“A Gio, grande amico che capirà questa fic meglio di
tanti altri...e anche i motivi per cui all’amicizia, titoli e prefazioni non
servono.”
SINE
TITULO
Guardava attraverso la
grande finestra alta fino al soffitto come tante, nella biblioteca di
Hogwarts.
La brina aveva
cristallizzato i vetri, la fine di febbraio si avvicinava e fuori una piccola
tempesta di neve pareva voler rallegrare i giochi spensierati degli studenti
più giovani.
Lei però, la
studentessa più brillante di Hogwarts, non aveva tempo per i giochi.
Non al suo ultimo e
decisivo anno in quella scuola.
Ed Hermione Jane
Granger aveva già moltissimi grattacapi.
Primo: salvare il
Bambino Sopravvissuto per la settima volta in sette anni.
Perché i Mangiamorte
avrebbero dovuto rovinare la tradizione proprio quella volta?
No, non scherziamo,
Hermione ne era più che convinta.
I Mangiamorte erano
idioti e solo gli idioti perseveravano.
E non solo loro.
Secondo: salvare Ron
Weasley dalla bocciatura.
Perché aiutare un’ameba
nello studio e farlo veleggiare verso un maledetto Accettabile era la missione
di ogni migliore amica che si rispetti.
E terzo, ma non meno
importante...la sua vita sociale e sessuale, che poteva essere riassunta con
un semplice nome.
Draco Lucius
Malfoy.
Maledetto il giorno in
cui il suo orgoglio da Gryffindor le aveva imposto di accettare scommesse
sacrileghe con quel promiscuo Principe di Slytherin.
No, basta!
Lei doveva
studiare.
Cosa avrebbero dovuto
fare anche Harry e Ron, che invece erano chissà dove a progettare chissà che
retata ai danni dei Mangiamorte. E avrebbe dovuto studiare anche Draco, che
invece era sicuramente chiuso in bagno a fumare illegalmente insieme al suo
degno compare Blaise Zabini.
A volte si chiedeva
come aveva potuto farsi incastrare da leghe così basse del genere
maschile.
Lei, una persona tanto
precisa, quadrata...noiosa, anche.
Ok, forse erano proprio
i suoi ragazzi a dare colore alla sua vita.
Ma che male c’era se
anche loro, per una volta, avessero imparato a cavarsela da soli?
Un gradevole profumo di
caffè la fece improvvisamente rizzare a sedere, quando qualcuno le posò di
fronte una tazza di fumante e calda bevanda.
Allibita, fece per
protestare.
La mano che le aveva
posato la tazza di fronte era affusolata, adornata da un anello sottile e
argenteo, con una pietra quadrata, un lapislazzulo che Hermione non riusciva a
immaginare meno brillante, ma di cui anche non poteva inorridire, pensandone
l’immenso valore.
Non era Draco.
Gesti plateali di quel
genere fra loro non erano ammessi, a meno che non avesse tentato pubblicamente
di avvelenarla.
No, una tale gentilezza
non arrivava neanche da Ron.
Perché sprecarsi in
smancerie?
E Harry non avrebbe mai
avuto l’idea di portarle delle bevande in biblioteca, per poi beccarsi le urla
della Pince.
No, era stato qualcun
altro.
Qualcuno che dopo
essere rimasto in piedi, sopra di lei con un fare quasi innocentemente
minaccioso, emise un risolino e andò a sedersi dall’altro capo della tavola da
studio vuota, anche se ingombra di libri.
Sospirando, Hermione
Granger si guardò attorno, intimorita dall’ennesima strigliata della
Pince.
- Non sono ammessi cibi
e bevande in biblioteca Edward.- borbottò impaziente, scoccando uno sguardo
severo al ragazzo del settimo anno che le si era seduto di fronte.
- Mi viene bene fare
gli occhioni dolci.-
Le iridi d’oro della
Granger sprizzarono scintille.
- Le regole ci sono per
un motivo.-
- Si per essere
infrante, si potrebbe dire, ma temo che risulterei banale. Ci sono farci
assaporare meglio la vita.-
- Se la vedi in questo
modo.-
Era una strana
creatura. O almeno era questo che Hermione si era sempre detta.
Edward Deverall Dalton.
Un Ravenclaw.
Un Purosangue doc,
avrebbero detto a Slytherin.
Era tutto quello che
lei non era.
Era come Draco
Malfoy.
Primogenito e figlio
unico.
Figlio di una delle
famiglie di maghi più famose e antiche della Gran Bretagna.
Da alcuni pettegolezzi
sentiti al Club dei Duellanti, lui e Draco avevano in comune un fatto che,
volente o nolente, alcune volte di notte la faceva mortificare di gelosia.
Si, Edward Dalton era
come Draco Malfoy.
I maghi col sangue più
puro della Gran Bretagna e di quella intera scuola.
Però...però era anche
vero che Edward non era proprio come Draco.
Scrutò quel ragazzo,
dal celebre lignaggio e dal volto affascinante, sensuale e bellissimo.
Alto e dal fisico
scolpito, come il viso che presentava ormai pochissimi dettagli
dell’adolescenza che stava per passare.
La mascella forte, il
naso dritto, una bocca che ogni ragazza presente in quella scuola avrebbe
giudicato unicamente adatta a baciare, dalle linee morbide e dolci. Una bocca
che però lei personalmente aveva sentito sortire discorsi brillanti, quasi
inquieti, come le stesse parole di quel Ravenclaw...a ogni test, Edward spesso
riusciva a raggiungerla.
