Ali di rugiada
Ali di rugiada
“Rallenta,
Edwin!”
La voce di sua
sorella Myriam gli arrivò alle orecchie soffocata dal respiro affannato dovuto
alla lunga corsa. L’erba bagnata dalla pioggia di quella mattina gli gelava le
piante dei piedi nudi, provocandogli una strana sensazione che scompariva solo
continuando a correre… e quindi correva, correva e correva, giù per il bosco,
deviando attraverso le scorciatoie che tante volte aveva preso e dietro alberi
che tante volte lo avevano accolto sui loro spessi rami.
Edwin aveva
sempre amato correre.
“Torna da mamma,
My!” Le gridò lanciando un’occhiata dietro di sé prima di saltare una piccola
pozzanghera. “Le femmine non possono venire!”
Sentì la sorella
gridare, frustrata, e sorrise al pensiero di come doveva essersi ridotta: i
capelli scuri bagnati e gonfi, i vestiti stropicciati, le mani sporche di fango
e, meglio di qualsiasi altra cosa, il viso arrossato per la rabbia.
Sghignazzando
come non mai si fermò, piegandosi per riprendere fiato e spostandosi le ciocche
castane che gli erano finite davanti agli occhi. Si voltò verso il suono dei
passi irritati della sorella, sorridendo quando la vide arrivare e aprendo le
mani per mostrarle il suo bottino: in un pugno lucide more scure e nell’altro
bacche rosse, raccolte tutte nel pieno della corsa.
La sorella
aggrottò la fronte, sostituendo la rabbia con un’espressione confusa. “Ed, la
vecchia Enna dice di non prendere niente nel bosco,” disse guardandolo male, ed
Edwin sospirò, esasperato dal modo in cui My credesse sempre a tutto ciò che le
si diceva. La vecchia Enna, poi, la donna che viveva a pochi minuti dalla loro
fattoria e che adorava raccontare stupide storielle, era sempre pronta a prenderla
in giro e alle volte ci provava anche con Edwin, che aveva però imparato nei
suoi nove anni di vita a non fidarsi mai delle stupidaggini raccontate da
vecchi stolti. My, d’altro canto, di anni ne aveva solo sette e si faceva
ancora abbindolare dalle parole dell’anziana signora.
“Mai bere il succo del Popolo delle Colline. Se lo
riprenderanno con gli interessi!”
Edwin rideva al
solo pensiero. Riprenderselo con gli interessi? Glielo avrebbero fatto sputare?
“My, smetti di
fare la stupida e torna a casa. Mamma potrebbe preoccuparsi.” Le disse,
avvicinandosi a lei e mettendole tra le mani alcune more. “Sono commestibili,
se ti va.”
Per tutta
risposta la sorella sbiancò, facendo un passo indietro e cercando di sfuggire
alla presa del fratello. Edwin le strinse il polso, attento a non farle male, e
la guardò confuso.
“No, Ed. La
vecchia Enna non sarebbe d’accordo.”
Lui sbuffò. “La
vecchia Enna non è qui, e poi quante volte devo dirti di non fidarti di quel
che dice? Hai mai avuto problemi a mangiare i conigli presi dal babbo?”
Myriam aprì la
bocca, ma esitò. Assunse un’espressione pensierosa per qualche secondo e i suoi
occhi scuri si fissarono in quelli del fratello, così simili ai suoi. Edwin alzò
un sopracciglio, sfidandola a controbattere e avendo tanta voglia di scuoterla
per quanto fosse ingenua. Il babbo cacciava spesso tra gli alberi del bosco,
eppure non avevano mai avuto problemi a mangiare le sue prede… perché avrebbero
dovuto aver paura di alcuni frutti?
Alla fine, My
annuì lentamente, arrendendosi all’evidenza e accettando le more dalle dita di
Ed, che le sorrise di rimando e se ne infilò una in bocca per dimostrazione che
nulla sarebbe accaduto. Dopo averla ingoiata, Myriam continuò a guardarlo senza
dire nulla, quindi lui la incitò a tornare a casa.
“No, voglio
restare con te!”
“Sei una
bambina, My. Le bambine devono restare con le mamme.” Le spiegò lui, lanciando
un’occhiata ai cespugli circostanti. Gli sembrò di vedere qualcosa, un’ombra
fugace che scomparve quasi immediatamente, e aggrottò la fronte per via della
strana e gelida sensazione che gli corse lungo la schiena.
Si sentiva
osservato e non gli piaceva per niente.
Myriam iniziò a
protestare, ma lui la zittì con una mano alzata. Tutto a un tratto vide
qualcosa brillare a pochi passi da loro, oltre un alto abete dalle radici
massicce che Ed ricordava di aver visto qualche altra volta, durante le poche
occasioni in cui era stato a caccia con il padre.
Fece alcuni
passi avanti verso la fonte del luccichio, mormorando alla sorella di rimanere
in silenzio, e si accovacciò davanti a un paio di piccole ali argentee che
brillavano a contatto con la luce del sole del pomeriggio, ricordando a Edwin
due minuscole gocce di rugiada, come quelle che spesso gli capitava di trovare
sulle foglie degli alberi al mattino.
Sentì uno scalpiccio
di foglie alle sue spalle, segno che Myriam lo aveva raggiunto. La sorella si
stava ora sporgendo con curiosità dietro di lui, studiando le due piccole ali
di farfalla dure come il ferro che Edwin si rigirava tra le dita.
“Cosa sono?”
Domandò a bassa voce, come temendo che qualcuno potesse sentirli.
Ed scosse la
testa, non sapendo come rispondere. “Ali di farfalla, credo.” Ali di farfalla
molto, molto resistenti.
