La premessa a questa storia è
solo una: Piton non è mai andato da Voldemort perché intendeva cercare Harry e
dirgli che doveva morire, non l’ha mai trovato ed Harry è andato a sacrificarsi
lo stesso – la sindrome dell’eroe colpisce ancora –; così alla fine della
guerra Severus è stato catturato e rinchiuso ad Azkaban come gli altri
Mangiamorte. Ah, e ovviamente i Dissennatori sono tornati in servizio.
Bene, direi che non ho nulla
da aggiungere. Mentre la scrivevo, soprattutto verso la fine, ho avvertito puzza
di Snarry. Giuro, non era questa la mia intenzione (non ho mai pensato di
scriverne una, sebbene ne abbia lette) e quindi, se anche voi avete questo
sentore… No. Non per il momento, almeno. Può essere una buona premessa, sì, ma
nulla più – e in ogni caso non ho intenzione di farla diventare tale. È una
storia “leggera” che ho scritto ieri notte, in delirio da sonno, quindi non so
neanche come sia uscita. Giudicate voi.
Buona lettura!
La verità
Severus
osservava il mare, diviso da quelle sbarre di ferro. Attorno a lui, solo pianti
e lamenti, urla.
Lui
se ne stava in silenzio, a cercare un orizzonte che non si vedeva comunque. Solo,
con i suoi pensieri, che nessuno era in grado di portargli via.
I
Dissennatori sembravano non avere alcun effetto sull’uomo.
La
prima volta che Harry Potter andò a trovarlo, dopo la guerra, era per
“parlare”. Si era fatto scortare nella sua cella, aveva ignorato l’umidità e la
puzza e si era seduto su un piccolo sgabello – se l’era portato da fuori, dato
che non si fidava a sedersi per terra, con tutte quella sporcizia.
“Professore,
non ha nulla da dire?” aveva chiesto, con il tono sprezzante di chi ha vinto la
guerra, di chi poteva permettersi di far capire chi comandava.
È ancora un ragazzino arrogante. Tutto
suo padre, aveva pensato Severus,
ignorandolo.
Harry
si era agitato un attimo sulla sedia, innervosito dal silenzio dell’uomo. Aveva
cercato di utilizzare un’altra tattica.
“Silente
si fidava di lei. L’ha tradito, ma lui si fidava. Voglio solo sapere il
perché.”
Stavolta
l’uomo reagì, tenendo sempre lo sguardo basso.
“Che
importanza ha?” chiese, il tono di voce quasi sprezzante.
“Sono
solo curioso.”
“Beh,
spiacente, non ho nessuna intenzione di soddisfare la curiosità di un ragazzino.”
Potter
strinse i pugni, oltraggiato, ma poi riuscì a rilassarsi.
“Ha
ragione. Forse ho solo sprecato il mio tempo. Beh, a mai più rivederci.” disse,
prima di alzarsi ed andarsene, portando con sé lo sgabello. Severus continuò ad
osservare il mare.
Stavolta
se ne era interessato perché continuavano a circolare voci strane,
all’Accademia per Auror.
Si
diceva che Severus Piton fosse immune al potere dei Dissennatori, ed Harry,
ricordandosi di Sirius e della sua evasione, non poté fare a meno di chiedersi
cosa frullasse nella testa del professore; se potesse essere davvero un
pericolo o altro. Riuscì a tornare a fargli visita – essere il salvatore del
mondo magico gli dava l’accesso ad un sacco di privilegi – e lo trovò di nuovo
come la volta prima, seduto vicino alla finestra, che osservava il mare.
“Non
riuscirà ad evadere.” esordì, accomodandosi sul solito sgabello.
Severus
non si curò nemmeno di girare la testa.
“Avevi
detto che non saresti più venuto, Potter. Come la devo considerare questa visita?
Una minaccia? Comunque, per tua informazione, non ho alcuna intenzione di
evadere.”
Secco
e tagliente come sempre. Harry si ricordò che anche durante la visita precedente
non aveva abbandonato il tono saccente. Era davvero immune al potere dei Dissennatori?
“Come
fa? È una magia che gli ha insegnato il suo vecchio padrone?”
“Come
faccio a fare cosa, esattamente,
Potter?”
“A
non impazzire come tutti gli altri.”
Il
silenzio che seguì venne reso più acuto dai gemiti di agonia di un altro
prigioniero, nelle vicinanze. Severus voltò appena la testa e vide l’aura
argentina del cervo di Potter, che vigilava sul benessere mentale del ragazzo,
ma che non era abbastanza vicino per intercedere per lui.
