NOTE: In questo crossover,
Liam è Mark e Zayn è Wardo. Sean è Sean perché non mi piaceva dargli le
sembianze/caratteristiche di uno dei ragazzi, essendo nel film un personaggio
negativo. Danielle è, chiaramente, Erica.
Anche questa è vita: ingoiare una polaroid di carta vetrata,
regressione
in chiave etilica di un'altra giornata
Dove sei? Mi hai lasciato in un oceano
di filo spinato
Io ti ho dato prati di viole e tu cemento armato
Non è che Liam non si ubriachi mai. Anzi, beve quando va a
improbabili feste caraibiche con le immagini delle cascate del Niagara a fare
da sfondo anche se “con i Caraibi non c’entrano proprio niente”; beve quando
scrive il codice di siti che gli procureranno guai, gloria e poi ancora guai;
beve quando non sa cosa fare e beve quando ha troppo da fare, e nel suo
frigorifero a Palo Alto, oltre a due cartoni di succo d’arancia, a un tubetto
mezzo vuoto di maionese e a un mouse, non c’è praticamente altro oltre a
qualche dozzina di bottiglie di vetro verde della sua birra preferita.
No, non è quello il problema. Non è l’alcool che gli scorre
nelle vene a fargli pompare il cuore così forte che forse potrebbe scoppiare.
Non è l’alcool, ma il motivo per cui beve: un desiderio che ha tenuto per
troppo tempo nascosto nelle viscere e nel cervello. Un desiderio che è nato ed
è cresciuto in silenzio, ed è stato poi alimentato da quel senso di vuoto, di mancanza
che sente da quando ha lasciato Harvard, da quando sta in California. Che si è
attutito un po’ solo quando Zayn si è presentato alla porta della sua casa a
Palo Alto, vestito di tutto punto e fradicio, con l’impermeabile nero
appiccicato al corpo e i capelli schiacciati sulla fronte. Fradicio e incazzato
perché qualcuno si è dimenticato di andare a prenderlo all’aeroporto, ma
a Liam è venuto solo da sorridere quando lo ha visto: un po’ perché, quando
quel peso sullo stomaco improvvisamente scompare proprio in quel preciso
istante, realizza quanto Zayn gli sia mancato davvero; un po’ perché, anche se
non lo pensa esplicitamente, arrabbiato e bagnato il suo amico è ancora più
bello del solito. No, l’alcool non è decisamente il problema principale.
Perché Liam sa fin troppo bene come scrivere il codice di
intere pagine di html, sa perfettamente come far funzionare uno script java o
come testare un documento asp. Ma tutti quei codici, quelle stringhe di
caratteri, quelle righe di comando e quelle sfilze di numeri, nette, pulite,
precise, nero su bianco, non lo aiutano a capire le persone che gli stanno
attorno: quegli esseri volubili e imprevedibili, fatti sì di impulsi elettrici
studiabili e controllabili, ma anche di qualcos’altro, qualcosa che a Liam
sfugge. Qualcosa che a Liam, come succede per tutte le cose che gli sfuggono,
fa paura.
Liam non comprende proprio le
persone; ma la persona che capisce meno di tutte è lui stesso.
~
Si capisce davvero pochissimo
quando, con l’alito che sa di birra e di quel miscuglio schifoso di succo
d’arancia e tequila che gli ha preparato Sean, sbatte Zayn contro il muro e lo
bacia con ardore, con urgenza. Labbra calde che premono contro altre labbra,
mani tra i capelli e lingue che si fanno spazio dove non dovrebbero.
Perché quelle labbra sono di Zayn, e Zayn è il suo migliore
amico. Perché lui è Liam Payne. Perché Danielle l’ha lasciato e lui non ha
provato niente, se non una leggera puntura nell’orgoglio. Per un milione di
altri motivi a cui Liam non pensa mentre lo bacia e lo strattona quasi per
tirarlo più vicino a sé, senza rendersi conto che i loro corpi sono già inconfutabilmente
premuti uno sull’altro, a combaciare perfettamente, quello di Zayn schiacciato
con la schiena contro il muro dal peso di Liam.
