Love
doesn't work like math.
(L'amore
non è come la matematica).
Le
divisioni continuavano ad essere un problema e non erano mai state il
suo forte: sbuffava mentre, le labbra contratte in una smorfia, usava
le dita per determinare quante volte il sette fosse compreso nel
diciassette.
Due
volte con il resto di tre, quindi si abbassava l'otto e diventava un
bel trentotto: corrugò le sopracciglia nel tentativo di
rimandare a
mente la tabellina del sette per poi rendersi conto che molto
probabilmente fosse una di quelle operazioni antipatiche che
richiedevano persino la virgola. Ma quand'è che si attaccava
la
virgola? E poi serviva aggiungere uno zero, giusto? E dove andava
scritto lo zero?
Si
grattò la tempia nel tentativo di mettere a fuoco la pagina
di
quaderno nella quale aveva scritto tutto con le pennine colorate ma
la sua concentrazione si spezzò: levò gli occhi
azzurrini e un
sorriso le increspò le labbra di ciliegia nel vedere i suoi
papà
sulla soglia della sua cameretta. Papà Kurt sorrideva di
quel suo
modo vezzoso anche se sembrava nervoso, per qualche motivo, e
sembrava stesse cercando di convincere il papy Sebastian
ad entrare nella camera.
Fingendo
di non averli scorti, appuntò lo sguardo sul quaderno, il
sottofondo
delle loro voci.
“Avanti,
dobbiamo parlarle”.
“L'idea
è stata tua: tu dovresti
parlarle. Sei tu
papà comprensione, papà bei discorsi”.
Il solito tono più
lamentoso e quasi puerile, seppur ammantato della solita arroganza.
“E
tu a cosa servi?”.
“Io
sono il papy affascinante, ovviamente, il suo compito è adorarmi”.
Non serviva neppure levare lo sguardo per immaginarne il sorrisetto
malizioso ed allusivo.
“Non
discutere, riguarda la nostra famiglia e lo faremo insieme”.
Era
una di quelle occasioni in cui papà si dimostrava
particolarmente
deciso e poco propenso ai compromessi. Una bella divergenza visto che
papy, pur adorandolo, non voleva mai esplicitamente dar segno di
obbedire alla sua volontà.
“Smettila
di spingermi”.
“E
tu smettila di tenerti allo stipite”.
“E
se non fosse d'accordo? Non voglio che mi odi”. Odiare uno
dei due?
Era letteralmente impossibile e ancora più strano era che il
papy
desse adito ad un simile dubbio.
“Non
dire stupidaggini”.
Aveva
cercato di trattenere la risatina che voleva sgorgarle dalle labbra
seppur il corrugamento delle sopracciglia rivelasse la sua
confusione:
che cosa stava
succedendo?
Per
quale motivo i suoi papà apparivano così nervosi
e dovevano
parlarle?
Solitamente
alle amiche di scuola quando succedeva una cosa simile era
perché la
famiglia doveva cambiare casa (lei amava la loro casa e la sua
cameretta: papà Kurt l'aveva arredata con il suo
meraviglioso gusto
e aveva la sua collezione di bambole, del fornetto e della cucina
delle Barbie e anche una mini-lavagna come quella che lui aveva al
suo Atelier. Spesso vi si sedeva spesso a disegnare abiti che poi lui
approvava e spesso portava anche in ufficio e li appendeva alle
pareti insieme ai numeri di Vogue o alla sua rivista personale),
oppure stavano avendo un... dissorzio
(?). Ma no, i suoi papà fingevano spesso di litigare o si
tenevano
il muso (questo era tipico di papà Kurt: quando papy
Sebastian era
arrabbiato preferiva stare solo o uscire a fare una passeggiata.
Spesso la portava con sé: le comprava un gelato o cercava di
inculcarle qualche parolina che poi doveva dire a papà Kurt
al posto
suo. Secondo lui era per questo che a papà Kurt piaceva
litigare e
fare pace.) ma erano la coppia più innamorata che
conoscesse. A
parte i nonni Burt e Carole.
Mentre
formulava le sue congetture silenziose, si erano entrambi avvicinati
al suo letto.
“Sissy,
tesoro, scusa se ti disturbiamo”.
Si
era sentita sollevare dal papy che le aveva assestato un bacio sulla
guancia.
“Dovrebbe
ringraziarci: matematica, eh?” l'aveva vezzeggiata e la
bambina
aveva riso, cingendogli il collo ed annuendo prima che papà
Kurt si
sedesse sul suo letto.
Aveva
accavallato le gambe e si cingeva il ginocchio con entrambe le
braccia: quando il papy la fece accomodare sul letto, restò
appollaiata al suo grembo mentre l'altro le cingeva la manina.
Strinse la sua, morbida e vellutata come sempre. I due adulti
sembrarono scambiarsi uno sguardo prima che papà prendesse
la
risoluzione.
“Tesoro,
dovremmo parlarti di una cosa”.
Aveva
annuito, pronta all'ascolto: la sua curiosità diventava
sempre più
impellente, senza contare che era anche un'ottima scusa per rimandare
le sue divisioni con la virgola.
“Ricordi
la signora che hai incontrato prima? E che è venuta a farci
spesso
visita?”.
Sissy
la ricordava perfettamente: era una donna molto affascinante e aveva
dei begli occhioni verdi (non come quelli di papy: quelli erano
unici)
e un sorriso davvero gentile, legava sempre i capelli biondi con
qualche acconciatura particolarmente elaborata e aveva sempre un bel
rossetto luminoso. E le scarpe abbinate alla borsetta.
“Aveva
la nuova borsa di Chanel, l'hai vista?”.
Papà
parve illuminarsi.
“L'hai
notata? Ed è ancora in edizione limitata e-” uno
schiarirsi di
voce li interruppe e papy, le mani che accarezzavano distrattamente i
capelli di Sissy, stava guardando il marito con le sopracciglia
inarcate e il viso inclinato di un lato.
“Mi
dispiace interrompere questo – le aveva tappato le orecchie
–
orgasmo
modaiolo,
ma credevo dovessimo parlarle di tu-sai-cosa”.
Sissy
aveva aggrottato la fronte, guardando dall'uno all'altro mentre
papà
guardava papy con quella tipica espressione offesa.
“Ci
stavo giusto arrivando: stavo solo lodando il suo colpo d'occhio
straordinario”.
“Ricordatelo
quando da adolescente diventerà una Blair Waldorf
e scialacquerà la tua carta di credito per una nuova
collezione
comprata su Amazon”.
“Adesso
mi offendi seriamente: mia figlia non farebbe
mai
acquisti on-line,
privandosi della possibilità di girare per negozi con
me”. La sola
idea pareva scandalizzarlo più della possibilità
che fosse capace
di rubare.
“Oh,
lo farà: perché sarò io a dare a mia
figlia il numero di serie
della tua carta di credito”.
Adesso
era stato il suo turno di schiarirsi la gola.
“Non
dovevate dirmi qualcosa?”.
Nonno
Burt le aveva insegnato che spesso per impedire che bisticciassero
come “una disgustosa coppia di sposini” bisognava
intervenire nel
momento giusto e sembrò esserci riuscita perché
papà sorrise
nuovamente e papy riprese a carezzarle i capelli.
Si
rilassò
soddisfatta, la schiena premuta al petto del papy.
“Sissy,
tesoro, papy e io abbiamo incontrato quella signora perché
lei vuole
aiutarci a rendere più grande la nostra famiglia”.
“Vuoi
ingrassare?” aveva chiesto la bambina confusa e
sentì il papy
soffocare una risatina ma papà – dopo averlo
fulminato con lo
sguardo – non smise di sorriderle: si sporse a prenderle il
visino
tra le mani.
“Lo
sai che ti adoriamo più di ogni altra cosa”.
“Io
di più” sussurrò papy complice, al suo
orecchio.
“E
questo non cambierà mai: sei
la nostra principessa”.Lo
aveva detto con enfasi ma Sissy continuava a guardarlo confusamente
per come sembrava divenite più ansioso.
“Lo
so”.
“Che
ne diresti, allora, se questa principessa avesse... un piccolo
principino a farle compagnia?”.
Era
arrossita furiosamente: sapevano che Kyle Anderson Glassman
le aveva regalato un fiorellino? O almeno credeva fosse stato lui,
insomma la sua amica Rebecca ne era sicura anche se non l'aveva visto
personalmente.
