I personaggi di cui narro non mi appartengono. Nascono dalla
fantasia e sono di proprietà di Rioko Ikeda e
della TMS.
Nota dell’autrice: Adoro, tra gli altri, Alain e questa
storia è dedicata a lui. Si tratta di un racconto breve. Una
“What if…”
CONFESSIONE
Entrare nell’atrio passando dalla luce piena della mattina
che regnava all’esterno gli fece sembrare
l’interno particolarmente buio.
Le vetrate colorate in alto ai lati del transetto e le poche candele
non riuscivano a rischiarare completamente la navata.
Qualche cero doveva essersi spento perché qualche voluta di
fumo e l’odore acre tipico della fiamma che non è
più tale si diffondevano nell’aria.
A quell’ora del mattino i banchi erano quasi completamente
vuoti.
Solo qualche vecchietta, imperterrita, restava inginocchiata a sgranare
il rosario.
In fondo, dietro all’altare, un cristo ligneo dagli occhi
socchiusi e dal fianco lacerato sopportava i suoi chiodi con
rassegnazione. O forse erano le preghiere della gente che ascoltava
con passiva pazienza?
L’uomo continuava a chiedersi perché mai fosse
entrato.
Perché sentisse il bisogno di fare una cosa del
genere…
Il suo servizio di guardia notturno era appena finito ma lui invece di
rientrare subito in caserma si era recato in quel posto.
Si guardò in giro cercando di mettere a fuoco
l’ambiente.
Qualche statua dalle dita sberciate e dagli occhi troppo rivolti verso
l’alto per interessarsi veramente alle pene terrene dei
fedeli alloggiava nelle fredde edicole.
Chissà forse quei santi volevano solo nascondersi in quelle
nicchie…solo dire… “lasciatemi
stare…io non posso fare niente per voi!”.
Quanto tempo era che non entrava in una chiesa? L’ultima
volta era stato in occasione del funerale della madre e poco prima per
quello della sorella.
Sì, forse quello era il posto giusto per esorcizzare il
dolore…quel posto al dolore ci era abituato…lui
invece non riusciva ad assuefarcisi.
Finalmente trovò “il proprio muro del
pianto”.
Al confessionale era inginocchiata una donna.
Aveva un velo nero in testa e l’aria contrita.
Quando si alzò, dopo aver fatto il segno della croce, Alain
esitò.
Poi si arrese. Ne aveva bisogno. Doveva dirlo a qualcuno. Doveva
togliersi quel peso dall’animo.
Si inginocchiò a sua volta sul duro legno.
Il fucile ancora sulla spalla.
Guardò attraverso la graticola senza veramente desiderare di
vedere il suo interlocutore.
Poi cercò di ricordare la formula di rito e un attimo prima
di pronunciarla, senza poterselo impedire, pensò: - Che
strano. Vengo a cercare aria proprio qui dentro? - Poi:
“Perdonatemi padre perché ho
peccato…” disse in fretta.
Era stato veramente un peccato il suo?
No! O meglio, forse sì.
Ma non era quello il peccato che voleva confessare.
Quello di cui voleva farsi perdonare non era ciò che aveva
fatto, bensì che non riusciva a pentirsene.
Non riusciva a provare rimorso per tutto quello.
Aveva, con il suo comportamento, distrutto tutto, eppure non riusciva a
desiderare di tornare indietro.
Non riusciva a dirsi che se il tempo avesse potuto arretrare lui
avrebbe agito diversamente.
Era stato spregevole.
Era stato meschino.
Era stato ignobile.
Nei confronti di lei.
Nei confronti di lui.
E ora li avrebbe persi entrambi.
Ma per quanto potesse fare o dire non c’era verso.
- Perdonami Signore perché lui l’ama ed era sua.
Perdonami Signore perché l’amo ed è
stata mia.
L’amo eppure questo non mi ha fermato.
L’amo ed è per questo che non mi sono fermato. -
“Ti ascolto figliolo…”
- Figliolo….mi pare di sentirlo lui invece….-
“Non voglio ascoltarti figlio di puttana!”
La mia mente non ha bisogno di tornare a quei momenti per ricordare.
Tutto è rimasto continuamente e ostinatamente impresso nel
mio cervello.
A ripetersi, a reiterarsi incessantemente.
Senza darmi tregua. Troppo bello e troppo doloroso per riuscire a
cancellarlo o anche solo a relegarlo da qualche parte nella mia testa.