Altre volte quella
bocca restava chiusa.
Muta, immobile.
Come in quel
momento.
Gli occhi di Edward,
celesti come il lapislazzulo di famiglia che portava al dito, si erano posati
sul cielo.
Cupo e ombroso.
Un tempo come tanti,
lì fra quelle colline.
Dal Lago Nero si
alzava alta la nebbia, intensa come nubi velenose.
Spesso taceva, quel
ragazzo. Si chiudeva in se stesso.
Hermione si appoggiò
sui gomiti, studiandolo. Lui, sempre così ricettivo, non sembrava accorgersi
di lei.
Chissà a che
pensava.
Le piacevano quegli
occhi.
Il contorno della
pupilla era ancora più chiaro del resto dell’iride.
Un contrasto perfetto
coi suoi capelli scuri.
Le tornò in mente
quando al quarto anno una sua compagna glieli aveva tinti di biondo.
Aveva dato scandalo,
ma lui se n’era andato a spasso per il castello col suo solito fare
baldanzoso.
Baldanza. Già.
E arroganza.
Si chiese come
sarebbe stato vederlo coi colori di Slytherin quando il blu e l’argento del
Ravenclaw parevano renderlo inavvicinabile. Ci pensava lui a sfatare
quell’impressione, sorridendo a qualunque ragazza con fare troppo candido
perché avesse unicamente buone intenzioni.
Non avesse tentato
più e più volte di provarci spudoratamente e non si fosse preso a pugni con
Harry e Draco, lei stessa dubitava che il Bambino Sopravvissuto avrebbe
resistito alla tentazione di farselo amico.
Per Dalton, le regole
come lui stesso avevo detto, erano fatte per dare sapore alla vita.
Per Harry Potter
invece, le regole non erano scritte sulla pietra. Forse neanche sulla
sabbia.
Ecco, in momenti come
quello riusciva a guardare oltre ciò che lui voleva mostrare.
Secondo Ron, Edward
era solo un pallone gonfiato. Un montato pieno di soldi e boria la cui
incommensurabile libidine lo rendeva più apprezzato alla fauna femminile del
castello e la cui intelligenza che spuntava solo ogni tanto lo rendevano
apprezzato dai professori...certo, quando non ribaltava i banchi e se ne
andava dalle classi sbattendo le porte, beccandosi note di demerito che
avrebbero fatto impallidire anche i capelli rossi di Weasley.
Si, non era
particolarmente affidabile.
A parte la faccenda
dei capelli biondi tinti, ricordava quando al sesto anno si era presentato il
classe con un gigantesco anellino d’argento al sopracciglio. O quando, alla
scorsa festa di Halloween, si era praticamente fatto beccare con una delle sue
tante ragazze, mezzo nudo, appiccicato a una colonna del secondo piano.
Non era certo il
classico fidanzato premuroso.
Attorno a lui
gravitavano ragazze di ogni tipo. Dalle pupattole dei primi anni alle più
anziane, che agognavano solo di ricevere un suo sorriso, cosa che puntualmente
accadeva, seguita poi in rapida successione da una sveltina che in lui non
lasciava alcun segno.
- Sono bello,
vero?-
Hermione si scrollò,
lasciandolo a ridere della sua stessa arguzia.
Mettersi a scalfire
le barriere altrui non faceva per lei. Aveva già problemi a sufficienza con
Draco, cercare di farsi strada nel diabolico cervello di quel Ravenclaw non
era nei suoi programmi.
Aveva troppo da fare.
Così si alzò e ben attenta a prendersi la tazza, andò a infilarsi fra gli
scaffali di Aritmanzia.
Ciò che non
ipotizzava era il fatto che lui l’avrebbe seguita, pacifico, con le mani in
tasca.
- Posso farti una
domanda Herm?-
- Non chiamarmi
Herm.- replicò lei, sfiorando i tomi sul terzo scaffale, alzandosi sulle
punte.
- Potrei chiamarti
amore, ma poi mi verrebbero i brividi.-
- Come ti pare.-
rispose, già infiacchita – Vedi il testo di Gruber?-
- Quarto scaffale.-
le indicò – L’ho preso ieri notte, non ci troverai nulla per la ricerca, prova
con le tesi di Petra Tremaine. Comunque, mi chiedevo...- si appoggiò con la
spalla alla libreria, con aria maliziosa -...che diavolo ci trovi in quel
maniaco di Malfoy, eh?-
- A volte me lo
chiedo anche io.- ansimò la strega, saltellando per arrivare alla sua preda
cartacea – Che ci facevi qua ieri notte?-
- Non c’è un’anima
alle due, è perfetto per studiare.-
Hermione smise di
agitarsi, si girò. La sua espressione, come quella di Edward, non credeva a
una sola parola di ciò che quel bugiardo le aveva raccontato.
- Ok, è perfetto per
fare anche altro mentre studi.-
- La capacità di
concentrazione di certa gente non fa che stupirmi.- rispose sarcastica – Se
usassi un minimo delle tue energie per avere un andamento scolastico meno
altalenante saresti il secondo miglior studente della scuola.-
Ciò che la stupiva di
lui, in quei casi, era che a differenza dei suoi amici del Gryffindor o degli
altri idioti della scuola, non l’aveva mai presa in giro per la sua fissa
culturale, per così dire.
