Pierre Gringoire si svegliò d’improvviso,
gocce fredde di sudore gli inumidivano la pelle sottile delle tempie, brividi
violenti percorrevano il suo corpo magro. La pelle, pallida, era scottante
nonostante il freddo. I muscoli della mascella contratti, i capelli neri
scarmigliati per essersi agitato durante il sonno.
Erano un paio di notti che dormiva male. Il
suo animo, drammatico per natura, attribuiva la mancanza di sonno ai dubbi
filosofici che gli occupavano la mente.
Uno scalpiccio lo fece
sobbalzare.
-Maledetti topi.- sussurrò, e la sua voce
rimbombò nel vicolo in cui quella notte aveva deciso di albergare.
Ormai incapace di prendere sonno, il poeta
si alzò in piedi e prese a camminare, lento ed assonnato, per le vie di
Parigi.
L’aria della notte, fredda e frizzante, non
lo faceva sentire meglio. Conosceva quell’aria: preannunciava l’arrivo del
periodo più freddo dell’inverno, già abbastanza gelido secondo l’opinione di
Gringoire. Come avrebbe potuto rallegrarsi ad un tale presagio? Come poteva
essere lieto, con la neve che già lo copriva durante il sonno, all’annuncio di
un freddo ancora più intenso?
Certo questo imminente abbassamento di
temperature non poteva rallegrare in alcun modo l’animo di un poeta disperato,
senza una dimora e senza i soldi per una locanda.
Nella sua vita già diverse volte aveva
dovuto far fronte a tale problema. Eppure, quell’anno era diverso dagli altri.
Sentiva di aver sfruttato e perduto ogni possibilità.
Il mestiere di poeta, l’unico che gli
appartenesse, non gli avrebbe certo fruttato alcun guadagno: quanti rozzi
ignoranti popolavano Parigi, che non apprezzavano la sottile finezza della sua
arte!
Tempo prima, gli era parso di poter trovare
un minimo di stabilità, in quella sua vita sregolata.
Camminando sul bordo di una Senna
scintillante e fredda, tornò con la mente a quei tempi, ricordandoli con
malinconia, in cui gli era parso di avere addirittura due possibilità per
sopravvivere all’inverno.
Ma ora? Chi avrebbe accolto un povero poeta
sfortunato?
Non certo il suo saggio maestro,
l’arcidiacono Claude Frollo, poiché egli aveva avuto la sfortuna di sfracellarsi
a terra cadendo dalla torre di Notre Dame.
E alla Corte dei Miracoli non osava
tornare. Nessuno l’avrebbe accolto, lì: i due che forse l’avrebbero
accolto…
Beh, il caro Clopin Trouillefou, sire
d’argot, era sventuratamente caduto in battaglia, rimasto ucciso da quel bel
capitano di cui non ricordava il nome, ma che aveva qualcosa a che fare col
sole.
E la bella Esmeralda aveva avuto la
malaugurata idea di farsi accusare di stregoneria, così era stata impiccata,
nonostante tutti i suoi tentativi di salvarla.
Un belato familiare lo riscosse dai suoi
pensieri e il poeta si guardò attorno per trovarne la fonte.
-Djali, mia cara!- esclamò sorpreso
Gringoire chinandosi per chiamare a sé la capretta che gli era sfuggita il
giorno in cui Esmeralda era stata impiccata –Sai, bellezza, i miei pensieri
erano per l’appunto rivolti a quella sciocca della tua padrona.- rivelò
grattando con affetto il collo della capra –Ormai è un mese che è morta, né più
né meno, mi pare… e dire che è talmente semplice sfuggire alla forca. Puoi
credermi se te lo dico, io l’ho fatto almeno due volte, e sono negli ultimi
mesi. E dire che ho fatto tanto per salvarla, povera fanciulla…-
Mi hai abbandonata.
Il poeta si accigliò non appena quella voce
familiare giunse alle sue orecchie –Tua hai sentito, Djali?-
Mi hai lasciata a
lui…
-Chi è?- domandò Gringoire, e un brivido
percorse la sua schiena mentre si guardava attorno… quella voce…
Io ti salvai quando
tu venisti alla Corte… ti salvai, e tu mi hai lasciata al Prete…
-Ventre di Dio, uno spirito!- gracchiò
Gringoire scattando in piedi, tremando non più per il freddo, mentre il cuore
batteva con forza nel suo esile petto.
È colpa
tua…
-Vattene!- gridò il poeta muovendo un passo
indietro –Ho provato a salvarti… ho tentato…-
Non l’hai fatto…
bugiardo! Hai scelto Djali… mi hai lasciata nelle sue mani… nelle mani del
Prete…
-No!- un altro passo indietro, il corpo
scosso da fremiti inconsulti. Quella voce era ovunque, proveniva da ogni luogo,
era dentro di lui.
Sono morta… è colpa
tua…
-No, non è vero…-
-Tu mi hai uccisa.-
Stavolta la voce provenne da una direzione
precisa. Sconvolto, Gringoire abbassò lo sguardo. Sul muso di Djali brillavano
non i suoi occhietti neri e furbi, ma due occhi verdi che un tempo erano stati
ingenui e amorevoli e che ora erano crudeli e vendicativi.
-E… Esmeralda…- balbettò. Sul volto della
capra comparve la smorfietta che tante volte aveva increspato le labbra della
gitana defunta.
-Tu mi hai uccisa.- accusò la capra con la voce di Esmeralda.
-Era vero dunque!- gridò il poeta, la voce
intrisa di terrore –Sei una strega! Questa è stregoneria!-
-Tu mi hai uccisa.- con espressione maligna Djali avanzò e il poeta indietreggiò
spaventato. Le acque della Senna accolsero la sua caduta.
-Tu mi hai uccisa.-
La capra, o la Esmeralda che fosse, osservò
con gelido piacere il poeta dibattersi nell’acqua gelida del fiume, lottare
inutilmente contro la forza oscura che lo trascinava verso il fondo. Quando il
capo dell’uomo fu immerso nell’acqua, continuò ad osservare la sua
ombra.
Gringoire, agitandosi e lottando, morì con
i polmoni pieni d’acqua e gli occhi sbarrati. Nelle iridi chiare rimase per
sempre il volto vendicativo di colei che si riprendeva quella stessa vita che un
tempo aveva salvato.