Sento il mio cuore che si spezza.
Sento distintamente il sonoro scricchiolio con cui i pezzi del
mio cuore si frantumano come cocci di vetro che cadono sul
pavimento.
Avviene in un attimo, ma dentro di me è come se quel momento
fosse infinito: i cocci del mio cuore si rompono lentamente, quasi a voler
rendere senza fine la mia agonia.
Lo guardo lì, disteso in quel letto, inerme: sembra quasi che
stia dormendo, il suo petto si muove ritmicamente, con lentezza, come se ogni
respiro costasse fatica.
Il suo corpo è coperto da tubi, alcuni più spessi, altri
talmente sottili da sembrare fili di seta. Un tubo è inserito nel suo naso, lo
aiuta a respirare, un altro invece è inserito, con un ago, nel suo braccio
destro.
L’infermiera ha detto che si tratta di una "flebo" , è come una medicina che lo fa stare bene:
nessuno mi ha spiegato esattamente come quel tubo pieno di liquido trasparente
possa aiutare mio padre, ma non me ne sorprendo. Nessuno si preoccupa di
spiegare le cose ad una bambina di 8 anni.
Mia madre è in piedi, in un angolo della stanza, e parla con un
dottore dal camice bianco: lei annuisce a ciò che lui dice, ma leggo l’angoscia
nei suoi occhi; io, invece, sono accanto al letto, seduta su una scomodissima
sedia di plastica, concentrata nello stringere la mano a mio padre.
La stanza dove l’hanno portato è piccola, ma c’è solo lui:
rimanendo fermi sulla porta, la stanza si presenta con un letto, sulla sinistra,
accanto al quale si trova un piccolo comò, una scrivania, di fronte alla porta,
e sopra di essa una piccola finestra; sulla destra, una porta bianca conduce al
bagno. E’ una stanza spoglia, fredda, non è adatta per papà, lui così solare e
allegro, lui che ama la confusione e adora il disordine, perchè lo definisce
"buffo" .
Ho provato a farlo notare a mamma, ma lei mi ha risposto che
non è importante, che una stanza vale l’altra.
Io, però, non sono d’accordo: voglio dire, quando papà si
sveglia, e si guarda intorno, io sono sicura che chiederà di cambiare stanza.
Sono certa che gli basterà un’occhiata, per odiarla. Gli stringo un pò più forte
la mano: voglio che sappia che lo capisco, e che neanche a me la stanza
piace.
La cosa strana, in tutto questo, è l’atteggiamento che tutti
hanno nei miei confronti. I miei zii, i miei nonni, gli amici dei miei genitori,
tutti mi abbracciano e mi dicono di non preoccuparmi, di stare tranquilla,
perchè tanto papà si sveglierà presto.
E’ ovvio che si sveglierà: lui è invincibile, è il mio
eroe.
Eppure, così disteso sul letto, non sembra affatto un eroe: al
contrario, mi sembra piccolo e fragile.
Un altro coccio del mio cuore spezzato cade a terra,
frantumandosi completamente.
- Tesoro, hai fame? - mi chiede mamma: ha finito di parlare col
dottore, ha gli occhi rossi, e le labbra le tremano.
Scuoto la testa, senza distogliere lo sguardo dal viso di papà;
mamma mi accarezza i capelli, e io rimango stupita da quel contatto: mia madre
non è esattamente una persona espansiva.
Hai visto papà? Mamma mi ha appena dato una carezza!
Sorrido a quel gesto, desiderosa di coccole; subito dopo, però,
il mio sorriso si spegne: papà non può vedere la carezza di mamma, non può
vedere nulla finchè non si sveglia.
L’ennesimo coccio di cuore spezzato s’infrange, lanciando
piccole e sottili scheggie, che si perdono nel buio della mia anima.
Le ore passano lente, ogni minuto che passa sembra durare una
vita intera. Ad un certo punto, mamma dice che è tardi, che dobbiamo andare a
casa: ma io non voglio, non posso lasciare papà da solo. Ha bisogno di me, lo
sento.
Lo spiego alla mamma, e lei inizia a piangere; io la guardo,
confusa, e ripeto che non possiamo andarcene, che papà se ne accorgerebbe se lo
lasciassimo solo, e si sentirebbe triste.
Lei mi risponde dolcemente che non possiamo dormire lì, che io
ho bisogno di mangiare e riposare, e che sarei potuta venire a trovare papà
l’indomani.
So perchè me lo dice, crede che io sia piccola.
Ma io ho smesso di essere piccola nel medesimo istante in cui
ho realizzato che papà rischiava di morire.
La guardo, e lei ricambia il mio sguardo con un misto di
confusione e apprensione: non si è ancora resa conto che sono diventata
grande.
- Mamma. Papà ha bisogno di me. Non voglio andarmene. -
Glielo dico così, lentamente, scandendo le parole: voglio che
capisca, voglio che accetti. Voglio che che mi lasci rimanere qui, con lui.
Lei annuisce: ha capito. Si allontana, col telefonino in mano,
quello che le ha dato l’ufficio per cui lavora: è grosso e pesante, ma
l’importatnte è che funzioni. La sento parlare con suo fratello, mio zio: gli
dice che ci fermiamo qui, che non me la sento di andarmene, che voglio stare
accanto a papà. Quella sera, io e mamma mangiamo un panino comprato al bar
dell’ospedale e, tra un boccone e l’altro, mamma mi spiega ancora una volta, o
perlomeno tenta di farlo, l’operazione che papà ha subito: mi dice che le
arterie di papà, quelle che portano il sangue al cuore e a tutto il corpo, si
sono chiuse, e così il sague non poteva più circolare. Allora i medici hanno
dovuto aprire a forza le arterie di papà, usando una specie di gabbietta; mamma
accenna al fatto che ci sono state delle complicazioni, ma non me le spiega. E’
troppo stanca, e si addormenta sulla sedia scomoda, esausta.
Ma io non dormo. Non mi è concesso dormire, devo vegliare su
papà.
Lo guardo tutta la notte, sono talmente concentrata su di lui
da non sbattere persino le ciglia: voglio che si svegli. Lo desidero con tutte
le mie forze: ci sono tante cose che devo dirgli. Per esempio, voglio
raccontargli dell’ultimo libro che ho letto: così, quando avrò finito, lui potrà
scompigliarmi i capelli e rivolgermi il suo solito commento: - Ma quanto è un
genietto, la mia Hermione? -
Sì, perchè io sono un genietto. Il genietto di papà. Amo i
libri, e questa passione l’ho presa da lui: papà dice sempre che sono identica a
mamma, e che mi basta un solo sguardo per fregarlo; non so cosa voglia dire, ma
se fregarlo significa convincerlo a farmi fare le coccole, allora direi che
riesco a fregarlo alla perfezione.
Tutti mi dicono che papà stravede per me, perciò sono convinta
che si sveglierà: perchè, se stravede per me, non mi lascerebbe mai senza di
lui. E poi ama la mamma, io lo so. Non ci lascerebbe mai sole.
Ho paura. Ho così tanta paura che mi si mozza il respiro, così
tanta paura che le ginocchia mi si piegano, così tanta paura che il mio cuore
smette persino di battere.
E, alle prime luci dell’alba, lui lo fa. Si sveglia.
- Ciao papà. - gli dico, con un sorriso a trentadue denti -
Devo raccontarti l’ultimo libro che ho letto mentre tu dormivi! -
Lui mi sorride, un sorriso che sa d’amore.
- Ma quanto è un genietto, la mia Hermione? -
Me lo lasciate un
commentino, per favore??? Vi ringrazio!!!!
Mylia