Il
suo labbro inferiore tremò, mentre i suoi occhi osservavano il riverbero
luminoso del Patronus.
“Perché
non ho più nulla da perdere, Potter.” rispose. Poi girò di nuovo la testa e si
mise ad osservare il panorama fuori dalle sbarre “Ora vattene.” concluse, il
tono di voce un po’ più stanco.
Harry,
non del tutto convinto, uscì comunque dalla cella.
Qualcosa
non tornava, se lo sentiva. Perché Piton era tutto sommato se stesso? Perché
non si disperava, non reagiva, non urlava come tutti gli altri prigionieri?
“Perché
non smetti di esserne ossessionato a basta?” gli chiese Hermione, dopo
l’ennesima discussione al riguardo.
Già,
perché non la smetteva? Forse perché il professore l’aveva ferito così tanto,
negli anni, e in così tanti modi, che ora si sentiva frustrato dal fatto che
lui non provasse neanche un po’ di dolore. Sì, era così. Ma doveva esserci
sotto qualcosa, per forza.
Fu
per questo che tornò ad Azkaban in piena notte, quando anche i prigionieri più
debilitati dormivano. Essere Harry Potter si rivelava molto comodo, in certi
casi.
Arrivò
davanti alla cella di Piton e sbirciò dentro. L’uomo si era sistemato sullo scomodo
e unico pagliericcio. Sembrava sognare, dato che si agitava. Forse era un incubo.
Bene, aveva pensato Harry. Si sforzò di cogliere le parole.
“E
allora li nasconda tutti.” stava dicendo Piton, stringendo il pagliericcio.
Aveva la faccia contratta, come se gli costasse molta sofferenza. Si accigliò
ancora di più: probabilmente il suo interlocutore aveva risposto qualcosa di
poco piacevole.
Poi,
il dubbio. Il dubbio passò per un secondo sul suo volto, assieme alla
confusione. Infine, con un sollievo quasi disperato, Piton rispose alla persona
del suo sogno.
“Qualunque
cosa.” disse “Qualunque cosa.”
Harry,
sconsolato, tornò indietro, certo che non sarebbe mai riuscito a venire a capo
di quel mistero.
Tornò
ancora, perché il dubbio era un tarlo che continuava a rodergli dentro e lui
non riusciva a scacciarlo.
“Ma
che piacere.” lo accolse, ironico, il professore.
“Ah-ha.
Può anche sforzarsi di essere garbato, non lo sa?”
“E
a che pro?”
“Magari
le daranno uno sconto per buona condotta.”
Herry
aveva parlato con leggerezza, ma il viso di Piton si incupì.
“Non
m’interessa.” sussurrò, con lo sguardo basso.
Questo
cambiamento incuriosì Harry ancora di più.
“Perché
no? Non desidera essere un uomo libero?”
Severus
si voltò di nuovo verso le sbarre della sua prigione.
“No.”
rispose.
“Perché?”
L’uomo
stette in silenzio.
“Mi
risponda: perché?”
Ancora
silenzio.
“Mi
sta ignorando?”
Nulla.
“Mi
guardi, professor Piton.”
Niente,
l’uomo sembrava tutto preso dal mare.
Harry,
allora, irritato come non mai, fece una cosa stupida: si alzò, avvicinandosi
all’uomo e prendendogli il viso con una mano, costringendolo a voltarsi verso
di lui, a fare in modo che lui lo fissasse negli occhi. Il suo movimento brusco
aveva messo in allarme il cervo, che si era mosso con lui, per continuare a
proteggerlo: inevitabilmente, anche Severus si ritrovò ad essere sotto la sua
ala protettiva.
Harry
non fece quasi a tempo a rendersene conto, però, che vide un lampo di dolore
negli occhi del professore. La sorpresa – perché l’uomo non era mai stato
triste, nonostante i Dissennatori; non aveva mai avuto quello sguardo, mentre
lo aveva ora, con il Patronus così
vicino, che avrebbe dovuto alleviare le sue pene – fu tale che Piton riuscì a
sottrarsi alla sua presa e a voltare il capo.
“No.”
disse, la voce rotta dal dolore “Non farmi questo.”
Non farmi vedere quegli occhi.
Ancora
una volta, Harry se ne andò insoddisfatto, ma con una moltitudine di nuovi
interrogativi che gli frullavano per la testa.
