Era
una serata pacifica a Sorry-in-the-Vale, come non se ne
vedevano da tempo. Con tutto quello che era successo nei mesi
precedenti – il
ritorno dei Lynburn, Jared che era un ragazzo in carne ed ossa, gli
strani
eventi che erano culminati con l’omicidio di Nicola, la
scoperta che la magia
esisteva e il suo prezzo era il sangue e il sacrificio che aveva
compiuto per
poter salvare i suoi amici – Kami pensava che non sarebbe mai
più riuscita a
trascorrere un pomeriggio in pace con se stessa.
Sedeva
sul divano, di fronte al caminetto acceso, con il
computer sulle gambe e un pacco di patatine formato famiglia aperto
appoggiato
alla coscia dal quale traeva consolazione ogni volta in cui non
riusciva a
trovare la parola giusta per sintetizzare l’elaborato
pensiero del pezzo che
stava scrivendo, quando sentì il familiare borbottio del
motore dell’auto della
Mamma.
Maledizione,
pensò, consapevole che la Mamma l’avrebbe beccata
per l’ennesima volta con le
mani – letteralmente – nel sacco vicino
all’ora di cena. E Tomo e Ten erano
fuori con Papà, quindi non c’era nessuna speranza
di poter scaricare la colpa
del misfatto su uno dei due monelli.
Si
alzò dal divano, attenta almeno a non rovesciare il
contenuto del sacchetto sui cuscini, e si diresse verso
l’ingresso quando sentì
la porta che si apriva per ritardare il momento della discussione il
più
possibile.
«
Mamma, ti serve una mano per prendere le cose in macchina?
» chiese, prima ancora di mettere piede
nell’ingresso. E si pentì subito di
averlo fatto.
Davanti
a lei stava Jared, la solita giacca di pelle marrone
sbiadita e logora che si sarebbe dovuto decidere a buttare via, la
solita
t-shirt di cotone a maniche lunghe, nonostante ormai fosse pieno
inverno,
i soliti jeans sbiaditi. Il
solito Jared, a
cui non riusciva a staccare gli occhi di dosso. I suoi occhi
incontrarono
quelli di Jared e si rese conto che anche lui la stava fissando.
Sostenne il
suo sguardo e il tempo parve fermarsi. Non pensava che lei, Kami Glass,
aspirante giornalista d’inchiesta, avrebbe mai usato quella
terminologia da
romanzetto rosa di serie C.
La
porta d’ingresso che si chiudeva li riportò
entrambi alla
realtà con un fremito e Kami si accorse di aver trattenuto
il fiato quando
riprese a respirare. La Mamma li guardava con un sorriso strano. Un
sorriso che
le aveva visto addosso solo quando era persa nei suoi pensieri, solo
quando pensava
a Papà. Ma durò solo un attimo, perché
subito dopo fece il suo sorriso
divertito, quello che usava quando la prendeva in giro.
«
Kami, non potevi accompagnare Jared in cucina a posare gli
scatoloni? È
stato così gentile da accompagnarmi a casa, visto che era
già buio e
la strada passa vicino al bosco, e tu l’hai fatto stare qui
in piedi in mezzo
all’ingresso con le scatole in mano. Potevi almeno offrirti
di dividere il peso
con lui! Devo proprio insegnarti tutto! »
cinguettò, mentre si incamminava
verso la suddetta cucina. Kami e Jared la seguirono.
Mentre attraversavano il salone, a Kami
venne in mente la prima volta
che Jared aveva messo piede in casa sua, quando aveva fatto amicizia
con Ten e
Tomo, e poi anche la seconda, quella più imbarazzante,
quando Papà li aveva
beccati a dormire nello stesso letto e lui le aveva fatto una mezza
proposta di
matrimonio. Kami sorrise e rivolse lo sguardo verso di lui, per vedere
se
faceva altrettanto, se stava ricordando quello che ricordava lei. Jared
però fissava
lo scatolone che teneva tra le braccia, e sembrava non pensare a
niente. Quanto
le dava fastidio non sapere quello che gli passava tra la testa. Che
cosa le
era venuto in mente, quando aveva deciso di spezzare il legame che li
univa?
