Disclaimer:
sì, sì, i personaggi di Naruto non mi
appartengono.. qualcuno si offre di
regalarmeli per Natale? Per esempio la mia neechan, alla quale ho
promesso
questa storia.. ^.^ Enjoy!
A TALE OF BROKEN HEARTS
Lui
lo sapeva che l’amore non avrebbe mai portato da nessuna
parte, lo sapeva fin
troppo bene. Chi poteva saperlo meglio di lui? Chi poteva sapere che
quell’illusione (perché non era altro che
un’illusione, una chimera, una
bellissima utopia creata per difendersi dalla crudeltà del
mondo e continuare
invano a sperare) lasciava solo spazio alla ben più profonda
delusione quando
la sua vera natura di idea irreale veniva svelata, chi poteva solo
pensare di
saperlo meglio di lui? Nessuno.
Lei
lo sapeva che l’amore non avrebbe mai da nessuna parte, senza
la volontà. La
volontà di andare avanti, di perseverare, di rialzarsi ogni
volta che si cade e
di non abbassare mai lo sguardo. La volontà che lei non
avrebbe mai avuto. Ecco
perché l’amore, per lei, sarebbe stato sempre e
solo fonte di sofferenza.
Per
questo era inutile credervi.
Per
questo era inutile sperare.
01:
little broken doll
C’era
agitazione, nella dimora del clan Hyuuga. Un
viavai apparentemente confuso, un vorticare di persone in fermento;
tuttavia,
ad un’osservazione più attenta, era possibile
scorgere una certa regolarità, un
ripetersi di itinerari e di mansioni che testimoniavano la presenza di
ordini
ben precisi. E questi ordini erano: la primogenita deve essere pronta
entro
l’alba.
Infatti,
al centro del vortice, c’era Hinata Hyuuga,
prima aspettativa e dopo delusione del clan, che con il passare degli
anni
aveva reso sempre più onore al suo nome. Era un nome
impegnativo, il suo, dato
che significava qualcosa come ‘incarnazione di
bellezza’, ma lei se ne era
dimostrata degna, almeno di quello. Lunghi capelli del colore delle
piume del
corvo, corpo snello e flessuoso, temprato dagli allenamenti, ma morbido
e
sensuale, e soprattutto occhi perlacei, contornati da ciglia scure che
li
distaccavano dal pallore aristocratico del viso. Era come una bambola,
e quindi
come tale doveva essere trattata. Non appena raggiunto il livello,
appena
decente per gli appartenenti a quella famiglia, di chuunin, era stata
ritirata
dalla vita di ninja, e istruita a diventare la perfetta rappresentante
del nobile
clan Hyuuga. Nessuno poteva competere con lei nell’ambito
delle cerimonie
tradizionali, né nella conoscenza delle arti ritenute adatte
all’erede di una
così signorile famiglia. Era così bella da
vedere, così deliziosamente truccata
e vestita, mai un cenno di insofferenza durante i lunghi riti del
tè, mai
niente che turbasse la sua perfezione.
In
realtà, se la bambola veniva smontata ed
esaminata, ci si accorgeva che i suoi difetti erano
all’interno, nei
meccanismi. Era timida, fino all’esasperazione, e insicura:
caratteristiche che
stridevano con i suoi compiti, e che portavano piano piano al logorio
degli
ingranaggi, lento ma costante. Finché un giorno i suoi
congegni interni non
cominciarono a scricchiolare: un piccolo errore qui, una piccola
mancanza là; fu
quando i suoi errori diventarono più vistosi, e le sue
mancanze più frequenti,
che gli altri si resero conto che c’era qualcosa che non
andava. Nonostante i
loro occhi bianchi che vedono tutto non avevano notato che la bambola
cominciava a rompersi, e quando se ne accorsero cominciava a essere
troppo
tardi. Così Hinata Hyuuga, giovane donna di appena
vent’anni, una vita sprecata
alle spalle e una incerta davanti a lei, venne giudicata mal
funzionante e da
buttare via.
Da
quel momento iniziarono i preparativi per la
grande e teatrale uscita di scena di Hinata, elegante bambola da
esposizione,
per insediare al suo posto Hanabi, la minore, forse meno bella e
raffinata,
meno adatta a gestire le apparenze, ma sicuramente più
utile, una marionetta
capace anche di combattere.
Quella
notte, dalla sua postazione al centro della
stanza, Hinata osservava il turbinio attorno a lei con rassegnata
indifferenza.