Come fai a scacciare qualcosa dai tuoi pensieri quando ti scorre sotto
la pelle?
Come fai a scordare quando anche solo dar da lavare la tua giubba ti
è impossibile, perché lei ci ha lasciato sopra il
suo odore?
E il mio?
Lui si è accorto di quell’odore
“alieno” che avevi addosso? Si è accorto
del mio odore su di te?
Potrei dire che ho provato a fermare tutto. Potrei discolparmi dicendo
che è tutto iniziato da lei…
Ma chi ho da prendere in giro se non me stesso?
Sapevo che finalmente lei era tua.
Avevo capito che i vostri corpi si erano appartenuti come da sempre
facevano gli animi.
Che ogni momento era buono per restare uno nelle braccia
dell’altro.
Che appena potevate, eravate a scambiarvi promesse con i respiri.
Vi ci ho quasi spinti io…
Fino ad essere invadente, cattivo, inopportuno.
E l’ho fatto perché desideravo vedervi felici. E
l’ho fatto, perché dovevo saperla tua. Per
impedirmi di continuare a provare questo assurdo, scorretto, profondo,
immenso bisogno di lei.
Illudersi che vedervi finalmente uniti mi avrebbe aiutato, è
stato breve quanto inutile.
Anche quella sera sarebbe dovuta andare così. Anche quella
sera lei avrebbe dovuto essere con te. Sarebbe dovuta essere tra le tue
braccia.
Sarebbe…
La vigilia di Natale e una caserma vuota.
Tutti a casa, a fare finta che vada tutto bene, a fingere che ci sia a
tavola qualcosa da mangiare che non sia il proprio stesso fegato.
Tutti nelle taverne a imporsi di divertirsi e a svuotarsi i
coglioni e la tasca.
Io non ho più Diane. Non ho più mia madre. Sono
solo.
Stasera non mi va di andare a bere birra che pare piscio e a provare di
scordarmi di lei tra le cosce di un’altra.
Siamo rimasti in due nel buio pesto. Io e lui.
Ma so che tra un poco troverà una scusa per raggiungerla.
Che si sarà inventata lei per non tornare a casa?
Quali disordini da placare? Quanti mondi da salvare?
Ma André stasera sembra triste…no, direi
piuttosto…deluso.
È steso nella sua branda con le mani dietro la testa e i
pensieri persi chissà dove.
No. Lo so dove sono i suoi pensieri. Sono proprio dove si trovano anche
i miei. Sono con lei.
“Ehi André che ci fai qui? Pensavo che
stasera saresti andato a casa tua…”
Mento in tono casuale.
Lui esita un secondo, poi si fa sfuggire un sospiro.
Uno di quelli che dicono tutto.
Dopo qualche momento rompe il silenzio.
“Oscar…il Comandante ha dovuto presenziare ad una
cena organizzata dal Generale Bouillé e quindi
io…non mi andava di tornare a casa da
solo…”
“Capisco…” gli faccio io di rimando.
Le nostre laconicità sembrano galleggiare
nell’oscurità.
Nella camerata c’è il buio quasi totale, ma questo
non da fastidio a nessuno dei due.
Solo una linea sottilissima di luce che mi ricorda una striscia
disegnata col gesso, fugge dal corridoio per insinuarsi sotto la porta.
Il buio ci protegge entrambi.
Abitua lui a quello che forse un giorno sarà la
sua condizione perenne.
Aiuta me a non dovermi stampare il sorriso beffardo di sempre sulla
faccia.
Lui sembra voler dire qualcosa ed io prego che il
“discretissimo” André non abbia scelto
proprio questo momento per farmi le sue confidenze.
Per dirmi che è felice.
Per dirmi che lei adesso è sua.
Lo so amico, lo so, ma ti prego stasera non voglio sentirlo…
Lasalle viene a salvarmi da tutto quello.
“Ehi ragazzi…ragazzi ho bisogno di
voi…”
Ha spalancato la porta della camerata e la luce adesso ci
investe con malagrazia.
“Che diavolo ti succede Lasalle? Non dirmi che ti sei perso
qualche altro pezzo d’artiglieria…”
“Alain, smettila di fare lo stronzo anche a Natale!”
“Buona sera anche a te Lasalle.”
“Morau sta male...chissà cosa cavolo ha
mangiato…ed io l’ho accompagnato in infermeria, ma
adesso sono da solo…ho bisogno di qualcuno che mi aiuti con
la ronda notturna…”
“Ho capito…ho capito…” dico
quasi grato di poter avere qualcosa con la quale distrarmi, e faccio
per alzarmi, mentre aggiungo “ma voglio una gratifica da
Babbo Natale…”
“No Alain lascia, vado io. Preferisco…”
dice André.