Il primo fulmine colpì nel
momento stesso in cui entrarono in cucina. È arrabbiato,
pensò Kami. Non sarebbe
mai più riuscita a guardare un temporale con gli stessi
occhi, senza pensare
che ogni volta che un fulmine colpiva, da qualche parte doveva esserci
uno
stregone arrabbiato, e che in quel momento lo stregone era proprio
vicino a lei.
« Sei stato davvero gentile ad
accompagnarmi a casa, Jared, » disse la
Mamma, mentre gli porgeva un bicchiere d’acqua che Jared
accettò senza timore.
« Sta persino piovendo, mi dispiace che tu debba tornare in
paese con questo
tempo da lupi. Vuoi rimanere a cena, così mangi qualcosa di
sano e aspetti che
la tempesta si calmi un po’? »
Kami fece un passo indietro,
sgranò gli occhi per la sorpresa – non si
aspettava che la Mamma, conoscendo la situazione alla perfezione,
chiedesse a
Jared una cosa del genere – e scosse la testa in modo che
fosse sicura che la
Mamma recepisse il messaggio chiaro e forte. La Mamma la
ignorò, e sorrise a
Jared per incoraggiarlo ad accettare.
Jared lanciò uno sguardo alle sue
spalle, forse per vedere qual era
stata la sua reazione all’invito. Kami ebbe la sensazione che
avesse sorriso,
un sorriso di sfida, prima di annuire in direzione di sua madre.
Sospirò,
sconfitta.
« E non credere che non abbia
visto il pacchetto di patatine sul
divano, Kami Glass, » la rimproverò la Mamma,
prima che riuscisse a pensare qualsiasi
cosa che non fosse: quanto
ancora dovrà
durare questa punizione che mi sta infliggendo Jared?
*
*
*
Dopo cena, lei e Jared aiutarono la Mamma a
sistemare la cucina, prima
di andare nel soggiorno. La Mamma era andata in camera, adducendo come
scusa la
stanchezza, non prima di aver sconsigliato – laddove la
parola “sconsigliato”
andava percepita e sostituita con l’improprio sinonimo
“ordinato” – a Jared di
lasciare la villetta se prima non avesse smesso di piovere.
Li aveva lasciati soli. Imbarazzati, o
almeno lei lo era, e soli.
La tempesta – quella roba durava
ormai da più di un’ora, con lampi e
tuoni che si ripetevano così velocemente da rendere la valle
quasi
continuamente illuminata a giorno, e non poteva essere definita
semplicemente
“temporale” – non dava segno di volersi
placare. Jared si era seduto al posto
preferito da Ten e guardava lo spettacolo fuori dalla finestra. Kami
pensò che
fosse un modo per non doverle rivolgere la parola.
« Sei arrabbiato? »
chiese Kami mentre attizzava il fuoco del camino,
pensando che la vocetta stridula e sottile che le era uscita dovesse
essere
frutto del fatto che Ten si era impossessato del suo corpo. Non poteva
giustificare in altro modo l’improvvisa timidezza che si era
impadronita di
lei. Se non con il fatto che il ragazzo che aveva di fronte era colui
che di
lei conosceva tutti i più reconditi segreti e che allo
stesso tempo era uno
sconosciuto.
Jared si voltò verso di lei e
sollevò un sopracciglio, come a
chiederle che cosa intendesse. Kami lo prese come un buon segno, ma non
fidandosi della propria voce e di quello che sarebbe potuto uscirle
dalla bocca
– una volta con la vocetta stridula bastava e avanzava per
vergognarsi per il
resto della sua vita – si limitò a puntare un dito
verso la finestra.
« No, non sono io, »
rispose Jared con sicurezza.
« Come fai ad esserne certo?
» gli chiese allora, incuriosita
dall’improvvisa eloquenza di Jared, che fino a quel momento
aveva evitato di
guardarla, figuriamoci di parlarle. Ad essere sinceri, le mancava
sentire la
sua voce, le mancava quell’accento americano strascicato, le
mancava saperlo
sempre con lei. Oh, al diavolo i giri di parole, le mancava lui.
