Note
dell'autrice: Questa one-shot è scoppiata nel mio
cervello come
un grosso brufolo fastidioso. Capisco che dopo una simile metafora
una persona normale sia tentata a non
leggere niente di quanto seguirà, ma vi assicuro che questa
fan
fiction è assolutamente brufolo-free.
Ora, giusto per non scrivere sempre note dell'autrice stupide,
aggiungerò qualche dettaglio a caso in modo da apparire
più
intelligente e professionale.
- Mi sembra doveroso sottolineare
che il titolo non è che una scopiazzatura feroce della frase
pronunciata nella triste pellicola del Prigioniero
di Azkaban da
Sirius: «Tu sai che uomo sei veramente».
Sì, beh, insomma... tutti i diritti vanno alla Warner Bros,
a J.K. Rowling e a chi se li merita sul serio.
- Le battute pronunciate da James
e Sirius sono naturalmente tratte da Harry Potter e l'Ordine della
Fenice.
- Un grazie speciale a Emme,
che mi ha dato un consiglio per niente stupido e alla quale
verrà dedicata la Nc-17 tagliata da questa one-shot. Sei un
tesoro, donna.
*
Tu
sai che uomo sei veramente
In
tutta la sua vita, Remus era entrato nell'ufficio di Silente solo in
cinque occasioni ben distanti le une dalle altre, eppure non credeva
di averne mai visto mutare l'aspetto nel corso degli anni. D'altronde
nemmeno Silente era mai mutato, e quello era probabilmente l'unico
motivo per il quale si trovava ancora dietro la propria scrivania a
pizzicare caramelle e dolcetti con l'innocenza di un bambino, mentre
il mondo al di là delle possenti mura di Hogwarts continuava
a farsi
e disfarsi.
L'aura
di solenne saggezza del Preside era sempre stata una certezza
inviolabile. Albus Silente era il più grande mago di tutti i
tempi,
era l'uomo più straordinario che Remus avesse mai avuto
l'onore di
conoscere, ed era lo stesso anziano con la lunga barba candida
intento in quel momento a sgranocchiare Piperille.
Remus
attese paziente sulla soglia. Sorrise con tiepido affetto nel vederlo
sbattere un paio di volte le palpebre con una buffa smorfia e
sbuffare una piccola nuvoletta di fumo verde dalla bocca.
«Oh,
povero me...» ridacchiò divertito, mentre invitava
Remus a entrare
con un elegante cenno della mano. «Le Piperille di Mielandia
diventano di anno in anno sempre più piccanti. Ne
gradisci una,
Remus?».
«No,
grazie».
«Continui
a preferire i Cioccoli Giganti?».
«E
con invereconda passione, signore».
Silente
sghignazzò sotto i grossi baffi bianchi, si
raddrizzò distratto gli
occhiali e si alzò lentamente in piedi. A Remus non
sfuggì
l'impercettibile smorfia addolorata che contrasse il suo volto.
«Ti
chiederai per quale motivo ho richiesto tanto insistentemente la tua
presenza qui, quest'oggi» iniziò a parlare
Silente, misurando a
blandi passi la larghezza dell'ufficio. «Nutro profondo
rispetto per
te, Remus, quindi spero mi perdonerai se preferirò non
aggirarmi
oltre attorno al motivo della nostra conversazione. Come ben sai, la
nostra resistenza contro Lord Voldemort non sta producendo gli esiti
sperati. Non che io avessi aspettative più rosee, in
effetti, ma
temo che la situazione stia precipitando in maniera
inesorabile». Si
interruppe per concedersi un lungo sospiro affranto. «Il
Ministero
non è ancora organizzato per contrastare il suo drammatico
ritorno e
non confido nelle capacità di Rufus Scrimgeour
più di quanto non
confidassi in quelle di Cornelius Caramell. Ombre scure si alzano dal
fronte di Lord Voldemort e nuove alleanze allargano le sue schiere...
mentre le nostre rimangono immobili a perdere tempo
prezioso».
Remus
assottigliò confuso le palpebre e inclinò lieve
il capo.
«Nuove
alleanze?».
Silente
gli rivolse uno sguardo particolarmente grave. Quando parlò,
la sua
voce parve sibilare sulla testa di Remus come l'impietosa lama di una
ghigliottina.
«Fenrir
Greyback».
Fu
come ricevere mille pugni alla bocca dello stomaco. Remus
trasalì e
sgranò gli occhi al suono di quel nome. Il suo piede destro
indietreggiò istintivamente verso la porta, le dita
tradirono un
fremito spaventato. Nella sua mente esplose nuovamente il basso
raspare delle zampe, l'immondo olezzo del fiato del Lupo Mannaro, le
grida, il terrore e la preghiera di un bambino che scongiurava che
tutto quel dolore potesse finalmente terminare. Sfiorò
distrattamente la spalla destra, laddove le zanne di Fenrir Greyback
erano affondate nella sua carne quasi trent'anni prima.
«Buon
Dio...» mormorò debole.
«Non
mi dilungherò in inutili spiegazioni su quanto
l'avvicinamento di
Greyback a Lord Voldemort sia pericoloso»
riprese Silente.
«Sarebbero parole vuote e noiose per le orecchie di
entrambi».
«Cosa
vuole che faccia?».
Il
mago più anziano parve stupito della schiettezza della sua
domanda.
Rimase immobile nel centro del suo ufficio, con i penetranti occhi
azzurri puntati con rammarico su di lui.
«Devi
fermarlo».
Remus
inarcò un sopracciglio. Nonostante l'ingrata situazione,
l'angolo
della sua bocca si arricciò in un sorriso sarcastico.
Mostrò
entrambi i palmi della mani e replicò blando:
«Temo
di essere il Lupo Mannaro meno qualificato per una sfida all'ultimo
sangue con una creatura come Fenrir Greyback. Le suggerisco qualcuno
un poco più avvezzo agli artigli».
«Non
lo sto chiedendo a un Lupo Mannaro. Lo sto chiedendo a te».
Silente
gli volse le spalle prima che il suo tono gentile riuscisse ad
attecchire nella mente di Remus. “Lo sto chiedendo a
te”. Remus
abbassò il capo e si umettò le labbra. Fermare
Fenrir Greyback non
era un compito che avrebbe potuto portare felicemente a termine.
Greyback era la bestia più crudele e feroce che avesse mai
insanguinato la Gran Bretagna – e i suoi ricordi e i suoi
incubi
erano altrettanti feroci e insanguinati. Era l'unico avversario che
temeva di fronteggiare, l'unico mostro del proprio passato che non
avrebbe mai potuto cancellare. Per orgoglio non l'avrebbe mai
ammesso, ma Fenrir Greyback era quasi certamente la più
agghiacciante delle sue paure.
Silente
si diresse verso uno dei ripiani della libreria alla sinistra
dell'ampia finestra che si apriva sul Lago Nero e prese una piccola
scatola decorata con quattro teste di drago dagli occhi di giada.
«I
proclami di Greyback stanno diventando sempre più incisivi e
maggiore sta diventando il numero di reietti che le sue lusinghe
portano dalla parte di Lord Voldemort. Bisogna interromperne l'ascesa
al più presto: le conseguenze potrebbero essere
insostenibili».
«E
cosa potrei mai fare io?» chiese con veemenza Remus.
«Infilarmi fra
la gente dei bassifondi e redarguire ogni Lupo Mannaro su quanto sia
scortese banchettare con carne umana?».
«Oh,
certo che no. I rimproveri non erano la tua specialità
nemmeno
quando hai insegnato Difesa Contro le Arti Oscure... della cui
cattedra, perdona la sfrontatezza, detieni ancora il primo posto come
miglior insegnante» replicò amabile il Preside.
Appoggiò la
scatola sulla scrivania e aggiunse con voce più tetra:
«Desidero
essere quanto più franco possibile, Remus: non è
mia intenzione
costringerti a compiere questa missione. Sei un uomo accorto e puoi
valutare da te i pericoli che dovrai affrontare».
«Ce
ne è uno in particolare che vorrei sottolineare, signore:
Fenrir
Greyback mi conosce. Sa che lavoro per lei. Sa da che parte
sto».
«Naturalmente.
E se non vado errato, progetta di ucciderti da quasi
vent'anni»
commentò con naturalezza Silente. «Ma tu sei un
uomo dal cuore
infinitamente migliore di quanto lui non potrà mai
vantare».
«Devo
confessare di non essere preoccupato del suo cuore quanto delle sue
zanne, signore».
Silente
lo ignorò. Spalancò la finestra con un morbido
movimento della
bacchetta e si appoggiò al davanzale. I suo occhi scrutavano
ogni
angolo dei grandi prati, le alte porte del campo da Quidditch e poi
oltre, fino ai contorni delle montagne scozzesi che abbracciavano la
scuola. Remus tentò di pazientare ancora, ma continuava a
spostare
il peso da un piede all'altro e i palmi delle mani avevano iniziato a
sudare.