“Un
principino?”.
“La
stai confondendo” ribatté il papy che la
sollevò per le ascelle
così da guardarla in viso.
“E'
il tuo giorno fortunato, scricciolina: avrai un fratellino che
sarà
identico di me”.
Di
fronte ai loro visi sorridenti, rimase qualche istante senza fiato.
Forse,
dopotutto, la matematica non era la cosa peggiore.
~
A
quell'ora della notte la casa era avvolta da un delicato silenzio che
sovrastava ogni cosa, come una delicata ninna nanna che penetrava
oltre la stanchezza e le preoccupazioni e riusciva a cullare la
mente. Sincronizzava il ritmo delle palpitazioni e la respirazione,
fino a indurre ad abbandonarsi piacevolmente e ritrovare la pace.
Più
o meno.
Allungò
il braccio verso il comodino al suo fianco, fino a far scattare
l'interruttore dell'abat-jour: nello stesso momento, Sebastian emise
un gemito di disapprovazione e si volse di un fianco, dandogli le
spalle.
Kurt
si sollevò con il busto, un'espressione di profondo
sgomento:
allungò il braccio nuovamente ma questa volta ad artigliare
la
spalla del marito.
“Sebastian?”.
Ripeté
il richiamo al grugnito di risposta, scuotendolo anche leggermente.
“Stai
dormendo?”.
Seppur
avesse le palpebre serrate, Sebastian avrebbe scommesso
l'entità dei
suoi genitali di esser riuscito a sollevare gli occhi al cielo ma non
gli diede soddisfazione di voltarsi a fissarlo. Al contrario,
abbracciò il cuscino e affondò maggiormente
contro di esso.
“Sì”.
Brontolò.
“Sebastian!”
ripeté il suo nome: questa volta aveva l'intonazione di una
protesta
ma l'altro emise un verso stizzito, concedendosi – gli occhi
ancora
serrati – di muovere appena il capo, quasi volesse guardarlo
da
sopra la propria spalla.
“Le
luci sono spente, Sissy dorme quindi a meno che non abbia voglia di
fare sesso o la casa stia andando a fuoco e io stia andando in
autocombustione, sì, sto dormendo come tutte le notti a
quest'ora”.
Sottolineò con voce evidentemente carica di sarcasmo che
Kurt
ignorò.
Aveva
preso a frugare nel comodino, e Sebastian avrebbe giurato di aver
sentito lo sfogliare frenetico di un libro ma sperò di
riaddormentarsi prima che il suo amatissimo consorte sentisse
l'impellente necessità di avvisarlo di una nuova idea per la
sua
linea di moda dell'Atelier Hummel. Oppure riprendesse a singhiozzare
per Satine e/o quella sottospecie di Obi-Wan confuso e travestito da
damerino.
“Sono
preoccupato per Sissy” fu il commento di Kurt e Sebastian si
odiò
per per quello scampanellio che si era acceso nel suo cervello e che
lo indusse a voltarsi – sapeva che già se ne
sarebbe pentito! - con la mano ancora a coprirsi gli occhi,
perché non fossero troppo
feriti dalla luce.
“Sei
tu papà medico, a meno che Dottor House non esca dalla tv e,
tra
parentesi, dovresti smetterla di farglielo vedere solo
perché hai
una cotta per Jesse Spencer,
o ogni volta che ha un raffreddore, penserà di dover fare
testamento”.
“Non
sto parlando della sua salute” aveva risposto –
troppo
frettolosamente e aveva ignorato ogni riferimento al bell'attore
australiano – e la sua voce era persino più
accorata, tanto che
Sebastian, ancora maledicendosi, scostò la mano ad
osservarlo. Aveva
le sopracciglia inarcate ma mosse appena il mento in sua direzione
perché continuasse a parlare.
“Non
hai notato che non ha detto nulla, quando le abbiamo parlato di
tu-sai-cosa?”.
Prese
un profondo respiro, Sebastian.
“Anzitutto,
non c'è più bisogno che tu parli per enigmi, mi
sembra” la solita
incrinatura ironica prima di scuotere il capo. “Dalle il
tempo di
reagire: anche io sarei sconvolto all'idea di un mini-me che sia
straordinariamente affascinante e irresistibile” era stato
incredibilmente serio nel pronunciare quella frase con evidente
convinzione. Kurt, malgrado la preoccupazione, dovette sforzarsi di
non scoppiare a ridergli in faccia ad un maniera che, per il suo
egocentrico narcisismo, sarebbe stato insopportabile.
“Quindi
non
dovremmo
preoccuparci? Insomma secondo questi manuali sulla psicologia
infantile e questo del pre-mestruo-”.
“Il
pre-cosa?”
vi era stato un ringhio più minaccioso nella sua voce.
“Per
l'amor del cielo Sebastian: ha otto anni il che significa che tra
circa metà della sua età attuale dovremmo
prepararla a... insomma,
al-”.
“N-Non
dirlo” la sua faccia schifata era stata più che
eloquente ma aveva
ripreso frettolosamente il discorso iniziato in precedenza.
“Hai
davvero sprecato soldi in quella merda?
Tanto valeva farsi dare un consiglio da Cleverbot”.
“Credo
che dica delle cose molto interessanti, invece: c'è tutto un
capitolo su come si dovrebbe affrontare l'arrivo di un nuovo bambino.
Magari è spaventata e pensa che non l'ameremo come prima. O
forse
adesso ci odia-”.
“Casomai
odierà te”
aveva borbottato in risposta ma fu una fortuna che Kurt fosse troppo
preso dal suo dilemma personale per ascoltarlo.
“Sono
un pessimo padre: avrei dovuto parlargliene già prima,
avrebbe
dovuto sentirsi coinvolta nella discussione e adesso ho sconvolto
la sua quotidianità e ha troppa paura di ferirmi per dirmi
cosa
pensa seriamente. O forse ha soltanto bisogno di metabolizzare la
notizia e rendersi conto che sia tutto reale o forse non trova le
parole di esprimersi e lo farà con il tempo.
Ma
non può essere così: sento
che qualcosa
non va, solo che non riesco a capire cosa sia e cosa dovrei fare
per-” .
“Kurt”
Sebastian, che aveva passato gli ultimi due minuti a massaggiarsi la
tempia mentre suo marito si auto-stuprava la psiche, lo
richiamò con
voce stanca.
“Io
avrei tanto desiderato una sorellina ma forse ho dato per scontato
abbia ereditato da me anche questo-”.
“Kurt”
aveva alzato ulteriormente la voce e finalmente il marito aveva
taciuto, allora Sebastian lo aveva scrutato a lungo, le sopracciglia
inarcate.
Sembrò
rifletterci qualche istante: tutte le sue congetture melodrammatiche
e paranoiche che ancora gli ronzavano nella mente, annebbiandola e
facendolo sentire come se stesse letteralmente affogandosi in esse.
“Sicuro
di non essere tu quello incinto?”
gli aveva chiesto infine.
Aveva
osservato il viso di Kurt venire stravolto: dapprima l'imbarazzo e la
confusione, prima che uno scintillio di rabbia gli facesse irrigidire
i lineamenti e serrare le labbra. Tremavano il che avrebbe potuto
equivalere ad un segnale secondo cui stava per scoppiare e/o
esplodere in pianto (il che, purtroppo, non era escludibile a
giudicare dalla pantomima cui aveva assistito negli ultimi istanti).
Non
fece semplicemente nulla, Kurt: gli rivolse un'occhiata gelida ma
decise di non rispondere, il che era persino peggio di quando
assumeva quel tono lacrimoso o gli rispondeva con le stesse frecciate
ironiche e sferzanti.
Si
volse con un gesto teatrale verso il comodino e spense la luce.
“Buonanotte
Sebastian” pronunciò con quel tono che significava
che, molto
probabilmente, il giorno dopo gli avrebbe rivolto soltanto parole
cordiali e marcato i “per favore” e
“grazie mille” senza però
guardarlo in volto, fino a quando non gli fosse passato quel
malumore.
“Kurt”
lo richiamò ma l'altro si era nuovamente steso.
“Ho
detto buonanotte” la voce era suonata più stridula
ma si
raggomitolò nel suo lato del letto, in posizione fetale, e
allungò
le coperte fin sotto il mento.