Aveva sempre saputo che sarebbe finita così, fin da quando
aveva sentito per la
prima volta addosso a lei lo sguardo deluso di suo padre e del resto
del clan,
nonostante avesse dato il massimo di sé, e si era accorta
che, se non erano soddisfatti
di lei in quel momento, non lo sarebbero stati mai. Guardava i
servitori
estrarre da armadi polverosi le sue vesti da kunoichi, affannarsi a
cercare
chissà cosa che ancora mancava, pronti a scattare ad ogni
nuovo ordine di
Hiashi-sama, all’erta come tante piccole api intente in un
lavoro urgente. Di
tanto in tanto gettava un’occhiata al coprifronte di Konoha
che aveva in mano;
ne riconosceva ogni singolo contorno, ogni piccolo graffio le era
familiare: le
raccontavano di episodi passati ormai da anni, di giorni trascorsi con
la sua
squadra prima di diventare la prigioniera di quell’enorme
casa delle bambole.
Si guardava intorno, paziente, senza fare una mossa, aspettando di
essere
spogliata e rivestita, di avere gli accessori adatti; poi sarebbe stata
pronta
per l’ultimo gioco.
Utilizzando
un’abile scusa, Hiashi l’aveva inserita
nella squadra che sarebbe partita all’alba per una missione,
una missione di
guerra, per la quale lei non era affatto preparata. La stavano mandando
al
suicidio, mandavano a combattere una bambola di delicata porcellana, in
mezzo a
marionette specializzate nell’arte della guerra, senza
nessuno che la difendesse,
che la incoraggiasse. Non appena sarebbe giunta la notizia sicura della
sua
morte, poi, le avrebbero reso un ultimo onore, infiocchettando la
tragica
storia della sua caduta, e avrebbero definitivamente spazzato via i
cocci di
quella che un tempo era l’erede difettosa della casata.
Questo
pensava Hinata, trovandone continua conferma
negli occhi compassionevoli dei servitori, che rifuggivano il suo
sguardo;
adesso che era arrivato il momento tanto temuto (o forse tanto
desiderato), lei
non sentiva niente. Bianco, vuoto. Che i suoi ingranaggi si fossero
rovinati a
tal punto da privarla dei sentimenti? Ma forse era meglio
così.
Finalmente,
poco prima del sorgere dell’alba, la
squadra vide giungere la ragazza travestita da kunoichi, scortata da
alcuni Hyuuga
e con uno sguardo vacuo e rassegnato. Poche parole dirette
all’Anbu, capo del
gruppo: ‘Sapete come comportarvi’, e gli Hyuuga se
ne andarono, lasciando
Hinata con i suoi nuovi compagni. Lei li guardò,
osservandoli in quel suo modo
particolare che aveva sviluppato negli anni, senza farsi notare: non
conosceva
nessuno di loro, perlomeno non li conosceva se non di vista;
d’altra parte,
aveva “conosciuto” così tante persone
durante quelle infinite cerimonie, così
tante che non le ricordava neanche. Anche i ninja la guardarono, come
si può
guardare un condannato a morte, diverse espressioni sui loro volti:
dalla
compassione (‘povera bambolina’), al disprezzo
(‘d’altronde è colpa del suo
carattere se ora è qui’), alla più
assoluta indifferenza (‘è solo un’altra
morte in un’altra guerra’).
Un
segnale del ninja della squadra speciale, e la
squadra balzò come un unico uomo, diretta verso il luogo
delle battaglie,
contro quel paese governato da un pazzo: Suna, l’avamposto
del deserto. Hinata
si guardò indietro per l’ultima volta, provando
una fitta di malinconia per i
luoghi felici della sua infanzia; poi guardò di nuovo
avanti, e l’apatia
emotiva che la caratterizzava da vari anni ebbe di nuovo ragione di
lei. La
bambola rotta iniziava a giocare per l’ultima volta.
next-
02: once wishing heart
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Questa
fanfic l’avevo promessa alla
mia neechan Ceechan, che avverto subito: se ti aspettavi una storia
carina e
gentile, spiacente di deluderti.. perché questa penso che
sarà tutto tranne
carina e gentile! È tanto più divertente scrivere
fic intrise di sadismo.. (ku
ku ku *the sadist side of Wiwo strikes back*)
Questa
fanfic è pensata per essere
a capitoli, ma non garantisco affatto la regolarità degli
aggiornamenti…
aggiornerò quando avrò il capitolo pronto! Non
è colpa mia se sono pigra…
Hope
you enjoyed! Please review!
Alla
prossima!
Wiwo
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