“ Devo
fermare Fenrir Greyback” ripeté fra sé.
“E già che sono in
azione, potrei perfino eliminare la fame nel mondo e trovare il
rimedio al vaiolo di drago”.
«Mi
rendo conto che non è il momento più indicato per
assegnarti un
incarico tanto delicato e complesso» parlò ancora
Silente. «La
morte di Sirius è--».
«Sto
bene» tagliò corto Remus con brutale franchezza.
Avvertì un moto
indignato risalirgli la spina dorsale. Le continue attenzioni che gli
venivano dedicate da ognuno dei membri dell'Ordine diventano sempre
più insopportabili. «Sirius era avventato e
incauto. Avremmo dovuto
aspettarci un simile errore». La sua voce era rigida e vuota.
Strinse ancora i pugni delle mani, cercando invano di cacciare dalla
propria mente l'immagine dell'amico che svaniva al di là del
Velo.
«L'amicizia fra me e Sirius è rimasta sepolta
dalla polvere per
troppi anni, signore. Lui non era più il ragazzino
Purosangue che
era stato un tempo; e io non sono più il Prefetto che
chiudeva un
occhio su ognuna delle sue buffonate. Non credo si sia mai potuto
parlare di un'allegra rimpatriata fra vecchi amici».
Silente
ruotò il capo verso di lui. Il suo sguardo brillava di
rammarico.
Parve imprimere alla propria voce una nota di forzati disinteresse.
«Sei
sempre stato un abile bugiardo, Remus». La sua osservazione
fu
seguita da un lungo istante di silenzio. «Ciononostante,
confido che
prenderai in considerazione la mia proposta».
«Non
è un ordine?».
L'anziano
mago scosse mesto il capo.
«Non
ne ho il diritto. Posso solo chiederti di pensarci».
«L'ho
già fatto, signore» borbottò placido.
«In tutta franchezza, la
ritengo una follia».
«Tutta
questa guerra è una follia. Lo è sempre
stata». Silente intrecciò
fra loro le lunghe dita e gli lanciò un ultimo sguardo
imperscrutabile. «Sei l'unico che può auspicare di
portare a
termine un compito tanto delicato».
«Sono
solo l'unico Lupo Mannaro».
«Nonché
il più abile duellante dell'intero Ordine della Fenice.
Dovresti
riporre più fiducia nelle tue buone qualità,
Remus. Posso sperare
di rivederti fra qualche giorno con una risposta meglio
ponderata?».
“ Non
lo farò” pensò Remus. Eppure quando
aprì la bocca disse solo:
«Come vuole, signore».
*
A
modo suo, Aberforth Silente era stato cortese a concedere una delle
stanze superiori della Testa di Porco a Remus. Non era che un
ristretto ambiente della soffitta, con il tetto basso, le minuscole
finestrelle opache e le tubature arrugginite che rimbombavano dei
passi di decine di ratti, ma Remus era abituato ad alloggi ben
peggiori, e per quella stanzetta macilenta non avrebbe dovuto
sborsare che pochi Zellini.
Aveva
appoggiato qualche vecchio maglione su una sedia sbilenca abbandonata
accanto al letto, ma non si era disturbato a svuotare il grosso baule
incantato ricolmo delle sue centinaia di libri. Si era sfilato la
camicia e si era gettato di schiena sul letto, aveva incrociato le
braccia dietro la testa e si era perso a osservare i segni dei tarli
e dell'umidità nel basso legno del soffitto.
“ Sei
sempre stato un abile bugiardo, Remus”.
Era
un'amara constatazione che nemmeno lui stesso avrebbe mai cercato di
negare. Lo era sempre stato, dopotutto. Era una capacità che
era
stato costretto ad affinare con il trascorrere degli anni, fin quando
le menzogne si era succedute al punto tale da diventare abitudinaria.
Era la norma, era la sua vita, era la normalità con cui
scuoteva il
capo e diceva: “No, non sono un Lupo Mannaro”,
“no, non conosco
Sirius Black”, “no, non nascondo nulla”.
Balle.
Non
erano nient'altro che un insieme di balle. E Silente chiedeva a
lui di
farsi largo fra i
seguaci di Fenrir Greyback per convincerli a combattere dalla parte
del Ministero della Magia. “Ma certo”
pensò con un moto di
piccata ironia, “dopotutto il Ministero è sempre
stato così
magnanimo
con i Lupi Mannari”.
Fu
distratto da un deciso bussare alla porta. Alzò lesto il
capo dal
cuscino e afferrò la bacchetta. Si fidava ciecamente di
Aberforth,
ma l'imprudenza era una peculiarità che aveva lasciato al se
stesso
diciottenne, quando si era quasi fatto ammazzare durante l'ascesa di
Lord Voldemort. Si avvicinò alla porta chiusa in punta di
piedi e
appoggiò la mano sulla maniglia nel preciso momenti in cui
la voce
squillante di Tonks esclamava:
«Devo
arrabattarmi per trovare una di quelle stupide domande segrete di cui
si chiacchiera al Ministero o preferisci inventare una parola
d'ordine? Che ne dici di “Scrimgeour
puzza”?».
Remus
chiuse stancamente gli occhi, si massaggiò le palpebre e
aprì la
porta. Tonks aveva deciso di sfoggiare una sfolgorante chioma verde
acido che faceva apparire la sua carnagione ancora più
pallida.
«Non
hai detto “Scrimgeour puzza”»
commentò con un sorriso tirato
mentre entrava. Si sedette sul bordo del letto e si guardò
distrattamente intorno. «Carino. Mi piace l'arredo
spartano».
«Cosa
ci fai qui?».
«Volevo
vedere con i miei occhi cosa ci fosse di tanto bello nella Testa di
Porco per fartela preferire al mio appartamento... che è
altrettanto
spartano, fra l'altro, quindi saresti stato a tuo agio appoggiato fra
l'attaccapanni e la scarpiera».
Remus
strinse le labbra e soffocò un sorriso. Tonks aveva la
disarmante
capacità di invadere i suoi spazi con la violenza di un
Bolide senza
diventare sgradevole. Durante i mesi che aveva trascorso a Grimmauld
Place si era abituato alle sue incursioni improvvise. Una volta lo
aveva svegliato nel cuore della notte perché non riusciva a
finire
il cruciverba che aveva iniziato durante il proprio turno di guardia.
Quando lui le aveva fatto notare che non avrebbe dovuto distrarsi in
un momento tanto pericoloso, lei gli aveva fatto una pernacchia, lo
aveva colpito con un affettuoso pugno al braccio e lo aveva liquidato
dicendo: “Guarda che sono fortissima, io”.
Eppure
quel giorno avrebbe preferito non vederla. Una piccola parte di lui
era pronta a sperare di non rivederla mai
più, perché si era
già arreso da tempo all'amara consapevolezza di essere
tremendamente
attratto da lei, ed ogni istante trascorso in sua compagnia era un
istante infernale. Le parlava con la consueta affabilità,
scherzava
con lei con la stessa pacata allegria, ma per quanto si sforzasse
sapeva
cosa
diavolo significava la sensazione di avere uno stomaco completamente
svuotato. L'amore era un pericolo che era riuscito a evitare con
ammirevoli risultati, ma poi era arrivata Tonks, ed era davvero
arrivata con la violenza di un Bolide. Remus non aveva potuto farci
niente.
«Rilassati»
gli disse Tonks con una smorfia divertita. «Non sono venuta a
chiederti come stai e non ho nascosto Molly sotto al mio mantello. Le
sarebbe venuto un infarto a vederti senza camicia: sei magro quanto
una pergamena vista di profilo».
«Non
dovresti essere ancora al San Mungo?».
Tonks
fece le spallucce.
«Sì?
Non lo so, forse. Non mi interessa».
«Stai
parlando della tua salute. Non sono dettagli che dovresti
sopravvalutare».
«Sto
bene» tagliò corto con serietà lei.
«E ti posso garantire che fra
me e te non sono io quella con la faccia da morto».
«Non
accetto critiche da una che se ne va in giro con la parrucca della
fatina di Peter Pan».
Tonks
si finse indignata, afferrò il cuscino e glielo
scagliò addosso.
Remus lo afferrò al voto e ridacchiò appena. Si
avvicinò al letto
e si sedette accanto a lei. Profumava di fragole, di lamponi, di una
diavoleria da ragazzina che Remus non riusciva a distinguere, ma
qualunque essa fosse rischiava di farlo uscire di senno. Si
domandò
d'istinto se Tonks fosse a conoscenza delle sensazioni che era in
grado di scatenare nel suo petto, e un secondo dopo aveva
già
affondato il quesito in un angolo remoto della sua testa.
La
ragazza esalò un breve sospiro e gli rivolse un'occhiata
inquisitoria.
«Cos'è
successo?».
«Niente».
Tonks
gli sferrò un violento pugno al braccio e Remus si
lasciò scappare
una roca imprecazione che la fece sogghignare come una piccola volpe.