Nessuno dei due si accorge di come arrivano nella camera di
Liam, o di come cadano sul letto. Eppure succede, e decisamente non è l’unica
cosa che succede quella notte.
~
Liam si sveglia tirandosi su a sedere di scatto e inspirando
forte, con la netta impressione di avere qualcosa di urgente da fare. Non fa in
tempo a capire cosa sia quella sensazione che due occhi scuri, leggermente umidi
e sornioni, accompagnati da una chioma scura disordinata e da un sorriso
radioso, appaiono nel suo campo visivo, leggermente alla sua destra. Nel suo
letto.
È solo un flash di qualche secondo, ma all’improvviso gli
franano addosso uno ad uno tutti i dettagli della sera prima, un puzzle che fa
ancora fatica a mettere insieme. Si ricorda di pensieri inopportuni, della
mente leggermente annebbiata, e poi di baci disperati, di respiri affannosi, di
scarpe calciate via in fretta e di vestiti quasi strappati di dosso. E si
ricorda di tutto quello che è venuto dopo. Arrossirebbe, se Liam Payne fosse
capace di arrossire. Invece si volta verso Zayn con un’espressione che deve
essere proprio orribile, perché fa sparire ogni traccia di sorriso e di
felicità dal suo volto.
Aprono la bocca insieme per parlare, ma nessuno dei due lo
fa. L’espressione vuota di Liam fa da contrasto agli occhi spalancati e
all’espressività marcata di Zayn. Che è deluso e ferito lo si capirebbe lontano
dieci miglia. Eppure Liam non ha ancora parlato.
«Devi… devi uscire di qui. Devi andare via» dice finalmente
sbrigativo, alzandosi dal letto e iniziando concitatamente a raccogliere
vestiti a caso dal pavimento della stanza, con gesti rapidi e scoordinati.
«Forse… uhm, forse è meglio se torni ad Harvard» continua
come se parlasse tra sé e sé, gli occhi bassi e la voce tremante.
A Zayn fa comunque più male di quello che dovrebbe. Perché
lui lo conosce meglio di chiunque altro, Liam, e sa cosa aspettarsi da lui; sa
leggere i suoi comportamenti e interpretarli, sa vedere oltre quella facciata
da robot freddo e insensibile, sa cogliere i suoi veri sentimenti. Eppure il
dolore che gli strazia il petto quando sente quelle parole non ha niente a che
fare con quello che la sua mente pensa razionalmente, non si può aggirare o
evitare grazie al pensiero logico. Fa male e basta.
E Zayn non glielo dice che ha già l’aereo prenotato per quel
pomeriggio e che lui lo sapeva, anzi si era offerto di accompagnarlo
all’aeroporto. Vorrebbe dire questa e tante altre cose e invece tace.
Tace anche quando Liam gli mette in mano poco delicatamente
i vestiti che ha raccolto, tra i quali spunta anche la sua stessa maglia
azzurra della sera precedente, e lo spinge verso la porta, ancora in boxer. Non
dice una parola quando, alla fine, si ritrova all’esterno, nel corridoio, e la
porta si chiude alle sue spalle con un tonfo sordo.
~
Liam si siede sul bordo del letto, lo sguardo perso nel
vuoto. Per un momento, si permette di non pensare.
Poi però mette a fuoco qualcosa sul pavimento, qualcosa che
non quadra, e si china per raccoglierlo. Appena le sue dita sottili sfiorano
l’oggetto Liam si trova a pensare che vorrebbe non averlo notato, che vorrebbe
tanto non avere quella fastidiosa mania per cui gli oggetti devono essere sempre
allineati tra di loro, in linee parallele o perpendicolari. Per qualche secondo
maledice quel quadratino di carta lucida per non essere caduto sul pavimento in
modo più ordinato e per essere invece svolazzato fino a terra formando un angolo
fastidioso – di sicuro di meno di quarantacinque gradi – con il bordo del letto
di legno scuro.