Sebastian
dovette essere grato al fatto che l'oscurità fosse calata
per
nascondere il sorriso che ne illuminava le labbra: Kurt era senza
dubbio la checca isterica più mestruata, melodrammatica,
rompipalle
e paranoica del mondo. Ma era probabilmente quello il motivo per cui,
una volta avvinto a sé ed assuefatto di tutti quei difetti
che gli
facevano spesso venir voglia di strangolarlo, non sarebbe riuscito a
separarsene se non facendosi una costrizione.
Ne
ignorò quella postura con la quale stava dandogli evidente
dimostrazione che non desiderasse alcun contatto e neppure
rivolgergli parola, ma gli si avvicinò fino ad invaderne lo
spazio
personale e cingerne il ventre fino a quando la sua schiena non si
incastrò perfettamente contro il proprio petto.
Respirò vicino alla
sua nuca: ne sentì la pelle intirizzirsi ma immaginava
l'espressione
insofferente che gli avrebbe rivolto se lo avesse guardato in viso,
ipotesi del tutto scartata per puro orgoglio.
Ma
neppure diede segno di volersi scostare e Sebastian profittò
della
vicinanza per sporgersi a baciarne delicatamente il collo.
“Domani
le parlerò, quando andrò a prenderla a
scuola” si sentì dire e
Kurt parve rilassarsi seppur lo immaginò sollevare il mento.
“Non
dovresti assecondare le mie turbe ormonali”
replicò in tono
evidentemente ironico e Sebastian dovette trattenersi dal ridere
contro la sua pelle (allora sì che Kurt avrebbe anche potuto
lasciare il letto per andare a dormire nella camera degli ospiti) ma
si limitò a baciarne nuovamente quella porzione di pelle.
“Erano
incluse nell'anello di fidanzamento: mi hanno fatto un ottimo
sconto”.
“Lo
farai davvero?”.
Sorrise,
Sebastian, sentendo che stava per capitolare.
“Lo
farò”.
Kurt
si volse ad affondare contro il suo petto e Sebastian fu lesto a
cingerlo, appoggiando il mento contro il suo capo. Ne
inspirò il
profumo di vaniglia, divenuto ormai parte stessa di quelle pareti e
di quel letto.
“Scusa
se sono così paranoico” aveva pigolato, in tono
più imbarazzato.
“Mhm,
solo un tantino”.
“E
se ti ho svegliato” aggiunse.
“Ci
sarebbero modi più
interessanti
per farlo,
in effetti”. Fu la pronta replica, un sorrisetto
più malizioso a
farne baluginare lo sguardo mentre lo attirava maggiormente a
sé.
“Non
vedo l'ora di avere un piccolo mini-te”.
“E'
per questo che ancora non ho chiesto il divorzio” rise del
colpo
secco alle costole ma lo attrasse maggiormente a sé,
appoggiò il
capo nell'incavo del suo collo e socchiuse gli occhi pigramente,
strofinandovi le labbra.
“Ricordati
di queste parole, quando mi maledirai per i miei geni” lo
ammonì
dolcemente, facendolo ridacchiare. Con quel fare appena più
vezzoso
e quello sguardo più languido che Sebastian adorava
follemente.
“Lo
so: sono masochista”.
“Dimmi
che mi ami, Kurt, così potrò tornare a
dormire”. Gli suggerì in
tono spiccio, strappandogli un verso a metà tra l'imbarazzo
e il
divertimento.
“Come
sei romantico”.
“Quindi
non hai intenzione di dirmelo”. Non sembrava trasparire
alcuna
emozione dal tono ma Kurt avrebbe giurato stesse attendendo quelle
parole.
“Ti
amo”.
“Lo
so”. Rispose soddisfatto, una scrollata di spalle.
“Non
sei Patrick Swayze”.
“E
tu non sei un necrofilo”.
Sottolineò e Kurt si scandalizzò per il modo
superficiale con cui
si faceva beffe del romanticismo – spesso drammatico
– dei suoi
film preferiti.
“Andremo
avanti per le lunghe?”
“No,
decisamente no”.
Un
guizzo repentino con cui lo fece coricare supino e Sebastian sorrise
chinandosi al suo volto: un sorriso complice di Kurt nel cingerne il
volto.
“Mhm,
sembra che dopotutto non dormirai davvero”. Sorrise quando il
marito prese a mordicchiarne le dita, lo sguardo fisso su di lui a
quella maniera più sensuale che non avrebbe mai smesso di
farlo
tremare.
“Solo
perché lo decido io, Hummel”.
~
Non
era stata una notte di sogni incantati, quella di Sissy: al
contrario, seppur non ne ricordasse esattamente il contenuto, a parte
il suono incessante del pianto di un neonato.
Si
era svegliata molto inquieta, accompagnata da una profonda sensazione
di frustrazione e di timore che non si erano dissolti quando
papà le fatto indossare un completino nuovo che ne avrebbe
messo in risalto
gli occhi. Neppure quando le aveva preparato i plumcakes con tanto di
faccina sorridente.
Era
stata molto silenziosa: seduta sullo sgabello, la mano a puntellarsi
il viso mentre piluccava il cibo con la forchetta senza mai levare lo
sguardo. Senza mai partecipare alla conversazione ma limitandosi a
rispondere alle premurose domande di papà circa la giornata
che
l'attendeva o il carico di compiti previsti per la settimana e
l'immancabile richiesta di conferma sulla comodità delle
ballerine o
il consiglio su come il cerchietto dovesse essere esattamente
posizionato.
In
compenso, era sembrata una giornata come le altre a scuola, scorsa
tra dettati e lezioni di grammatica, altri calcoli di matematica alla
lavagna e con la temutissima Signora Marshall. Soltanto durante la
pausa della ricreazione, la sua amica Rebecca l'aveva osservata con
più curiosità del solito.
“Perché
stai zitta zitta, Sissy? E' perché Kyle ha il
morbillo?” un vago
cenno di rossore sulle guance ma la bambina aveva negato, muovendo
energicamente la testa, scuotendo così anche i boccoli.
Aveva
sospirato e infine si era presa le guance tra le mani, un sospiro
stanco.
“I
miei papà vogliono un altro bambino” aveva ammesso
alla fine e il
solo dirlo ad alta voce aveva reso tutto persino più
difficile:
aveva sentito la gola stringersi in un nodo e gli occhi pizzicarle ma
Rebecca aveva sbattuto le palpebre confusa.
“Anche
la mia mamma, e la mamma di Elisa, e di Matthew, e di Richard
e-”.
Sapeva
naturalmente che quasi tutti nella sua classe avevano fratelli o
sorelle più grandi o più piccoli ma non riusciva
a capacitarsi che
stesse accadendo anche a loro. Che
cosa era cambiato? E,
soprattutto, perché
stava
succedendo a lei?
“Io
non lo voglio” aveva risposto imbronciata, incrociando le
braccia
al petto. “Lo hanno già deciso” aveva
borbottato in tono
evidentemente offeso ma Rebecca si era grattata confusamente la
testa.
“Sono
grandi, fanno sempre così: anche mamma e papà non
me lo dicono mai
quando mi mettono le verdure nel piatto” asserì
con la stessa
serietà.
“Preferisco
le verdure!” aveva brontolato ulteriormente, il tono
più
capriccioso nello sporgere il labbro inferiore ma Rebecca le aveva
stretto la manina.
“Io
voglio bene alla mia sorellina: le faccio mettere i vestitini delle
bambole e le leggo le favole, dormiamo tutti insieme nel lettone di
mamma e papà e guardiamo i nostri cartoni
preferiti”.
Suo
malgrado, Sissy non aveva potuto che immaginare qualcosa di simile e
aveva lentamente rilasciato il respiro. Aveva persino sorriso
dell'idea che, con una nuova bambina (perché doveva
essere una bambina, se proprio doveva esserci qualcun altro!),
avrebbero dovuto passare più tempo con lei e fare le cose
che le
piacevano. Era uno scambio giusto: lei dava a loro il permesso di
avere un'altra bambina e loro dovevano essere ancora più
dolci e
buoni con lei.
Probabilmente
non sarebbe stato poi così male: in fondo papà
Kurt diceva sempre
che non bisognava affidarsi soltanto alla prima impressione
perché
altrimenti non avrebbe sposato Papy.
Stava
giusto per ringraziare Rebecca che riusciva sempre a dire qualcosa
che le sollevava l'umore ma fu una terza voce quella che le
interruppe.