«Voglio
la verità. Nient'altro la verità. Solo e soltanto
la verità. Sennò
ti picchio».
«Gli
interrogatori degli Auror funzionano così?».
«Sì.
L'intimidazione è molto efficace e io so come far soffrire
un uomo.
Non sono dettagli che dovresti sottovalutare, Remus».
Lui
schioccò la lingua, scosse il capo un paio di volte e
iniziò a
raccontarle brevemente il contenuto della conversazione che aveva
avuto con Silente quella mattina. Evitò di approfondire
l'argomento
e si riferì al ruolo che Fenrir Greyback occupava
all'interno della
comunità di Lupi Mannari senza mai nominarlo, girando
attorno al
vero motivo alla base di ognuno dei suoi timori. Tonks lo
ascoltò
attentamente con un cipiglio ansioso. Quando ebbe finito di parlare,
fece un profondo respiro e si grattò pensierosa la nuca.
«Gran
bel problema» commentò tetra. «Cosa
pensi di fare?».
«Non
ne ho idea».
«Chi
è l'intermediario fra Tu-Sai-Chi e i Lupi
Mannari?».
Remus
deglutì a stento e scosse ancora la testa.
«Non
ne ho idea» ripeté, ma di fronte alla sua
espressione inquisitoria
non fu in grado di mentire oltre. «Fenrir
Greyback».
Tonks
impallidì e sgranò gli occhi.
Boccheggiò per qualche istante senza
riuscire a parlare, muovendo incerta il capo.
«C-Come?».
«Greyback.
È lui che sta trascinando i Lupi Mannari dalla parte di
Voldemort».
A
Remus non passò inosservato il fatto che non avesse battuto
ciglio
al suono del nome di Lord Voldemort. Non riusciva ancora a
pronunciarlo con impavida naturalezza, ma il modo fermo con cui
ingoiava i brividi era mirabile. Nonostante la loro audacia, perfino
gli Auror lo chiamavano Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, e sempre
con timore quasi reverenziale. Moody aveva ragione a dirsi tanto
fiero di Tonks.
«Non
puoi farlo» sussurrò con voce tesa. «Ti
farebbe a pezzi».
«E
se dovessi?».
«Silente
non può costringerti. Dannazione, non avrebbe nemmeno dovuto
proporti
una
simile pazzia! È insana, è pericolosa,
è... merda,
Remus, non starai pensando davvero di accettare?».
«Nessun
altro a parte me potrebbe farlo».
«Nessuno
sarebbe tanto folle da farlo!».
«Non
gridare» la redarguì senza energia.
«È qualcosa che va fatto. E
secondo Silente va fatto al più presto».
Tonks
inclinò la testa, lo scrutò cauta e poi
appoggiò la propria mano
sulla sua. La stretta decisa delle sue dita mandò un brivido
nel
corpo di Remus, che trasalì stordito.
«Non
lo fare. Greyback ti ammazzerà» lo
scongiurò in un debole pigolio.
«E se anche non dovesse ammazzarti... Remus, non puoi
infiltrarti in
un gruppo di Lupi Mannari. Non
tu».
«Io
sono
un Lupo Mannaro, Ninfadora».
«No.
Tu sei un mago. E per quanto tu possa continuare a ripetere di essere
un Lupo Mannaro, resterà sempre il fatto che non lo sei
davvero. Tu
non sei come Fenrir Greyback, tu... accidenti, Remus, dovresti sapere
meglio di me ciò che troverai fra i suoi seguaci. Sei mai
stato nei
bassifondi dove vivono?».
Lui
fu costretto a negare con un cenno del capo.
«Io
sono un'Auror, Remus» riprese lei con più vigore.
«Te ne prego,
fidati di me. Ho visto ciò che possono fare
indipendentemente dal
plenilunio. Tu non sei nemmeno uno spauracchio per bambini».
Forse
fu la calda sensazione generata dalla sua mano, forse la nota
febbrile che tremava nella sua voce... forse fu solo l'improvviso
brivido che percorse la sua schiena quando le sue dita gli sfiorarono
appena la mandibola. Forse non fu che un attimo di debolezza, o forse
appoggiare le labbra su quelle di Tonks non fu che il primo vero
gesto audace che si fosse concesso da molti anni a quella parte.
Mentre
la baciava riusciva solo a pensare che in quella stanza dall'aria
rarefatta dovevano essere esplose le pareti, il soffitto, il
pavimento, perché non era più in grado di
avvertire nient'altro che
non fosse lei, le sue mani intrecciate dietro al suo collo e la
consistenza vellutata della sue pelle a contatto con i propri
polpastrelli.
Comprendere
di non aver mai baciato davvero
una donna fu devastante. Lo aveva fatto per gioco da ragazzino, per
passatempo da adulto, o solo perché di tanto in tanto anche
nei
sobborghi popolati da reietti come lui si trovava lo spazio per
dimenticare il resto del mondo. Nessuna stanza gli era mai esplosa
attorno. Nessuna donna lo aveva mai fatto sentire tanto fragile e
vulnerabile – ed eccola lì, l'unica che ce
l'avesse fatta,
un'Auror che avrebbe dovuto stanare
le creature come lui, che aveva appena sfilato i pesanti scarponi, lo
aveva spinto a schiena bassa sul letto e ora era semplicemente un po'
dappertutto e un po' da nessuna parte.
“ Non
lo fare, non lo fare, non lo fare...” si disse, ma le sue
dita si
erano già insinuate al di sotto dell'orlo della sua t-shirt,
la mano
di Tonks stava risalendo la sua pancia magra, carezzavano fremente il
suo petto, le sue spalle. Sembrava cieca davanti alle cicatrici che
dilaniavano la sua pelle.
«Resta
con me». Il suo sussurro a un centimetro dalle labbra di
Remus suonò
come un lamento disperato. «Ti prego... non andare».
Remus
sfregò il naso con il suo collo sottile e la strinse a
sé con più
decisione. Le scelte non erano mai state il suo forte: era un
bugiardo, lui, era uno di quegli uomini abituati ad affrontare draghi
e a fuggire dall'ombra di se stessi.
«Non
ne otterremo che guai».
L'indice
di Tonks seguì il profilo della sua mandibola. Il sorriso
sulle sue
labbra sembrava quello di una ragazzina particolarmente discola.
«Non
me ne frega un dannato accidente».
*
«Hai
avuto modo di pensare a quanto ti ho chiesto, Remus?».
Per
Remus non fu facile sollevare lo sguardo dalle mani intrecciate al
volto affabile dell'anziano Preside. I suoi occhi celesti lo
scrutavano enigmatici al di là delle lenti a mezzaluna e
nonostante
il vago sorriso sotto i baffi, la sua figura emanava un'aria di
inviolabile rassegnazione.
«Sì,
signore. Io...». Agitò a mezz'aria la mano destra
in cerca delle
parole adatte. «Io non sono la persona giusta per questo
compito».
Silente
annuì in modo impercettibile e rimase in silenzio qualche
istante.
«Avevo
immaginato che questa sarebbe stata la tua risposta. Hai sempre
notevolmente sottovalutato le tue capacità».
Remus
si trattene dal fargli notare che il punto della situazione era ben
diverso. L'anziano mago si sollevò dalla sedia,
girò attorno alla
scrivania a passo lento e aprì un armadietto di legno
intagliato
alto e stretto accanto alla libreria.
«I
Lupi Mannari non portano che guai» sbottò
all'improvviso una
sgradevole voce rauca al di sopra delle spalle di Remus.
«Creature
demoniache, sanguinare e nauseanti».
Sollevò
il capo e rivolse una blanda occhiata al ritratto di Phineas Nigellus
Black. Si stava lisciando il pizzetto appuntito con una luce
disgustata nei piccoli occhietti dipinti.
«Aggiungerei
adorabili quanto la cara Bellatrix» replicò Remus
con una punta di
divertimento. Le guance del ritratto si gonfiarono di stizza.
«È
sempre un piacere rivederla, signor Black».
Silente
soffocò una leggera risatina e fece cenno al ritratto di
tacere.
Remus scrutò incuriosito la scatola che il Preside stringeva
fra le
mani. Era la stessa con le raffinate teste di drago che aveva visto
qualche giorno prima. I loro occhi di giada rilucevano brillanti alle
luci delle torce dell'ufficio.
«Avvicinati,
Remus» gli disse Silente mentre sollevava il coperchio ed
estraeva
un sacchetto di stoffa porpora. «Qui, accanto al
Pensatoio».
Remus
inarcò un sopracciglio e fissò prima l'elegante
treppiedi sul quale
era appoggiato il fragile oggetto magico e poi sulle lunghe dita di
Silente che stavano sciogliendo il laccio del sacchetto.
«So
che hai già preso una decisione, ma è mia premura
mostrarti ancora
un'ultima cosa». Gli mostrò una sottile polverina
celeste prima di
gettarla nel Pensatoio. Sottili fiamme azzurrine si sollevarono dal
bacile. «Avrei dovuto farlo molto tempo fa».
