non
riesce a parlargli senza mettergli una mano sulla spalla, o sul ginocchio, o
senza direttamente appoggiarglisi addosso con tutto il corpo. Alla fine però
non solo ci si abitua, ma inizia anche lui a sciogliersi di più, a esprimere di
più i suoi sentimenti e, sì, alla fine, anche a lasciarsi andare e a smettere
un po’ di avere paura.
Vengono chiamati Codependent Direction da qualcuno, ora, perché
sembra davvero che non riescano a stare più di cinque minuti senza toccarsi o
senza farsi gli occhi dolci a vicenda o senza prendersi in giro con quella luce
calorosa negli occhi.
È per questo che, quando succede che Louis ha uno dei suoi crolli,
quando inizia a sentire il respiro farsi pesante e la gabbia toracica restringersi,
si allontana da tutto e da tutti. Perché sa che se gli altri lo vedessero così
rimarrebbero straniti, persi, sentirebbero forse di aver perso il loro punto di
riferimento, Louis che è sempre vivace, scherzoso, chiassoso al punto di
diventare qualche volta fastidioso. Louis che è un po’ la colla che li tiene
insieme, che non permette loro di farsi sopraffare da nulla, che li tiene con i
piedi ben saldi per terra qualunque cosa succeda, nonostante sia Liam quello
che ha la fama di “daddy Direction”.
Perciò anche questa volta, quando succede, Louis si allontana
dagli altri: da Liam e Niall che giocano con uno stupido videogioco sul divano nel
salotto del suo appartamento facendo un baccano impensabile che tuttavia non
disturba Zayn, che sonnecchia su una poltrona poco più in là. Si allontana da
loro e anche da Harry che è in piedi, appoggiato con noncuranza al muro e sta giocherellando
con aria annoiata con un tablet.
Louis si rifugia nella sua camera da letto, l’unico posto dove
potrà avere un po’ di privacy, maledicendo se stesso per aver invitato i
ragazzi nel suo appartamento qualche ora prima e il tempismo di quell’sms che
gli è arrivato pochi minuti prima. L’sms che lo avvisava dell’articolo su suo
padre sul Sunday Mirror.
Louis trema per lo sforzo di non esplodere, non prima di aver
trovato un posto dove poterlo fare liberamente, senza che nessuno dei suoi
compagni senta, senza spaventarli. Perché l’ultima cosa che vorrebbe, oltre a
non essere più “Louis, quello che ha sempre la battuta pronta”, è che loro non
capiscano, che dopo non lo guardino più nello stesso modo.
Nella sua stanza, Louis chiude la porta e cerca con lo sguardo
una soluzione, con la mente e la vista già annebbiate, ma sa già che qualunque
posto che troverà non gli impedirà comunque di stare male.
***
Harry incrocia le gambe e alza un attimo gli occhi dal tablet
sbuffando, giusto in tempo per vedere Louis improvvisamente fare silenzio,
quando fino a due minuti prima stava incoraggiando Niall a distruggere Liam con
estrema foga, cambiare espressione mentre legge qualcosa sul suo cellulare, andare
con passo incerto verso la sua camera da letto e chiudersi la porta alle spalle.
Soprattutto, vede lo sguardo vuoto nei suoi occhi. Gli altri non si sono
accorti di niente, ovviamente, ma Harry sente che stavolta c’è davvero qualcosa
che non va. Aspetta qualche secondo, pregando che Louis esca dalla stanza con
il solito sorriso e una battuta sui capelli di Liam o sulle scarpe di Zayn.
Invece non succede. Quindi, prende una decisione: si stacca dal muro, appoggia il
tablet su Zayn che mormora qualche insulto nel sonno e con cautela va verso la
porta della camera di Louis, avvicinando poi l’orecchio al legno scuro. Dentro,
sente solo dei suoni smorzati e non riesce a capire cosa siano. Bussa, perché in
nessuna situazione si sentirebbe a suo agio a entrare in una stanza chiusa senza
farlo, neanche in quella di Louis. Quindi bussa, abbastanza piano da non farsi
sentire dagli altri, ma abbastanza forte per farsi sentire da Louis. Che però
non risponde.
Allora, e solo allora, fa un respiro profondo, abbassa la
maniglia e apre lentamente la porta, sbirciando dentro alla stanza.
E trovandola vuota. Completamente e incomprensibilmente vuota.
Inarca un sopracciglio stranito.
Eppure, tendendo l’orecchio, sente ancora quei rumori soffocati,
che, anzi, ora si sono fatti leggermente più distinti. Si guarda intorno: come
già sapeva, la stanza non ha altre porte, solo una finestra sulla parete sinistra
e il grande letto matrimoniale sul lato destro. Dopo aver dato una rapida
occhiata a tutto il resto del mobilio e al pavimento pieno di vestiti, fumetti
e avanzi di cibo, lo sguardo di Harry si ferma di colpo sull’armadio scuro che
gli sta di fronte, addossato alla parete opposta alla porta. Quello è l’armadio
dove Louis ammucchia i pochi vestiti a cui tiene di più, mentre tutti gli altri
– oltre a quelli sul pavimento - sono nel grande guardaroba in comune al piano
di sotto, che condivide con gli altri membri della band.