“Sei
tu, Sissy, che avrai una sorellina o un fratellino?” si erano
entrambe voltate ad osservare Hannah, la ragazza più alta
della
classe, figlia di una modella che ostentava sempre qualche completo
nuovo – rigorosamente non
acquistato
nell'Atelier
Hummel – e si dava le arie di una principessa. Anche se era
antipatica e si comportava sempre come se sapesse tutto.
Sissy
aveva aggrottato le sopracciglia ma si era stretta nelle spalle per
non darle soddisfazione.
“Sì,
e ne sono tanto contenta” le aveva detto, cercando di
sostenerne lo
sguardo ma la bambina aveva continuato a sorridere, fissandola.
“Davvero?
Perché sembra che stai per piangere?”.
Sissy
aveva stretto le labbra, cercando di dare alla sua voce un tono
più
sicuro mentre stringeva i pugnetti, il viso arrossato.
“Non
sto piangendo!”. Ribatté indignata.
“Sì,
non sta piangendo!” le fece eco Rebecca. “Sissy
avrà la
sorellina più bella del mondo e tu resti una
strega”.
Ma
Hannah si era limitata a gettarle un'occhiata divertita per poi
concentrarsi su Sissy, chinandosi a sfiorarle i capelli – i
suoi,
al contrario di quelli di Sissy, erano lisci e ricadevano come una
cascata setosa e di un biondo dorato – per poi sorriderle con
finta
gentilezza.
“Fai
bene ad essere triste perché i tuoi papà presto
non ti vorranno più
bene” aveva continuato impietosamente e persino la temeraria
Rebecca aveva trattenuto il fiato.
Era
stata una stilettata al petto di Sissy che aveva sentito gli occhi
farsi lucidi ma sapeva,
sapeva in cuor suo
che fossero solo parole dette con cattiveria. Anche se i suoi
genitori non avevano mai parlato molto del loro passato, le avevano
spiegato che vi erano persone che, apparentemente senza motivo, si
divertivano a ferire gli altri dicendo cose cattive. Per il gusto di
fare male e sentirsi più forti. Non aveva mai creduto che
fosse
possibile, non fin quando non aveva conosciuto Hannah ad ogni modo.
“Stai
dicendo una bugia, solo perché sei gelosa” aveva
reagito, infine,
ma la biondina aveva continuato a sorriderle, scrollando le spalle.
“Perché
dovrei? Presto ti manderanno in un orfanotrofio”.
Era
sbiancata Sissy e Rebecca le aveva stretto la manina, scansando
l'altra con sguardo irritato prima che la Maestra si avvicinasse a
tutte e tre, chiamandole per nome.
“Bambine!
State litigando?” le mani sui fianchi, aveva guardata
dall'uno
all'altra ma Hannah si era scostata i capelli dietro le spalle,
sorridendole leziosa e sbattendo le palpebre.
“Niente
affatto, signora Marshall, stavo solo consigliando a Sissy un negozio
di vestiti
decenti”
aveva ridacchiato della sua stessa battuta e, soltanto quando si fu
allontanata, la maestra si chinò verso Sissy.
“Stai
bene, Sissy? Sei pallida: è per qualcosa che ti ha detto
Hannah?”.
Passò
un lungo istante prima che la bambina articolasse suono: la sua mente
ripercorreva le parole della coetanea e, pur consapevole che fossero
frutto della sua cattiveria, non aveva potuto fare a meno di sentire
un forte dolore, laddove il cuoricino batteva più
rapidamente.
Scosse
il capo, lentamente.
“Sei
sicura?” le aveva accarezzato la guancia con fare
più gentile:
come facevano i suoi papà per rassicurarla o coccolarla.
“Vuoi che
chiami i papà?” aveva soggiunto ma Sissy aveva
scosso il capo e si
era sforzata di sorridere.
“Sto
bene, grazie Signora Marshall”.
Rebecca
aveva continuato a fare linguacce a Hannah fino a quando la Maestra
non l'aveva guardata con il cipiglio severo e solo allora si era
seduta di nuovo accanto a Sissy.
“Hannah
è una strega bugiarda e sono sicura che quando
sarà grande le
verrà... la celluli- il cellulare,
quella cosa lì che augura sempre la mia mamma alle
attrici”
sentenziò in tono sicuro di sé e, malgrado tutto,
Sissy rise.
Sì,
Rebecca aveva ragione.
Non
capiva come un cellulare potesse danneggiare un'attrice famosa ma
Hannah non avrebbe mai potuto dire qualcosa di vero sui suoi
papà.
Era
così e le bastava.
Accolse
con particolare foga il suo adorato papy quando ne scorse l'alta
figura stagliata contro la sua auto: non esitò a correre per
ricoprire la distanza e abbracciarne le gambe, in attesa che egli la
sollevasse dal suolo e la stringesse teneramente tra le braccia.
“Com'è
andata a scuola, scricciolina?” le chiese e Sissy –
l'immagine di
Hannah e l'eco delle sue parole ancora ben udibili nella sua mente
–
scosse il capo e gli sorrise.
“Bene”
rispose e il padre l'aiutò a salire in auto ma
notò che non aveva
imboccato la direzione della loro abitazione.
“Papà
ha una riunione e rientrerà più tardi: andiamo al
parco” le aveva
suggerito e uno scintillio di pura gioia aveva cosparso le iridi
della bambina che adorava quelle occasioni in cui potevano
trascorrere del tempo insieme prima di rientrare. Allora magari era
lei a proporre di pasticciare in cucina, specialmente se
papà
sarebbe rientrato più tardi e particolarmente provato da una
lunga
giornata di lavoro. Non che il suo papy si sforzasse tanto, quindi il
più delle volte ne ricavavano qualcosa di bruciacchiato o di
insapore o di fin troppo salato ma papà sembrava sempre e
comunque
apprezzare tutto, visto il sorriso che continuava a sostare sulle sue
labbra e il cibo sembrava sempre passare in secondo piano.
Solitamente
il papy la spingeva sull'altalena o restava a guardarla mentre si
dava ad altre attrazioni o semplicemente restavano seduti sulla
panchina: lui a volte leggendo qualcuna delle sue cartelle e pratiche
dei suoi clienti (era un avvocato) e lei stesa con la testa
appoggiata alle sue gambe e gli occhi socchiusi al sole. Quel giorno
non sembrava particolarmente ansioso di spingerla perché la
trattenne contro di sé mentre osservavano le altre famiglie.
Lo
sguardo di Sissy cadde su un'altra bambina, più o meno sua
coetanea,
che stava cercando di far smettere di piangere un neonato nella sua
carrozzina: gli porgeva la sua stessa bambola e il neonato la
lanciava lontano, continuando a piangere.
Un
sospiro le affiorò alle labbra e un corrugamento sulla
fronte.
“Bel
lancio” commentò il suo papy che aveva
evidentemente osservato la
stessa scena e Sissy sentì le guance ardere come se le
avesse letto
il pensiero. Questi la strinse a sé, fino a prenderla in
braccio. Le
accarezzò i capelli e le consentì di appoggiare
il visino contro il
suo petto.
Sospirò,
Sissy, e socchiuse gli occhi.
“Stai
bene, Sissy?” le aveva chiesto e la bambina sapeva che era
quella
la domanda che solitamente le veniva posta in quelle situazioni:
quello
era il momento in cui avrebbe dovuto lasciar andare le sue paure o
parlargli sinceramente.
Aveva
schiuso gli occhi per incontrare quelli smeraldini, aveva sentito le
sue labbra sfiorarle la fronte e aveva rilasciato il respiro
più
pesante. Avrebbe dovuto dirgli tutto, lo sapeva, ma sembrava
difficile, come non mai. Neppure quando aveva preso un brutto voto
aveva temuto così tanto la sua reazione, neppure quando
aveva
macchiato involontariamente l'abitino nuovo e a papà era
quasi
venuta una sincope e aveva cominciato a parlare con voce alta e
incredibilmente acuta.
“Sai
che se qualcosa non va, puoi parlarmene, vero?” aveva
aggiunto e
Sissy aveva annuito ma era passato un altro lungo istante.
Fece
per aprir bocca ma il cellulare del padre suonò.
“Siamo
al parco, credevo rientrassi più tardi: sei andato in
iperventilazione per nulla” lo sentì dire con il
solito tono
mellifluo ed ironico con cui era solito schernirsi delle paranoie o
delle ansie del marito.
