Adesso lo so.
Stringo tra le mani una tazza di thè fumante,
Kuroko di fronte a me, seduto sulla poltrona, sembra quasi un bambino
che aspetta di sentire una favola.
"Dammi un attimo e ti racconto"
Annuisce piano, mentre io bevo un sorso di thè, pensando.
"Ecco" incomincio, socchiudo appena gli occhi, cercando di riportare alla mente ogni dettaglio.
"Era un sereno pomeriggio d'estate, l'afa incalzava solenne, il sole
coceva scottando ogni panchina. Le zone d'ombra, sembravano quasi dei
miraggi; la città era mezza vuota, e le poche persone rimaste,
evitavano di uscire prima del tramonto.
Il caldo riusciva a distruggere tutta la tua voglia di fare qualcosa,
anche giocare a basket, diventava una fatica; perfino io, evitavo di
farlo nel primo pomeriggio, i miei momenti preferiti erano la mattina
presto, o la sera.
Ecco perchè, quando Aomine mi telefonò alle 3 del pomeriggio per chiedermi di vederci, ero così scocciato.
Malgrado tutto, uscii di casa, e mi avviai verso il campetto, sfidando il caldo tremendo.
Come da manuale, avevo un pallone color arancio sottobraccio, e di
tanto in tanto, mentre camminavo, mi accingevo a fare qualche
passaggio, ben attento a non farlo finire sotto qualche macchina.
Arrivai finalmente al campetto: una macchia di asfalto grigio e infuocato, contenuto tra due canestri.
Stranamente, Aomine era già lì.
Lo salutai con la mano; gli occhi semichiusi per il fastidio che mi creava il sole, mi impedivano di vedere i particolari.
Gli passai la palla, e mi sorpresi nel vedere che non la prendeva, non era mai successo prima d'ora.
"Allora anche tu sbagli qualche volta!" ridacchiai prendendolo in giro,
anche perchè era quasi impossibile che capitasse di nuovo.
Sempre più sorpreso della sua indifferenza, andai a riprendere la palla, rotolata proprio in mezzo al campo.
"Non ho voglia di giocare, camminiamo un po' ".
C'era davvero qualcosa che non andava, ma non riuscivo a capire di cosa potesse trattarsi.
Acconsentii alla sua richiesta, ed iniziammo a camminare senza una
precisa direzione, soltanto seguendo quel poco di ombra che trovavamo.
Aomine camminava dietro di me, seguendomi senza lamentarsi. Non puoi
immaginare, quanto, in quel momento, desideravo sentire una delle sue
solite stronzate, qualsiasi cosa mi sarebbe andata bene, a patto che
interrompesse quel silenzio assordante.
Dopo un po', mi fermai, eravamo su un marciapiede vuoto,non c'era
nessuno in mezzo alla strada, nemmeno una macchina passava, solo noi ed
un vecchietto zoppicante, che si dirigeva molto probabilmente, verso la
farmacia più vicina, l'unica aperta in quel periodo.
"Posso sapere che mi hai chiamato a fare?" non mi voltai nemmeno a
guardarlo, temevo di girarmi e non vederlo, non sapevo bene
perchè, ma quest'eventualità mi spaventava parecchio,
anche se mi rendevo conto che era una sciocchezza.
"Volevo vederti" rispose semplicemente.
Vidi con la coda dell'occhio, il vecchietto sparire nella farmacia, era
forse la cosa più sincera che Aomine mi avesse mai detto, ma non
riusciva a rassicurarmi.
Sentii qualcosa di caldo, appoggiarsi sulla mia spalla, lasciata scoperta dalla larga canotta bianca, che indossavo.
Era qualcosa di un po' troppo caldo per essere la sua fronte, ma quando
ci poggiai la mano sopra, sentii la consistenza dei suoi capelli sotto
al palmo.
Aomine scottava, aveva la febbre chissà a quanti gradi, e quel
cretino, invece di starsene a casa a riposare, aveva voluto vedermi.
Ero molto arrabbiato, forse più con me stesso per non essermene accorto subito, che con lui.
"Idiota, guardati! Stai male. Vieni ti porto a casa."
Lo feci appoggiare come meglio potevo alla mia spalla, e mi diressi
verso casa sua, ormai conoscevo bene la strada, essendo stato molte
volte da lui.
Non so nemmeno come facesse a reggersi in piedi, adesso che vedevo bene
la sua faccia, mi sembrava che non avesse nemmeno la forza per parlare.
Non so bene come, ma arrivammo finalmente, a casa sua.
Gli presi dalla tasca dei jeans, le sue chiavi. I genitori, a quanto
pareva, erano a lavoro, e Daiki non sembrava contrariato del mio gesto
invadente.