Eppure all’inizio,
quando aveva messo gli occhi su di lei, stupendola non poco, l’aveva trattata
in modo indegno.
Harry la usava
all’inizio dell’anno per allisciarselo sugli schemi della squadra di quidditch
e se dopo mesi lei aveva capito che Edward lo sapeva perfettamente bene, non
si era mai capacitata di come potesse essere stato tanto stupido ai loro primi
incontri: un vero idiota cafone, che non aveva parlato altro che di scope,
soldi, possedimenti e quantaltro.
Essendo poi quel
genere di ragazzo, chiedersi che avesse trovato in lei era stato facile.
Herm aveva sempre
pensato a buon diritto che Dalton volesse tuttora portarsela a letto, però il
suo comportamento si era modificato. E molto.
Vuoi per la rissa
scoppiata dopo Natale con Harry e Draco, vuoi per altro, Dalton si era fatto
decisamente più “umano”. Probabilmente aveva capito che quei discorsi con lei
non attaccavano. Forse aveva solo cambiato tecnica.
Però...
A lei era piaciuto
tanto quel ragazzino con gli occhioni azzurri, che nei primi anni di scuola
era stato l’unico a non prenderla mai in giro per i dentoni. Così tranquillo i
primi due anni...
E poi...
Quel giorno di vento,
di marzo, Edward era stato chiamato fuori dall’aula di Pozioni dalla
professoressa McGranitt.
E niente più era
stato lo stesso.
Come aveva fatto a
dimenticarselo?, si chiese la strega, sfiorando con la punta delle dita il
librone della Tremaine.
Il cambiamento...era
avvenuto dopo quel giorno.
Senza fatica, una
mano superò la sua e arrivò agilmente, senza alcun problema, a prenderle il
libro che voleva.
Si volse, trovandosi
Edward dietro la schiena. Il ragazzo le porse il libro, sfoderando un
sorrisetto bieco.
- Che mi dai in
cambio?-
Lei sospirò,
ringraziandolo.
- Non mi hai detto
come va con Malfoy.- continuò Dalton, tornando ad appoggiarsi con la spalla
alla libreria – Di recente vi vedo litigare meno. Hai scoperto come tappargli
la bocca, presumo.-
La Granger ebbe la
bontà di arrossire.
Non parlava mai di
Draco con Harry e Ron.
A dire il vero, anche
con Ginny si guardava bene dal divulgare particolari sulla sua storia con
Malfoy. Dubitava che la sua migliore amica fosse interessata al figlio del
peggior nemico di suo padre e degli Auror.
No, Ginny non
capiva.
Lavanda e Calì poi,
neanche a parlarne, si rifiutavano categoricamente di crederla capace di
andare a letto con un essere maschile, figurarsi che ancora la pensavano
vergine dopo la sua storia con Harry.
Era così scontata e
prevedibile?
Draco non le aveva
mai mosso critiche. Ma lei non parlava mai con nessuno di lui e aveva mille
dubbi.
Studiando Edward, si
chiese se fosse possibile avere una conversazione civile. Pareva disposto ad
ascoltarla, anche se il tarlo del dubbio che lo facesse solo per avvicinarla e
poi baciarla a sorpresa non svaniva certo per i suoi modi piuttosto
gentili.
Quando osò aprire
bocca però, fu costretta a richiuderla di scatto e a serrare le labbra.
Contare fino a mille
sarebbe servito a non scagliare addosso a quel figliò di papà una corposa
fattura Orcovolante.
Edward poco prima
doveva aver visto qualcosa di mortalmente pauroso, perché era sbiancato, si
era abbassato sulle ginocchia repentinamente e le si era schiacciato addosso,
affondandole la faccia nel ventre, poco sotto il seno.
La Gryffindor si posò
il libro su un fianco, schioccando la lingua.
- Che diavolo stai
facendo?- chiese con tono di voce volutamente calmo.
Lui si rannicchiò
tutto – C’è Miria.-
Si, Miria.
La famosa Miria,
alias la ex ragazza più asfissiante del pianeta Terra.
Hermione buttò uno
sguardo indietro: alta, con fulvi capelli gonfi e pettinati alla perfezione,
curve da brivido e un visetto da bambola. Che aveva che non andava, a parte
succhiarti via la vita?
Ma si, in fondo un
po’ lo capiva.
- La smettessi di
andarci insieme magari ti lascerebbe in pace, sai?- gli disse, con vocetta
stucchevole.
Edward non osò
muoversi, anche se mise il broncio – Mi attira con le sue arti amatorie.-
- Come no, ti
ucciderà a forza di sesso. E adesso staccati, avanti, se n’è andata.-
In effetti la bella
Ravenclaw era sparita, ancheggiando e salutando Madama Pince con vocetta
stridula. Hermione la vide sparire oltre le colonne dell’ingresso,
ringraziando che non li avesse beccati.
Quella era famosa per
le sue piazzate. Non aveva voglia di farsi cavare gli occhi da quella belva
scatenata e gelosa per colpa che non aveva commesso, senza contare che ne
aveva già abbastanza di rivali.
Aveva una presa
forte, ma molto gentile.
Ben diversa da quella
di Draco.
Hermione lo lasciò
alzare, lo lasciò ringraziarla, sfiancarsi in atteggiamenti e moine
inutili.
Perché faceva sempre
così con lei?
Perché si...sforzava?