My allungò una
mano per sfiorarle, ritraendola immediatamente dopo il primo contatto. “Sono
fredde.” Mormorò, stringendosi i polpastrelli al petto e osservandole con
timore.
“Sono belle.” A
Edwin piacevano. Tanto. Magari avrebbe potute regalarle alla madre intrecciandole
con qualche filo d’erba. Le avrebbe potuto fare un anello che dimostrasse
quanto lei fosse speciale per lui.
Con una piccola
spinta si mise in piedi, facendo scivolare le ali dentro il sacchetto di cuoio
che teneva allacciato ai pantaloni sporchi di fango e strofinandosi le mani ora
gelide per riscaldarle. Voltandosi verso My, la trovò lì vicina, accanto alle
radici dell’abete intenta a tracciarne la corteccia con cura, quasi
accarezzandola come era solita fare con Puck, il loro fedele cane, ma con gli
occhi fissi su di lui.
Ed le fece segno
di seguirlo e iniziò a incamminarsi verso casa, assicurandosi che il sacchetto
fosse ben legato e azzardando un’occhiata nel punto in cui prima gli era
sembrato di vedere qualcosa. Nonostante tutto, forse le parole della vecchia
Enna avevano spaventato anche lui e adesso gli facevano vedere cose… doveva
smetterla di darle retta. A lei e a Myriam.
Iniziò a
correre, facendo una linguaccia alla sorella. “Forza, lumaca! Chi arriva primo
vince!” E accelerò ancora di più il passo, sentendo appena la risata di My e il
pestare dei suoi piedi sul terreno mentre gli correva dietro.
In pochi secondi
Ed l’ebbe superata, e intorno a lui scorsero veloci il verde delle piante, il
fischiare ritmico del vento nelle orecchie e tra i capelli mossi, che
finalmente gli liberavano il viso. Respirò a pieni polmoni l’aria pulita,
sentendo l’odore della pioggia che così spesso da quelle parti permeava il
bosco. Sentì la rugiada bagnargli i vestiti quando si tuffò tra le foglie, superandole
a gran velocità e ridendo alla sensazione che il fresco gli causava sulla pelle
sudata. Sua madre non sarebbe stata tanto felice quando fosse tornato, ma ne
sarebbe stata valsa la pena.
Una volta alla
fine della foresta, dove gli alberi iniziavano a diradarsi e il sole batteva
ancora più forte sui suoi capelli, intravide Puck farsi strada verso di lui,
saltando la recinzione della fattoria con la lingua a penzoloni e rallentando
solo una volta raggiunto Edwin.
“Vieni qui
bello,” lo incitò lui, inginocchiandosi sulla terra bagnata e agitando una mano
verso il muso del cane. Quest’ultimo, però, rimase fermo al suo posto, gli
occhi pochi secondi prima eccitati ora puntati verso il punto da cui Ed era
venuto.
“Puck.”
L’animale non rispose, ma continuò a ignorarlo zampettando lento verso gli
alberi, il pelo bianco e umido che si muoveva piano al tocco della leggera
brezza che lo sfiorava.
Edwin si voltò
seguendolo e aggrottando le sopracciglia. Dov’era finita My?
Superò il cane,
mettendosi le mani in tasca e prestando attenzione ai suoni provenienti dal
bosco.
Silenzio.
Che My si fosse
fermata sulla strada del ritorno? Sentì di nuovo quella strana sensazione
risalirgli lungo la schiena, quindi avanzò piano verso gli alberi, guardandosi
attorno con circospezione e sentendosi rassicurato dalla presenza dell’animale
accanto a lui. Almeno, se fosse accaduto qualcosa, Puck gli sarebbe stato
vicino.
Non può accadere nulla, sei al sicuro. Si ripeté,
intravedendo dietro un piccolo cespuglio qualcosa che tutto a un tratto lo fece
fermare sul posto.
Impossibile.
Allungò il
passo, cadendo in ginocchio davanti a un gruzzolo di piccole more rotonde,
identiche a quelle che aveva dato solo poco tempo prima a sua sorella, alcune
di queste perfettamente intatte, altre ora rotte.
Com’era
possibile? Dov’era My?
“Myriam!” Gridò al vento, sentendo il cuore battere
sempre più forte e Puck, accanto a lui, iniziare a ringhiare.
Cosa stava
succedendo? Dov’era sua sorella?
Continuò a
urlare il suo nome, alzandosi e ripercorrendo di corsa la strada fatta
all’andata, e poi al ritorno. Da nessuna parte c’era traccia di Myriam ed Edwin
sentì il respiro mancare, una stretta di ferro che minacciava di fargli
scoppiare il petto e un bisogno così forte di riprendere aria che si dovette fermare.
Si ritrovò nel mezzo di una radura che non aveva mai visto, le mani sulle
ginocchia e l’ansia crescente di aver fatto qualcosa di tremendamente
sbagliato.
Dov’era Myriam?
Un canto
lontano, una risata, un grido. Il suo. Puck abbaiò, tenendo lontano qualsiasi
cosa si stesse prendendo gioco di lui, qualsiasi cosa lo stesse tormentando.
“La vecchia Enna dice di non prendere niente dal
bosco.”
Cadde in
ginocchio, gridando il nome della sorella, sentendo il sacchetto di cuoio
improvvisamente pesante contro la sua coscia, un peso che gli bruciava la pelle
sotto il tessuto dei pantaloni.
Myriam, dopo
quel giorno, non tornò.
Note: questa
one-shot è nata in origine per un corcorso a tema "fatato", ma
ho adesso deciso di pubblicarla =3 Avrei in mente un possibile
continuo che, forse, in futuro potrei provare a scrivere, ma per ora
questo è quanto. Fatemi sapere cosa ne pensate! Spero vi piaccia
:)
Baci,
Isa
|