Remus
era confuso, ma la fiducia che riponeva nel Preside era più
forte di
qualunque perplessità. Inspirò profondamente e si
avvicinò al
Pensatoio. Fu questione di un lampo prima di esserne catapultato
all'interno. Per un attimo chiuse gli occhi e si sforzò di
dimenticare la fastidiosa sensazione di vuoto nella bocca dello
stomaco, ma fortunatamente i suoi piedi toccarono una superficie
rigida in pochi istanti.
Quando
riaprì gli occhi, si ritrovò circondato dal
vociare della Sala
Grande.
Gli
studenti sedevano ai rispettivi tavoli e sembravano particolarmente
agitati. Confabulavano e ridacchiavano fra loro, sollevavano le mani
in aria per salutare.
“ È
il primo di settembre” valutò fra sé.
“La prima sera a Hogwarts
dopo le vacanze estive... ma di quale anno?”.
Fu
solo in quel momento che riconobbe un alto ragazzo dai lunghi capelli
biondi al tavolo di Serpeverde. Sull'orlo della sua divisa spiccava
la spilla da Prefetto. “Lucius Malfoy”.
Arricciò pensieroso le
labbra e valutò rapidamente che doveva trovarsi
più o meno nel
1971. “L'anno in cui sono arrivato a Hogwarts”.
«Precisamente,
Remus» commentò allegramente la voce di Silente
alle proprie
spalle.
Remus
si voltò e mostrò i palmi delle mani.
«Perché
mi ha portato qui?».
Silente
sorrise placido e gli indicò la piccola schiera di ragazzini
del
primo anno che stava sfilando lungo la scia della professoressa
McGranitt. Remus li scrutò uno a uno: qualche viso gli fu
immediatamente familiare. Sorrise nostalgico nel riconoscere la
chioma scarmigliata di James. Accanto a lui, Sirius teneva le mani
infilate nelle tasche e scrutava il Cappello Parlante con aria
infastidita. E poi vide la chioma rossa di Lily, i suoi occhi verdi
che sondavano ogni angolo della Sala Granda con crescente entusiasmo
– e il giovane Piton, accanto a lei, che le bisbigliava
nell'orecchio. Cercò in fondo alla fila, dove ricordava di
essere
rimasto per tutta la durata dello Smistamento, ma non si
trovò.
Scrutò
perplesso Silente e domandò:
«Questo
è uno di quei viaggi introspettivi in cui lei mi mostra cosa
ne
sarebbe stato del mondo se io non fossi mai nato?».
Silente
rise brevemente e scosse il capo. I ragazzini avevano iniziato a
darsi il campo sotto al Cappello Parlante. Fu divertente assistere
dall'esterno allo Smistamento di Sirius e notare le espressioni
sconcertate di chi conosceva la nomea dei Black. Al tavolo dei
Serpeverde, la graziosa Narcissa stava boccheggiando.
«Oh,
sì...» commentò Silente. «Lo
Smistamento di Sirius fu davvero
memorabile».
«Era
Sirius a essere memorabile».
Qualche
minuto dopo, la professoressa McGranitt chiamò a gran voce:
«Lupin,
Remus!».
Remus
si mosse agitato e scrutò impaziente i ragazzini in attesa,
poi
spalancò incredulo la bocca. Il se stesso di quell'illusione
era
abbastanza alto per la sua età e camminava con aria sicura
attraverso i propri coetanei. Portava i capelli chiari corti e ben
pettinati e indossava una divisa nuova di zecca. Quando si
issò
sullo sgabello, Remus scosse il capo.
«Quello
non sono io».
«No?»
ribatté sarcastico Silente. «Devi ammettere che ti
assomiglia».
«Io
non... io non ho mai avuto i capelli così corti».
«Se
lo avessi fatto, la professoressa McGranitt si sarebbe lamentata un
po' meno di te».
Remus
si guardò con più attenzione, mentre il ricordo
del suo vero
Smistamento riaffiorava nei propri ricordi. Si era avvicinato al
Cappello Parlante a passi brevi, tenendo il capo chino coperto dalle
ciocche di capelli e i pugni stretti. Era terrorizzato. Era certo che
il Cappello avrebbe esclamato: “È un Lupo Mannaro!
È un Lupo
Mannaro! Cacciatelo via!”, e invece... invece dopo lunghi
minuti di
riflessione lo aveva Smistato a Grifondoro. “Vedo un ragazzo
dotato
di una mente acuta” gli aveva sussurrato nelle orecchie.
“Sveglio
e desideroso di imparare. Perché ti ostini a nascondere
tutte le tue
virtù?”.
«Corvonero!»
strillò deciso il Cappello Parlante.
Remus
trasalì e si fissò stupefatto mentre scivolava
aggraziato dallo
sgabello e trotterellava con orgoglio verso il tavolo dei Corvonero.
Il piccolo professor Vitious gli rivolse un occhiolino fugace.
«C-Corvonero?».
Silente
gli appoggiò una mano sulla spalla. C'era un sorriso di
profondo
divertimento al di sotto della lunga barba bianca.
«A
volte la vita sa essere davvero buffa, non credi?».
«Ma
io non sono un Corvonero» replicò piccato Remus.
Non riusciva a
capire per quale motivo si sentisse tanto infastidito. «Io
sono un
Grifondoro».
Negli
occhi di Silente brillò una luce fiera.
«Oh,
sì... lo sei decisamente. Ma non qui».
Mentre
pronunciava quelle parole, una vaga nube grigiastra aveva iniziato a
sollevarsi intorno a loro. Prima ancora che Remus riuscisse a
rendersene conto, la Sala Grande era già svanita.
*
L'improvviso
scoppio di luce lo costrinse a stringere con forza le palpebre. Si
coprì la fronte con una mano, mentre il vociare allegro dei
ragazzi
attorno a lui si faceva di secondo in secondo sempre più
limpido.
Remus si guardò attorno: era a pochi passi dalla riva del
Lago Nero.
Silente era ancora al suo fianco e stava scrutando con un sorriso
spensierato il cielo azzurro.
«Cos'altro
dovrei--?».
Si
interruppe di colpo quando un adolescente dalla folta chioma scura
gli sfrecciò a pochi centimetri dal braccio, seguito da un
secondo
giovane con i capelli lunghi. Remus avrebbe riconosciuto le loro
risate fra mille altre, ma riascoltarle dopo una vita intera fu un
po' come beccarsi una pugnalata nei reni.
Sirius
e James continuarono a spintonarsi per gioco. Nello stomaco di Remus
era appena precipitato un doloroso macigno di pietra. Realizzare di
non essere un Malandrino, di essere lontano da James
e Sirius,
era sconcertante.
Scosse
la testa e si passò stancamente una mano fra i capelli.
«È
necessario, professore?».
«No,
ma mi auguro sia edificante».
«Expelliarmus!»
risuonò la voce esaltata di James.
Remus
spostò lo sguardo dal viso del Preside al piccolo gruppetto
di
adolescenti che circondavano il vecchio faggio. Peter non c'era.
Inarcò un sopracciglio e lo fece notare anche a Silente, ma
l'anziano mago si limitò ad alzare mollemente le spalle.
«Temo
di non poterlo sapere, Remus. Questo tempo è ignoto a me
quanto a
te».
«Cosa
spera di ottenere?» chiese nervoso. «Mostrarmi il
ragazzo che sarei
potuto essere non cambierà l'uomo che sono
diventato».
«Né
io vorrei che accadesse. A costo di apparire un insegnante immodesto,
Remus, confesso di essere piuttosto fiero dell'uomo che sei
diventato».
L'inaspettato
complimento di Silente lo fece arrossire. Sentendosi improvvisamente
a disagio, spostò lesto l'attenzione sulla scena che stava
prendendo
luogo sotto le fronde del faggio: nonostante si discostasse per
parecchi particolari dal quella reale, Remus la ricordava ancora con
vivida chiarezza.
«Che
cosa farai, Mocciosus?» stava dicendo Sirius in tono freddo.
«Ci
userai per soffiarci il naso?».
«Faresti
meglio a lavarti la bocca» gli fece eco James. «Gratta
e netta».
«Lasciatelo
stare!».
Remus
trasalì. “Lily” ricordò
d'istinto, mentre guardava il ragazzino
biondo che tanto gli assomigliava sfrecciare verso il gruppo a passo
deciso. “Era stata Lily a fermare James e Sirius. Era
Lily”. Ma
non era Lily quella che stava agitando la bacchetta per interrompere
l'incantesimo scagliato su Severus: era lui, solo che non era
lui.
Si avvicinò senza nemmeno rendersene conto.
«Inaccettabile.
Crudele. Sleale» scandì la sua voce. «Il
vostro atteggiamento è
così poco nobile che mi domando come possiate sfoggiare con
tanto
orgoglio i colori di Grifondoro».
Le
gote di Sirius si tinsero di una rabbiosa tonalità rosata.
James
schioccò altezzoso la lingua e mostrò i palmi.