« Perché se ne fossi in
grado da solo, Sorry-in-the-Vale sarebbe stata
spazzata via quella sera. »
Kami rimase interdetta per qualche istante,
spiazzata dalla risposta e
incapace di ribattere. Non era facile toglierle le parole di bocca, non
era per
niente facile ridurla al silenzio, era in grado di costruire un
dibattito
partendo dal nulla, e quando aveva qualcosa di cui discutere era
davvero
impossibile fermarla – c’erano volte in cui Angela
doveva metterle una mano
sulla bocca per costringerla a fermarsi – ma
quell’improvviso riferimento alla
sera in cui Kami aveva deciso di mettere fine al legame che li aveva
uniti per
diciassette anni quando tra di loro c’era un oceano
– l’Atlantico, per dovizia
di particolari, di cui doveva essere sempre ricca la cronaca
– le aveva fatto
l’effetto di una doccia gelata. O di una secchiata di neve. O
di un bagno nelle
Pozze delle Lacrime il primo gennaio. O… ok, il concetto era
chiaro.
Ed era anche chiaro che Jared fosse ancora
furioso con lei. Ma non
c’era bisogno che glielo dicesse così
esplicitamente. Insomma, le aveva
lanciato chiari segnali tutta la sera, non doveva ricordarle ancora che
la
riteneva completamente colpevole di quello che era successo.
Esausta, crollò a sedere sul
divano, mentre Jared tornava a rivolgere
la sua attenzione a quello che succedeva fuori dalla finestra.
Notò solo in
quel momento gli album fotografici sul tavolinetto da caffè.
Aveva passato il
pomeriggio in quella stessa posizione e non aveva degnato di uno
sguardo i
libroni di cuoio che qualcuno – con molta
probabilità Papà – aveva tolto dalla
libreria. Ne prese uno e se lo poggiò sulle ginocchia, lo
aprì ed iniziò a
sfogliarlo distrattamente.
Sorrideva e le venivano le lacrime agli
occhi, a pagine alterne,
specialmente quando dalle foto si affacciava la faccia di Sobo.
Oba-chan
sorrideva sempre quando era con lei o i suoi fratelli. Sorrideva quando
era con
suo Papà, tanto che era impossibile non riuscire a
immaginare da chi lui avesse
preso quell’atteggiamento positivo verso la vita. Le dita
scivolarono su un
primo piano di Sobo. Quanto le mancava! Le si spezzava quasi il cuore,
quando
pensava a lei. Sobo avrebbe avuto qualcosa da dirle anche in quel
momento,
conoscendo la situazione tra lei e Jared – non sarebbe mai
riuscita a
nasconderle una cosa del genere, non le aveva mai nascosto niente
– le avrebbe
suggerito cosa fare. O forse cosa non fare.
« E così questa
è Sobo. »
Le dita di Kami si fermarono. Tutto il suo
corpo si irrigidì. Il
respiro caldo di Jared le aveva sfiorato la guancia, quando aveva
sussurrato
quelle parole. Era parte della sua strategia per torturarla o forse
aveva
deciso che era arrivato il momento di perdonarla? Kami non poteva fare
a meno
di chiederselo, mentre combatteva il prepotente desiderio di voltarsi
verso di
lui per vedere con gli occhi quanto si fosse effettivamente avvicinato
a lei,
ma era convinta che muovendo un solo muscolo avrebbe rovinato quel
momento di
tregua. Perché si trattava di questo, non di un trattato di
pace. Una tregua.
Pronta a spezzarsi nel momento esatto in cui la tempesta fosse finita e
lui
avesse messo piede fuori dalla casa. Kami non si illudeva, Jared non
l’avrebbe
perdonata così facilmente, lo conosceva bene e poteva dirlo
con certezza.
« Le somigli molto, »
disse, e Kami si rese conto che Jared si era
avvicinato ancora. Il fiato che si liberava dalle sue labbra con quelle
parole
le aveva solleticato il collo. Le sue dita si aggrapparono
all’album
fotografico e se avesse guardato le sue mani, con molta
probabilità avrebbe
visto le sue nocche diventare bianche per lo sforzo. Ma
continuò a stare
immobile, perché neanche un solo capello scivolasse in una
posizione diversa da
quella che aveva in quel momento.
« Non è vero,
» rispose, cercando di controllare il suo corpo e quello
che usciva dalla sua bocca nel medesimo tempo, e rendendosi conto che
le
costava un grandissimo sforzo. « Sobo era una donna speciale.
