Ecco un breve racconto su una ballerina, l'idea mi è venuta oggi a danza visto che si avvicina il giorno del saggio di fine anno. E' frutto di una mezz'oretta di scrittura abbastanza di getto più un'altra di revisione (i tempi dei verbi erano tutti sballati XD), spero vi piaccia così a tema danza, volevo trasmettere un po' l'emozione che si prova prima di andare in scena ma poi ho finito per fare altro. Siete appassionati di danza anche voi? Che altre passioni avete? Fatemi sapere ciò che pensate con le vostre recensioni :)
Si va in scena!
Si va in scena
“Inspirare” tirai su così tanta aria che avrei potuto
competere con un aspirapolvere.
“Espirare” e la buttai fuori con una tale violenza da poter
competere con il lupo dei tre porcellini.
“Niente, non funziona”, continuai a mormorare, a tirarmi le
dita ormai così intrecciate che mi stupii che non si fossero ancora staccate
dalla mano, a martoriarmi il vestito bianchissimo per quanto potei (se si fosse
staccata anche una sola piuma allora sì che sarei stata nei guai).
Il mio vestito. Lo avevo indosso da un po’ ormai eppure
ancora non riuscivo a credere che fosse mio. Mio. Dalla prima all’ultima piuma,
dal primo all’ultimo scomodissimo pezzo di tulle. E mica solo il vestito, ormai
erano mie anche quella strana corona circondata da altre candide piume e le
manichette soffici intorno alle braccia già sudate per il nervoso (figuriamoci
come sarei stata alla fine del terzo atto…).
Erano mie, non so se questa sensazione, questa
consapevolezza che avevo finalmente acquisito mi dava sicurezza o angoscia: avevo
paura di deludere, di non essere all’altezza, di dover restituire tutto…
“Scema” “che diavolo dici? “ fece una voce dentro di me:
“Non restituirai un bel niente, questo vestito ora sei tu,
hai finalmente capito chi sei, hai raggiunto la tua meta, non ti permetterò di
mollare o demoralizzarti dopo tutti i sacrifici che hai fatto!”
I sacrifici.
Mi ritornarono in mente uno dopo l’altro, come scene di un
film mandato avanti col tasto FF:
“La ballerina? Tu hai
visto troppi film”
“Perché no? Posso farcela,
mi impegnerò mamma”
“Sì, sulla scia di
Billy Elliot…
Tesoro non ti rendi conto di ciò che dici: ci sono così tante
persone bravissime che non riescono a sfondare, ti credi migliore di loro con appena
un anno di danza alle spalle?”
“…”
“Sì!”
“Ah, novellina, a
meno che non ci siano stati pochi
iscritti quest’anno e abbiano deciso di buttarsi sui ballerini di terza classe,
questo non è il posto per te!”
“No, no, NO! Cos’ha al
posto delle orecchie! Le ho detto che è storta, ma ci vede Agnes? Mento in alto, chiuda lo stomaco, che sta
tutta indietro. Cielo: è stata miracolosamente presa alla royal ballet senza
nessuna base e si permette anche di essere
negligente, invece di ringraziare Dio tutto il santo giorno per la grazia che
le è stata concessa!”.
Oh sì, lo avevo ringraziato Dio, tantissimo, ogni giorno che passava
lo facevo ancora. Era stato lui a darmi la forza di continuare nonostante tutte
le critiche, le umiliazioni, i dolori.
Era grazie a lui se ora ero lì, lo sapevo bene.
Quando me lo dissero non riuscii a crederci. Capii finalmente perché
mi avevano presa quel giorno nonostante la mia mancanza di esperienza. Doveva essere
per forza così, c’era qualcosa in me che li aveva colpiti, una passione così
grande, violenta, che mi permetteva di vivere, sentire ogni musica che ballavo,
sopperendo almeno in parte alla tecnica.
“Dunque, come di
consueto allestiremo al termine della prossima stagione estiva un balletto di Čajkovskij,
quest’anno la scelta è ricaduta sul Lago dei Cigni. Miss Strafford, a lei il
compito di assegnare le parti”
“Certamente, dunque
signori, le parti sono già state decise, ora assegnerò a ciascuno il proprio
ruolo, non saranno tollerate proteste: il nostro giudizio è inappellabile!”