«Per
la barba di Merlino, Lupin... ci stavamo solo divertendo».
Negli
occhi del giovane Remus si accese una luce di profondo disprezzo.
«Il
problema è proprio questo, Potter: vi stavate divertendo».
«Senti,
Lupin, non--».
«Dieci
punti in meno a Grifondoro».
«Cosa?».
«A
testa» chiarì con eloquenza Remus, mentre aiutava
Severus a
rimettersi in piedi. «E ora vogliate scusarmi, ma credo che
la
professoressa McGranitt sarà lieta di sapere quali eroiche
prodezze
vanno compiendo i suoi fieri studenti».
Voltò
loro le spalle e tese una mano a Severus. Il ragazzo gli rivolse
un'occhiata imperscrutabile, ma poi afferrò la sua mano e si
rialzò
in piedi. Guardò con disprezzo i due Grifondoro, scosse la
testa e
si rivolse a Remus.
«Non
avevo bisogno del tuo aiuto».
«Non
sei obbligato ad accettarlo» replicò secco.
«Ma io sono un
Prefetto ed ero obbligato a offrirtelo».
Remus
– quello adulto, quello vero –
emise un verso vagamente
sarcastico.
«Sarei
diventato un Corvonero più coraggioso di quanto non mi sono
dimostrato come Grifondoro».
«Non
ne sarei così sicuro».
A
Remus non fu dato sapere cosa sarebbe accaduto in seguito. I contorni
degli adolescenti e del faggio si distorsero in una nube indefinita,
e lui e Silente si ritrovarono di nuovo nell'ufficio del Preside.
Lieto che quell'assurdo vagabondare magico fosse terminato, Remus
sbuffò, si avvicinò alla finestra che si
affacciava sul Lago Nero e
fece per appoggiarsi al davanzale, ma la sua mano attraversò
la
pietra come se fosse fatta di fumo.
«Ma
che...?».
La
porta si spalancò di colpo. Albus Silente entrò
nella stanza con
passo agitato, seguito da Minerva McGrannitt e Alastor Moody, ma
quello non era Silente. Silente era dall'altra
parte
dell'ufficio, intento a guardare con aria curiosa l'altro se stesso
che prendeva posto alla scrivania.
«Ho
l'impressione che il nostro viaggio non sia ancora terminato»
esordì
l'anziano mago con un sorriso placido.
Remus
gli rispose con un sospiro affranto e incrociò le braccia al
petto.
«Per
amor di Godric, Albus...» iniziò la McGranitt con
voce ansiosa.
«Che cosa facciamo ora?».
«Non
possiamo arrenderci. Deve esserci un modo per fermarlo»
incalzò
Moody. Aveva entrambi gli occhi, entrambe le gambe e il naso intero,
ma sembrava molto più vecchio e sciupato di quanto Remus non
ricordasse.
Silente
intrecciò le lunghe dita davanti al viso.
«Temo
non ci resti che attendere».
«Attendere?»
ripeté Moody. «Attendere cosa?
Attendere che i Mangiamorte
ci trovino uno a uno?».
L'anziano
Preside sollevò lo sguardo grave su di lui e tacque. Remus
intuì il
peso di quel silenzio senza che ci fosse bisogno di aggiungere nulla.
“Buon Dio, è esattamente quello che
attende”. Guardò Silente –
l'altro – e disse:
«Professore,
cosa significa?».
«È
davvero finita, Albus?» esalò accorata la
McGranitt. «È davvero
questa, la fine della storia?».
«Professore?»
ripeté con veemenza Remus. «Cosa vuol
dire?».
«Tu
non sei mai diventato amico di James Potter»
mormorò tristemente.
«Lui e Sirius Black non ti hanno mai conosciuto davvero. Non
sono
diventati Animagi. Non hanno mai potuto imparare l'importanza di
compiere dei sacrifici per il bene del prossimo. E così,
temo che
Lily Evans...». Si fermò per concedersi un debole
sorriso. «Temo
che Lily Evans non abbia avuto modo di vedere ciò che di
buono James
Potter avrebbe potuto offrire. Lei non si è mai innamorata
di lui.
Non lo ha mai sposato».
Remus
aprì la bocca per parlare, ma aveva la gola secca. Silente
lo fissò
per un lungo istante. Anche i personaggi di quel futuro distorto
tacevano. La McGranitt si era lasciata cadere su una sedia e piangeva
senza emettere rumore. Moody fissava il pavimento, ma i suoi occhi
ardevano di dolore.
«Non
può essere vero» sussurrò Remus.
«Lo
è, Remus» annuì brevemente Silente.
«Harry non è mai nato».
*
Era
seduto su una panchina che costeggiava una strada di provincia
deserta, ma non aveva idea di come l'avesse raggiunta. Silente era
accanto a lui, con le mani abbandonate sul grembo e lo sguardo vivace
al di là delle lenti degli occhiali. Remus teneva il capo
chino. Non
riusciva a capacitarsi di quanto avesse appena visto. “Non
è
vero”, continuava a ripetersi con forza. “Quello
non era vero.
Niente di tutto questo è vero”. Era una situazione
fin troppo
surreale. Era tutto semplicemente troppo.
«Dove
siamo ora?».
«A
giudicare dal nome scritto sulla cassetta per le lettere, davanti
alla tua casa».
Remus
alzò lo sguardo. Le villette che si estendevano dall'altra
parte
della strada erano raffinate ed eleganti, con i cancelli ornati e le
soffitte dai piccoli tetti spioventi. I giardini erano ampi e ben
curati, e l'atmosfera sembrava paradisiaca, eppure Remus si sentiva
soffocare.
«Dove
siamo?».
«Non
saprei» rispose lentamente Silente, alzando un indice.
«Ma ti
suggerisco di guardare bene laggiù».
Remus
seguì la direzione del suo dito e si fece sfuggire una
grossolana
imprecazione. Un bambino dai capelli biondicci sedeva a gambe
incrociate sotto una tettoia di legno e giocava con un mazzo di
carte. Si alzò dalla panchina, attraversò la
strada e si appoggiò
al cancelletto.
«Mi
faccia indovinare: quello è mio figlio». La sua
voce suonò cinica,
ma sentiva lo stomaco in subbuglio. “Mio figlio... che
diavolo”.
«John!»
ruggì una voce imperiosa dalla porta. Sulla soglia stava un
uomo
sulla trentina, con folti capelli chiari e un costoso completo da
mago. “Oh, per Godric”, pensò Remus.
«John, torna in casa. Il
coprifuoco sta per scattare».
Remus
avvertì un brivido gelido corrergli lungo la schiena. Suo
malgrado,
si ritrovò a osservare ogni dettaglio dell'uomo che sarebbe
potuto
diventare. Quel Remus Lupin indossava abiti di sartoria e aveva
l'aria giovane e sana. Non c'erano né occhiaie né
cicatrici sul suo
volto, ed era decisamente meno magro e misero.
«Credo
di essere morto» commentò con blanda naturalezza
Silente.
«Voldemort deve aver vinto la guerra».
«Io
sono vivo».
«Un
Corvonero molto furbo, direi. A giudicare dal buon gusto degli abiti,
hai fatto carriera».
«In
un paese che vive sotto la dittatura di Voldemort?».
«John,
non farmelo ripetere» gridò ancora l'uomo.
Remus
storse il naso. Una risatina perfida risalì la sua gola.
«Ho
chiamato mio figlio con il nome di mio padre»
commentò
con pungente sarcasmo. «Questa non è la Gran
Bretagna... questa è
l'Isola-Che-Non-C'è».
Silente
ridacchiò a sua volta, ma nella sua voce non c'era la minima
traccia
di allegria.
«Beh,
Remus... questa vita è diversa da quella che
conosciamo».
«E
dovrebbe piacermi? Dovrei detestarla? Dovrebbe farmi capire quanto
sono fortunato?» domandò con aria incredula.
Scosse la testa e
aggiunse con più forza: «Sinceramente, Preside...
perché siamo
qui? Tutto questo... Hogwarts, James e Sirius, la guerra perduta...
non ha senso. Niente di tutto questo può cambiare la
realtà. Io
sono un Lupo Mannaro. Non un umano, non un
Corvonero, non un
ridicolo impiegato ministeriale: sono solo un Lupo
Mannaro. Mi
faccia vedere anche il giorno in cui morirò vecchio e
decrepito in
un letto del San Mungo... non cambierà nulla. Io
resterò comunque
un Lupo Mannaro».
«Non
è un Lupo Mannaro quello che ti ho mostrato».
«È
un uomo che non sono io».
«È
un uomo peggiore di quello che sei diventato. E tu lo sai».
Remus
rimase interdetto e distolse nervosamente lo sguardo.
Affondò con
stizza le mani nelle tasche e prese a camminare lungo il marciapiede.
Avvertiva la presenza di Silente seguire ognuno dei suoi passi. Si
fermò di colpo, si voltò e gli rivolse
un'occhiata pungente.