Harry
tornò, di nuovo durante la notte, dopo aver passato un Halloween cercando di
soffocare le domande in un boccale di Burrobirra. Si era divertito con gli
amici, ma il tarlo sembrava farsi sempre più forte, più presente, così aveva
deciso di andare dal vecchio professore di Pozioni, stavolta per pretendere una
risposta, anche a costo di svegliarlo e di minacciarlo con la bacchetta.
Fu
stupito, quindi, quando lo vide ben sveglio, aggrappato alle sbarre della
misera finestra. La cosa che lo colpì di più, che gli impedì di entrare nella
cella, però, furono le lacrime.
Lacrime
scorrevano sul volto pallido e magro del professore.
“Perduta.”
stava dicendo lui, rivolto al mare “Morta.”
Continuava
a ripetere quelle parole, nel suo pianto silenzioso, e Harry non riuscì a far
altro che voltarsi e andarsene.
Il
pensiero che forse i Dissennatori stavano iniziando ad avere effetto su di lui
non lo tranquillizzò, come invece spesso aveva pensato, ma al contrario gli
fece sorgere nuovi interrogativi e lo lasciò turbato.
Conscio
che un nuovo confronto diretto non avrebbe portato a nulla, Harry decise di
agire in un altro modo. Ron e Hermione erano stufi di sentirlo parlare sempre
della stessa cosa, così quando lei aveva sbottato un “Vai a farti dare i suoi
effetti personali, se ci tieni così tanto!” sperando di mettere fine alla
discussione, lui ci aveva riflettuto seriamente.
Così,
ora si trovava con una piccola busta di plastica contenente la bacchetta, un fazzoletto
e il portafoglio dell’uomo.
“Tutto
qui?” chiese all’Auror che gli aveva passato il sacchetto. Quello alzò le
spalle.
Harry
sospirò, aprendolo. Prese il portafoglio – sicuramente l’unico posto dove potesse
trovarsi qualcosa, qualunque cosa – e lo aprì, frugando fra documenti di
identità, patente di smaterializzazione e qualche galeone. Un pezzo di carta
strappata gli sfuggì dalle dita e cadde, così Harry, sbuffando, si chinò per
raccoglierlo.
Un
colpo al cuore.
Sua
madre gli sorrideva dalla metà della foto che aveva inutilmente cercato a casa
di Sirius, un giorno di appena un anno prima. Sembrava felice, si gettava i
capelli dietro la schiena e allungava le braccia verso qualcuno che non si
poteva vedere, ma Harry sapeva che era se stesso, a meno di un anno, che
giocava su un manico di scopa.
Una
foto di Lily. Una foto di Lily nel portafoglio di Severus Piton.
Harry
si guardò in giro furtivamente e se la intascò. Restituì la busta all’Auror e
se ne andò, la mente ancora più piena di domande.
Tornò
a Privet Drive.
Era
da quasi due anni che non vedeva gli zii, e mai avrebbe voluto ripresentarsi a
casa loro. Ma c’era quella faccenda. Quella foto.
Suonò
e zia Petunia gli aprì. Si vedeva lontano un miglio che avrebbe preferito trovarsi
qualcun altro sulla soglia di casa, ma lo fece comunque entrare – forse
sperando di non essere vista ai vicini? – e accomodare in cucina, su una delle
scomode sedie.
“Zia,
devo chiederti una cosa a proposito della mamma.”
Lei
gli voltò le spalle, continuando a lucidare il piano della cucina.
“Conosceva
per caso una persona chiamata Severus Piton?”
Petunia
interruppe il suo lavoro, stringendo lo straccio con forza.
“…
Quell’orribile ragazzo.” disse infine, quasi sputando le parole, disgustata.
Il
cuore di Harry accelerò di parecchi battiti.
“Lo
conosceva? Perché lo conosceva? In che rapporti erano? Come…?”
La
zia non lo fece finire, girandosi di scatto e iniziando a parlare, come se serbasse
dentro di sé la cosa da troppo tempo.
“Era
un bambino orribile, viveva a Spinner’s End, un posto malfamato, ma ovviamente
a lei non importava! Perché era un mago
anche lui, certo, quell’essere impertinente, e se lo portava a casa e
cianciavano sempre di quella scuola a
cui non vedevano l’ora di andare! È stato il migliore amico di mia sorella per
anni, fino a che lei non tornò a casa un’estate annunciando a tutti che lui
aveva preso una brutta piega e l’aveva insultata pesantemente. Ah! Io l’avevo
detto che non doveva mischiarsi con gente così, che quello era un poco di
buono, un fallito, che non avrebbe mai combinato nulla nella vita!”
