Nel nostro carcere, il
presidente Chiller visita una volta l'anno i detenuti a cui
è stata data la pena di morte. O, per meglio dire, il
detenuto. L'occasione è il 5 del mese di Novembre, festa
nazionale. Durante la visita, il presidente parla personalmente con
ogni condannato - o meglio il condannato - in modo
da poter decidere se questi ultimi sono meritevoli di grazia.
Cesare Chiller scese dalla macchina presidenziale lasciando dietro di
sé la portiera aperta. Gli alberi di fronte all'ingresso
erano spogli, e non c'erano guardie. Si sistemò la giacca e
percorse in fretta il vialetto d'ingresso.
All'interno dell'edificio, un grosso blocco squadrato di cemento, il
prigioniero diciannove aspettava. La stanza dei colloqui era banale:
uno di quei luoghi anonimi e rettangolari, adornati solo da un lungo
tavolo rettangolare con sedie a lati opposti e due guardie posizionate
all'entrata, come si potrebbe vedere nella scena di un qualunque
telefilm poliziesco. Un ticchettio incessante scandiva il passare del
tempo, un-due-tre-quattro, un-due-tre-quattro,
medio, indice e pollice destri del carcerato si alternavano
ritmicamente sbattendo sul tavolo.
« Vedo che il tempo trascorso qui non ti
ha insegnato la pazienza. »
Il prigioniero alzò lo sguardo. Le sue iridi si dilatarono e
si contrassero nell'ordine di frazioni del secondo, come l'obbiettivo
di una minuscola videocamera. Per la prima volta da quando era entrato
nella stanza dei colloqui, #19 diede segno di essersi accorto della
presenza del presidente, mentre questi afferrava con le mani rugose la
spalliera della sedia e si accingeva ad accomodarcisi, con la consueta
calma.
« Sei diventato un vecchio,
» Chiller accavallò le gambe e si
lisciò la giacca « quando mi hai sbattuto qui, i tuoi
capelli erano neri. »
« Questo
è ciò che accade agli esseri umani,
» rispose lui, pacato « invecchiano. Tu, d'altra parte ...
»
Per quanto la permanenza in carcere non avesse migliorato l'igiene di
#19, già scarsa a detta di Chiller, i suoi capelli erano
ancora di un colore decisamente scuro, fluivano lunghi e folti come
quelli di un adolescente. Il viso del condannato era sempre il solito:
certo, aveva occhiaie profonde, e il suo sguardo irrequieto poteva
essere solo il segno di patologie mentali, ma la sua pelle sembrava non
conoscere il significato dello scorrere del tempo. Il presidente
rifletté sul come e sul perché un evento del
genere poteva essere successo, non trovando risposta. Paradossalmente,
il condannato sembrava non solo rifiutarsi di obbedire alle leggi
umane, ma anche a quelle necessarie ed inevitabili della natura.
Accantonò il pensiero in un angolo della testa: quel giorno
il suo compito non era stabilire la provenienza della giovinezza
innaturale di #19, quanto se fosse o meno meritevole di grazia.
« Io? Io cosa?
» La lunga pausa aveva indispettito il condannato, che si
sporse sulla sedia con fare nevrotico. Chiller sospirò,
già stanco dell'indisponenza del suo interlocutore.
« Calma. Farò io le domande.
Innanzitutto, parliamo del tuo crimine. »
Nei miei sogni, quell'attimo
ritorna ancora e ancora e ancora.
Nel nostro carcere, esistono solo due tipi di celle: quelle punitive e
quelle detentive. Le celle punitive accolgono una grande
varietà di prigionieri, ma soltanto per brevissimi periodi;
le detentive invece sono celle per ergastolani. La numero zero occupa,
in grandezza, il cinquanta per cento dell'intero complesso, mentre
delle restanti diciannove solo l'ultima è occupata.
Chiller lasciò che la sua postura perfetta si ammorbidisse
un po', appoggiandosi sullo schienale della sedia in un gesto che,
seppur sinonimo di rilassamento, sembrava misurato in ogni suo
particolare: l'angolazione della schiena, la posizione delle sue mani
sul suo grembo, le pieghe nella sua camicia - persino il ritmo del suo
respiro.
« In ultima analisi, sei uguale a quando
sei entrato qui. » esordì,
« Il che
è giusto, in quanto il Nostro sistema carcerario non mira a
correggere, bensì a tenere rinchiusi, i prigionieri.
Tuttavia, è anche inusuale per il Nostro sistema condannare
a morte. Il tuo caso ha suscitato questa eccezione. Benché
ci siano individui più pericolosi di te che comunque non
hanno meritato la pena- »
« Stai parlando
del prigioniero zero? Ah-ah-ah, voi avete PAURA di lui !
»
« ... capitale,
questi ultimi sono sotto il nostro controllo, e non rischiano,
all'interno di questo edificio detentivo, di modificare sostanzialmente
la realtà esterna degli eventi. A differenza tua, oserei
dire. »
« Temete
più me che lui?
»
« Tuttavia, rimane
comunque un mio obbligo dare a te, in quanto emanazione
della Nostra comunità, la possibilità di evitare
il patibolo. Non fraintendere: mi assicurerò che tu stia qui
per sempre. Ma potresti evitare »
« No, aspetta, ho
capito! » #19 saltò praticamente
sulla sedia, sbattendo entrambe le mani sul tavolo con clangore di
manette. I suoi occhi erano pieni di soddisfazione invasata, talmente
accesi che sembravano pieni dello stesso colore arancione della divisa.