Nella polaroid che Zayn gli ha probabilmente scattato poche
ore prima – ma che genere di persona porta nella ventiquattrore una macchina
fotografica di quel tipo? –, è ritratto proprio lui, Liam. Dorme beato, con i
capelli arruffati che gli scendono sugli occhi.
L’unico problema è che Liam non ha mai dormito “beato”. Ha
sempre parlato nel sonno, si è sempre agitato e arrotolato nelle coperte o
ritrovato in posizioni strane, come se per lui dormire fosse sempre stata una
lotta, uno spreco di tempo, un’incombenza necessaria quanto fastidiosa che non
gli permetteva di sfruttare tutto il tempo che aveva a sua disposizione in una
giornata. Ed è forse per questo che Liam non si riconosce in quell’immagine.
O forse c’è di più.
Liam non capisce e non capire lo agita.
Eppure, quello che ha in mano è un oggetto, un semplice
pezzo di carta fotografica impressionata dalla luce che, grazie a particolari
sostanze chimiche, ha ricreato un piccolo pezzo di realtà. È solo un oggetto
inanimato, freddo… razionale. Come piace a Liam. Qualcosa di riconducibile ad
atomi e molecole, senza stupidi impulsi che rovinino quella perfezione statica.
E allora perché lui riesce a vedere, a toccare,
a sentire l’amore che quell’oggetto racchiude in sé? L’amore che ci ha
messo la persona che l’ha scattata, quella fotografia. L’amore che trabocca dai
bordi bianchi, che la invade come la luce soffusa e calda che avvolge quel Liam
scarmigliato e sereno. Perché riesce a percepire il sorriso appena accennato e
caloroso che Zayn deve aver fatto quando l’ha scattata, quel sorriso che gli fa
arricciare e brillare gli occhi, che gli fa tremare le mani? Il sorriso che fa
quando è felice.
No. Il sorriso che fa quando guarda lui.
~
Zayn appoggia la testa contro il muro e chiude gli occhi.
Non è riuscito a fare più di due passi, dopo essere uscito – be’, essere stato
sbattuto fuori – dalla camera di Liam: ha dovuto fermarsi e ricordarsi di
respirare profondamente, battendo un pugno contro il muro e appoggiandovisi con
tutto il peso del proprio corpo stanco. Gli fa male il cuore. Nella luce gialla
del giorno appena iniziato, Zayn non sa cosa succederà e non riesce nemmeno a
pensarci. Deve pensare solo a respirare.
Non sa che presto Liam diluirà le sue azioni, sbattendolo
effettivamente fuori, oltre che da quella stanza, anche da Facebook. Non sa
della causa che lui stesso intenterà contro di lui, non sa dei milioni di
dollari per cui si sfideranno in tribunale. Non sa che, in realtà, non sarà di
soldi che parleranno per ore a quel tavolo di legno massiccio, davanti ai loro
avvocati, e non sa che, comunque, questo lo sapranno solo loro due.
Eppure lo sente. Sente che questo è l’inizio, la causa e la
fine di tutto.
I heard you say you loved me in your sleep
What I'd give to be in that dream *
* “Ti ho
sentito dire che mi amavi nel sonno, cosa darei per essere in quel sogno”
NOTE di Summer
E che
è ‘sto scempio? Aaron Sorkin ti prego perdonami, non so quel che faccio. Ho
pure inserito la luce gialla nella fic per ingraziarmi te e Mr. Fincher. So che
non è abbastanza.
Ringrazio
everybodyneedsshirin
per le sempre gentili parole con le quali mi incoraggia (ricordiamo “e vedi se
ti muovi”) e per gli input provenienti dal nerd!Liam sul quale PRIMA O POI pubblicherà
qualcosa (tipo ORA!).
Ringrazio
anche iTunes che al momento giusto ha tirato fuori “Cemento armato” de Il Cile.
E ringrazio ma chiedo anche scusa a Tyler Lyle (ma un po’ anche a voi) perché
ho rubato la frase finale a “Anyhow”.