Era molto più
coraggiosa di me, sapeva sempre cosa fare e cosa dire. E soprattutto -
»
Si interruppe nel momento stesso in cui si
rese conto di aver voltato
il viso in modo da vedere quello di Jared, che le rivolgeva il suo
solito
sorriso sarcastico, quello che gli induriva il viso rendendolo tanto
bello da
star male. Tanto bello che gli sarebbe dovuto essere vietato andare in
giro per
la città con quel sorriso. Strinse più forte
l’album tra le dita fino a quando
non sentì i tendini tirare sulle ossa e probabilmente anche
qualche sinistro
scricchiolio che proveniva dalle sue povere articolazioni che
protestavano
vivamente per il trattamento. Non importava che probabilmente le sue
dita si
sarebbero spezzate e lei non avrebbe potuto scrivere fino a quando non
fossero
guarite. Non importava perché non poteva permettere loro di
fare quello che
desideravano fare, quello che lei moriva dalla voglia di fare. Moriva
dalla
voglia di sfiorare la cicatrice di Jared, sentire la pelle calda del
suo viso
sotto la punta delle dita. Moriva dalla voglia di sentire
l’effetto che faceva
il respiro di Jared sulla pelle del suo polso.
Ma stava anche morendo di paura per quello
che sarebbe potuto
succedere subito dopo, e non voleva essere rifiutata ancora una volta.
Il suo
cuore non avrebbe retto.
I suoi occhi si persero dentro quelli grigio
tempesta – tanto per
rimanere in tema – di Jared. Non era mai stata
così vicina a lui da riuscire a
leggere le emozioni dentro i suoi occhi. In quel momento vi scorse la
paura,
una paura che era uguale e contraria alla sua. E vi vide anche
tantissime altre
emozioni che non riusciva a decifrare e che non la aiutavano a prendere
una
decisione. Kami era una creatura razionale, non avrebbe mai preso una
decisione
senza sapere quali erano tutte le possibili conseguenze.
Un tuono scosse la casa fino alle
fondamenta. La luce giocò un po’,
prima di andare via del tutto. Kami sobbalzò e strinse le
ginocchia al petto,
lasciando andare l’album che cadde ai piedi del divano con un
tonfo smorzato
dalla presenza del tappeto.
E
ora? pensò Kami.
Alla luce dei lampi vide Jared raddrizzare
la schiena quasi a
rallentatore, come se soltanto in quel momento si fosse reso conto di
quanto le
era stato vicino. Lo vide girare intorno al divano fino a trovarsi
dalla parte
della seduta. Lo vide sedersi.
« Non ricordavo che i tuoni ti
spaventassero così tanto, » le disse,
prima di allungare un braccio lungo lo schienale e appoggiare la
schiena al
cuscino.
Vista dall’esterno, la scena
sarebbe sembrata ovvia. La ragazza aveva
paura dei tuoni, il ragazzo si sedeva sul divano accanto a lei quando
la luce
andava via e la stringeva fino a quando il temporale non finiva.
Già, ma lei e
Jared non erano una normale coppia. Non erano proprio una coppia. Anzi,
si rese
conto risvegliando il dolore sordo che era ormai suo compagno costante,
non
erano proprio niente. E, così, quella non poteva essere una
scena così ovvia. O
no? Quella che le sfiorava la spalla non poteva essere davvero la mano
di Jared
che la invitava ad avvicinarsi a lui, semplicemente perché
quello non era
Jared. Lui rifiutava il contatto fisico, specialmente con lei. Kami era
una
specie di rospo ripugnante, per quanto lo riguardava.
Eppure, qualche minuto – e molti
tuoni – dopo, Kami si trovava con la
testa poggiata al petto di Jared e le sue mani stringevano
convulsamente il
cotone della maglietta di lui, come se avessero saputo che dovevano
assolutamente tenerlo fermo accanto a lei, perché ne andava
della sua stessa
vita. Ma la cosa strana non era tanto lei, abbarbicata a lui come a una
porta
di legno dopo il naufragio di un transatlantico – di nuovo,
perché le venivano
in mente film romantici di dubbio gusto in cui l’eroe moriva
per salvare la sua
amata? – la cosa davvero strana era lui, che con un braccio
le cingeva la
schiena e che con una mano – quella attaccata al suddetto
braccio, per essere
chiari – le sfiorava la pelle nuda del fianco su cui era
risalita la maglietta.