Tremavo, lo ricordavo come fosse stato ieri, non appena
sentii pronunciare il mio nome, stranamente era il primo della lista:
“Miss Agnes Dabville
nel ruolo di Odette”
E poi a bassa voce a
me, con un’occhiatina
“Contiamo su di lei”.
Quanto tempo era passato da allora? Quasi un anno, tra prove
e altri spettacoli, eppure avevo sempre avuto paura. Era la mia grande
occasione, mi avevano dato fiducia potevo finalmente dimostrare chi ero.
“Merda” feci ancora degli altri echappes, un altro po’ e i
miei piedi avrebbero domandato vendetta.
Ero un fascio di nervi, non riuscivo a stare ferma.
“Agnes tutto bene?”
“Sì, sì miss Strafford, sono un po’ nervosa” dissi con
evidente falsità.
Quella donna così severa mi sembrò per una attimo più umana.
“E’ normale alla prima di uno spettacolo, e poi è anche la sua
prima volta in un ruolo così importante”
“Già”.
Dissi quello che tutti si aspettavano:
“Non la deluderò”.
Non sembrò apprezzare la mia risposta, chinò lo sguardo a
terra per un istante, poi mi fissò in un modo che non saprei definire, era
ancora un’insegnante, in tutta la sua austerità, ma allo stesso tempo i suoi
occhi brillavano, di nostalgia pensai subito, ma c’era dell’altro, una sorta di
dolcezza quasi materna, uno sguardo vissuto, di chi ha già visto e sa cosa vuol
dire ciò che provi:
“Già.
Ma per una volta
bambina, la smetta di pensare agli altri: un’etoile balla anzitutto per se
stessa.
Quando è sul palco ci
sono solo lei e la musica, diventa lei la personificazione della danza, tutto
il resto scompare.
Per questo non sono
minimamente preoccupata che lei possa deluderci:
è la persona che ho visto diventare un tutt’uno con le note
più di ogni altra, in assoluto.”
Mi sentii leggera di colpo, per la prima volta provai sincero affetto per lei, non più
solo ammirazione, mi rilassai, ecco cosa mi impediva quasi tutte le volte di ballare al 100
%. Solo allora mi resi conto di quanto danzare fosse
importante non per gli altri ma per me. Per abbattere finalmente tutti i
pregiudizi che ancora c’erano sul mio conto, per dimostrare a me stessa che non
avevo inseguito uno stupido sogno, per sentirmi felice.
I miei occhi diventarono lucidi e feci una cosa che non
avrei mai pensato, mi gettai al collo di miss Strafford come avrei fatto con mia
madre:
“Grazie”
“Ora ho capito: non mi
deluderò” dissi sorridendo.
Mi carezzò l’acconciatura per quel che poté, non voleva
rovinarla a pochi minuti dall’inizio.
“Brava, sorrida. Sorridi: sentiti libera, sentiti Odette”
“Sì”
“E ora mettiti al tuo posto che stai per entrare in scena”
“Sì” annuii col capo.
Mi ricomposi mentre miss Strafford si allontanava per
raggiungere la platea.
L’orchestra aveva cominciato a suonare in uno scroscio di
applausi.
“Un, du, tre, qua. Ci se, se, o. Un, du, tre, qua, ci, se,
se, o” cantilenai meccanicamente.
La mia testa era sgombra, tutta concentrata sul ritmo, sulla
musica, le mie mani mi stavano
ringraziando per aver smesso di martoriarle, ma il cuore batteva a mille, molto
più forte di qualunque tamburo stesse suonando in quel momento.
“Un, du, tre, qua. Ci se, se, o. Un, du, tre, qua, ci, se,
se, o”
Lentamente ma inesorabilmente il pesante velluto rosso con i
ricami in oro dello stemma di sua maestà si alzò, lasciando scoperto prima il
centro del palco e la scenografia del bosco e poi i lati vicini alle quinte.
Le luci erano già pronte, buie, tetre come da copione: ora
dovevo essere Odette, io ero Odette.
“Dai” mi dissi mentre la musica si avvicinava all’ un, du,
tre decisivo.
“Un, du, tre, qua. Ci se, se, o. Un, du, tre, qua, ci, se,
se, o”
“Un!” eccomi, c’ero.
Feci un passo, poi un altro su quell’enorme eppure familiare
palco dal pavimento scuro, poi mi misi a correre con grazia fra un albero finto
e l’altro.
“Si va in scena”.
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