Non
dite niente, non è necessario. Devo aggiornare il Diario, ho
ancora quel dannato ultimo capitolo della Bella e la Bestia da finire
e ho lasciato a porte aperte la raccolta sul Primo Ordine. Molto poco
professionale da parte mia, ma non lo è stato neppure
trascorrere tutto il pomeriggio a scrivere quando avrei dovuto
prepararmi per la riparazione del mancato debito di chimica...ç__ç
Domani sarò linciata, e l'ispiratazione poetica non sembra
essere una scusa plausibile...
È
da quando ho chiuso Deathly Hallows che il rapporto fra Andromeda e
Narcissa mi tormenta. Ora spero non lo farà più, visto
che mi sono auto-gettata in una sorta di abisso malinconico da fic
deprimente. Sono così triste che credo andrò rubare la
Nutella a mio padre.
(la
para mentale del complicato e del complesso è
del mio prof. di disegno: siete fortunati che io l'ho ridotta a due
incomprensibili righe, perché per spiegarmela – in modo
altrettanto incomprensibile, oltretutto – ha avuto bisogno di 48
minuti e di una ricreazione. Che io ho finito per perdere,
naturalmente).
Un
grazie speciale a tutti coloro che sopportano i miei errori di
battitura!^^
Siamo
solo foglie
by
Trick
§§§
Andromeda
fissava con aria cogitabonda il lieve e malinconico scivolare delle
adamantine gocce di pioggia sulla fredda superficie della finestra,
la schiena rigida sulla sfarzosa poltrona bordeaux e il mento alzato
con fierezza, secondo la rigorosa educazione che una famiglia come
quella dei Black soleva impartiva dall'alba dei tempi. Muta e
immobile, seguiva il lieve oscillare delle foglie fin quando queste
non si staccavano dal ramo sotto gli incessanti colpi del vento, ed
esibendosi nella loro prima e ultima danza, non ricadevano fiacche e
impotenti sulla sterile terra del giardino. Tutto sembrava fiacco e
impotente, in quel pungente pomeriggio d'autunno. Il sole,
sbrindellato disco di luce, a stento sembrava in grado di varcare la
densa coltre di nubi fumose che lo circondava: sfuggiva dalla loro
morsa in pochi miseri e deboli fasci di luce, avvolgendo di un
biancore quasi etereo l'amaro paesaggio della brughiera scozzese.
Andromeda socchiuse le palpebre, per meglio concentrarsi sulla
gracchiante sinfonia del vecchio giradischi d'ottone di suo zio
Alphard, cimelio dei cimeli fra tutti gli strani oggetti che sua
madre, Druella, considerava poco meno che inutile ciarpame.
Nonostante la metallica intonazione di cui erano caratterizzate,
l'armonia della musica di quel giradischi era sempre stata capace di
alleggerire tutte le ansie e le paure che affliggevano la
secondogenita delle sorelle Black, illudendola, seppur
superficialmente, di aver la facoltà di strappare il proprio
gambo dalla soffocante stretta del suo ramo, e – a differenza delle
foglie secche e raggrinzite e della loro implacabile discesa – di
potersi librare nell'aria, libera di dirigere da sola la propria
orchestra.
Solo quando
anche l'ultima nota si fu dispersa nella stanza, Andromeda decise di
riaprire gli occhi. L'immagine evanescente e confusa del minuto viso
della sorella si mescolava alle tracce lineari della pioggia come nel
disegno di un acquarellista, vaga e labile come lo può essere
solo l'istante più fuggente.
«Narcissa»
asserì con apatica benevolenza, «è buona
educazione chiedere il permesso prima di varcare la soglia di
qualsiasi stanza non sia la propria, ero convinta lo sapessi».
La gote
pallide della bambina si tinsero di un lieve rossore, mentre
abbassava rapida gli occhi cilestrini sulle punte lustre e lucenti
delle sue scarpette nere e strofinava fra loro i piedini agitati
borbottando qualche sofisticata parola di scusa. Distogliendo
finalmente lo sguardo dall'orizzonte aldilà della finestra,
Andromeda sorrise con dolcezza all'indirizzo della sorella più
piccola.
«Vuoi
che ti pettini i capelli, Cissy?» le domandò
teneramente, alzandosi dalla poltrona e lisciando con eleganza le
pieghe della lunga gonna porpora.
Senza
interrompere lo studio dei particolari delle proprie scarpette,
Narcissa annuì un paio di volte.
«Non
mi piace quando lo fa Bella» si lamentò in un sussurro,
quasi temesse di essere sentita dallo spirito della sorella maggiore,
«mi tira sempre i capelli e la sua spazzola è dura e fa
male».