Sospirò,
Sissy, ma scosse il capo: il neonato era stato preso in braccio dalla
madre e la figlia maggiore la seguiva ed osservava mestamente la
propria bambola, camminando a testa bassa.
Strinse
i pugni e ricacciò nuovamente la sgradevole voce di Hannah
che era
sempre più alta dentro la sua testa.
Affondò
il visino contro il cuscino e sollevò le coperte per
mantenere una
traccia di calore.
“Le
hai parlato?”.
“Avevo
iniziato, prima che tu ti facessi venire una crisi isterica”.
“E
cosa ti ha detto?”.
“Nulla:
è inutile forzarla. Dobbiamo lasciarle tempo”.
“Mi
preoccupa, Sebastian”.
“Tu
ti preoccupi sempre”.
~
Controllò
il suo riflesso per l'ennesima volta, constatando che era tutto
perfetto: papà le aveva accuratamente fatto lavare il
tutù e si era
occupato della gonna di tulle perché fosse morbida e
vaporosa e ne
seguisse i movimenti. Le scarpine erano un regalo, di una
tonalità
di rosa confetto – il suo preferito - ed aveva già
provato a
muovere i primi passi per il riscaldamento, constatando fossero
perfette. I capelli erano stati trattenuti da un cerchietto ma le
ricadevano in boccoli ai lati del viso, impreziosito da un trucco
leggerissimo a metterne in risalto il colorito delle gote e i
boccioli rossi delle labbra. Un sorriso al ricordo della
preparazione.
Papy
aveva storto il naso malgrado papà dicesse che fosse
perfetta e le
avesse fatto almeno un centinaio di fotografie – dal solo
tragitto
della sua camera fino all'auto – ma la replica era stata
concisa
mentre le baciava la guancia “Lei è sempre
perfetta: non le serve
il trucco” e aveva sentito il cuore scaldarsi e un sorriso
d'emozione ma li aveva ringraziati con una piroetta.
Il
momento di levare il sipario si stava avvicinando sempre più
e
sentiva il cuore stringersi in una morsa mentre la Maestra le
incoraggiava tutte a mettersi in fila, pronte a calcare il sipario
del loro primo saggio di danza.
Forse
fin troppo presto, il sipario si levò ma, a quel punto,
cercò di
ricordare gli insegnamenti: doveva soltanto affidarsi alla musica,
ascoltarne il ritmo e seguirlo, eseguendo quei movimenti che aveva
imparato da tempo.
Aveva
scorto tra le prime file lo sguardo sorridente dei suoi due adorati:
papà sembrava seduto sull'orlo del seggiolino, le mani
strette in
preghiera e sembrava seguire ansiosamente ogni suo passo, come ogni
volta che ripassasse con lui la coreografia; papy era più
rilassato
contro lo schienale ma non distoglieva lo sguardo se non per dire
qualcosa al marito e indurlo, con una pressione sulla spalla, a
rilassarsi contro la sua poltroncina.
Stava
seguendo la coreografia, era giunta in prima fila e sentiva di essere
diventata un tutt'uno con la musica. I suoi movimenti erano lineari,
armonici, sferzava l'aria con la delicatezza di una farfalla nello
sbattere le ali, sembrava dipingere con i movimenti dei piedini che
solcavano il pavimento mentre si poneva sulle punte. Le braccia si
levavano come le ballerine nei carillon e stava sorridendo di quel
momento.
Sentì
l'acuto pianto di un bambino: osservò un papà,
non troppo lontano
dai suoi, alzarsi in piedi per cercare di placare il figlio. Aveva
gettato uno sguardo alla platea verso la figlia, mimando quello che
sembrava un “mi dispiace” prima di lasciare la
stanza.
AI
suoi occhi quel viso assunse altri contorni ed erano altre due le
persone che si allontanavano, troppo prese dalla richiesta di
attenzione di un neonato per prestare attenzione a lei, in quel
momento tanto speciale.
Il
suo momento.
E
mentre cadeva sul pavimento, la musica sembrò cessare in un
angolo
remoto della sua mente: sentì il respiro trattenuto da
Rebecca. Una
delle ultime immagini, fu il sorrisetto tronfio di Hannah che si era
affrettata a porsi di fronte a lei.
Aveva
sibilato un “Guarda come si fa” prima di esibirsi
in qualche
passo improvvisato che sembrò catalizzare l'attenzione
generale.
Ma
Sissy non riusciva a guardare né lei, né la
Maestra che la
incoraggiava a rialzarsi, né la mano protesa di Rebecca e
neppure il
pubblico per scorgere i papà.
Aveva
sentito le lacrime grandi e calde scivolare lungo il viso e si era
alzata per fuggire dietro le tende, incurante dei richiami.
Non
avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato: si era seduta sulla
panchina degli spogliatoi e si era abbracciata le gambe, il viso
affondato contro le ginocchia e le spalle esili scosse dai
singhiozzi.
Era
il suo momento, prima che i suoi papà avessero un altro
bambino,
l'ultima occasione per essere la sola ed unica principessa ed aveva
appena rovinato tutto.
La
consapevolezza le fece mancare il respiro e rilasciò un
altro
singhiozzo proprio quando sentì dei passi avvicinarsi:
qualcuno
l'aveva appena sollevata da quella posizione e aveva affondato il
visino contro una morbida e ampia spalla. Un profumo familiare
l'avvolse, sentì un'altra mano appoggiata sulla sua schiena.
Era il
papy a stringerla e papà a sfiorarle la schiena, come
così facendo
potesse infonderle sicurezza.
“Va
tutto bene, tesoro, ti portiamo a casa” aveva sentito dire da
quest'ultimo mentre il papy continuava a sfiorarne i capelli.
Aveva
levato lo sguardo e gli occhi arrossati ad osservarli entrambi:
deglutì a fatica e, con voce rauca, sussurrò un
“Mi dispiace”.
“Non
hai nulla di cui scusarti” aveva ribattuto prontamente il
papy, le
sopracciglia lievemente aggrottate ma le aveva scostato le lacrime
dal viso mentre papà annuiva.
“Ora
torniamo a casa: ci facciamo un bagno, una bella tazza di cioccolata
e poi parliamo, d'accordo?”.
Non
sapeva cosa sarebbe successo dopo che avessero parlato ma una cosa
era certa: sapere che sarebbero stati con lei, quella sera, era
già
fonte di calore e di rassicurazione.
In
quel momento, era tutto ciò di cui aveva bisogno.
~
Come
diceva sempre Nonno Burt, le cose sembravano molto più
semplici
quando si aveva lo stomaco pieno e al dolce sapore della cioccolata
aveva alternato qualche pasticcino che i genitori avevano comprato
appositamente per festeggiare il suo primo saggio di danza. Mai
avrebbe immaginato che sarebbe stata così disastrosa
la conclusione ed era certa che Hannah non avrebbe mancato di
farglielo pesare al ritorno a scuola. Ma, in quel momento, era
avvolta nella copertina azzurra, continuava a mangiucchiare i
bignè
e lasciava che la crema lenisse quel nodo in gola che non sembrava
volersi sciogliere in alcun modo.
Aveva
ancora negli occhi l'immagine di quel papà che si era
allontanato
dagli altri spettatori per
consolare il pianto del figlio e quell'inevitabile confronto con la
propria situazione futura. Un sospiro pesante le sfuggì
dalle labbra
e, senza neanche levare gli occhi dal proprio piattino, non ebbe
alcuna difficoltà ad immaginare lo sguardo che i due si
erano
scambiati.
Papà
le si sedette al fianco e sembrò finalmente prendere la
risoluzione
a parlare.
“Sissy,
tesoro, vuoi raccontarci cosa è successo?” le
aveva domandato e la
voce era così dolce e preoccupata, così carica di
affetto e così
lo sguardo luminoso che sentì nuovamente le lacrime premere
sul
bordo degli occhi.
Tirò
su con il naso.
“Mi
dispiace” pigolò nuovamente ma fu il papy a
scuotere il capo,
prendendola tra le braccia e appoggiandosela in grembo.
“Non
hai nulla di cui scusarti: anche tuo padre era abituato a fare
figuracce in pubblico” convenne in tono fortemente ironico
che
causò a Kurt un verso di scandalosa disapprovazione
nell'assestargli
una pacca sul braccio.
