Un
anno.
Un
anno esatto era passato da quella sera in cui la sua migliore amica
si era suicidata.
Un
anno esatto che non usciva più di casa.
Un
anno esatto che ogni sera pregava perché la sua amica fosse
in
pace.
Un
anno esatto che non versava neanche una lacrima.
Tutto
le era passato attraverso, non si interessava più a niente e
passava le sue giornate a letto o ad ascoltare musica. Non guardava
la televisione e non leggeva, non sorrideva più. Studiava e
portava a casa dei voti altissimi, ma non era felice e i suoi
genitori l'avevano portata in ospedale. I medici l'avevano chiamata
depressione. Già. Succede questo quando la tua migliore
amica
si taglia le vene e tu resti da sola in un mondo che odi.
Almeno
prima le cose le condivideva con lei. Almeno prima si telefonavano
tutti i giorni, si parlavano e si confidavano tutto.
Non
si interessava più agli amici. Non che ne avesse mai avuti
tanti, ma i compagni di classe con cui era sempre andata d'accordo
ormai avevano capito che la dovevano lasciare in pace. Non era
cattiva, gli voleva bene a modo suo. Ma senza Carmen niente era
più
attraente. Niente aveva più senso.
Ed
ecco che, a un anno dal “giorno”, si
vestì, prese l'iPod e
uscì di casa lasciando un biglietto a sua madre con la sua
destinazione.
Le
era sempre piaciuto correre. La eccitava, la fatica e i muscoli che
si affaticano la rilassavano. Inutile dire che non aveva più
corso da allora.
Imboccò
il sentiero a destra del suo palazzo, quello che quando era piccola
amava così tanto e in cui andava con Carmen in bici a otto
anni, a cercare le lucciole. E a promettersi amicizia eterna.
"Jade,
mi prometti una cosa?" le aveva detto Carmen un giorno.
"Se
posso..." aveva risposto lei timidamente. Carmen le aveva preso
la
mano e le aveva detto "Amiche per sempre. Per tutta la vita
più
un giorno. Promettilo." "Lo prometto."
Ed
erano scoppiate a ridere.
Questo
era l'episodio che le veniva in mente più spesso. Amava
ricordare l'amica scomparsa, la faceva stare bene. Ma poi si
ricordava che non l'avrebbe mai più rivista, e ricominciava
a
diventare apatica.
Si
ricordò del “giorno”. Che brutto giorno.
Non l'avrebbe
augurato neanche a Shelly Dalton, la principale cheerleader della sua
scuola, quella che prendeva sempre in giro con Carmen. Quanto
odiavano quella ragazza. Aveva fregato i ragazzi a tutte e due
milioni di volte e se Dio avesse sentito le loro maledizioni la
poverina avrebbe già dovuto essere sottoterra da un pezzo.
Povera Shelly, in fondo aveva un papà ricco che la viziava e
lei era cresciuta così, non era del tutto colpa sua.
Ma
stava divagando. Si ricordava perfettamente il
“giorno”, non
c'era notte in cui non lo sognava e si svegliava urlando. Suo
fratello Joey i primi tempi andava nel letto con lei e la
abbracciava, le carezzava i capelli e le baciava la fronte, e lei con
gli occhi sbarrati si sentiva in colpa perché non era capace
di versare neanche una lacrima per la sua migliore amica morta. Col
tempo la situazione era peggiorata, si sentiva sempre più
colpevole e non riusciva a dormire la notte. Lei amava suo fratello,
la rassicurava sempre. Ma poi si era sposato e non era più
stato a casa a coccolarla. E nessun altro lo faceva.
Quel
giorno. Era un giovedì. Aveva appena avuto il corso di
chitarra, era tornata a casa e aveva trovato la polizia e il preside
e la mamma di Carmen in cucina con sua madre. Aveva capito subito che
qualcosa non andava. La mamma di Carmen aveva gli occhi gonfi e
rossi, e sua madre stava cercando di non piangere. Le si
avvicinò
e le spiegò tutto. Lei si mise a urlare dicendo che non
poteva
essere vero perché NON POTEVA ESSERE VERO. La sua Carmen
morta. Bianca. Fredda. Non avrebbe più riso con lei, non
l'avrebbe più aiutata in matematica e non l'avrebbe
più
abbracciata. Era svenuta. E non si ricordava più nulla di
quella sera, tranne le urla dei suoi genitori che c'erano sempre e le
sue urla all'obitorio con la mamma di Carmen per
riconoscerla...basta. Non poteva ricordare. Le faceva male.
Non
doveva pensare, ecco.
Era
arrivata al bivio, quello in cui da una parte si torna in
città
e da una parte si sale e si va al castello dove c'era il suo posto
preferito. Con Carmen ci andava sempre a studiare in primavera.
Si
attraversavano i ruderi del castello medievale e si arrivava vicino
alla chiesetta adiacente per poi sbucare in uno spiazzo con degli da
alberi enormi, querce forse. Da una parte gli alberi terminavano e
c'era uno strapiombo con delle sterpaglie sulla montagna e in fondo
c'era il fiume, e se si stava in silenzio si sentiva il rumore
dell'acqua. Nelle giornate di pioggia sembrava ci fosse un concerto
metal là sotto dal rumore che arrivava.
Imboccò
la strada del castello e arrivò allo spiazzo. Si sedette in
un
angolo vicino ad una quercia non facendo caso alle foglie che si
attaccavano alla sua tuta e prese il quaderno che aveva con
sé.
Iniziò
a scrivere. Passarono minuti, ore intere. Si fece buio. Era
soddisfatta di ciò che aveva fatto. Era una lettera. A sua
madre. Quella madre che non l'aveva mai capita e che con lei si era
sempre lamentata. Alla fine diceva:
"Dì
a Joey e a sua moglie di non preoccuparsi per me. Io sto bene qui,
dovunque sia qui. Ne sono sicura.
Ti
voglio bene, anche se non hai mai saputo capirmi. Anche se non mi sei
stata vicina dopo la morte di Carmen, anche se ti ho odiata. Non
importa mamma, io ti capisco. Ti perdono. Spero di non essere
più
un enigma per te dopo questa lettera."
Si
alzò, mise le sue cose in un posto ben visibile, la lettera
sopra tutto. Poi si avvicinò allo strapiombo.
Non
aveva dubbi.
Un
anno era passato, ma non ne sarebbe passato uno ugualmente terribile.
Era
sicura già da tempo della sua decisione. Guardò
un po'
il vuoto sotto di sé poi prese fiato e saltò.
Niente
urla teatrali, era sola e non voleva urlare. Le braccia aperte come
ali, stava davvero volando verso una vita migliore?
Mille
ricordi le vorticarono in testa. E' proprio vero che quando stai per
morire ti torna in mente tutto, pensò. Vide Joey e lei da
piccoli, sua madre, suo padre ormai lontano, Carmen. Vide il suo viso
grassottello di bambina, le loro mani intrecciati e sentì la
sua voce che le diceva .
Stava
per arrivare a terra.
Era
quasi fatta.
Sentì
bruciare gli occhi, e qualcosa di caldo le scivolò sulla
guancia.
Toccò
terra con un tonfo non troppo aggraziato.
Ebbe
la forza di portarsi una mano al viso e toccare quella strana cosa
che le era uscita dagli occhi.
Era
calda, bagnata, la portò più vicina agli occhi e
la
esaminò con le poche forze che le restavano. Erano molto
poche. Stava per morire. Lo sentiva. Come si chiamava quella cosa? Se
ne era dimenticata anche il nome.
Ah
si, ecco. Lacrima.
Sì,
una lacrima.
E
poi il buio.
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