«Se
voleva davvero che scendessi nei bassifondi
insieme a Fenrir
Greyback, perché non me l'ha semplicemente detto? Bastava
poco.
“Remus, devi andarci. Devi farlo”.
E lo avrei
fatto. Lei sa che lo avrei fatto. Ho sempre fatto
tutto quello
che mi ha ordinato». Si interruppe e si passò una
mano fra i
capelli, esasperato. Quella situazione frustrante stava sfuggendo al
suo controllo. «A che scopo trascinarmi in questa follia? Me
lo
ordini e basta. Lo farò».
Silente
socchiuse gli occhi addolorato ed emise un gemito roco.
«No,
Remus... non è questo ciò che desidero».
«E
cosa desidera che faccia?».
«Voglio
che tu riesca finalmente a renderti conto che sei uno degli uomini
più straordinari che io abbia mai conosciuto. La
commiserazione che
nutri verso te stesso è rivolta a una persona che non esiste
davvero. Biasimi il Lupo Mannaro da così tanto tempo che ora
non
riesci a vedere quanto dovresti essergli grato».
Remus
era senza parole. “Sta scherzando”.
Sgranò gli occhi e alzò le
mani in segno di resa, muovendo impercettibilmente il capo con
espressione sconvolta.
«Grato?»
sibilò come un colpo di frusta. «Io devo essere grato
a
Fenrir Greyback? Ha distrutto la mia vita, ha distrutto la mia
famiglia... e lei osa parlare di gratitudine?».
«Non
parlavo di Greyback. Parlavo di te».
Non
riusciva a capire.
«Parlavo
di chi sei riuscito a diventare» riprese in un soffio gentile
l'anziano mago. Indicò brevemente la villetta che si era
lasciati
alle spalle. «Ecco, Remus: quella è la persona che
avresti potuto
essere. Un uomo indubbiamente colto e di buon gusto, abbastanza
scaltro da adattarsi agli imprevisti della vita pur di sopravvivere.
Non credo che quel mago fermo sui gradini abbia mai estratto la
bacchetta per difendere una folla di Babbani dai Mangiamorte, mentre
tu... tu lo hai fatto a soli diciassette anni. Ricordi?».
«Questo
non ha niente a che vedere con--».
«Ha
tutto a che vedere con te. Vorrei solo che
riuscissi a vederlo
anche tu, ragazzo mio». Gli appoggiò una mano
sulla spalla sinistra
e gli rivolse un mezzo sorriso. «Non puoi dimenticare di
essere un
Lupo Mannaro, non puoi dimenticare di essere un Grifondoro, un uomo,
un mago – un grande mago.
È parte di te. Vive
in te. Nasconderlo nella profondità del tuo animo non ti
aiuterà a
capire quanto di buono puoi fare per il mondo».
Remus
rimase in silenzio qualche istante, poi soffiò ironico.
«C'è
una notevole differenza fra parlare di un Lupo
Mannaro ed
essere uno di loro».
«Sì,
e sarei grato se tu finalmente te ne rendessi conto»
replicò con un
guizzo vivace il vecchio. «Tu parli di un
Lupo Mannaro che
non esiste. E ogni volta che commetti quell'errore, Remus, dimentichi
di non essere uno di loro. Dimentichi di non essere Fenrir Greyback.
Dimentichi di non essere un mostro. E così dimentichi anche
di
essere un brav'uomo». Sollevò un indice sottile e
lo puntò ancora
una volta in direzione della villetta. «Quello
non sei tu:
quello è un mago del tutto ordinario che non potrebbe mai
competere
con l'uomo eccezionale che ho di fronte. Eppure tu sei
il Lupo
Mannaro, mentre lui è l'umano. E ora,
Remus, dimmi:
preferiresti davvero essere lui?».
Silente
arricciò la bocca in un sorriso enigmatico. Remus non disse
nulla.
Fissò per qualche istante gli occhi celesti dell'anziano
Preside,
poi alzò lo sguardo sul giardino ordinato, sui cancelli
tutti
uguali, su ogni angolo di quel tranquillo quartiere di periferia.
“Lo
preferirei?”. Avrebbe potuto vivere una vita normale
– Silente
l'aveva definita ordinaria, ma la
normalità era davvero un
fattore ordinario? Per lui avrebbe potuto essere straordinariamente
meravigliosa. Avrebbe vissuto una vita tranquilla, senza problemi,
senza difficoltà. Avrebbero sofferto solo degli sconosciuti
Babbani
o Nati Babbani, dopotutto... a lui non sarebbe importato. Non avrebbe
mai davvero sofferto.
“ Lo
preferirei sul serio?” si ripeté ancora.
Cercò di rievocare il
volto del bambino con i capelli biondi che giocava nel cortile, ma
nella sua mente riaffiorò un ragazzino ben diverso, con
folti
capelli neri e un paio di occhialini rotondi calati sul naso lungo.
Ed eccolo di nuovo lì, scolpito nei suoi ricordi
più limpidi al
fianco di James: il volto aristocratico di Sirius, il braccio attorno
al collo dell'amico e un sorriso sfrontato sulle labbra.
E
poi pensò a sua madre, dai fianchi esili ma dall'animo
vigoroso, con
una sigaretta mezza spenta fra le dita e l'accento irlandese, mentre
allungava una mano sulla sua testa e gli scompigliava i capelli
troppo lunghi. “Quando il mondo cerca di morderti,
Remus,
ricordati che tu sai mordere più forte”.
E
Lily... Lily che giocava a scacchi con lui, Lily che rideva giorno
dopo giorno, con il pancione sempre più gonfio e rotondo,
Lily che
gli baciava la guancia e gli stringeva le mani, che continuava a
ripetergli di non arrendersi. “Sei il mio amico
più caro,
Remus... non posso sopportare di vederti piegato a queste sciocche
ingiustizie. Tu sei meraviglioso”. Ed Harry aveva i
suoi stessi
occhi verdi e determinati, la stessa inclinazione a combattere con
ferocia per i propri ideali, la stessa prontezza a cadere
per
ciò che era giusto. Harry che sveniva sull'Espresso di
Hogwarts a
causa dei Dissennatori, che evocava il suo primo Patrono, che fissava
entusiasta le creature magiche nel suo ufficio... Harry che gridava
il nome di Sirius, che si dimenava disperato fra le sua braccia...
come aveva fatto Remus a trattenerlo quando lui per primo avrebbe
voluto gettarsi oltre quel dannato Velo?
Gli
parve di risentire sulle labbra il sapore del bacio di Tonks.
Rivisse
in un istante ognuno dei suoi gesti, i suoi anfibi gettati dall'altra
parte della stanza, i suoi fianchi morbidi, le spalle candide, la
risata cristallina, le imprecazioni volgari. “Resta
con me” lo
aveva pregato. “Ti prego, resta con me”.
Era
innamorato di lei? Oh, sì... lo avrebbe negato ancora e
ancora e
ancora, ma al cospetto di se stesso non poteva mentire. Se ne sarebbe
andato? Avrebbe ignorato la promessa che le aveva fatto fra i baci e
le carezze? Se ne rendeva conto solo in quel momento, ma conosceva la
risposta da ben prima che lei sfondasse le porte della sua vita.
Chi
era quel mago fermo sulla soglia? Nient'altro che un uomo che aveva
controllato che il mondo non cadesse troppo vicino a lui. Un uomo che
aveva saputo abituarsi a un futuro in cui esisteva qualcosa come un
coprifuoco, che aveva un figlio, una ricca casa, dei bei vestiti...
cos'aveva lui, Remus, quello vero, da offrire in cambio?
“ Preferiresti
davvero essere lui?”.
«No».
Silente
sorrise amabilmente, ma non aggiunse altro.
*
Bussò
una volta, due volte, tre volte, senza lasciarle nemmeno il tempo di
realizzare che c'era qualcuno alla porta. Bussò con
insistenza fino
a quando la voce di Tonks non si levò trillante dall'altra
parte.
«Conterò
fino a uno» la sentì
minacciare con decisione. «E se non
capisco chi diavolo tu sia, giuro che ti faccio esplodere la
testa».
«Sono
Remus». Scavò rapidamente nella propria memoria e
aggiunse: «La
scorsa vigilia di Natale i tuoi capelli erano verdi e il tuo vestito
rosso. Ti dissi che avremmo potuto appenderti nell'ingresso di
Grimmauld Place al posto dell'agrifoglio e tu mi calciasti lo stinco
sinistro. È stata la prima volta in cui mi hai sentito
imprecare».
Si
udirono i suoni meccanici di diversi catenacci che scattavano, poi
Tonks aprì un modesto spiraglio e lo guardò con
un sopracciglio
inarcato.
«Dicesti
proprio “cazzo”» replicò con
un mezzo sogghigno. «Non credevo
nemmeno sapessi cosa fosse, un cazzo».
Remus
non riuscì a ridere alla sua provocazione, e Tonks se ne
accorse. Lo
fece entrare in fretta e gli afferrò il braccio.