“Quello
che tuo padre intende, tesoro, è che a tutti può
capitare una
giornata negativa: la prossima volta andrà molto
meglio” cercò di
rassicurarla ma Sissy aveva scosso il capo, incredula, tirando
nuovamente su con il naso.
“Non
è v-vero, p-perché voi due non mi volete
più b-bene”. Malgrado
la sua voce fosse roca per il pianto trattenuto a stento, di cui le
prime stille ne sfioravano le guance, quelle parole sembrarono
lacerare il silenzio teso che si era creato.
Kurt
e Sebastian si guardarono senza fiato e se il primo era parso lui
stesso vicino alle lacrime, ferito da quelle parole, il secondo aveva
stretto maggiormente la bambina, quasi trattenendola come un
appiglio. Fu lui stesso a cingerne delicatamente le spalle.
“Perché
dici questo, Sissy?”.
La
bambina non trattenne più il pianto che premeva nel suo
cuore da
quando il loro annuncio aveva cambiato ogni cosa. Da quando,
soprattutto, aveva sentito che la sua famiglia e quell'amore che
aveva da sempre conosciuto, avrebbe potuto essere minacciato da una
nuova presenza. Da quando non era più certa di essere
sufficiente.
“Perché
volete un altro bambino: io non vi basto più?”
malgrado gli occhi
arrossati e le labbra tremanti quella sorta di accusa era suonata
così limpida da lasciare nuovamente entrambi senza fiato.
Kurt
deglutì a fatica prima di sedersi al loro fianco:
allungò la mano
al suo viso, sfiorandone delicatamente la guancia.
“Mi
dispiace, amore, io e tuo padre non volevamo farti pensare una cosa
simile o vederti triste” la sua voce era soffusa e
più delicata e
lo stesso Sebastian aveva annuito con energia, rivolgendole un
sorriso più complice. Un tentativo, almeno, di spezzare la
tensione.
“Credevo
saresti stata entusiasta di un 'piccolo me'” aveva adottato
quello
stesso sorrisetto più suadente e allusivo, quello
più furbo che ne
faceva risplendere gli occhi e renderlo persino più bello.
Lo stesso
che utilizzava quando papà era arrabbiato e allora si
presentava con
un fascio di rose o un invito a cena.
“Noi
ti amiamo con tutto il nostro cuore, Sissy e questo non
cambierà”
malgrado continuasse ad osservarli entrambi in viso e quel dolce
calore le facesse balzare il cuore in petto – le lacrime si
erano
momentaneamente arrestate – vi era ancora un residuo di
timore.
“E
se
non
è così? Come fai a saperlo: non voglio che vi
dimenticate di me”
aveva concluso con un pigolio più strozzato prima che il
papy la
stringesse maggiormente al suo petto e sentisse la la mano del
papà
accarezzarne delicatamente i capelli.
“Non
succederà mai, Sissy: avere una famiglia più
grande non significa
perderci l'un l'altro ma soltanto avere più amore”
aveva
continuato a spiegarle pazientemente.
“Ma
se siamo di più, ne resta di meno” aveva pigolato,
non era simile
al problema di matematica che faceva in seconda? Quando c'erano
più
bambini tra cui distribuire le caramelle, non diventavano meno per
ognuno?
“L'amore
non è come la matematica” aveva sorriso
papà, immaginando a cosa
stesse pensando. “L'amore non si divide: più ne
dai e più sei in
grado di amare ed essere amato” aveva sussurrato e Sissy ne
aveva
sostenuto lo sguardo, prima di osservare papy che si era chinato al
suo orecchio.
“Lo
sai mantenere un segreto?”.
La
bambina aveva annuito.
“Qualunque
cosa accada, sarei sempre la mia unica mogliettina”.
Un
nuovo sorriso era balenato sulle labbra della bambina.
“Sempre
sempre?”.
“Sempre
e per sempre” aveva replicato prima di osservare il marito
con un
sogghigno, dondolando la bambina.
“Forse,
dopotutto, sono io
il papà comprensione” aveva ironizzato ma Kurt
aveva sollevato
teatralmente gli occhi al cielo prima di tornare ad osservare la
figlia, il viso inclinato di un lato e un sospiro nuovamente
preoccupato.
“Te
lo prometto, amore, non ti abbandoneremo mai e sarai sempre la nostra
bambina: ti fidi di me, vero?” aveva allungato la mano che la
bambina aveva stretto, annuendo con foga. Si era scostata le lacrime
dal visino e si era sporta con un braccio a cingere anche lui,
comprendendoli entrambi in un unico abbraccio.
“Vi
amo”.
“Anche
noi, amore”. Aveva sorriso, infine, Kurt baciandone la fronte
e
rilassandosi a sua volta contro la spalla libera del marito.
“Posso
avere una sorellina?”.
“Credevo
dovessimo avere un 'mini me'”. Aveva constatato Sebastian e
Kurt
aveva ridacchiato, era evidente che la tensione si fosse sciolta.
“Lo
sapremo presto, amore”.
~
Non
aveva mai amato gli ospedali: erano sempre pieni di quell'odore
sgradevole e le trasmettevano una sensazione di ansia e di angoscia
per la vista di tanti dottori coi loro camici bianchi mentre si
recavano dalle persone a parlare dei loro parenti. Era quasi sempre
qualcosa di negativo la loro presenza (Dottor House insegnava bene!)
ma c'era tutt'altro nello sguardo del papy mentre, tenendola per
mano, la conduceva lungo quei stretti e ampi corridoi. Superarono il
viavai di persone sconosciute ma non pronunciò una parola
mentre
camminavano: in verità le era sembrato particolarmente
taciturno da
quando si era presentato al cancello della scuola, le aveva preso lo
zaino e l'aveva fatta accomodare in auto.
Le
cose erano diventate molto più serene negli ultimi mesi: i
suoi
adorati genitori non avevano mancato di rivolgerle tutte le
attenzioni e l'affetto di cui necessitava, tutti – a parte
Hannah –
sembravano aver dimenticato il suo primo e disastroso esordio nel
saggio di danza e si era divertita molto a scegliere abiti e
suppellettili per il nuovo arrivato (sì, avevano chiarito
che era un
maschietto ma se era un “mini papy”, dopotutto,
sarebbe stato
bello accudirlo e prendersene cura, no?). Ciononostante, entrare
nella camera e vedere papà con in braccio un piccolo
fagottino non
mancò di strapparle un guizzo all'altezza del petto:
qualcosa a metà
tra la curiosità e il puerile timore.
Strinse
maggiormente la mano del genitore che, un sorriso suadente, la prese
in braccio mentre anche Kurt sollevava lo sguardo e le rivolgeva quel
bel sorriso a farne risplendere gli occhi.
“Vieni,
amore, ti presentiamo una persona” aveva sussurrato e,
stretta tra
le braccia di Sebastian, si era sporta ad osservare quel quadretto.
Lo
vide per la prima volta: seppe istintivamente, malgrado fosse
soltanto una bambina, che quel momento lo avrebbe ricordato per tutta
la vita. Era un nuovo inizio. Ancora non poteva sapere tutto
ciò che
avrebbero condiviso da quel momento in poi, come la sua famiglia
sarebbe cambiata e così la vita domestica.
In
quel momento poteva soltanto scorgere, per la prima volta, le
sembianze di colui che sarebbe diventato parte della sua vita.
Sembrava
piccolo ed indifeso, almeno come il primo bambolotto che le avevano
regalato: aveva grandi occhioni scuri di cui ancora non si riusciva a
capire il colore, pochi capelli chiari. Stava succhiando dal biberon
ma lo sguardo, fino a quel momento impresso al viso del
papà, scrutò
curiosamente l'ambiente e si posò –
così aveva immaginato – su
di sé. Si era scostato dal biberon ed aveva emesso un verso
soffuso
mentre Kurt lo cullava amorevolmente e osservava la bambina, il
sorriso che ne aveva reso gli occhi lucidi.
“Sissy,
lui è Nicolas” aveva sussurrato, trattenendolo
delicatamente
contro il suo petto, attento a sostenerne il capo e Sissy aveva
sentito il fiato mancarle mentre, lentamente, ripeteva il nome del
bambino, indugiando sulla 'a' finale, accentata secondo la pronuncia
in madrelingua francese.
