Excalibur
La luna era nascosta
dalle nubi e ogni tanto un sottile spicchio si intravedeva lassù nel cielo. Era
appena iniziata la primavera, ma di notte faceva ancora freddo in quel monastero
di Dinnewrach, nel Powys.
La notte era calma, i
fuochi dei 'sais', gli odiati sassoni, da lì non si vedevano. Niente di niente,
solo l'aria frizzante della notte e un lieve venticello che accarezzava
l'erbetta tenera.
Solo un uomo, un monaco,
era ancora sveglio, e stava di guardia sul portico del monastero.
Assorto, perso nei suoi ricordi, si guardava distrattamente intorno. Gli mancava
una mano, la sinistra, e la destra era appoggiata sul pomo usurato di
una spada che aveva perso il filo.
Era stato messo lì a
difesa contro il pericolo, con un'arma troppo vecchia e troppo pesante per quel
corpo corroso dal tempo. Lo sapeva benissimo anche l'iprovvisata sentinella, era
solo un vecchio, monco per giunta, troppo stanco, una preda facile per dei
guerrieri.
Eppure un tempo quello
stesso vecchio era uno dei signori della guerra, famoso, ricco e
felice.
Quella figura che
stava curva per gli anni altro non era che l'ombra del possente Lord Derfel
Cadarn, amico e consigliere di Artù.
Aveva terminato di scrivere la storia di Artù, commissionatagli dalla sua protrettrice, la regina Igraine, e il
suo scrivano era passato solo poche ore prima a prelevare le ultime pergamene, quelle
che parlavano della scomparsa di Artù. Quell'immagine, che chiudeva il
racconto, gli era rimasta impressa nella mente, quella della barca che svaniva nella nebbia con il
suo signore, e che da tre giorni lo distraeva, per sommo dispiacere del vescovo
Sansum.
Sulla carta gli anni erano tornati indietro, i suoi cari
erano stati di nuovo lì al suo fianco. Aveva rivisto il cimiero di Artù e
il suo sorriso, i capelli rossi di Ginevra e la sua intelligenza, la pelle scura di Sagramor, Galahad
era tornato a rimproverarlo e a difendere la sua
fede, Merlino lo aveva preso di nuovo in giro e il destino più che mai
gli era parso inesorabile, e poi la sua Ceinwyn e le risate delle sue figlie, i giochi
con i nipoti, e aveva sentito la nostalgia, nostalgia per tutto, perfino per il puzzo
del fiato dei sassoni sulla faccia in uno scontro fra due muri di scudi.
E poi Nimue, com'era da giovane, acuta e affascinante, e com'era prima di
morire, vecchia e pazza.
Tutto e tutti erano tornati a
fargli visita, e sebbene in alcuni punti della narrazione avrebbe preferito
gettar la penna e abbandonare il lavoro, era stato bello raccontare a qualcuno tutta una vita
di splendori e rendere onore coloro che aveva amato.
Ora si sentiva pronto per
morire, per attraversare il ponte di spade pagano, o per entrare
nell'Oltretomba cristiano. E sperava quasi, che la morte sarebbe giunta quella
notte tranquilla, in cui poteva morire come suo padre Aelle, con la spada
in pugno.
E forse Dio, o magari gli
dei, ascoltarono la sua preghiera, perché, silenziosi come gatti, dei sassoni
erano arrivati al monastero. Erano solo un piccolo drappello di esploratori,
giovani guerrieri, di cui molti avevano una barbetta appena accennata, alla
ricerca disperata di cibo.
Padre Derfel pensò che la fibula
di Ceinwyne il suo manoscritto , il tesoro a lui più caro e la
storia di Artù, erano al sicuro nel castello di Igraine e pregò
Iddio.
Lord Derfel Cadarn pensò alla sua famiglia che lo aspettava oltre
il ponte di spade e pregò Mitra sorridendo di fronte all'ultima
battaglia.
Sguainò la spada mentre un sassone gli
si avventava contro. E poi il buio.
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