Come
se si fosse svuotata dopo lo sfogo, Petunia sembrò sgonfiarsi.
“E
ora vattene, ragazzo, prima che torni Vernon.” disse solo.
Lo
riaccompagnò alla porta e quasi gliela chiuse in faccia.
Harry
sembrava ancora non aver realizzato del tutto.
Si
smaterializzò coperto dal mantello dell’invisibilità, dato che la zona era babbana.
Ebbe un tuffo al cuore quando vide la casa che fino ad allora aveva ammirato
solo nelle foto della zia, da piccolo: e così, questa era la casa dei suoi
nonni, dove sua madre aveva vissuto da piccola. Conosceva il posto proprio
grazie a quelle foto, ed era così che era riuscito a smaterializzarsi.
L’erba
era incolta e il posto aveva l’aria un po’ trascurata, ma, sebbene Harry desiderasse
ardentemente entrare, non era venuto lì per quello. Sempre assicurandosi di non
essere visto, si tolse il mantello.
Trovare
Spinner’s end non fu difficile come temeva, anche se i passanti gli intimavano
di starne alla larga. Trovare la casa del professor Piton richiese invece più
tempo.
Infine,
conscio che stesse facendo una cosa illegale, Harry si introdusse nella proprietà
malmessa del suo ex professore.
La
casa era chiusa e non molto curata; era sporca, piena di polvere. Le stanze
erano cupe e il mobilio era essenziale, senza che ci fosse nulla di fuori posto
o di eccessivo. Dopo un po’ di girovagare, trovò la stanza del professore, o
quella che pensava tale. Era l’unica che presentava un qualcosa di diverso
dalle altre: sul comodino, in bella vista, faceva capolino un grosso libro
azzurro, un colore insolito rispetto ai toni della casa.
Aprendolo,
Harry scoprì che si trattava di un album di foto.
Foto
di Lily e del professore. Foto babbane e magiche, foto che ripercorrevano
l’infanzia e gli anni ad Hogwarts, fino al quinto.
Fu
la prima volta che Harry vide il sorriso sul volto di Piton. Sembrava così felice…
Di
colpo, gli ritornarono in mente tutte le piccole cose che erano emerse in quei
pochi incontri.
“Come fa a non impazzire?”
“Perché non ho più nulla da perdere,
Potter”
Una voce tormentata, nel sonno.
“E allora li nasconda tutti.”
Il sollievo, mentre prometteva tutto ciò
che poteva in cambio di quel singolo favore.
“Qualunque cosa.”
“No, non farmi questo.”
La voce rotta dal dolore, mente lo
obbligava ad osservare i suoi occhi, gli occhi di Lily.
“Perduta, morta.”
Lo sguardo rivolto al mare, le lacrime
sul viso, nel giorno dell’anniversario della scomparsa di sua madre.
La foto nel portafoglio.
La casa con l’album, le parole della
zia.
“È stato il migliore amico di mia
sorella per anni!”
Harry
chiuse gli occhi, sopraffatto da quella rivelazione.
Così, la verità.
Tornò
di nuovo a trovarlo, in quella cella buia e puzzolente. In mano, aveva un documento
per la sua scarcerazione.
“Potter,
di nuovo qui?” chiese il professore, arcigno.
“Presto
sarà fuori di prigione.”
Per
qualche secondo, Piton rimase con gli occhi spalancati, sorpreso dalla notizia.
Poi si ritirò nella sua solita espressione contrariata.
“Non
so cosa ti passi per la mente, Potter, ma io sto bene dove sto.”
Harry
non aveva mai sentito di una persona che preferiva essere chiusa e circondata
da Dissennatori piuttosto che libera. Sospirò.
“Cosa
c’è che non va nella libertà, professore?”
“…
Non ho nulla da fare. Non mi resta comunque più niente.”
“Si
sbaglia.”
Piton
alzò lo sguardo, per la prima volta da quando lui aveva iniziato ad andare a trovarlo,
fissandolo negli occhi.
“Deve
raccontarmi tutto di lei,
professore.”
Piton
girò di nuovo la testa, osservando fuori dalle sbarre.
“…
Sei un impertinente, Potter. Chi ti ha detto di curiosare nella mia vita?”
Harry,
nonostante tutto, sorrise.
Ora
che aveva di nuovo un legame con la sua famiglia, non aveva intenzione di perderlo.
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