Mentre respirava l’odore di bucato
fresco mischiato a quello
dell’animale morto che Jared non rinunciava mai ad indossare
e capiva che quel
momento le sarebbe costato davvero un sacco, quando lui se ne fosse
andato e
avesse ricominciato a ignorarla come ormai faceva da settimane, decise
che
probabilmente quella era l’occasione migliore per porgergli
le sue scuse.
« Jared, mi - »
« Lo so, » la interruppe
Jared, e poi aggiunse, « Anche a me. »
Kami sollevò il viso, esponendolo
all’aria fredda della stanza per
poter guardare Jared in faccia, e si rese conto che anche lui la stava
guardando e che in quel momento i loro volti erano davvero vicini.
Vicini come
non erano mai stati prima. E continuavano ad avvicinarsi.
Kami chiuse gli occhi e trattenne il
respiro. Fremeva mentre percepiva
il movimento del viso di Jared verso il suo. Sussultò,
quando sentì il calore
delle labbra di Jared sulle sue e spalancò gli occhi,
rendendosi conto che
quello doveva essere il primo bacio di Jared e che lui probabilmente
non sapeva
come andare avanti. Il panico la colse per un attimo al pensiero che
forse lui
non voleva andare avanti ma, per una volta, decise di buttare
all’aria tutti i
ragionamenti e di smettere di ascoltare la sua testa. Spense tutti i
pensieri e
circondò il collo di Jared con entrambe le braccia, prima di
inumidirgli le
labbra con la punta della lingua.
Jared sussultò sorpreso, e si
sarebbe tirato indietro se Kami non
avesse preso la precauzione di aggrapparsi a lui come un koala.
Rimasero per un
attimo in stallo, come se Jared stesse valutando cosa fosse meglio
fare. E il
momento in cui anche lui cedette all’istinto fu chiaro dal
modo in cui le sue
braccia trovarono la vita di Kami e scesero fino al suo sedere. Kami
resistette
all’impulso di sorridere come una scema e riprese la sua
esplorazione delle
labbra di Jared, o forse faceva entrambe le cose contemporaneamente, e
quando
lui lasciò andare un respiro attraverso le labbra colse
l’occasione di
approfondire il bacio. E Jared poteva anche non aver mai baciato, ma se
non
l’avesse saputo non se ne sarebbe mai accorta,
perché la risposta entusiasta
che ebbe dalla lingua di lui, che accarezzava la sua e gentilmente la
spingeva
dentro la sua bocca, prima di iniziare a prenderne possesso, era degna
di un
vero esperto del bacio.
Quando la luce tornò, Kami si
trovava a cavalcioni sulle gambe di
Jared, con le mani di lui che le accarezzavano la pelle della schiena
lasciata
scoperta dalla maglietta che le si era arrotolata sotto il seno, le sue
mani
infilate nella maglietta di lui – che probabilmente era
diventata
inutilizzabile, visto che aveva infilato entrambe le braccia
dall’apertura del
collo – il respiro accelerato come il battito del cuore, le
guance rosse e gli
occhi luminosi. Questa era la se stessa che vedeva riflessa negli occhi
di
Jared.
Jared le sorrise, dandole un leggero
buffetto sulla guancia con il
naso, e Kami si rese conto che era la prima volta che lo vedeva
sorridere per
davvero.
Ed era cambiato anche
qualcos’altro. La tempesta si era finalmente
placata. Sebbene Kami odiasse l’idea di Jared che usciva da
casa sua – e probabilmente
dalla sua vita, di nuovo – sorrise, anche se probabilmente il
sorriso non
rendeva neanche metà dell’idea di quanto era stata
felice fino al secondo in
cui aveva capito che Jared sarebbe presto uscito dalla villetta.
« Pensavo non fossi in grado di
controllare i fenomeni atmosferici,
non più almeno, » si lamentò, come si
sarebbe lamentata una bimbetta di cinque
anni in vena di capricci.
«
Non lo sono. Non da solo, almeno. »