Le altre le usava,
poi le buttava via.
Perché con lei
invece...tentava in ogni modo di tenersela vicina?
Lo metteva a disagio
forse?
Non le dava
l’impressione di essere innamorato di lei.
Non aveva quello
sguardo...lucido, brillante.
Ma come esserne
certa?
Aveva visto una sola
volta un uomo innamorato e quei tempi con Harry erano passati. Un capitolo
chiuso.
Draco evitava i suoi
occhi in certi attimi tanto preziosi, che non sarebbero più tornati.
Ron addirittura
celava i sentimenti, vergognoso come un bambino recalcitrante.
E allora perché quel
ragazzo, un tempo tanto diverso e ora così spaccone, non faceva che sforzarsi
di starle vicino, attirare la sua attenzione, parlarle, tentare ogni
approccio?
Edward la
confondeva.
- Non hai risposto
alla mia domanda di prima.-
- Edward non dovresti
immischiarti negli affari privati della gente.-
- Questa scuola è
piena di teste vuote, almeno con te si può parlare anche se...-
Lei alzò la mano e
subito Dalton ridacchiò – Così mi tarpi le ali. Malfoy non fa battute
oscene?-
- Malfoy lasciamolo
fuori dai nostri discorsi.- sentenziò la strega, tornando al suo tavolo dove
notò, piuttosto compiaciuta, che il Ravenclaw non le aveva raccontato una
balla. Quel testo era decisamente migliore di quello di Gruber.
- Almeno ti tratta
bene?-
Stupita, sinceramente
stupita, sollevò lentamente il capo.
Non era possibile che
a Edward Dalton importasse davvero di lei.
No. Era troppo
superficiale, troppo esagerato, troppo...tutto.
Nei brillanti occhi
dorati della strega zampillava il sospetto. Il dubbio.
Un dubbio che fece
ritrarre Edward, tanto da costringerlo ad alzarsi in piedi.
Era andato oltre.
- Bhè, ora vado. Ho
un appuntamento con una bella Slytherin del quinto anno. Ci vediamo
Hermione.-
Ecco, la situazione
si ripeteva.
Parlavano, lui
cercava di avanzare, si sforzava, poi si ritraeva.
Voleva qualcosa...
Ma non si trattava di
un che di comune.
Non si trattava di
portarla a letto, carpirle dei favori, sfruttare la situazione a suo
vantaggio.
Quel ragazzo voleva
qualcosa che non si poteva ottenere facilmente.
Cercava qualcosa che
gli occhi non potevano vedere.
Qualcosa che le mani
non potevano toccare, afferrare.
Ma cosa?
Hermione Granger
rimase a fissare la tazza di caffè, ormai raffreddatosi.
Un po’ di luce stava
schiarendole i pensieri.
Lui appariva in
momenti del tutto particolari.
Quando era sola.
Quando potevano parlare.
In luoghi come la
biblioteca.
Mai alle feste.
La cercava, si
interessava a lei.
Ma non era amore.
Ne era certa.
Ma cosa voleva Edward
Dalton da lei?
Seguire un ragazzo
per i corridoi di Hogwarts con aria mezza disperata e mezza ansiosa non le era
mai parso un atteggiamento decoroso. No, mai. Per questo il suo orgoglio negli
anni le aveva impedito di fare subito pace con Harry e Ron durante eventuali
litigi, mettendo a nudo la sua dignità davanti a tutta la scuola.
Stavolta però,
qualcosa mosse le sue gambe e la sua stessa nervosa dignità verso l’uscita
della biblioteca.
Doveva trovarlo.
Poco importava se
stava facendo la classica figura da ragazzina idiota che segue come un
cagnolino fedele il ragazzo di cui è innamorata.
Lei non amava
Edward.
E lui non amava
lei.
Era proprio questo il
punto.
Lui voleva qualcosa di
diverso.
- Edward!- lo chiamò,
arrivandogli a un metro – Edward, aspetta un attimo!-
Voltandosi, parve
assolutamente sbigottito.
Già, come gli altri
studenti, i pochi, che bazzicavano i dintorni della biblioteca a
quell’ora.
Cercando d’ignorare
un leggero rossore che sentiva salirle alle gote, Hermione deglutì un paio di
volte.
Accidenti.
Non si era mai
sentita così in imbarazzo neanche dopo la sua prima volta con Draco
Malfoy.
E lì si che ci
sarebbe stato da sprofondare.
Edward sbatteva le
ciglia, fissandola con espressione interrogativa.
- Si? Cosa c’è?-
Prendergli la mano fu
una mossa sbagliata.
E prendergliela con
l’aria addolorata che sicuramente lei gli stava mostrando, fu l’errore più
grande.
Non lo sentiva a suo
agio, probabilmente avrebbe accettato un bacio appassionato privo di qualsiasi
sentimento piuttosto che una simile stretta di mano...fatta con le più nobili
intenzioni.
Sentì la sua mano
tremare, più grande fra le sue, appena tiepida.
Dalla pelle un po’
screpolata, del classico ragazzo che esce con freddo e neve e non si cura
delle conseguenze.
In quel momento però,
era lei a non curarsi di ciò che avrebbe potuto dirgli.
Incurante...di
ferirlo.
- Edward...- alzò gli
occhi, deboli fiammelle dorate così prepotenti – Edward, mi dispiace che tu
sia diventato...così...e mi dispiace per tua madre.-
Bam.
