Chiara
“Chi ci ha cacciati dal nostro paradiso?
Quale peccato e quale angelo?”
C. Levi, L’orologio
Angels [Sliding
away]
I tre
continuavano a correre senza che il peso degli abiti inzuppati potesse fermarli.
Correvano
con il ricordo addosso dell’ultimo giorno di sole di cui avevano goduto, prima
di ritrovarsi a dover improvvisamente lasciare Konoha. Così improvvisamente, da
non esser riusciti a racimolare nemmeno il tempo per intristirsi.
La pioggia
aveva sgualcito l’acconciatura elaborata che le raccoglieva i capelli: ciuffi
chiari pendevano smorti sul volto sfatto, incollandosi alla sua pelle e
rigandole il viso, più di quanto non lo facesse il sangue.
Perché quel
giorno pioveva sangue.
Già.
[Sparkling angel]
<< Sei stanca?
>>
L’ennesima forcina scivolò a terra,
accompagnata dal suono monocorde delle gocce di pioggia che ticchettavano. Il
sangue andava ad ingrossare le pozzanghere, rendendo i sentieri ancora più
fangosi del solito. Sempre più sporchi, sempre più torbidi, inghiottivano tutto
quel che cadeva, senza che nessuno se ne accorgesse.
Forcina compresa.
Le tre ombre sfioravano il terreno senza
toccarlo veramente: e come avrebbero potuto? Galleggiavano nella notte come se
fossero loro stessi la notte, come se fossero angeli. Ma nessuno di loro lo era fino
in fondo.
Nessuno di loro era santo.
<< Rispondi.
>>
Nemmeno a volerci credere, nessuno di loro
era moralmente puro.
<< No. >>
Non fino in fondo, reputava Jiraya,
lanciando occhiate indolenti a Tsunade, la quale, da perfetta prima donna, era
andata ad occupare il posto di punta dello schema. Per una volta, voleva che
fossero loro a seguire lei, anche se per finta, anche se
costretti.
L’uomo lo sapeva bene: in fin dei conti
erano compagni.
[I believed You were my saviour In my
time of need.]
Costretto
a guardare avanti a sé, l’occhio veniva innaturalmente catturato
dall’acconciatura che si stava letteralmente sfasciando. Credeva di intendere che
fosse il riflesso di ciò che stava accadendo a Tsunade. Anche lei, stava cadendo
a pezzi dopo tutto. Orochimaru, l’ombra più buia e silenziosa di tutte,
affiancava Jiraya nella loro corsa notturna, perfetto e pulito nei suoi movimenti. Erano
pericolosi tutti quanti, – Tsunade forte del suo dolore, Orochimaru della sua
ambizione e lui stesso della sua cecità – ma erano
compagni.
Dovevano
restare insieme.
I
compagni non si tradiscono a vicenda.
[Blinded by faith I couldn’t hear All
the whispers The warnings so clear]
Si era in Guerra. E in guerra, come
in amore, tutto è concesso. Jiraya rimuginava sul senso del detto, su quanto
fosse lecito accostare la parola
“guerra” a quella di “amore”. Se si
potesse anche solo pensare all’amore quando si è nel pieno della guerra.
Continuava a piovere sangue,
ininterrottamente, sui suoi pensieri ingenui.
E ciechi.
Se conciliava l’udito con la
certezza di ciò che avrebbe dovuto sentire, poteva ascoltare il battere del
ciondolo sul seno di Tsunade senza aver paura di confonderlo con il suo cuore.
Solo tre giorni fa lo aveva sfilato dal collo di Dan e solo tre giorni fa
Tsunade era morta per una seconda - inutile - volta. Orochimaru sembrava aver
bevuto il suo dolore come se si fosse trattato del nettare più prelibato: la
donna, esausta, si era lasciata divorare, non avendo nessuna forza con cui
opporsi. Come una tranquillissima preda anestetizzata. Orochimaru le sfiorava i
capelli con le labbra livide, aggiungendo freddo al freddo e lui, era rimasto a
guardare. Anche se, inutile nasconderlo, ne avrebbe voluto anche lui.
[Il profumo che ha una persona quando ha
paura, è nettamente diverso dalla fragranza che ha il dolore,
sai?]