«È
successo qualcosa?» s'informò con urgenza.
«C'è stato un attacco
dei--».
«No»
la rassicurò lestamente lui. «No, Tonks, non
è successo niente.
Non sono qui a portare brutte notizie».
«Mi
hai fatto venire un infarto. Mi ero appisolata sul divano e
c'è
mancato poco che ci morissi sopra, porca puttana. Ti pare l'ora di
fare irruzione a casa mia? È notte fonda e...» si
fermò e restò
per qualche istante con le labbra dischiuse. Poi domandò
piano: «Che
ci fai qui? Perché ho come l'impressione che tu non sia
passato solo
perché ti mancavo?».
Remus
si umettò le labbra e infilò le mani nelle tasche
con aria
colpevole. Sollevò lo sguardo su di lei, ma non
riuscì a trovare le
parole con cui introdurre tutto il discorso che si era alacremente
preparato.
Lo
aveva scordato.
Tonks
era in biancheria intima. Indossava un paio di mutandine verdi, un
top dal taglio sportivo nero e due calzettoni arancioni arrotolati
all'altezza delle caviglie. Aveva i capelli rosa scompigliati e gli
occhi ancora un poco assonnati. Ed era semplicemente meravigliosa e
lui si era scordato per quale motivo fosse davvero in piedi nel suo
ingresso.
«Remus...?».
«Ho
parlato di nuovo con Silente. Sto seriamente valutando la
possibilità
di scendere nei bassifondi».
Fra
di loro piombò un gelo insalubre. La ragazza
sgranò gli occhi e lo
fissò come se non riuscisse a credere a quanto aveva appena
sentito.
«Cosa?»
sussurrò febbrile. «T-tu... cosa?».
«È
la cosa migliore che potrei fare».
«E
la più stupida, Remus. Hai dimenticato che è pure
la più stupida».
Il
tono accusatorio di Tonks lo punse sul vivo. Scrollò nervoso
la
testa e replicò stizzito:
«È
quello che devo fare. Ognuno di noi deve fare la sua parte e questa
è
la mia. Non c'è nessun altro che possa eseguire questo
compito».
«È
pericoloso».
«Io
sono pericoloso» la corresse con enfasi Remus. Non
riusciva a
capire a cosa fosse dovuto quel suo improvviso scatto di nervi.
«Sono
un Lupo Mannaro. Non ho bisogno della tua improvvisa inclinazione a
farmi da bambinaia per--».
«Della
mia... cosa?» esclamò rabbiosa
lei. «La bambinaia? È
questo, quello che pensi che io faccia con te? La
bambinaia!?».
«Io--».
«No,
tu: vaffanculo».
Si
avviò verso un piccolo corridoio nella penombra senza dire
niente di
più. Remus la seguì con lo sguardo, ma quando
sentì la porta della
sua camera da letto sbattere con furia si diede mentalmente
dell'idiota. Stava per chiamarla quando Tonks fece nuovamente la sua
comparsa: si era infilata una dismessa t-shirt dei Black Sabbath di
diverse misure più grandi che arrivava quasi a sfiorarle le
ginocchia.
«Perdonami,
Peter Pan, ma stasera la tua bambinaia cagna non vuole farsi vedere
nuda» gli disse con ferocia.
«Tonks...».
Lei
sollevò il dito medio e fece per allontanarsi di nuovo, ma
il suo
piede rimase incastrato nel tappetto e sarebbe sicuramente franata
sul pavimento, se solo Remus non avesse avuto la prontezza di
afferrarla per i fianchi. Tonks si liberò rapida dalla sua
stretta e
gli rivolse un'occhiata indignata.
«Che
diavolo ci fai qui? Cosa sei venuto a dirmi? “Ehi, guarda,
fare
sesso con te è stato divertente, ma non me ne frega un
dannato
accidente”. Molto gentile da parte tua, Remus».
Remus
tacque. Tonks lo scrutò inviperita per un lungo istante e si
avviò
verso l'ingresso, ma l'improvvisa risposta dell'uomo la
pietrificò
di colpo.
«Non
era sesso».
Le
spalle della ragazza si piegarono verso il basso. Incrociò
le
braccia al petto, si voltò e inclinò
interrogativa il capo.
«Davvero?».
La rabbia nella sua voce aveva lasciato lo spazio a una penosa nota
addolorata. «Ma pensa un po'... e io che credevo di aver
fatto sesso
con te. Chissà con chi ti ho confuso, eh?».
«Ninfadora,
non--».
«Non
chiamarmi così» sibilò
tremante con un palmo sollevato a
mezz'aria. «Ti prego, Remus, non farlo. Non dire niente. Apri
la
porta e vattene. Non posso sopportare di essere presa in giro come
una sedicenne alla prima cotta».
«Io
non ti sto prendendo in giro».
«Sì,
invece. Ma io ti prenderò a calci in culo ben prima che tu
possa
farlo con il mio orgoglio, perciò vattene».
Remus
la ignorò, si appoggiò con la schiena alla parete
e affondò il
viso fra le mani. Respirò profondamente un paio di volte,
cercando
disperatamente di trovare in sé tutto il rinomato ardimento
con cui
i Grifondoro amavano far vanto. Non ne trovò molto e quello
che uscì
dalla sua bocca non fu che un roco mormorio sconnesso.
«Mi
sono innamorato di te». Lasciò cadere le braccia
lungo i fianchi e
aggiunse fra i denti: «Cazzo, cazzo, cazzo».
Tonks
non fu in grado a camuffare il proprio sbigottimento. Restò
per
qualche momento impalata a tre o quattro metri da lui, con le labbra
dischiuse e il pallido viso confuso.
«Beh...
questa è sicuramente la dichiarazione d'amore più
originale che mi
abbiano mai fatto. “Sono innamorato di te, cazzo, cazzo,
cazzo”.
Carina. Potevi aggiungerci anche un “fottiti”,
già che eri in
vena di fare del dramma».
«Questo
sarcasmo pungente durerà ancora per molto?» chiese
brusco.
«Sono
furiosa, Remus. Mi sto trattenendo dall'impulso di
prenderti a
sberle. Dovresti ringraziare la buon anima di Tosca
Tassorosso»
replicò con altrettanta schiettezza. Si avvicinò
a lui e serrò le
labbra in una linea sottile. «Vieni a letto con me, mi
prometti di
restare, poi irrompi nel cuore della notte a casa mia, mi scarichi
come un'idiota e poi dici di essere innamorato di me. Capisci che
tutto questo casino mi fa incazzare, vero? Mi fa incazzare un sacco,
Remus. Mi fa incazzare più di quanto non mi abbia mai fatto
incazzare qualunque altra cosa».
James
Potter aveva sempre sostenuto che non c'era niente di più
bello
dell'espressione arrabbiata di Lily. Remus non sapeva come avesse
potuto tornargli in mente quel vecchio particolare, ma mentre
guardava gli occhi di Tonks brillare di delusione, si
ritrovò a
pensare che non c'era niente di vero. “Non è più
bella, è
solo più arrabbiata. E fa più
male”.
«Sei
mai stato innamorato, Remus?».
La
sua domanda lo prese in contropiede. Sbatté un paio di volte
le
palpebre, si umettò le labbra e negò lentamente
con un cenno del
capo.
«Chissà...
magari il problema è proprio questo»
mormorò lei con una smorfia
beffarda. «Non sai cosa vuol dire».
«Mi
farei ammazzare per te».
Tonks
trasalì e per un attimo parve incapace di replicare a
quell'ammissione tanto genuina e diretta. Ma poi agitò una
mano e
aggiunse con più dolcezza:
«Tu
sei un Grifondoro. Ti faresti ammazzare per un sacco di
persone».
«Tu
non sei un sacco di persone». Le strinse
il polso e la fissò
intensamente negli occhi. «Tu sei la donna più
sconvolgente che io
abbia mai avuto la sfortuna di incontrare».
«La
sfortuna?» ribatté offesa,
cercando invano di divincolarsi
dalla sua presa. «Io sarei la--».
«Non
posso farlo».
L'irruenza
della ragazza parve spegnersi come la fiamma di una candela. Smise di
lottare e restò con le labbra appena dischiuse in
un'esclamazione
muta e il fiato corto. Remus deglutì a fatica e si
passò una mano
fra i capelli.
«Tu
non capisci. Tu non vedi, tu... tu non hai idea di
cosa
esploda nella mia testa quando sono con te. Mi hai fatto impazzire,
Tonks. Sei piombata nella mia vita come uragano, e già prima
la mia
vita era... era assurda, era difficile,
e tu...
tu sei la cosa più straordinaria che mi sia mai capitata.
Sì, hai
ragione, io non ho mai amato nessuna donna. Ho letto
romanzi
d'amore, ho sentito discorsi ricchi d'amore, ho visto
gente
morire per amore, ma no... non avevo mai amato. E il
problema
non dipende dal fatto che io non sappia cosa voglia dire. Il problema
dipende unicamente dal fatto che so cosa non posso
fare. Cosa
non devo fare. E tu... tu, dannazione, sei rimasta l'unico modo che
ho per sentirmi vivo, ma non posso. Lo capisci? Io
non posso
farlo».