Vide l’oceano
svuotarsi, aprirsi il cielo, l’acqua gelare.
Cristallizzarsi nei
suoi occhi.
Con uno scatto
repentino, quasi arrabbiato, fin troppo ferito, lui tolse la mano dalle
sue.
Si era bruciato.
Era andato troppo
vicino alla fiamma, come una sciocca falena.
Fu qualcosa
impossibile da descrivere.
Lei, per la prima
volta, sentì quasi le palme macchiate di sangue.
Aprire bocca,
impossibile.
Che spiegazione
dargli?
Che spiegazione
avrebbe mai accettato?
Gli aveva portato via
il suo scudo.
Arida la gola,
insensibile la pelle.
C’era il veleno, ora,
negli occhi di quel bambino che si ritrovava di fronte.
-
Edward...-
Non una risposta.
Nessun fiato.
Niente.
Come un amante
tradito le girò le spalle, distogliendo da lei il viso trasfigurato.
Traditrice.
Era andato via.
Quasi dubitava che
sarebbe mai riuscita a parlargli di nuovo.
Come scusarsi
d’altronde. Lei non era brava in quelle cose.
Ma perché non era
riuscita a chiedersi la bocca?
Perché aveva dovuto
riaprire quella dannata ferita, perché?
Un improvviso gelo al
suo fianco, una presenza che ancora lei con i suoi rigidi parametri di futura
Auror non riusciva a disporre, le fu più vicino di quanto avesse mai
immaginato.
Alto e longilineo,
Draco Lucius Malfoy stava guardando ciò che lei fissava ostinatamente.
Un puntino
lontano.
- Perché stavi con
quello?-
- Credo di aver fatto
un guaio, Malfoy.-
Il biondo Principe di
tutta Slytherin non mostrò alcun sentimento. Il liscio volto cui ogni linea
era stata designata per lignaggio e grazia, restava immobile, assolutamente
indifferente.
Alla vita, alla
gente.
- Non mi va che parli
con Dalton, è pericoloso.-
Hermione, a quella
frase, sorrise mestamente – Stavolta credo che sia stato il contrario.-
- Ha la scorza dura,
non stare a preoccuparti, qualunque insulto tu gli abbia rivolto.-
- E’ questo il
problema. Non l’ho insultato.-
Mi sono solo spinta troppo
oltre.
- Andiamo.-
Li lasciò afferrare
per il braccio, stringere con più forza di quanto fosse stato necessario.
- Mezzosangue, certa
gente l’aiuto degli altri non lo vuole. E’ una lezione che devi metterti bene
in testa.-
- Qui si sta parlando
di Edward, non di te.-
- Cambia lo scenario
ma non la sostanza. Non a tutti serve un eroe.-
Un eroe.
No, Edward non aveva
cercato un dannato eroe.
Non aveva bisogno di
una paladina con spada e scudo.
Edward Dalton, in
lei, aveva cercato una figura molto diversa.
E lei l’aveva
respinto.
Solo ora lo
capiva.
Lei.
Un incubo.
Un’ossessione.
Edward, mi dispiace
che tu sia diventato...così...e mi dispiace per tua madre.
Così gli aveva
detto.
Con pena.
Pietà, ecco cos’aveva
suscitato.
L’aveva osservata con
interesse, per la prima volta, dopo un anno di conoscenza.
Da principio l’aveva
trovata antipatica, supponente, saccente, irritante, priva di qualunque
inventiva.
A undici anni poi, un
ragazzino è piuttosto selettivo sulle proprie amicizie.
Lei per tanto tempo
era stata solo l’amichetta saccente del famoso Harry Potter, un bimbetto come
tanti altri, con una leggenda alle spalle che a lui era parsa solo una
tristissima storia.
Tutto si era
scatenato al secondo anno.
Frotte di storie sui
mezzosangue e purosangue e lui, discendente di una delle famiglie più sacre,
in certi campi.
Campi che a quanto
pareva interessavano a molti, moltissimi.
Non si era mai fatto
un’idea al riguardo. Maghi come i Dalton vivevano un’esistenza talmente
separata dal mondo Babbano che per lui, i Non Maghi, erano semplicemente
creature di un’altra razza, come i folletti o i vampiri, ma non
necessariamente una razza inferiore alla loro.
La prima volta che
aveva sentito la parola “mezzosangue” era stato un pomeriggio. La parola era
uscita dalla bocca di Draco Malfoy. A Edward, Draco Malfoy non era mai stato
né antipatico né simpatico.
A suo padre i Malfoy
non piacevano.
A sua madre invece
parevano non
dispiacere.
Ma Edward aveva
sempre pensato a sua madre come una donna troppo buona per provare odio o
disappunto verso qualcuno.
Comunque, aveva
scoperto che un mezzosangue era un mago da compatire, per il suo sangue
misto.
A lui invece, la
teoria che la magia potesse nascere anche nel figlio di due Babbani, era parsa
magnifica. Insomma, secondo il suo modesto parere di dodicenne, se dal niente
nasceva un mago, voleva dire che la sua magia doveva essere
davvero...forte!
Così aveva iniziato a
spiare Hermione Granger.
Era sempre supponente
e saccente, ma se non si trattava di scopiazzare compiti o infrangere le
regole, poteva essere una buona compagna di conversazione. Sapeva però, in
cuor suo, di non poter dire ai suoi genitori di quella bislacca e silenziosa
simpatia che aveva coltivato misteriosamente dentro di sé.