Il sorriso
di Andromeda si allargò, mentre allontanava la sedia dallo
scrittoio intagliato nell'angolo e la avvicinava con garbo alla
finestra. Traducendo il gesto di Andromeda come un implicito invito,
gli occhi di Narcissa s'illuminarono di gioia, e trotterellando
allegramente verso la sedia non riuscì a trattenere una
sommessa risatina.
§§§
Sapeva che
quello che stava facendo era una cosa sbagliata. Sapeva che le
signorine educate non entravano in nessuna stanza – neanche in
quelle delle proprie sorelle grandi – senza prima aver chiesto il
permesso; sapeva che non si doveva parlare in modo cattivo di niente
e nessuno – neanche della spazzola dura di Bellatrix – e sapeva
che una brava signorina educata non trotterellava,
né ridacchiava.
Le brave signorine educate marciavano graziosamente.
O
strisciavano, come le
diceva sempre Andromeda, anche se Narcissa non aveva mai capito a
cosa lei andasse riferendosi.
Le
piaceva molto trascorrere il suo tempo con lei: a differenza di
Bellatrix, intransigente molto più della madre, Andromeda le
permetteva di fare quelle cose proibite
che non erano permesse in nessun'altra camera della grande dimora. E
poi, di tanto in tanto, Andromeda trovava il modo di procurare ad
entrambe una fetta di torta alla cioccolata e con movimenti
aggraziati della bacchetta, vi disegnava con lo zucchero a velo le
forme più strane e divertenti. E come rideva, Narcissa, nel
vedere le farfalle e i fiori con cui la sua porzione veniva decorata!
E se accidentalmente qualche briciola finiva per macchiare i suoi bei
vestitini, Andromeda non si arrabbiava mai come Bellatrix, né
la rimproverava con asprezza. Con lo stesso ondeggiare elegante del
polso, la bacchetta di Andromeda sapeva cancellare le macchie sui
suoi vestiti così come le faceva apparire sulla torta. E
poteva ridere con lei, perché anche lei lo faceva, e la
ascoltava, Andromeda, non le aveva mai detto di tacere come
Bellatrix, non l'aveva mai sentita dire di avere di meglio da fare
che farsi importunare dalle sue stupide ciance infantili.
«Da
grande voglio essere anch'io come te, Dromeda» le aveva
confidato una sera, mentre lei le ripuliva la bocca dai residui di
cioccolata con un sorriso quasi materno, «non voglio essere
cattiva come Bella».
Il
sorriso di Andromeda si era fatto improvvisamente più lieve,
più triste. Aveva guardato Narcissa malinconica prima di
mozzare il discorso, dicendole: «Bella non è cattiva,
Cissy. Non mi piace che tu dica certe cose».
Narcissa
non riusciva a capire molte cose di Andromeda.
A
partire dal fatto che secondo lei le signorine educate strisciavano,
fino al fatto che diventasse
così infelice quando le diceva che avrebbe voluto essere come
lei.
C'era
forse qualcosa di sbagliato, nell'essere come Andromeda?
§§§
Delicata
e scrupolosa, la spazzola di Andromeda scivolava con calma attraverso
i capelli sottili e dorati di Narcissa, che se li vedeva ricadere
ogni tanto davanti alle spalle sempre più lucidi e splendenti
della volta prima. In quel mentre, Narcissa aveva iniziato a fissare
i colori brunastri e rossicci delle foglie ai piedi delle betulle
dalle cortecce candide del giardino, scattando con lo sguardo
ogniqualvolta il soffio del vento ne smuoveva qualcuna, portandola a
dondolare improvvisamente sull'onda di quella brezza invisibile.
Primo
soffio.
Più
o meno sei foglie.
Secondo
soffio.
Un
po' meno di prima.
Terzo
soffio.
Adesso
sono sicuramente dieci.
«Cosa
c'è di così interessante in giardino, Cissy?»
«Nulla»
s'affrettò a dire, «solo le foglie».
«E
perché mai le fissi con tanta insistenza, se per te non sono
nulla?»
Narcissa
meditò un attimo sul significato di quelle parole. «Perché
le foglie cadono, Dromeda?»
La
spazzola cessò di pettinarle la chioma; per un attimo,
Narcissa temette di aver detto qualcosa di estremamente sconveniente.
Si rasserenò quasi immediatamente vedendo Andromeda sedersi
sulla sua bella poltrona e scrutare con un sorriso indecifrabile il
malinconico paesaggio oltre al vetro. Nonostante gli angoli delle sue
labbra fossero vagamente arricciate verso l'alto, il suo sguardo
sembrava uggioso quanto il cielo plumbeo della brughiera ed era una
luce quasi luttuosa, adesso, a creare leggere e confuse ombre sul suo
viso grazioso.
«Perché
cadono?» ripeté, grattandosi con aria assorta il mento.
«Cadono perché è arrivato l'autunno»
concluse con naturalezza, guardando la sorella negli occhi.