“Lei
è Sissy, sarà la tua sorellina e una
mini-mamma” aveva sussurrato
Kurt in direzione del bambino che sembrò placare il suo
verso
soffuso e di richiamo. Fu allora che Sebastian la fece scendere e,
timidamente, mosse un passo ad avvicinarsi al papà per
osservare
meglio il bambino.
Sinceramente
non notava molta somiglianza con il papy ma probabilmente ci voleva
tempo perché diventasse bello come lui, perché
avesse i suoi stessi
capelli in cui amava immergere le dita o gli stessi occhi verdi e
ridenti. Ma era comunque incredibile come una creaturina
così
piccola e delicata sembrava già piena di vita: non sapeva
come altro
spiegare perché sentisse il cuore in gola mentre si sporgeva
ad
osservarlo meglio
“Vuoi
prenderlo in braccio?” le chiese il papà, un
sussurro delicato ma
Sissy sentì le labbra tremarle all'idea di poterlo rompere o
fargli
male: in fondo non aveva mai abbracciato un bambino se non un
bambolotto (e considerando quante volte le fosse caduto dal
seggiolino, forse era meglio evitare di prendere il fratellino).
Aveva allungato la manina verso quella del bambino per poi rendersi
conto di quanto le sue fossero minuscole: provò a toccarne
il palmo
soltanto con un dito ma fu qualcosa di istantaneo.
Il
bambino aveva emesso un verso soffuso, il suo sguardo sembrò
cercare
di metterla a fuoco
ma la presa che esercitò sul suo dito fu così
forte ed energica,
così immediata e sicura che Sissy si lasciò
sfuggire un verso
d'emozione. Aveva ricercato lo sguardo di entrambi, i loro sorrisi
altrettanto divertiti ed emozionati, ma aveva sorriso nel carezzarne
il palmo.
E,
mentre si chinava ad appoggiare delicatamente le labbra sulla sua
fronte ed inspirarne il profumo di buono, seppe in quel momento che
il papà aveva ragione.
L'amore
non era come la matematica: l'amore non si divideva tra i componenti
di una famiglia. Era qualcosa di molto più grande e molto
più
meraviglioso. Lo sentiva più forte che mai.
“Vieni,
ti aiuto io” aveva lasciato che il papy la prendesse in
braccio e,
una volta che si era posta in grembo a lui, papà si era
messo in
ginocchio di fronte a lei. Le aveva posto delicatamente il bambino
tra le braccia: lo aveva sentito agitarsi appena e, mentre l'adulto
ne sosteneva il capo, aveva cercato di rassicurarlo dondolandolo
appena.
“Ciao
Nicolas” aveva sussurrato, la voce appena più
emozionata quando il
bambino placò il suo verso continuo: lo vide sbattere gli
occhioni
come a cercare la fonte del suono e, quando lo chiamò
nuovamente,
rimase immobile. Aveva le labbra schiuse per la meraviglia mentre
Sebastian inglobava entrambi in un abbraccio, appoggiando la guancia
alla sua.
“Non
è una meraviglia? Ha preso tutto da me” convenne
in tono pomposo
ma Sissy non sembrò neppure udirlo mentre continuava ad
osservare il
bambino. Si appagava semplicemente di stringerlo tra le braccia e di
sapere che quel momento tanto temuto era divenuto il più
bello della
sua vita.
L'amore,
a differenza della matematica, faceva davvero miracoli.
~
Continuava
a non amare la matematica: era davvero una bella spina nel fianco
quella stupida materia e se, fino a due anni prima si lamentava delle
divisioni, adesso erano i problemi di geometria a darle non pochi
grattacapi. Il fatto che Nonno Burt, poi, se ne stesse spaparanzato
in soggiorno a guardare la partita a volume alto non era proprio
d'aiuto ma non stava bene fare le schizzinose. Anche se non aveva
potuto che sospirare rimirando tutte le schifezze che stava mangiando
(ma la parola 'colesterolo' non valeva per i grandi?!) per non
parlare del fatto che le sue camicie da taglialegna quadrettoni
erano una vera e propria offesa per la sua vista.
Scosse
il capo, tuttavia, mangiucchiando l'estremità della matita e
tornando a concentrarsi sul disegno del trapezio rettangolo,
indugiando sui dati del problema: ma era davvero necessario inserire
le frazioni? Non poteva dire che la base minore era 3 cm
anziché 2/6
di 18? Perché la maestra era sempre
così antipatica?
Aveva
valutato la possibilità di chiedere al Nonno se potesse
correggerle
il procedimento ma quando questi si mise a litigare con l'arbitro,
indicando il televisore e urlando qualcosa di simile a “MA
QUESTO
LANCIO NON E' VALIDO! Hai visto Sissy?” non aveva potuto che
annuire con un sorriso educato e continuare a spremere le meningi.
Forse
avrebbe dovuto spostarsi in salotto o chiedere alla Nonna (dubitava
che Zio Finn ne sapesse qualcosa. Lui e il suo amico Puck non
sapevano neppure che forma avesse un rombo
e ricordava perfettamente che il secondo aveva detto di aver mangiato
una “roba strana che si chiama così” al
Breadsticks) ma si
riscosse all'udire il pianto proveniente dal salotto.
Abbandonò
il proprio quaderno e il problema irrisolto per affrettarsi ad
entrare in salotto: qui la Nonna le sorrise mentre cercava di placare
il pianto di Nicolas che aveva preso dalla sua culla e continuava ad
agitarsi. Sissy gemette nel guardare l'orologio: mancava ancora
un'ora al ritorno del papà e sapeva quanto Nicolas era
irrequieto
ogni volta che si svegliava e non lo scorgeva nei dintorni. La Nonna
era molto dolce nell'accudirlo, continuava a dondolarlo avanti e
indietro e gli parlava rassicurante, provò anche ad
accomodarsi
sulla poltroncina e porgergli il biberon ma sembrò tutto
vano. Sissy
si morsicò il labbro mentre la Nonna le chiedeva di
prenderle il
telefono per chiamare il padre ma la bambina si pose in ginocchio
davanti ad entrambi.
Allungò
la manina verso il viso del bambino.
“Nicolas”
sussurrò e il bambino, il viso arrossato per il pianto
disperato, le
volse lo sguardo: i suoi occhioni verdi si fusero un lungo istante in
quelli della sorella. La stessa gradazione cromatica di quella del
papà: la bambina si affrettò ad allungare il suo
pupazzo preferito
– mamma pinguino e il suo piccolo – al suo viso e
nascondersi
dietro il peluche per poi prorompere con un “Buh!”.
Lentamente le
labbra del bambino si contorsero in un sorriso e un verso simile ad
una risata di puro divertimento riempì la stanza mentre la
bambina
gli porgeva il pupazzo. Lo strinse con intensità, la stessa
con cui
cingeva il collo del papà per cercarne l'attenzione, e
allungò poi
la mano cucciola al viso di Sissy a sfiorarne la guancia, le labbra
nuovamente schiuse a contemplarla, tirandole una ciocca di capelli e
agitando le gambe.
Sissy
sorrise, sfiorandone la fronte con un bacio e lo prese cautamente tra
le braccia prima di porgergli il biberon. Sentì la manina
del
bambino stringersi al suo colletto, lo vide socchiudere beatamente
gli occhi e cominciare a suggere.
“Carole?!”
la voce di Kurt dall'altro capo della linea era intrisa di panico.
“Va tutto bene? I bambini stanno bene? Stiamo
tornando”.
Sorrise,
Carole, osservando Sissy nell'atto di dondolare Nicolas e il sorriso
materno nel porgergli il biberon.
“Volevo
solo avvisarti che potete anche prendervela con comodo: Sissy ha
tutto sotto controllo e Nicolas è un amore”.
Le
sorrise complice, Sissy, e tornò ad osservare il fratellino
che,
finita la sua poppata, aveva cercato di mettersi in piedi allungando
le braccia alle sue spalle per sostenersi. Era stata lesta a cingerne
i fianchi e aiutarlo a restare in quella posizione.
Il
bambino sorrise compiaciuto e soddisfatto (oh, era così
simile al
papy in quei momenti!) e si sporse al suo viso e fu allora che Sissy
ne baciò nuovamente la fronte.
“Sì,
sei un amore” gli sussurrò, suscitandone un verso
di
apprezzamento: fu un momento particolarmente intenso quello in cui
continuò a scrutarla, gli occhi sgranati e le labbra
schiuse.