Ma era stato zitto e fermo: i
singhiozzi di Tsunade diventavano sempre più flebili e se si concentrava,
riusciva a non sentirli.
Un buon lavoro, no? Aveva fatto il
bravo.
Già.
<< Ci accampiamo per la notte.
>>
Era stato più un ordine che una
domanda: si erano limitati a seguirla in un notturno paesaggio di rocce
biancastre, pallide. Morte. Un
accenno di vita nemmeno a pagarlo, neanche ad implorarlo in ginocchio. Un teatro
di torrenti trascinava detriti tra disegni calcarei e miniere dimenticate e
tarlate dalla pioggia: non si domandavano dove li avrebbe portati, ma da dove li stesse frettolosamente
allontanando.
Istintivamente Jiraya pensò al seno
di lei. Il suo seno pieno, e morbido, quasi odoroso di latte. Ora ci riporta indietro, aveva pensato.
Ci porta in un luogo in cui noi non siamo più vita, ma l’idea di una possibilità
di vita, un luogo in cui siamo perfetti, in cui eravamo davvero gli uomini
vicini agli dei.
Non sembrava che Orochimaru al suo
fianco avesse inteso quei pensieri così stupidi, così infantili: appariva come
sempre. Indifferente, con una luce di bramosia nascosta in fondo agli occhi e
un’ombra di presentimento annidata ancora più in
profondità.
L’uomo dai capelli bianchi, evitò in
ritardo una punta aguzza saltandoci sopra quasi un po’ goffo: una luna opulenta
illuminava tutto troppo nitidamente. I contorni di ogni cosa svettavano assoluti in una luce
bianchissima.
Faceva freddo.
<>
Avevano scartato bruscamente ancora
una volta, per stare dietro al suo passo veloce. E per giungere, finalmente, ad
un anfratto protetto da un tornante sinistro, per niente diverso da altri mille
che si erano lasciati dietro le spalle. Una minuscola, pudica goccia di sudore
gli scivolò lungo la schiena e sparì non vista tra la stoffa dei suoi pantaloni.
Orochimaru ghignava: non lo aveva sentito, ma lo sapeva. Lui derideva sempre
tutti quanti. Tutto il mondo.
Quando atterrarono Tsunade perse
l’equilibrio per un attimo, perdendo quasi uno dei suoi sandali nel fango
sabbioso: le mani di lui furono più veloci di quelle di Jiraya e la
afferrarono.
Non c’era
umanità in quel gesto: o almeno, non più di quanta ce ne sia nell’impedire ad
una ciotola di riso di cadere a terra. Sono gesti automatici, legati alla
sopravvivenza. Al piacere del dopo,
quello che si prova a salvaguardare un interesse.
Dando la
schiena ad un Jiraya immobile, basito, intento solo e perennemente a guardare,
le mani di lui si mossero lente sul ventre della kunoichi, con gesti simili a
carezze immaginarie. Un dito pallido si insinuò tra le pieghe della fascia scura
ricercando la pelle, il naso indugiava sul suo collo.
Il profumo che emana chi prova dolore, è
diverso da quello di chi ha paura.
Tsunade se
lo scostò di dosso con un gesto veloce, fluido. Orochimaru schioccò la lingua e
voltandosi, sorrise acidamente a Jiraya, come farebbe un seduttore
consumato.
<<
Dice che va bene qui. >> disse la serpe ad Adamo. Che ne pensi della scelta di Eva?
<<
Allora va bene anche per me. >> concluse Jiraya sorpassandolo. Quel
maledetto annusava l’aria con una lingua che sapeva biforcuta. Doveva proteggerla,
doveva…
Entrarono
nella grotta: un cerchio perfetto come un grande oculo troneggiava sul soffitto.
Tsunade, con pochi ma ampi passi raggiunse il centro della grotta. La luce di
quella luna che da fuori li guardava incuriosita e malpensante, la raggiunse. La
investì.
Tsunade,
rivestita di luce gelida – posseduta da una luce riflessa – si voltò a
guardarli.
