Riempire i vuoti

di ferao
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#6: I ricordi



Non poté fare altro che guardarla mentre si Smaterializzava. Si voltò e incrociò lo sguardo dei due nuovi archivisti, che non tentarono nemmeno di dissimulare la loro presenza.

Non avrebbe rivisto Audrey per sei mesi.

("Una brezza lieve", capitolo 20)













A volte, di notte, Percy si svegliava all’improvviso e si chiedeva dove diavolo fosse Audrey. Che ci faceva fuori dal letto? Non era da lei alzarsi nel bel mezzo della notte, che le fosse successo qualcosa? Stava forse male? Forse…?
E poi, non appena la nebbia del dormiveglia si diradava, ricordava e si dava dello stupido.
Audrey non era lì perché non c’era, puro e semplice. Se n’era andata da almeno due mesi, forse di più; ormai avrebbe dovuto farci l’abitudine, non ragionare come se lei ci fosse ancora. Invece, a quanto pareva, una parte della mente di Percy sembrava rifiutare in toto quella situazione, spingendolo a comportarsi come se Audrey vivesse sempre in quella casa.
Di giorno, ovviamente, era più facile ignorare quella sensazione. I primi tempi gli veniva automatico entrare in casa con un “Ehi” già pronto sulle labbra, ma alla fine era riuscito a farselo morire in gola ancora prima di pronunciarlo – non riusciva a tollerare il silenzio che lo seguiva ogni volta. Allo stesso modo aveva represso, una ad una e non senza un piccolo sanguinamento interiore, tutte le abitudini che aveva preso negli ultimi tempi: preparare due tazze di tè invece di una, scrutare nella libreria per indovinare cosa Audrey stesse leggendo in quel periodo, entrare in camera da letto in punta di piedi per non disturbarla quando tornava a notte fonda.
Aveva costretto se stesso a lasciar andare ogni singola, stupida, piccola cosa che aveva fatto in quei mesi. Perché ogni singola, stupida, piccola cosa era impregnata di Audrey, la riguardava, la contemplava come parte integrante; ma che senso aveva, se Audrey era lontana da lui?
Quindi, meglio lasciar perdere tutto.
Almeno di giorno.
Di notte, invece, la mente che Percy aveva imbrigliato con tanta cura dava qualche scossone e si liberava; come per vendicarsi della violenza subita, gli presentava immagini, suoni, ricordi – tutto ciò di cui Percy aveva meno bisogno, ed estremo bisogno. L’odore di Audrey sul cuscino, il suo passo strascicato quando tornava distrutta da una giornata al Ministero. La sua voce. I suoi capelli da accarezzare di notte e i suoi respiri regolari che si interrompevano durante un sogno agitato. La sua pelle, e i suoi vestiti come un inutile ostacolo da superare ad ogni costo.
Tutto ciò di cui Percy aveva bisogno e che ora era lontano da lui, irraggiungibile. Così dolce e doloroso che avrebbe voluto dimenticarlo, semplicemente, allo stesso modo in cui avrebbe voluto dimenticare i visi dei suoi fratelli, la voce di Scrimgeour e tutte le cose che tornavano, come ondate, a fargli del male. A dirgli quanto era solo, e stupido, e incapace di tenere accanto a sé anche solo un briciolo d’amore.
Non voleva altro, davvero. Solo… dimenticare.
 
Invece, la notte, si svegliava all’improvviso e si chiedeva dove diavolo fosse Audrey. E tutto ricominciava da capo.









 








Dedicata alle mie donne, che non hanno bisogno di essere nominate.
A voi, che (forse) da quasi un anno attendevate un aggiornamento e vi beccate questo pippone malinconico-introspettivo.
A Bruce Springsteen, che ha scritto "The river" (canzone cui mi sono ispirata).
E a Lau, perché merita solo amore, perché mi ha dato questa canzone con cui scrivere e perché sì.

Alla prossima,
Fera.





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