Sembrava stesse cercando di comprendere qualcosa.
Appoggiò
la manina al suo volto a richiamarne l'attenzione e fu allora che, la
voce tintinnante, pronunciò un tremulo
“Si-Si” che fece sgranare
gli occhi alla bambina che ricercò lo sguardo della nonna.
“Ha
detto il mio nome!” le disse in tono incredulo e non di meno
emozionato prima di tornare ad osservare il bambino e ridere. Lo
strinse tra le braccia, accarezzandone i capelli.
“Dillo
di
nuovo” lo incalzò con un sorriso che il bambino
ricambiò,
stringendone nuovamente i capelli e appoggiandosi alla sua spalla,
mordicchiandone il bavero della camicia.
“Si-Si”
e poi rise e batté le mani soddisfatto.
“Sissy
e Nicolas” sussurrò Carole baciando la fronte
della bambina. “Sei
davvero una splendida mini mamma”.
Sorrise
Sissy, piena di orgoglio e l'amore sempre più intenso per
quel
piccolo frugoletto che si era pacificamente appisolato tra le sue
braccia, il sorriso sulle labbra e la manina stretta alla sua.
~
Lasciò
che il giovane l'accompagnasse alla porta: c'era qualcosa di
lusinghiero nel modo in cui i suoi occhi dai riflessi ambrati la
scrutavano di sottecchi, quando non immaginava o non sapeva di essere
altrettanta fonte di attenzione. Ma era comunque un vezzo cui non
poteva sottrarsi quello di ricevere anche dei gesti così
cavallereschi: certamente una fortuna che il suo papy non fosse
appostato (almeno quel giorno) alla finestra per rivolgere occhiate
torve al ragazzo o dirgli aspramente di tornarsene a casa, suscitando
non poco imbarazzo al papà che doveva poi affrettarsi a
telefonare a
casa Anderson (una vera fortuna che Blaine prendesse sempre sul
ridere quei piccoli aneddoti di gelosia paterna).
Il
giovane sembrò indugiare mentre ella estraeva dalla borsa le
chiavi
di casa: lo osservò di sottecchi passarsi una mano tra i
riccioli
scuri e perennemente scarmigliati ma le sorrise quando
indugiò prima
di schiudere l'uscio di ingresso.
“Allora
ci vediamo domani in biblioteca?” sembrò chiederle
conferma e la
ragazza annuì prontamente.
“Non
so come ringraziarti, Kyle, detesto tutto quello che ha a che fare
con i numeri” si schermì con una risatina,
giocherellando con una
ciocca di capelli castani, il sorriso sulle labbra di ciliegie e il
giovane ne ricambiò la risatina.
“Non
c'è problema, a domani Sissy” sussurrò,
indietreggiando con quel
dolce sorriso a fior di labbra.
La
porta si schiuse prima ancora che Sissy potesse articolare suono:
l'attimo dopo il bambino le si era stretto alle gambe, il viso
premuto contro il suo ventre dopo averla chiamata a gran voce,
incurante dei richiami della Nonna.
Sissy
sorrise nel prenderlo in braccio e il bambino le cinse il collo
mentre questi si scostava a rimirarla: gli occhi di smeraldo striato
rilucevano ma era un sorrisetto furbo e suadente quello che gli
curvava le labbra. Sorriso che sembrò gelarsi alla vista del
ragazzo.
“Ti
sono mancata?” gli aveva chiesto la sorella maggiore e il
bambino,
tornato a guardarla, aveva annuito prontamente e le aveva baciato la
guancia.
“Perché
ci hai messo tanto?” era un pigolio appena più di
accusa: lo
sguardo torvo rivolto all'altro ragazzo. Quest'ultimo si era grattato
la nuca, la stessa espressione divertita ed impacciata di quando tale
sguardo gli era rivolto dal padrone di casa.
“Scusami,
io e Kyle dovevamo parlare di quando mi aiuterà a studiare
per
l'esame: tu vuoi che io promuova, vero?” gli aveva domandato
dolcemente, sfregando il naso al suo e il bambino aveva annuito.
La
ragazza si era volta nuovamente al ragazzo con un sorriso di scuse e
lei il bambino lo osservarono rientrare in auto. Suonò il
clacson al
suo passaggio e sollevò il braccio in loro direzione.
Sissy
aveva sospirato.
“Mi
piace tanto” aveva sussurrato ma il bambino si era
indispettito.
“A
me piaci tu”
aveva sottolineato imbronciato.
“Ma
tu a me piaci di più” aveva specificato.
“Che ne dici se
prepariamo la cheesecake per papà?”. Aveva pensato
ai genitori
che, in occasione dell'anniversario, si erano concessi una romantica
vacanza, dopo molte insistenze da parte sua circa la
possibilità di
prendersi cura del fratellino, dopo aver ricordato al papy che era
ormai quasi maggiorenne (e dopo aver giurato che Kyle Anderson
Glassman non sarebbe entrato in casa in sua assenza).
“Quando
ritorna?” aveva chiesto in tono più pigolante e
Sissy lo aveva
baciato sulla guancia prima di chiudersi la porta alle spalle.
“Domani
ma noi stiamo bene insieme, vero?”.
Aveva
annuito il bambino, ritrovando presto il sorriso.
Nicolas
dormiva già da mezzora quando telefonò a Rebecca
per raccontarle
dell'appuntamento di studio con Kyle: stava descrivendole diversi
capi di abbigliamento tra i quali stava ancora selezionando quello
idoneo, quando la porta si aprì.
Nicolas
entrò dentro con forza, richiamandola in un pigolio tremante
e
addolorato e Sissy si affrettò a congedarsi dall'amica per
prenderlo
in braccio.
“Che
succede,piccolino?” ne aveva accarezzato il pigiamino azzurro
e il
bambino si era stretto alla sua spalla, il corpo scosso dai
singhiozzi prima di raccontarle l'incubo nel quale aveva visto il
papà dirgli che non sarebbe più tornato da lui.
Ne
aveva baciato delicatamente la guancia e ne aveva asciugato le
lacrime prima di sorridergli più rassicurante.
“Era
solo un incubo, amore, non se ne andrebbero mai da noi”.
Sembrò
più sicuro ma non si sciolse dall'abbraccio e
continuò a sfiorarle
i capelli, gesto che sembrava sempre cullarlo, fin da quando era solo
un neonato.
“Posso
dormire con te?” le aveva chiesto, infine, pigolando e la
giovane
aveva annuito prontamente. Ne aveva baciato nuovamente la fronte,
aveva scostato le coperte e si era immersa al loro interno,
continuando a cullarlo fin quando non si fu addormentato.
Spense
l'abat-jour e continuò a contemplarlo, respirava
regolarmente e
sorrideva nel sonno, la mano ancora ancorata alla propria che
baciò
teneramente.
Ne
accarezzò i capelli morbidi e socchiuse a sua volta gli
occhi,
continuando a cullarlo e stringerlo tra le braccia.
Era
in quei momenti che, lo sentiva perfettamente, quel riflesso di
bambina sembrava sorriderle. Sembrava schernirla nel ricordarle
quanto avesse temuto quel momento e promettere, ancora una volta, che
l'amore che li avrebbe legati sarebbe stato eterno.
Lo
credeva sempre più contemplandone il visino, sfiorandone la
curva di
nei che ne punteggiavano la guancia.
Fine
Che
dire?
Mi
mancava avere un aggiornamento dei Kurtbastian per il
Venerdì
pomeriggio (e dopo aver pianto tutte le mie lacrime per One Tree Hill
dovevo distrarmi) e se Our Secret si è conclusa dopo la
laurea, questo
raccontino arriva poco prima del primo esame per la Laurea
Specialistica (fatemi gli auguri =P).
Un
raccontino molto semplice e senza particolari pretese se non
immaginare la mia coppia preferita muoversi intorno ad altri due mini
Kurtbastian ma devo dire di essermi particolarmente emozionata in
alcuni punti. E spero sarà così anche per voi.
Colgo
ancora l'occasione per ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito
durante Our Secret e spero di avervi fatto trascorrere una piacevole
pausa in mia compagnia.
Vi
auguro buon Weekend e un ringraziamento fin da ora a chiunque
leggerà
e, come sempre, sarò entusiasta di leggere vostri commenti e
riflessioni.
Un
abbraccione a tutti,
Kiki87
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