“Ma…”
“Dai…davvero, tranquillo!”
Esito solo un momento. Poi decido di fare spallucce. Lui si alza e si
richiude la giubba, riprende il suo cappello facendo per
uscire…
Si ferma sulla porta e si gira verso di me.
“Alain…”
“Mmh?”
“Buon Natale…”
Il dormitorio ripiomba nell’oscurità quando la
porta si richiude piano sulla mia schiena mentre il suono dei passi dei
due uomini nel corridoio si smorza gradualmente.
Il tempo passa, ma il sonno tarda a farmi da coltre.
La branda stasera mi pare troppo stretta…
Il soffitto troppo basso…
Il silenzio troppo assordante…
Le ore stanotte vanno via lente…mollemente adagiate sul mio
cuscino.
Finalmente le mie palpebre si chiudono piano sul mondo…
Queste carezze…queste labbra straordinariamente tenere sulle
mie…questa cannella mista a vino nella mia bocca, questo
profumo leggero di rose che soggioga così facilmente i miei
sensi, il peso dolce del suo corpo caldo contro il mio…
Finalmente mi sono addormentato…e finalmente sogno di lei
come tante volte mi è già successo…
E come tante altre volte l’effetto su di me è
immediato.
Dio sembra tutto così vero…tutto così
meraviglioso…
E’ tutto così perfetto da sembrare
reale…
La mia visione onirica mi sta dicendo qualcosa…cosa?
“André…André…ho
trovato una scusa e sono scappata via…non posso stare
lontana da te…né stasera né
mai...” e mi bacia, mi bacia come vorrei che fosse
l’ultima cosa che mi fosse concessa prima di
morire… mi bacia come ho desiderato così tante
volte da starci male.
La violenza di tutto quello che sta accadendo mi colpisce
all’improvviso lasciandomi sconvolto e strappandomi
completamente al limbo del dormiveglia.
C’è il nero totale nella camerata e le nostre
sagome si distinguono appena.
Lei è tra le mie braccia…e pensa di essere con
lui…pensa di essere con André e non con un
usurpatore…
Faccio per parlare, per dire qualcosa…devo dire qualcosa!
Devo staccarla da me. Devo mettere distanza tra quel suo magnifico
corpo e il mio… Ma lei si stringe così tanto a
me…mi bacia con così tanto trasporto…
“Forse…solo un altro bacio…”
mi dico “le ruberò solo un altro piccolo bacio e
poi le spiegherò…poi la manderò
via…”
Ma le sue mani mi cercano e la sua bocca si fa da tenera ad
appassionata mentre il mio cervello si svuota delle ultime briciole di
raziocinio e coerenza rimasti. Smetto di pensare…
Lo fa per me il mio corpo…lo fanno per me le mie mani. I
miei sensi si acuiscono quasi dolorosamente. Sento che
l’istinto sta avendo la meglio e che adesso non potrei
tornare indietro neanche se lo volessi.
Le mie reni scattano.
Con un gesto imperioso la porto sotto di me…
Dio! Il suo profumo…la sua pelle…la seta di quei
capelli…
Droghe…droghe…
Sono queste droghe che mi impediscono di chiedermi “Che stai
facendo Alain? Che stai facendo? Devi lasciarla…devi
fermarti e dirglielo…”
Lei si muove sotto di me…la sua bocca gioca contro la pelle
del mio viso…del mio collo…il suo respiro si
spezza contro il mio…
Non puoi!…Non puoi, Dio, farmi questo!…Non puoi
mettermi alla prova in questo modo!
Lei mi vuole…lo capisco da come si struscia contro la mia
carne…da come mi bacia…da come mi
tocca…
No, no! Maledizione!
Lei non vuole me, non sta cercando me, ma lui, è a lui che
sta chiedendo un attimo di eternità…a lui che sta
donando amore… è con lui che vuole perdersi.
Ma io voglio lei…io amo lei…solo lei…
E anche io ho bisogno della mia eternità…anche io
ho bisogno di perdermi…ritrovando lei…
I miei palmi, le mie dita, la mia bocca, si muovono sulla sua pelle
nuda adesso.
Le mie labbra sulle sue.
Le sue dita, come ali leggere che palpitano, si inseguono sul mio petto.