[I see the angels I'll lead them to your
door]
Orochimaru
sistemò l’ultimo kunai in prossimità dell’entrata, dissimulata a sua volta con
il jutsu che era solito usare. Fu come chiudere la porta.
Jiraya si
ritrovò tra lei – la luce – e lui – l’ombra - .
Ebbe paura.
[There is no escape now No mercy no
more]
Ed
interrogandosi sinceramente, non riuscì ad arrivare al punto esatto della
questione. Non c’era in lui una domanda precisa da voler porre ai suoi due
compagni, o a se stesso in alternativa.
Restava
semplicemente immobile tra lui e lei.
Tra Eva e il
serpente.
Si ritrovò a
sperare in un peccato che giungesse provvidenziale dal buco sul soffitto a
trarlo fuori dall’impiccio di dover scegliere tra l’amore per lei e quello per
se stesso. Un angelo dalla spada fiammante che con voce melodiosa gli avrebbe
detto che tutto era compiuto, che poteva andare, che era finita…
Orochimaru,
ammantato d’ombra non avanzava verso di lui, ma al contrario gli sogghignava di
rimando, ammiccando in direzione di Tsunade, con una mano sul fianco destro.
Sembrava emanare sicurezza da ogni poro.
<< Che
hai Jiraya? >> Non ti avrà mica
morso un serpente?
<<
Qualcosa che non va? >> Tsunade sembrò ridestarsi da una trance che Jiraya
avrebbe giurato voluta.
Orochimaru
avanzò verso di loro e li spinse verso il centro della miniera, con il suo
solito fare sicuro. Non gli piaceva quando faceva così, affatto. Voleva dire che stava
progettando qualcosa, qualcosa che non sarebbe andato a loro favore,
naturalmente.
<<
Dovremmo giungere al lago di Efrit prima dell’alba, calcolando tre buone ore di
riposo. Potremmo approfittarne e dormire. Sono tre giorni che non ci fermiamo.
>> disse Tsunade.
<< Sei
stanca, principessa? >>
La
principessa in questione piegò le labbra in una smorfia.
<< Ho
sigillato l’entrata comunque, quindi se qualcuno ha intenzione di uscire può
usare tranquillamente il buco che sta qui sopra. Si, Jiraya, è abbastanza largo
anche per te, se era questo quello che volevi chiedermi. >> concluse
Orochimaru.
Jiraya si
liberò dalla sacca da viaggio e le mise insieme alle altre due, accantonate già
ad un angolo della grotta. Ma da quando
quei due facevano tutto insieme? Si voltò a guardarli e li vide intenti ad
accendere un fuoco: si chiese ad un tratto se fossero impazziti entrambi.
<< Ci
farà scoprire. Il fuoco intendo. Segnalerà la nostra posizione. >>
<< Oh,
andiamo! Chi vuoi che ci segua? È una missione che anche un genin potrebbe fare
senza riportare un graffio. Lo dice anche Orochimaru. Non trovi che sia quasi disonorevole? >>
No, non
erano impazziti. Forse semplicemente instupiditi.
Rimase
seduto per qualche minuto, con gli occhi chiusi, ascoltandoli parlare. Tsunade
sembrava molto interessata alle parole di Orochimaru: lui invece aveva sfoderato
il suo solito sorriso perfetto e
giocava distratto con una ciocca di lei.
Jiraya si
alzò di scatto, cogliendo la richiesta lanciata dal serpente qualche attimo
prima.
<<
Esco. >>
Sotto i loro
sguardi saltò veloce, passando attraverso l’oculo e tornò nella notte,
sicuramente più confortevole e libera
dell’ambiente che si era lasciato dietro.
L’aveva
lasciata sola. Con lui.
L’aveva voluto lei, no?
Già.
[No remorse
‘cause I still
remember
The smile when you tore me
apart]
Il serpente
– rifletteva sedendosi su una roccia bianca - aveva tirato fuori tutte le sue
abilità: a cosa mirava? Ma era chiaro: gli sembrava quasi di vedere l’immagine
lontana del disegno di un albero, di un frutto polposo e pulsante, pronto per essere divorato. Cosa le sta offrendo? L’immortalità o la
morte? E a quale prezzo?