Dall'espressione
indispettita di Narcissa chiunque avrebbe capito che non era affatto
soddisfatta di quella concisa risposta.
«E
perché arriva l'autunno?» domandò di nuovo,
fissando ostinata il volto della sorella e raddrizzandosi composta
sullo schienale. «Perché se è in autunno che le
foglie cadono, c'è l'autunno a farle cadere?»
La
risata argentina di Andromeda risuonò nella stanza,
avvolgendola con più ardore di quanto non avrebbe mai potuto
fare il modesto sole novembrino. «Perché è
semplicemente così, Cissy» disse divertita, scostando
dalle piccole spalle della bambina un ciuffo indisciplinato, «come
la vita, capisci?»
Narcissa
scosse il capo, decisa a non lasciarsi sfuggire nemmeno la più
inutile delle lettere che componevano la spiegazione della sorella.
Andromeda sospirò pensosa, si appoggiò comodamente al
bracciolo della poltrona e riprendendo a fissare il malinconico
danzare delle foglie secche, soppesò con attenzione la propria
risposta. «Non si può togliere l'autunno solo perché
cadono le foglie, Cissy, sarebbe come strappare a una persona una
parte del corpo solo perché questa non ci piace. Sarebbe
come...» s'interruppe un attimo, ponderando sul modo più
efficace per illustrarle un concetto così ampio, «...come
se non morisse più nessuno».
Il
dondolare ritmato con cui si erano cullate fino a quel momento le
corte gambe di Narcissa s'interruppe bruscamente. «Non sarebbe
meglio se nessuno di noi morisse?» chiese ingenuamente,
grattandosi intimorita l'orecchio sinistro.
Andromeda
sorrise con tristezza. «Non si può fare» rispose
mestamente, «o non ci sarebbe posto per tutti nel mondo. Il
ciclo della vita è una cosa complicata, Cissy. È
complicata perché come tutte le cose complicate è
difficile, certo, ma rimane sempre imprigionata dietro a regole già
stabilite. Una nuvola, invece, quella è complessa.
Perché il profilo di una nuvola è inafferrabile, ed
essendo tale, è difficile. La differenza, però è
che una nuvola è libera da ogni concetto, da ogni legge, da
qualunque cosa».
«Noi
siamo complicate o complesse, Dromeda?»
«Complicate»
fu la risposta, «tanto complicate».
Le
due sorelle scrutarono meditabonde il giardino per alcuni minuti, la
più giovane affannandosi nel tentativo di decifrare quelle
enigmatiche parole appena ricevute, e la più vecchia intenta a
chiedersi per quale motivo le foglie non si fossero ancora ribellate
alla brutalità e all'ingiustizia dell'autunno.
«Allora,
quando una foglia cade» disse Narcissa, «è
finita?»
«Lascia
il posto ad un'altra foglia, una foglia più giovane. Il ciclo
della vita non può finire».
«Ma
non può tornare su?»
«No,
non può».
«È
difficile, Dromeda» si lagnò Narcissa.
«Lo
so. Forse lo capirai un giorno».
«E
perché noi non siamo complesse?»
«Perché
noi non siamo nuvole, Cissy» rispose amaramente Andromeda,
posando pensierosa un polpastrello sulla superficie fredda del vetro,
«non siamo nuvole.».
«E
cosa siamo?»
«Foglie».
§§§
Fiacchi
e svogliati, i radi raggi del sole attraversavano malamente l'intrico
spoglio dei rami scuri, creando ombre appena percettibili
sull'ammattonato che serpeggiava attorno ai bianchi monumenti
sormontati da leziosi angeli canuti o da ruvide e trascurate statue
bendate della Giustizia; immobili e muti custodi, controllavano che
in quella dimora tutti contribuissero a mantenere l'aria serena e
pacifica.
Ora
che la sera avanzava e il cielo si faceva sempre più cupo
all'orizzonte, vi era rimasta solo una donna a vegliare su tutto quel
marmo. Apparentemente sola, soleva da parecchi giorni visitare quel
luogo, restandosene per ore e ore nel medesimo punto, in solenne e
indisturbato silenzio.
Un
cadenzato rumore di passi alle proprie spalle la costrinse ad alzare
il capo, ed ella, per nulla sorpresa o intimorita, si voltò
lentamente verso quel maleducato intruso che aveva osato infrangere
la sua veglia.
Gli
occhi di Narcissa Malfoy si specchiarono in quelli di Andromeda
Tonks, mescolandosi fra loro come sotto il pennello di un pittore
estasiato, così immensi ed eloquenti a tal punto, che qualunque parola
percepibile dall'orecchio umano, sarebbe stata inutile.
"Dove sono
le foglie, Dromeda?"
"Le mie
sono cadute, Cissy."
§§§
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