Lei che mi trae a se, in una muta richiesta.
Voglio ricordarmela per sempre questa sensazione. Questa cosa
meravigliosa che non ho mai provato con nessuna prima e che sono sicuro
non riproverò mai più se non con lei.
Geme sotto il mio tocco.
Non immagina quello che mi sta facendo. Non sa che sono ubriaco di lei.
Non sa che se mi chiedesse la luna adesso io strapperei quella falce
dal cielo e gliela darei.
Non sa che se mi chiedesse di morire io morirei per lei.
Non sa che io lo sto già facendo.
Sto morendo perché non posso urlarle che l’amo.
Sto morendo perché è mia e non lo è
affatto.
Sto morendo perché sto per entrare in lei e lei è
dentro di me da un tempo infinito.
Lei sospira di sollievo quando finalmente sente la mia carne dura
dentro di se.
Mi prega…
“Non smettere…” mi continua a
dire…”Non smettere…”.
Io sento che il piacere è quasi intollerabile.
Sento che il mio cuore sta per scoppiare…
Lei mette le mani sui miei glutei e mi spinge possessivamente verso di
se.
Affondo…
Sempre più, mentre i suoi
“Sì…” si uniscono ai miei.
Raggiungiamo il piacere quasi insieme. Quel piacere che ci urliamo
sotto mentite spoglie di bacio profondo.
La stringo forte…fortissimo.
Vorrei restare così per sempre ma lei, si libera in
fretta…troppo in fretta, dalle mie spire.
Io la prendo per il braccio. La tiro cercando di fermarla, per
dirle…Oddio santo per dirle cosa?
Uno “scusa tanto Oscar ma io non sono
André… sono soltanto
l’altro…ma è tutto apposto
perché tanto ti amo anch'io!”…per
dirle questo?
Lei resta così…per qualche secondo nel
buio…pare voler dire qualcosa poi mi lascia un suo ultimo,
che è per me veramente tale, tenero bacio sulla bocca e
scappa via da me.
“Figliolo…dimmi cosa c’è che
ti tormenta”?
L’uomo si riscuote. Guarda ancora verso la grata che lo
divide dal Paradiso. Scuote la testa. Si alza di scatto e va via.
…..
Fa freddo, ma la neve che è scesa copiosa sembra invece aver
fatto alzare la temperatura di qualche grado rispetto ai giorni
precedenti.
In un manto bianco ricopre la terra battuta della piazza
d’armi e i soldati cercano di spalarla alla meno peggio per
permettere il passaggio dei cavalli.
Qualcuno, ogni tanto, si ferma per portare le mani a coppa verso la
bocca e soffiarvici aria nel vano tentativo di scaldarle un
po’.
Il cielo è terso e azzurro quasi nella sua interezza. Come
se un pittore avesse dimenticato le pennellate di bianco
destinate alle nuvole.
Il nuovo anno è appena iniziato.
Ma nessuno si fa grosse illusioni.
Nessuno ha grandi aspettative.
Men che mai lui che ha deciso di portare con se quel segreto.
Che ha deciso che andarlo a raccontare significherebbe solo scaricarsi
la coscienza e portare sofferenza agli altri due.
Tanto lui se ne porta dentro in abbondanza…per tutti.
Giocherella con un filo sottile d’erba tenuto tra le labbra.
Lei gli passa davanti.
Con un aria che non ha niente di terreno. Troppo eterea. Troppo divina.
Come sempre.
“Comandante…” si rimette sugli attenti
lui.
“Riposo Alain…riposo…”
risponde di rimando lei.
“Buon anno comandante”.
“Buon anno anche a te…”
Un ultimo impeto di coraggio a nascondere il fatto che non riesce a
guardarla negli occhi.
“E il mio regalo di nuovo anno comandante?” chiede
con quell’aria di finta indolenza che tante volte lo ha
“difeso”.
Lei si ferma un secondo.
Si volta appena per arrivare con gli occhi nei suoi…
Sorride a mezza bocca.
“Penso… che quello che ti ho fatto a Natale ti
possa bastare Alain…”
Si volta nuovamente e continua per la sua strada, senza voltarsi, senza
aumentare l’andatura, senza che si avverta il minimo
cambiamento in lei.
Si lascia indietro lui.
Il corpo appoggiato, adesso, al muretto dietro di se alla ricerca di
sostegno.
Il filo d’erba caduto dalla bocca aperta. Gli occhi sgranati
e il cuore nelle orecchie….
Fine
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