Lei
aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva. Nella gola di Remus c'era un
groppo insidioso che non riusciva a mandare nello stomaco, laddove il
peso di ognuna delle sue parole aveva appena iniziato a disfargli le
viscere. Il silenzio nel corridoio gli perforava le orecchie, gli
penetrava nel cervello, lo stava mettendo in crisi più di
quanto non
stesse facendo il volto inespressivo di Tonks. Poi lei alzò
appena
la mano, gli sfiorò leggermente la mandibola,
sfiorò le sue labbra
con il polpastrello del pollice con un triste sorriso appena
accennato.
«Sì
che potresti».
«Meriti
di meglio...» mormorò tremante, abbassando le
palpebre e beandosi
del tocco amabile delle sue dita sulla pelle. «Meriti un
intero
universo di cose migliori di quelle che io non potrò mai
offrirti.
Sono troppo vecchio per te...». Tonks iniziò a
giocherellare vaga
con il nodo della sua cravatta. «Sono troppo
povero...». Gli fece
scivolare il mantello dalle spalle e lo lasciò cadere sul
pavimento.
Lui fermò le sue mani. «Sono troppo pericoloso».
Lei
si alzò sulle punte dei piedi e affondò il viso
nell'incavo del suo
collo, artigliandosi disperata alla sua camicia.
«A
me non importa». La sua voce era poco più di un
sussurro al suo
orecchio. «E se non importa a me... ti prego,
non lasciare
che importi a te».
Remus
appoggiò il palmo della mano sulla sua nuca e la
baciò. Non pensò
nemmeno per un istante che fosse la cosa sbagliata – era giusto,
era talmente giusto che si era mosso ancora prima di
rendersene
conto. Sentì i denti di Tonks piantarsi lievi nel suo labbro
inferiore e sorrise contro di lei, mentre la sua mano carezzava le
sue spalle, il suo braccio e si fermava sulla schiena.
Amava
il modo in cui lei lo baciava. Aveva l'impudenza curiosa di
un'adolescente nascosta in un corpo da donna, il tocco esuberante che
ancora conservava un accenno di incertezza. Era come baciare una
boccata d'aria fresca, come credere di essere ancora giovane e
immortale. Lei lo costrinse ad attraversare il corridoio, e mentre
camminava indietro senza sciogliersi dal suo abbraccio
rischiò di
inciampare almeno un paio di volte, ma la mano di Remus era ancora
saldamente ferma alla base della sua schiena. Tonks cercò la
maniglia della porta della propria camera ed entrambi si trascinarono
frenetici fino ai bordi del letto. La sua t-shirt dei Black Sabbath
era svanita prima ancora che i polpacci di Tonks cozzassero contro il
materasso.
Remus
si appoggiò al gomito destro e si stese su di lei, fremendo
silenziosamente mentre la sua mano si appoggiava al suo fianco nudo.
Le baciò la linea della mascella, il collo, la clavicola, le
sfiorò
un seno quasi distrattamente e credette di morire al suono del suo
piacevole mormorio di consenso. La sua pelle era fresca e liscia
–
era frizzante,
maledizione, era come lo scoppio di un fuoco d'artificio. La
aiutò a
sfilarsi il top sportivo e rimase a osservare il suo corpo mezzo nudo
per qualche secondo. Era difficile capacitarsi di come una donna
talmente sensuale potesse stare fra le sua braccia. Coprì il
suo
seno sinistro con la mano, accarezzò delicato il suo
capezzolo e lei
trattenne il fiato, affondando di nuovo le dita fra i suoi capelli e
alzando la testa per baciarlo con più desiderio.
«Ti
amo» gli mormorò a fior di labbra.
Remus
si sentì attraversato da una scarica elettrica e si
irrigidì di
colpo.
Non
era giusto.
La
guardò di nuovo, magra e nuda fra le proprie braccia, e
riuscì
finalmente a vederla per davvero: una ragazzina sensuale, una droga
inebriante con il corpo di una donna.
“ Tu
non sei che uno spauracchio per bambini”.
Cosa
ne sapeva, lei, di licantropi e bambini spaventati? Cosa mai aveva
visto di così tremendo da poter distinguere con chiarezza
ciò che
era innocuo da ciò che era pericoloso? Lui era
un Lupo
Mannaro. Era il lupo delle favole con il quale le madri ammoniscono i
figli più discoli. “Un Lupo Mannaro addomesticato”.
Non
lo era. Non lo era mai stato.
Non
era umano – e se lo fosse stato, sarebbe stato un uomo con il
quale
difficilmente sarebbe andato d'accordo. Era un Lupo Mannaro da
così
tanto tempo che talvolta stentava a credere di essere stato un
bambino normale. Non ricordava di esserlo mai
stato. Non era
normale. Non era giusto.
Tonks
si accorse della sua improvvisa tensione e piegò circospetta
il
capo.
«Remus?».
Lui
si sollevò di colpo, si sedette sul bordo del letto senza
risponderle e si riabbottonò lestamente i primi tre bottoni
della
camicia.
«Che
diavolo stai...? Remus?».
«Almeno
uno di noi due deve mantenere la ragione, Tonks» le rispose
schietto. «Perdonami, ma non possiamo farlo. Sarebbe un
errore dal
quale non riusciremmo più a districarci».
Si
alzò in piedi e uscì dalla camera senza trovare
la forza di
guardarla un'ultima volta. Lei imprecò con incredibile
volgarità e
piombò nell'ingresso nello stesso momento in cui lui
abbassava la
maniglia. Era praticamente nuda, aveva le gote arrossate e
l'espressione furibonda, eppure era Remus a sentirsi spoglio sotto i
suoi occhi incendiari.
«Se
te ne vai ora, non azzardarti a tornare indietro».
Lui
chiuse gli occhi amareggiato e serrò fra loro le labbra. Non
riusciva a cancellare il sapore dei suo baci e stentava a sopportare
la vista della sua pelle candida. “Resta”
risuonò nella sua
testa. “Resta qui. Resta con lei. Resta e manda al diavolo
tutto il
resto del mondo”.
«Non
tornerò».
Varcò
la soglia prima che lei potesse tentare di fermarlo. Scese le scale
saltando i gradini, con la mente ben poco lucida e lo stomaco stretto
in una morsa dolorosa, e si precipitò rapidamente in strada.
Non
c'era nessuno a inseguirlo. Sapeva che Tonks non l'avrebbe mai
rincorso. Lei non era il tipo di donna che piangeva lacrime d'amore
addosso agli uomini: lei era una di quelle che li prendeva a calci e
che forse fra un calcio e l'altro avrebbe trovato il tempo per
piangere.
Si
sentiva l'essere più inutile e vuoto del mondo.
Sollevò
il cappuccio del mantello, infilò le mani nelle tasche e si
incamminò a passi rapidi e nervosi in uno stretto vicolo nel
quale
sperava di riuscire a Smaterializzarsi lontano da occhi indiscreti.
Sentiva ancora il sangue pompare adrenalina nelle vene, e l'aria
fresca non aveva ancora placato la sensazione di essere precipitato
nella bocca di un vulcano.
“ Preferiresti
davvero essere lui?”.
Si
appoggiò con la schiena e la nuca a un muro dall'intonaco
scrostato
e sollevò lo sguardo al cielo. Le luci rosse di Londra
celavano
qualunque stella. Una sirena dell'ambulanza squarciò il
silenzio
della notte, un gatto randagio balzò fuori da un cassonetto
e gli
rivolse un'occhiata curiosa, ma Remus restò immobile,
distante
miglia e miglia da qualunque cosa animasse quella città.
“ Preferiresti
davvero essere lui?”.
Se
non fosse stato un Lupo Mannaro, non sarebbe stato un uomo di cui
andare particolarmente fieri. Ma lui era un Lupo
Mannaro, e
non era fiero nemmeno di quello. Si passò una mano sul volto
stanco
e soffocò un gemito disperato.
Non
aveva idea di chi fosse e non aveva idea di chi avrebbe voluto
essere, ma credeva di sapere qual era il proprio posto. Estrasse la
bacchetta dal mantello e la agitò debolmente davanti a
sé. Evocare
il proprio Patrono non si era mai rivelato tanto difficile. Fu
costretto ad aggrapparsi con disperazione alla propria memoria per
evitare di affogare nel recente ricordo di Tonks nuda fra le sue
braccia, Tonks che imprecava, che lo malediva, che lo fissava con
odio feroce – e tutto quell'odio faceva male.
Il
suo sparviero argentato spalancò le grandi ali e si
librò
pigramente sopra la sua testa. Remus fece un respiro profondo.
«Va'
a Hogwarts» mormorò con voce rotta. «Di'
ad Albus Silente che
partirò domani».
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