« Tu non hai paura
di me, tu mi odi!
»
« ... di
essere giustiziato. » concluse
Chiller, digrignando i denti. La pausa della conversazione che
seguì fu piena dei rumori del carcerato che rideva, mentre
le due guardie, alti uomini con volto bianco e senza tratti
caratteristici - né occhi, né bocca,
né orecchie, né naso, solo liscia pelle incolore
- lo costringevano a riprendere la posizione seduta e calmarsi.
« Devi solo dimostrarmi
» concluse infine Chiller
« di esseri pentito.
»
. . .
«
No ma, dici sul serio?
»
« Andiamo. Dimmi
che stai scherzando.
dev'essere uno scherzo. »
« ...dav ...vero ?
»
« Noooooooo!
pensi,
davvero credi che iomi possa pentire?
La
mia COLPA?
Io se
potessi lo
r
i f a r e i
e ancora, e ancora
A N C
O R A
... non ho rimpianti!
sei tu
che
CREDI
DI POTERMI CONTROLLARE?»
In pochi attimi
accaddero molte cose.
Il prigioniero #19 balzò in piedi, urlando come un pazzo. I
due senzavolto di guardia si gettarono su di lui, per tenerlo, ma
inspiegabilmente, le loro teste esplosero in un arcobaleno fatto solo
di gradazioni di rosso. Chiller si sporcò completamente il
vestito gessato e i capelli bianchi, mentre il tavolino, le due sedie,
e lui stesso cadevano sul pavimento. Mentre uno dei carcerieri si
agitava inerme come uno scarafaggio impazzito, l'altro
riuscì a estrarre un manganello. Il condannato a morte
riprese fiato, i suoi occhi che erano un rogo di braci arancioni. E
l'arma contundente del secondino decapitato impattò contro
la sua nuca, spendendolo a terra, svenuto.
Cesare Chiller si rialzò, cercò di togliersi la
polvere e il sangue dalla giacca, riuscendo solo a sporcarsi le mani.
Estrasse un cellulare dal taschino, lo aprì, e senza
comporre alcun numero disse:
« L'esecuzione è confermata.
Avremo bisogno di nuove teste per le guardie. »
Sul patibolo e con la corda al collo, il condannato ancora non riusciva
a togliersi il tremore dal corpo. Aveva spasmi. Rideva. Ripeteva alcune
frasi.
« Pentirmi, io.
Pentirmi. Pentirmipentirmipentirmi. Tu sei quello
coi rimorsi, Chiller. Dopo di me ne verranno altri. E altri.
Ealtriealtriealtri- »
Il presidente fece un cenno con due dita e la botola si
aprì, catapultando il corpo di #19 nel vuoto; i suoi piedi
cercarono appoggio, prima che il collo schioccasse e il suo corpo
iniziasse a penzolare dalla forca rimbalzando sulla poca
elasticità della corda, come un giocattolo di un bambino
molto solo. Cesare prese un respiro profondo. Se i due secondini
avessero avuto occhi per vedere, in quel momento, avrebbero notato come
i suoi capelli stessero riprendendo il loro colore lucido e scuro di un
tempo, le rughe sulla sua pelle si stessero ricolmando e si sarebbero
stupiti di come il suo corpo riguadagnava tonicità e statura.
Quando il cadavere del prigioniero smise di ondeggiare e divenne
perfettamente immobile, Chiller tornò più giovane
di quarant'anni, e con lo stesso identico aspetto dell'uomo di cui
aveva decretato la morte. Uno sguardo profano avrebbe pensato che il
distinto presidente avesse, in qualche modo, "rubato" l'aspetto del
carcerato, ma le cose stavano diversamente: egli semplicemente era
tornato giovane, nel fiore degli anni. Lui e #19 condividevano
semplicemente il volto, sebbene avessero un diverso colore degli occhi;
l'uno arancio vivo, l'altro azzurro ghiaccio.
Dopotutto si
trattava di mere manifestazioni.
Aspetti, in poche parole, di una stessa persona.
La scena è diversa ora: si tratta di un prato, inondato dal
sole, tanto che è difficile scorgere i dettagli. Da una
parte siede quello che so, un giorno, chiameremo
numero diciannove; al suo fianco, una giovane donna.
Se potessi, io lo rifarei. E lo
rifarò. E dopo di me ne verranno altri, e altri e altri e
altri...
L'uomo chiamato diciannove sollevò una fragola dal cestino
poco lontano, e la tenne in equilibrio su due dita, prendendone una
foglia. Una goccia d'acqua scivolò sulla superfice del
frutto e cadde a terra, silenziosamente. Come seguendo una sorta di
rituale, o un accordo non scritto, la sua compagna lo guardava
complice, il suo volto baciato dal sole.
Poi capì. Diciannove portò lentamente la fragola
alle bocca della donna, poggiando la superfice allo stesso tempo liscia
e ruvida sulle labbra soffici di lei.
La combinazione
perfetta.
Molto
tempo dopo, da qualche parte, si iniziava a preparare una cella numero
venti.
Note
Se siete riusciti ad
arrivare fino alla fine e vi state chiedendo cosa diavolo avete letto,
bhé, mi scuso; è un parto della mia immaginazione e per questo motivo
è in larga parte incomprensibile. Non era nemmeno destinato
ad essere pubblicato sotto forma di racconto (era nato più
come una scena stand-alone in un gdr), ma mi sembrava brutto, comunque,
lasciarlo a marcire tra i miei documenti senza pubblicarlo.
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