[Nina Williams]
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Lo sguardo che si riflette nello specchio è sempre lo stesso –
vuoto.
Si chiede se i suoi occhi fossero così inespressivi anche prima.
Si chiede se lo sarebbero se la sua vita avesse fatto il suo corso,
senza che la scienza si mettesse di mezzo e la riducesse ad una bambola
senz'anima.
Toglie la giacca, la getta su una sedia vuota, nell'ennesima stanza
vuota di un albergo troppo pieno.
Si gira di fianco. Il top di pelle lascia scoperto il ventre piatto,
liscio.
Diffidente, ne segue il profilo con una mano.
E così ha un figlio.
E'
la rivelazione che continua a risuonare nella sua testa vuota da giorni
interi, il pensiero fisso che si è innestato tra i brandelli di ricordi
che rincorre da due anni senza riuscire ad afferrare.
Un figlio, che ha quasi l'età che ha lei biologicamente e che, per di
più, è inglese.
Il pensiero la fa sorridere anche in queste condizioni. Un briciolo di
senso dell'umorismo particolarmente sui generis è
sopravvissuto al sonno criogenico.
Un
figlio di cui non sapeva nulla fino a quando non le hanno inviato quel
fascicolo sul prossimo bersaglio. Un figlio la cui esistenza le è stata
tenuta nascosta.
Prova
sentimenti contrastanti, al riguardo. Li analizza ogni notte con calma,
con la pistola sotto al cuscino e lo sguardo perso nel vuoto. A poco a
poco, scioglie pezzi dell'enigma.
Una
parte di lei è arrabbiata. C'è una percentuale bassa – un 10% scarso –
che vorrebbe afferrare l'automatica ed aprire un buco in fronte a
quegli scienziati che l'hanno usata come cavia da laboratorio senza
darle niente in cambio.
E' la prima volta in cui desidera davvero
uccidere qualcuno, e non considera l'ipotesi solo per obblighi
professionali.
Quell'ardore
svanisce presto e torna l'apatia. C'è un buon 35% che prova sollievo.
Sollievo per aver scoperto l'esistenza di questo fantomatico figlio
solo quando ormai è impossibile anche solo immaginare un avvicinamento.
Non riesce a figurarsi, altrimenti, con quale faccia avrebbe potuto
presentarglisi davanti, fresca dei suoi vent'anni di sonno criogenico,
e rivelargli di essere sua madre. In queste circostanze assurde,
invece, è manlevata da ogni obbligo. No?
C'è
un 5% che, però, ancora si chiede cosa fare. Una minuscola eco di
coscienza che, in quell'assenza di emozioni, ha davvero vita dura. Nina
infatti la ignora. Passa oltre, al suo 50% dominante:
l'indifferenza.
La
verità è che la soluzione dell'enigma è ben più semplice di quanto non
sembri ad un primo sguardo. Si inganna da sola, fingendo di dover
analizzare i propri sentimenti, perché la prospettiva di non averne è
ben più deprimente – eppure vera.
Quando
ha visto suo figlio, non ha provato niente. Steve Fox è solo un nome
sulla carta, un incarico che non ha portato a termine perché confusa da
una rivelazione improvvisa. Niente di più.
Ed
ora si guarda allo specchio, si studia. Se il suo corpo si fosse
trasformato come quello di ogni donna, se avesse ospitato al suo
interno un figlio e l'avesse alimentato per mesi interi, cambierebbe
davvero qualcosa?
Vorrebbe
illudersi, e rispondersi di sì. Vorrebbe credere di essere stata una
persona diversa, prima del sonno criogenico, il tipo di persona in
grado di affezionarsi a qualcosa di più che ad un'arma funzionale alle
sue esigenze. Ma, dentro di sé, conosce già la verità – l'ha vista
riflessa nello sguardo di sua sorella dietro strati di inganni è bugie:
Nina è vuota ora come lo era prima. L'amnesia è solo un'ottima
giustificazione alla sua apatia.
Per
questo, forse, non riesce a ricordare: non vuole realmente trovare
conferma alle sue supposizioni. Non vuole scoprirsi identica a sé
stessa.
Come potrebbe, una persona così, essere madre?
Se
anche l'avesse tenuto in grembo nove mesi, se anche l'avesse dato alla
luce e sentito piangere, se anche l'avesse allattato al suo stesso
seno... Quel figlio non sarebbe che un conoscente con cui condivide
parte del DNA. Un altro membro di una famiglia fantasma da lasciare in
disparte, proprio come Anna.
La vita di Nina è vuota, ma non c'è spazio per nessuno, tanto meno per
un figlio.
Gli
occhi di Steve non somigliano affatto ai suoi: ne condividono il
colore, ma sono pieni – di tristezza, solitudine, smarrimento.
Un figlio così è in cerca di una madre che gli tenda la mano e riempia
il vuoto di una vita passata da orfano.
Nina,
con il suo vuoto, non può riempire niente. E l'unico modo in cui sa
tendere la mano è impugnando una pistola.
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N/A:
Uh hu. Alzi la mano chi si ricorda di questa raccolta. Io no.
Non so quanto senso abbia aggiornare dopo due anni e mezzo, ma nello
scrivere questa fanfiction mi è tornato in mente questo progetto, e
così mi sono detta: perché no?
Di sicuro si noterà un po' di divario con i capitoli precedenti - sono
pur sempre passati anni e il mio stile è cambiato non so se in meglio o in peggio.
Anyway, questa fic risale a qualche mesetto fa, precisamente alla
Staffetta in Piscina @ piscinadiprompt, ed
è nata a partire dal prompt: Tekken,
Nina&Steve, "When love is a gun/separating me from you" (The
funeral of hearts - HIM). Come si sarà intuito, è ambientata
subito dopo Tekken 4 e la scoperta che Nina fa nel finale.
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