Harry spalanca di più gli occhi, poi si fa coraggio e si dirige
con passo incerto in quella direzione. Quando è abbastanza vicino, tende le
mani tremanti verso le maniglie e con uno scatto, prima di ripensarci, apre le
due ante.
E lì, in mezzo a un mare di bretelle, pantaloni di colori
sgargianti e un mare di fantasie a righe, seduto appoggiato al fondo con le
ginocchia strette al petto e la testa china, c’è Louis.
Louis, che quando sente l’armadio aprirsi alza gli occhi e
incontra i suoi.
Ed è Louis ma non è Louis, perché Louis di solito è spensierato e
chiassoso e allegro come un folletto e, sì, Harry l’ha anche visto arrabbiato, spaventato,
triste, addolorato, ma mai, mai così. Mai disperato.
Sembra coperto da un velo di sudore che gli fa appiccicare la
camicia azzurra al corpo, ha gli occhi pieni di puro terrore quando li alza su
di lui, la bocca contratta in una smorfia e il respiro corto. Stringe le
ginocchia al petto con tanta forza che le nocche delle mani sono bianche, come
se avesse paura di occupare troppo spazio, e dei singhiozzi senza lacrime gli
scuotono tutto il corpo a intervalli irregolari.
Harry non l’ha mai visto così, e il suo primo istinto, quello
che gli fa fare un passo indietro appena realizza la situazione, è quello di
scappare. Di allontanarsi da quella persona che lui non conosce, che non può
essere Louis, quello che fa battute per far ridere gli altri nei loro
momenti più bui. Non importa quanto tu possa amare una persona: ti tirerai
indietro quando il suo sangue ti scorre troppo vicino.*
Il suo primo istinto è quello di andarsene, ma si costringe a
restare. Perché Louis per lui c’è sempre stato e perché quello che c’è tra loro
è troppo profondo per darla vinta alla paura. Tremando, si inginocchia di
fronte a lui, entrando per metà nell’armadio e d’istinto allunga una mano per
toccargli un braccio. Come Louis gli ha insegnato inconsapevolmente a fare,
cercando il contatto fisico per trasmettere la propria vicinanza non solo
fisica.
«No» gli dice improvvisamente Louis, prima che possa toccarlo,
con voce ferma anche se è scosso dai tremiti «Vattene… Harry».
Harry spalanca gli occhi a quelle parole e rimane con la mano
ferma nel vuoto. Per un attimo è sconcertato e non sa cosa dire, né cosa fare,
ma poi, mentre Louis nasconde ancora il viso tra le ginocchia gli risponde
secco: «No».
«Ti prego» riesce a dire Louis tra i singhiozzi he lo scuotono «Ti
p-prego, vattene».
Per tutta risposta, Harry si sposta all’interno dell’armadio e
gli si siede vicino, incrociando le lunghe gambe nello spazio angusto, senza
però sfiorarlo. Per qualche minuto rimane in silenzio mentre Louis continua a
singhiozzare e a cercare di calmarsi, senza però riuscirci. Poi, tutt’a un
tratto, dal nulla, questo inizia a parlare, quasi sputando fuori le parole con
rabbia e disgusto.
«D-ice che è orgoglioso di me, Harry. Lui… capisci?» si ferma
per prendere fiato, non ci riesce ma è come se ormai non potesse più fermare le
parole «Lui ora dice che è orgoglioso di me… ORA!» urla alla fine e Harry
capisce immediatamente di chi sta parlando. Conosce la storia del divorzio dei
genitori di Louis quando lui aveva solo due anni e anche se non sa nel
dettaglio cosa abbia fatto scattare questa crisi in particolare, sa che Louis
sta parlando di suo padre. Sa che, per quanto finga che non gli importi, per
quanto consideri Mark il suo vero padre, il fatto di non avere rapporti con il
suo genitore biologico gli pesa. E sa anche quanto profondamente non sopporti le
persone che lo cercano solo per interesse, o perché adesso è famoso.
«Non c’è mai stato!» continua Louis, sbottando frasi quasi
incomprensibili a causa del suo respiro pesante «Adesso vuole avere un
rapporto! Vorrei dirglielo dove può ficcarselo il suo fottuto rapporto con me!»
Harry non sa cosa rispondere, non sa cosa dire per farlo stare
meglio: un po’ perché non conosce bene tutta la storia e un po’ perché non c’è
niente da dire, in realtà. Potrebbe dirgli che lo sa che è dura, che è stata
dura quando suo padre se n’è andato e lui ha dovuto diventare l’uomo di casa
troppo in fretta e troppo presto; di quanto adori sua madre e si senta in colpa
per averla abbandonata; di quanto abbia sofferto anche per la separazione da
Mark… ma capisce che le parole non servono, che non migliorerebbero il suo
stato d’animo.