George Dalton aveva
molto lavoro e molti ideali.
Caroline Kessel
Dalton...era la vita di Edward.
Il mondo iniziava e
finiva con sua madre.
Però...però...una
frase, che lui non poteva scordare, gli rimbombava in testa nei momenti più
impensati.
“Blood Never
Lies.”
Il saluto funebre
della loro famiglia.
E non solo.
Il sangue non mente
mai.
Quella frase doveva
essere importante.
Sua madre non aveva
fatto che ripetergliela negli ultimi giorni della sua vita.
Si, perché il mondo
aveva smesso di girare un ventoso pomeriggio di fine marzo.
Edward era stato
chiamato dal professor Vitius verso il giardino di Hogwarts.
Ad aspettarlo c’era
suo padre, insieme al professor Silente.
Quel suo volto
cinereo come quello di un cadavere avrebbe dovuto indicargli la via di fuga
più vicina a quella sua nuova orrida verità.
Una nuova vita.
Senza sua madre.
Caroline Alexia
Kessel in Dalton era morta, annegata, al Lago di Lochness.
Le acque non avevano
restituito il corpo.
Via le lacrime, via
le fiaccole, via la bara d’ebano colma di vuoto.
Fiori e drappi neri,
donne coi volti coperti di garze, compagni, amici, parenti.
L’odore dell’incenso
e dell’erba bagnata.
Poi, l’ultimo
dolore.
Insieme a sua madre,
anche suo padre se n’era andato via.
Ed era rimasto
solo.
Solo, con un padre
che fissava un lontano orizzonte, lasciando indietro un figlio dodicenne che
non si sarebbe mai più ripreso.
Aveva scoperto il
sesso una sera a Capodanno.
Verso i quindici
anni. Una ragazza, una più grande di lui, invitata a una dei tanti party
dell’alta società dei maghi, l’aveva trascinato in uno degli armadi dopo aver
flirtato con lui per tutta la durata della festa.
A malapena ricordava
il suo nome.
A malapena si era
sentito ancora se stesso, dopo quel piacere devastante...e poi il lancinante
dolore, in seguito, nel ritrovarsi abbracciato a una ragazza per cui non
provava neanche un lieve trasporto.
Lo stordimento
però...oh, non l’aveva più scordato.
Come quell’attimo,
quella breve illusione durante l’orgasmo, di essere ancora amato.
Come un tempo.
Il tempo in cui tutto
era stato perfetto.
A cinque anni di
distanza, non era cambiato pressoché nulla.
A parte il ricordo di
sua madre.
Ci si era aggrappato
con tutte le forze, inutilmente.
L’aveva
dimenticata.
Il suo viso, la sua
voce, il modo in cui gli raccontava storie di maghi, i suoi gesti del thè
pomeridiano.
Il suo pettinarsi i
capelli la sera, prima di andare a letto.
Cinque anni di
ossessivo controllo del padre.
Si era sforzato
dannatamente, ogni giorno, fino a stremarsi, di tenerlo ancora alla
realtà.
Risse, bullismo,
capelli tinti, orecchini, sbronze, sesso...
Le aveva provate
tutte.
Quante volte suo
padre era esploso, quante volte era venuto a parlare coi professori.
Pazienza se ora lo
riteneva un figlio degenere, una pecora nera.
Almeno nei suoi occhi
vedeva ancora interesse per lui, per la vita.
Non era importante
vivere, se suo padre si scordava che lui esisteva.
Doveva sforzarsi,
sforzarsi e ancora sforzarsi.
Ma era così
stanco...
Tanto stanco...
Varcò la torre del
Ravenclaw e quel suo ritorno al dormitorio fu come un ritorno da
sconfitto.
Ecco che aveva
ottenuto.
La pietà.
Niente di più.
Aveva cercato di
avvicinarsi a quell’unica persona che in tanto tempo avesse destato in lui un
minimo d’interesse. E aveva rovinato tutto, facendosi scoprire. All’inizio,
nel vederle crescere e diventare una donna, si era vergognato del sentimento
che cercava in lei, perciò aveva tentato di farlo mutare in desiderio
fisico.
Questo, a suo modo,
l’avrebbe reso forse più normale...
Ma non era
servito.
L’aveva seguita negli
anni, l’aveva vista proteggere i suoi affetti, vegliare sui suoi amici.
L’aveva vista
innamorarsi di un eroe, poi tentare di nascondere l’amore vero verso Draco
Malfoy.
Quando la storia fra
loro due era iniziata, si era sentito sciocco nello scoprirsi apprensivo.
E se Malfoy l’avesse
ferita, usata, si fosse preso gioco di lei per poi gettarla via?
A distanza di mesi,
assisteva agli aventi con l’anima in subbuglio.
Oh, aveva capito di
non avere speranze. Se Harry Potter non era riuscito a staccarla da Malfoy,
nessuno ce l’avrebbe fatta. Tantomeno lui, che non provava l’amore che invece
Hermione Granger agognava a possedere.
Quel giorno aveva
toccato il fondo.
Era diventato così
affamato d’affetto da andare a raccoglierne le briciole da quella che in fondo
era una perfetta estranea, sulla cui figura lui aveva costruito castelli e
fantasie.
Percorse i corridoi,
chi lo chiamava restava a bocca aperta.
Era insolito non
trovarlo di buon umore per due chiacchiere. Stavolta i suoi compagni sarebbero
rimasti delusi.