Provai ad indovinare quale fosse la chiave giusta di quel mazzo,
guardando la serratura della porta, avrei potuto riconoscerla subito,
ma non lo feci, e riuscii a trovare la chiave giusta, solo al terzo
tentativo.
Aomine, appoggiato alla mia spalla, aspettava pazientemente senza dire una parola, sembrava quasi che fosse un'altra persona.
Entrammo, mi orientai nella casa e portai Aomine nella sua stanzetta.
Lo feci sdraiare sotto le coperte, ordinandogli di riposarsi.
Daiki annuì brevemente, e nel vederlo così debosciato, mi
intenerii quasi: anche se mi faceva spesso arrabbiare, non mi piaceva
saperlo in quelle condizioni.
Andai a cercare tra i mobili della sua casa, un termometro, e della
tachipirina per abbassare la febbre, dimenticando però, che non
avrebbe dovuto prenderla a stomaco vuoto.
Non ero mai stato bravo a prendermi cura degli altri, ed io era
difficile che mi ammalassi: l'ultima volta che avevo avuto la febbre,
risaliva all'età di cinque anni, quando ancora vivevo coi miei
genitori.
Mi sentivo quasi un ladro, mi vergognavo da morire a metter le mani
dappertutto, ma ero troppo preoccupato per lasciarlo star male.
Non so esattamente in quanti e quali mobili avessi frugato, ma
all'improvviso, aprendo un cassetto nel bagno, trovai quello di cui
avevo bisogno.
Agitai il termometro a mercurio, per portare l'ago a temperatura
normale, poi raggiunsi Aomine in camera, e gli dissi di metterselo
sotto al braccio.
Aspettai qualche minuto, forse anche troppo poco perchè il
termometro potesse stabilizzarsi, ma l'angoscia mi metteva fretta.
Ripresi il termometro, e scrutai per bene i numeretti vicino alla barra: 38 gradi.
Andai a prendere un bicchiere d'acqua nel quale sciogliere la
tachipirina, gli diedi il bicchiere, e gli feci bere la compressa non
ancora del tutto sciolta.
Bevve senza obbiettare.
Gli dissi di dormire.
Chiusi le tende in modo che la luce non potesse entrare a dargli fastidio.
A quel punto avevo fatto il mio dovere, potevo benissimo andare via, ma
qualcosa mi trattenne, non riuscivo a smettere di essere in ansia: e se
poi si svegliava e stava male?
Mi sedetti sul divano e accesi il televisore, togliendo il volume per non disturbarlo, senza accorgermene, finii per assopirmi.
A svegliarmi, fu la sua fastidiosissima voce.
"Kagami ho famee".
Sorrisi, di sicuro stava meglio.
Chissà come faceva a sapere che non me ne ero andato.
Mi recai da lui, e vidi che se ne stava seduto sotto le coperte, appoggiato con la schiena al cuscino.
Gli poggiai una mano sulla fronte, e fui felice di accorgermi che la febbre era calata, anche il suo aspetto era migliore.
"Ti senti meglio?" chiesi.
Un sorriso così sincero da riuscire a disarmarmi, apparve sulle
sue labbra; chiuse gli occhi, sembrava che stesse sorridendo anche con
essi, era un sorriso che non ero mai riuscito a vedergli prima.
"Se mi stai così vicino, mi fai venire voglia di ammalarmi più spesso".
Cercai di offendermi, ma un sorriso apparve anche sulle mie labbra, gli
sfiorai la bocca con la mia, incurante di quel che avrebbe potuto
mischiarmi, ero così felice, che non mi resi nemmeno conto di
quel che stavo facendo.
Mi staccai, arrossendo come non mai, era il nostro primo bacio.
"Vado a prepararti qualcosa".
Mi dileguai velocemente in cucina, ed iniziai ad affettare qualche verdura, per preparargli del brodo caldo.
Proprio non capivo cosa mi avesse spinto a rimanere lì, ed a compiere quel gesto.
Mentre i miei pensieri scorrevano estraniandomi dal resto del mondo, il brodo si cuoceva.
Una volta pronto, glielo portai a letto su un vassoio, insieme a tanti fazzoletti, per evitare che sporcasse qualcosa.
Lo poggiai sul comodino accanto al suo letto, e mi voltai per andarmene.
"Aspetta" mi fermò afferrandomi per un braccio.
Temevo mi chiedesse spiegazioni, invece mi guardò e mi disse grazie."
Kuroko mi fissa interessato, gli dico che non c'è nessun seguito a questa storia, non ancora.
"E adesso sai cosa fare?" mi chiede.
"Sì, adesso lo so".
Nda: waw allora riesco ancora a scrivere qualcosa di soft?
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