E allora lo guarda in silenzio, preoccupato e impotente, mentre
Louis non smette un attimo di tremare e di singhiozzare. Poi, all’improvviso,
Louis ha un sussulto più forte degli altri e appoggia una mano sul braccio di
Harry. Lo guarda con gli occhi spiritati e lo implora: «D-devo andare via
di qui… devo a-andare… lontano» prende fiato per quanto riesca a farlo e
ricomincia «P-parlami di un posto l-lontano… e f-felice».
Harry pensa immediatamente al tatuaggio sul braccio di Louis, quello che
dice semplicemente “Far Away.” e gli si stringe il cuore, tanto che sente il
bisogno di tormentare con le mani la stoffa della maglietta all’altezza del
petto, quasi come se si volesse strappare fuori il cuore. Si maledice per non averci mai pensato, per non aver mai capito. Per non aver mai realizzato quanto siano profonde e strazianti per Louis quelle due semplici parole. Far
Away.
«Lou… Guardami, Lou» dice allora prendendogli il viso tra le
mani con decisione ma anche con delicatezza e obbligandolo a guardarlo. La
visione di quell’azzurro disperato e del suo respiro spezzato gli fanno male al
cuore, ma sa che deve essere forte: «Voglio che tu chiuda gli occhi…» gli
sussurra sempre guardandolo e Louis dopo qualche secondo capisce ed esegue, anche
se respira ancora a fatica, anche se il petto gli fa ancora male.
Louis stringe i denti nel tentativo di calmarsi, ma non apre gli
occhi e Harry comincia con voce tranquilla e profonda: «Sei sul palco. C’è
buio, ma ci sono anche tante luci… e hai in mano un microfono e… la musica… è
appena iniziata… ed è una canzone che conosci… una canzone che tutti vogliono
sentirti cantare…»
Louis fa una specie di sorriso tirato tra le lacrime e senza
smettere di singhiozzare annuisce.
«Ci sei?» gli chiede piano Harry, togliendo le mani dal suo viso
e iniziando ad accarezzargli le braccia a ritmo regolare «Lo vedi?»
E, come per magia, mentre Louis inizia a parlare con frasi
spezzate, il suo viso piano piano si distende, il respiro inizia a tornare
regolare, le lacrime smettono a poco a poco di scendere dagli occhi chiusi, la
voce si fa più forte e meno titubante. «C’è un mare di p-persone davanti a me
c-che…» respira e deglutisce «ondeggia… e la g-gente salta e si muove e-e canta
e balla a ritmo... e non c’è nient’altro, s-solo musica e caldo e sono…»
sospira e sulle sue labbra appare l’ombra sfuggente di un sorriso «sono felice perché…
perché tutti sono fieri di me, e mi s-sorridono e aspettano che canti… Ma… ma
non è questo. I-io sono felice perché…»
Si blocca di colpo e lentamente apre gli occhi ancora inondati
di lacrime ma anche di una luce nuova e… serena.
«Cosa?» si ritrova a chiedere Harry «Cosa c’è?»
Louis lo osserva per qualche secondo come se lo vedesse per la
prima volta, gli occhi spalancati su quel volto preoccupato e un sorriso che
minaccia di esplodergli sulle labbra, come il sole dopo una tempesta.
«...ci sei tu.» mormora con voce flebile. E quella frase è
qualcosa di definitivo, che cambia tutto, ma la pronuncia con tanta dolcezza e convinzione
che per qualche momento sembra che non ci sia altro che quelle parole, di cui
Harry non riesce subito ad afferrare il significato, ad aleggiare tra di loro
mentre Louis smette finalmente di singhiozzare.
Ed è in quel preciso istante che Louis capisce che non ha più bisogno
di nascondersi o di andare “via lontano” per affrontare la sofferenza.
L’unica cosa di cui ha bisogno è Harry.
* Mi sento blasfema a citare Chuck qui, ma… è una citazione di
Chuck Palahniuk dal meraviglioso Invisible Monsters.
Note di Summer
È una Larry un po’ angst senza niente di esplicito, prendetela
così com’è. È soprattutto su Louis, perché io amo Louis e quella foto DON’T
TOUCH ME
Come avrete capito è stata ispirata da quella foto e da quel
tatuaggio, e vuole un po’ essere la mia spiegazione del tatuaggio stesso.
Spero vi sia piaciuta, se vi ha trasmesso qualcosa fatemelo
sapere, una recensione vale molto per me, mi strappa un sorriso e mi migliora
la giornata :)
Baci, Sum
Questa fic (che non è assolutamente
stata pubblicata a scopo di lucro) è interamente frutto della mia fantasia e con
essa non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste
persone, né offenderle in alcun modo.