Aveva tutta
l’intenzione di chiudersi nella stanza del Capo Scuola, Terry Steeval era suo
amico, non se la sarebbe presa troppo, e restarci dentro come minimo per due
giorni.
All’inferno gli
amici, Miria, le ragazze, suo padre e anche...Hermione Granger.
Le sue palpebre si
erano fatte pesanti ancor prima di lasciarsi cadere sul letto di Steeval.
Chiuse la porta, la
serrò magicamente con tutte le residue forze che gli restavano e si lasciò
cullare.
Da voci, ricordi,
brevi momenti passati.
Perché si era fissato
tanto?
Perché ancora adesso,
a distanza di cinque anni, tentava con tutte le sue forze di essere diverso da
quello che era?
Era così convinto di
dover proteggere di altri dal dolore che alla fine era annegato nel suo.
Tentò di passare una
notte più serena possibile.
Ignorò i richiami
dalla porta, le civettuole compagne che gli promettevano inviti privi di
attrattiva, gli spettri che si lagnavano, anche gli aiuti degli amici.
A cosa sarebbe
servito parlare con loro, se lui per primo rifiutava da anni una bella
chiacchierata con se stesso?
Analizzarsi allo
specchio gli avrebbe fatto più male che bene...ma ora come ora, non vedeva vie
d’uscite.
Le sue fantasie su
Hermione Granger gli erano state di conforto.
Le poche volte in cui
era riuscito a convincerla a studiare insieme, erano state anche le serate che
ricordava con maggior piacere. Adesso non ne avrebbe più avute. Più nessuna
occasione di...averla vicina.
Di essere l’amico che
ci prova scherzando, di corteggiarla e mentire nel farlo.
Non le interessava
quel genere di emozione da lui.
Lui stesso non
l’amava com’era possibile che invece Malfoy facesse.
Dunque, perché
ostinarsi a...essere diverso da quello che era?
La verità pura e
semplice sarebbe stata tanto tragica?
Lui voleva
solo...avere quello che Harry Potter e Ron Weasley avevano.
Una sorta di figura
materna che ogni tanto li proteggeva dalle intemperie della vita.
Ma lei...l’avrebbe
capito?
Hermione Granger
l’avrebbe accettato anche così?
Tre giorni.
Erano passati tre
giorni e non l’aveva più visto.
In Sala Grande,
Hermione Granger non era riuscita a negare neanche a se stessa di aver cercato
ossessivamente per tre lunghe giornate il ragazzo che aveva ferito.
Edward non si era più
visto.
Il suo posto di
privilegio al tavolo del Ravenclaw era rimasto vuoto.
Il suo banco in
fondo, nell’aula di Trasfigurazione, era rimasto miseramente occupato solo da
Terry Steeval.
Nessuna ragazza aveva
camminato al suo fianco nei corridoi.
Nessun professore
aveva avuto modo di lamentarsi della sua condotta.
Non si era più fatto
vivo.
Semplicemente, aveva
preferito evitarla a tal punto da non mostrarsi neanche nei luoghi frequentati
da lei.
Era buffo, ma per la
prima volta dopo tanto tempo, si chiedeva con ansietà quando e se avrebbe
potuto risanare la situazione. Ne avrebbe avuto la possibilità?
Edward Dalton
l’avrebbe perdonata?
Adesso riusciva quasi
anche a sentirne l’assenza e quindi la mancanza.
Era assurdo capirlo
quando ormai la situazione era degenerata a tal punto, eppure
adesso...rimpiangeva di non vederlo più comparire. Sembrava essere diventato
solo un fantasma del passato, un sorriso sfocato, un flash che appariva e si
dileguava.
Si era infiltrato a
tal punto nella sua quotidianità da farglielo rimpiangere.
Camminava a testa
bassa lungo il sentiero, verso il campo da quidditch.
Draco finiva gli
allenamenti. Harry e i ragazzi li iniziavano.
Ottima scusa, quella
di interrompere un’eventuale rissa, per vedere Malfoy.
Una scusa che il suo
orgoglio accettava, in un certo modo.
Alzò il viso al
cielo, vedendolo terso, spazzato da un vento impetuoso che le sollevava i
capelli in un ventaglio. Lo stesso anche fra le torri e le tribune del
campo.
Si sedette nella
panchina del Gryffindor, aspettando come ogni dannato mercoledì pomeriggio che
Harry e Draco la smettessero d’insultarsi da un capo all’altro del campo, come
due capi mafiosi attorniati da un buon gruppetto di boss minori.
Alzò la mano, facendo
appena un breve cenno a Draco. Un cenno invisibile agli occhi di tutti.
Sorrise e ricominciò
a salire la scala della tribuna. Restare in panchina insieme alle riserve non
avrebbe fatto altro che portarle via del tempo e almeno, studiando, avrebbe
impegnato la mente.
Per tenerla lontana
da tragici errori commessi.
Le scope sfrecciavano
alte, lasciando scie fischiettanti cavalcando alte onde di vento.
Era passata
un’ora...e lei non era riuscita ad andare oltre la terza riga della
pagina.
Di questo passo, il
suo rendimento scolastico ne avrebbe risentito.
Non aveva perso il
sonno nei primi tempi della sua scommessa con Draco...e adesso perdeva sonni e
pensieri dietro a un ragazzo che non amava, che a malapena conosceva.