Disegnava su
un quadrato di sabbia bagnata delle linee vaghe, confuse come i suoi pensieri.
Come dannazione poteva riportarla indietro se
ciò che lei più bramava era perdersi?
Con un
calcio disfece il disegno sulla sabbia. Li sentiva discorrere, noncuranti del
pericolo di probabili avversari – tanto debole lo giudicava Orochimaru? Tanto
cieca era diventata Tsunade? -, nella notte.
Tutti
intenti nel loro baratto.
L’immortalità o la morte?
Poi Jiraya
capì.
La rinascita.
Uno spasmo
di certezza contrasse il suo corpo: si affrettò ad alzarsi, a tornare indietro.
Cosa le aveva promesso Orochimaru? Cosa
aveva promesso lei a Orochimaru?
Giunse in
fretta alla grotta, saltò sul suo apice e si catapultò nell’interno.
Tsunade era
ancora lì. Lui era sparito.
Troppo tardi.
<<
Dov’è? >> ansimava.
Tsunade,
acciambellata davanti al fuoco, aveva il volto sfatto. Il trucco leggero le
aveva segnato gli occhi e le braccia con cui si circondava le gambe, sembrarono
d’un tratto troppo magre. Lei sembrava smagrita improvvisamente. Quasi
prosciugata.
Cosa gli aveva promesso?
<< Ti
siedi accanto a me? >> chiese. La voce dolce e flebile.
<<
Dov’è? >>
<<
Domani mattina all’alba sarà con noi. È andato a cercare una cosa. >>
<<
Cosa? >>
<< Ti
siedi, ti va? Eh? >>
Lo fece. Il
fuoco, anche lui, sembrava spegnersi. Cominciò a parlare, distante.
<<
Credevo che quando sarei morta, loro due sarebbero venuti a prendermi, sai.
Vestiti di bianco e tutto il resto. Eppure sono morta e non vedo nessun angelo
all’orizzonte. E tu? >>
Si voltò ad
un tratto verso di lui.
Jiraya le
prese la mano fredda, senza calore, senza sangue e tentò di riscaldarla con la
sua.
E pensare che fu Adamo a fare la scelta più
grande, non certo Eva.
Venne
l’alba, portando con se un sole acquoso e un Orochimaru raggiante, che li trovò
accoccolati l’uno accanto all’altro. Che bel quadretto, pensò. Che peccato, aggiunse. Poi scoppiò a
ridere di gusto.
Jiraya
socchiuse gli occhi, senza muoversi.
Ed ecco il serpente che si è trasformato in
angelo.
Dietro la
sua chioma nera, il cielo si infuocava di luce come un esercito di spiriti
impugnanti mille e mille spade di fiamme, Jiraya sospirò rassegnato.
Svegliati Tsunade, svegliati perché sono
arrivati i tuoi angeli…
[I see the angels I'll lead them to your
door…]
Fine
Considerazioni
delle 22:49. Ho riletto la storia, e Suzako ha ragione: ho forzato il
riferimento, almeno nella prima parte. Ma la canzone non mi piaceva, nè
tantomeno il testo. Credo sia stato già qualcosa cavarsela con un 30. Però,
beh...sono soddisfatta. Questa storia non mi ha coinvolto come era successo con
Venti Contrari (quello era stato un parto emotivo) ma ho messo tanto di quello
che ho visto negli anni passati. Ho visto una Tsunade in balia del dolore, un
Jiraya in balia della confusione e un Orochimaru in balia del potere della
persuasione. Ho visto tutto questo e l'ho vissuto sulla mia pelle. Questo ha
probabilmente sfasato i personaggi, me ne rendo conto, ma nessuno potrà dire che
i loro atteggiamenti non siano stati reliastici.
Detto
questo, tanto di cappello alla Lady *_*, a Mika *.* e alla mia papera (tesoro,
ho sbagliato di due posti ma sul podio ci sei salita comunque, quindi ho vinto
la scommessa U.U): aw, devo dirti una cosa. Sono incinta. XD è una moda
ormai!
Ultimo
avviso: è successo. Mi sto allontanando da Naruto. Non lo compro nemmeno più: ma
finirò Dancing Leaves. Ho una sola parola, io.
Artemisia
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