Iniziando a
spazientirsi, chiuse di botto il testo e lo gettò nella borsa a tracolla,
stanca e provata.
Il vento iniziò a
soffiarle addosso, colpendola di schiena.
E sotto di lui, un
gradevole odore di caffè le arrivò a inondarle i polmoni.
Prima che riuscisse
anche solo a girarsi, qualcuno che posò una tazza di caffè di fronte, sul
bordo della balaustra.
-
Edward...-
Tre giorni senza
vederla e aveva subito ceduto.
Ma che razza di uomo
era?
Non faceva che
chiederselo, specialmente perché da quella mattina non aveva fatto altro che
pedinarla.
L’unico ad
accorgersene era stato Potter e poco c’era mancato che lo Schiantasse al muro
come uno stolto sfuggito da un gruppetto di Mangiamorte. Si era dato di nuovo
alla fuga, fino a che aveva deciso di smetterla di protrarre la sua agonia. In
fondo, cos’avrebbe potuto dirgli Hermione Granger di tanto orribile?
Un no.
Certo, ne avrebbe
sofferto da morire, ma non ne sarebbe morto.
Così aveva fatto come
tutte le volte.
Le aveva portato un
caffè, come ogni volta, e come ogni volta le sorrise non appena lei alzò il
volto.
Ma stavolta non
riuscì a sorridere.
A malapena riuscì a
stirare le labbra in una smorfia.
Lei invece lo chiamò
per nome, sbalordita dalla sua apparizione...si era forse accorta della sua
assenza in quei giorni?
- Dove sei
stato?-
Si, se n’era
accorta.
Che poteva dirle? Scusa ma non sei
nessuno per farmi questa domanda?
Dannazione.
- Edward, io ti devo
delle scuse.-
Pure.
Stupito, levò lo
sguardo non più imbarazzato, non più confuso, non più desolato.
Lei gli stava facendo
delle scuse.
Lei...si stava
prendendo delle colpe che non erano sue.
- Bevi il caffè.-
sussurrò, prendendo la tazza dalla balaustra e mettendogliela fra le mani – Si
raffredda.-
Lei fissò la ceramica
rossa, passando il dito sul bordo in modo circolare.
Non voleva parlare di
ciò che era stato.
Ebbene, di cosa
voleva parlare allora?, si chiese la strega.
Forse...di
qualcos’altro.
Deglutì e sorseggiò
il delizioso caffè macchiato, per prendere tempo.
Ma lui era tornato.
Le aveva riportato il caffè e sebbene non fosse riuscito a sorriderle, era tornato.
Accettando un
fatto.
Accettando che tutto
era cambiato adesso.
Inspirò forte e
rizzandosi a sedere, Hermione tornò ad essere Hermione Granger.
- Allora...-
bofonchiò, assumendo la sua classica espressione – Hai fatto la ricerca di
Pozioni per domani o no? Se aspetti che ti passi gli appunti per farti copiare
ti sbagli di grosso.-
Sbalordimento, un
rapido accenno di pace e infine...un sogghigno.
Edward Deverall
Dalton si girò, restando di profilo, un profilo su cui compariva uno splendido
ghigno.
Che fosse stato di
soddisfazione o di quiete, lei non poteva saperlo.
Ma era bello vederlo
ghignare come una volta.
- Ho fatto tutto da
solo, tranquilla. Tu mi servi per qualcos’altro.-
- Che cosa?-
sussurrò, senza distogliere lo sguardo.
- Non so bene...però
ti starò addosso.- la sfidò, con aria non belligerante – Tanto addosso fino a
che ci arriverò. Prima o poi capirò che cavolo mi hai fatto.-
- Qualcuno potrebbe
non essere d’accordo.-
- Non dirlo a
Malfoy...fa finta che sia una specie di amante segreto, anche se non facciamo
sesso.-
- Wow...è la prima
volta che parli chiaro.-
- Già, è quasi
terapeutico.-
- Che ne dici di
dirmi sempre la verità, d’ora in avanti?-
- Non lo so...-
- Io pretendo quella
dai miei amici.-
- Vedrò di fare il
possibile allora. Per essere un amico.-
- Davvero?- Hermione
si scostò i capelli dal viso, portandosi una ciocca dietro la conchiglia
dell’orecchio – Vuoi farlo sul serio?-
- Entrare nella
squadra...hm...- Edward emise un basso gemito, facendo quasi le fusa e
stiracchiandosi – Non ci avevo mai pensato. Entrare nella squadra-famiglia del
Bambino Sopravvissuto...devo fargli avere le mie
referenze?-
Le referenze.
Bella cosa.
Il vento tornò a
soffiare più forte di prima.
Hermione Granger ed
Edward Dalton stavano seduti in tribuna, più vicini di prima.
Le scope continuavano
a volare.
Il Bambino
Sopravvissuto cavalcava il suo manico anche contro corrente, con la frangia
corvina scossa dagli sbalzi e l’eroica cicatrice che spiccava sulla sua
fronte.
La sua compagna di
tante avventure invece, seduta a vegliare su di lui, stava pensando che le
referenze, per il Purosangue Edward, avrebbe potuto fornirgliele lei
stessa.
Niente di meglio che
un nuovo amico
per terminare la scuola...e concludere un’importante battaglia.
La vita riservava
molte sorprese, pensò, finendo il suo caffè.
Edward Deverall Dalton ne era la prova vivente.
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