Shadows
Shadows
Parte Prima
[Yesterday I died, tomorrow's bleeding. Fall into your
sunlight
The future's open
wide beyond believing. To know why hope dies]
È una giornata come le altre. Non si
festeggia nessun evento particolare, sono a lavoro come tutti i giorni della
settimana -esclusa la domenica- ed Ino è logorroica come sempre. Sì, è una
giornata come le altre, nonostante sia il 24 Maggio. Nonostante da tre anni a questa parte, non appena arriva questa
data, il mondo mi sembri crollare addosso.
Prendo l’ennesima tazzina in ceramica
fra le dita e, immergendola nell’acqua fredda, comincio a strofinarla con
forza. Ripeto quest’azione meccanica da ormai trenta minuti, quasi potessi
lavare via anche i pensieri e i ricordi che mi annebbiano la mente, insieme
alle tracce di caffè. Un piattino, un bicchiere di vetro, e questa volta
sollevo leggermente lo sguardo. Con aria distratta osservo il piccolo locale
così familiare, accogliente, e allo stesso tempo pieno di ricordi dolorosi, che
vorrei cancellare. I miei occhi scorrono sulle pareti bianche e ricoperte di
quadri colorati, si posano sui clienti conosciuti e non che siedono ai tavolini
che riempiono la stanza, fino a quelli che invece sono affacciati al bancone,
impegnati a chiedere le loro ordinazioni ad una allegra e vivace ragazza dai
lunghi capelli biondi, raccolti in una coda ordinata. Mi concentro sulla figura
di Ino Yamanaka, la mia migliore amica e collaboratrice di lavoro, per alcuni
secondi. È grazie ad una sua pazza idea se l’Haruko Ongaku no Bar esiste ed accoglie sempre più clienti da circa
cinque anni, e se posso dire di avere una sorta di certezza nella vita, che mi
tenga occupata. Anche se ora nulla è più come prima. Nulla è come quando
eravamo ancora un trio, quando insieme a noi c’era anche una ragazza dagli
strani capelli rosa confetto. Tutto era diverso, quando ancora c’era lui ad illuminare le mie giornate con un
semplice sorriso, a portare allegria come un uragano biondo in questo locale,
come nella mia vita. Prima che arrivasse quel 24 Maggio, prima di essere
tradita, da entrambi. Avevi giurato che
non mi avresti mai lasciata. La tazzina mi scivola dalle dita e cade nel
lavandino, atterrando con un tonfo. Vengo scossa da un lieve sussulto e poi
sollevo lo sguardo di scatto, spaventata dall’idea che qualcuno possa essersi
accorto della mia sbadataggine, o debolezza.
Mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo nel momento in cui realizzo che
nessuno si è accorto di nulla e mi do mentalmente della stupida, perché,
ovviamente, con tutto il chiacchiericcio presente nella stanza, difficilmente
qualcuno avrebbe potuto notare una cosa simile. Un’ insignificante ragazza come
me, così diversa da Ino e priva di ogni esuberanza, non potrebbe mai sperare di
essere al centro dell’attenzione di qualcuno. Solo una persona, in tutti in
questi anni, si era accorta di me. Era entrata di colpo nella mia vita, nel mio
cuore, rendendomi improvvisamente diversa.
Ad un tratto, mi ero scoperta felice, forte e non ero più sola; nulla importava
più, al di fuori di quel paio di occhi celesti, così solari, che sembravano
riscaldarmi con una sola occhiata. E poi mi ha lasciata, in una giornata di
sole, insospettabile. Com’è strano il
destino, a volte.
Sbatto le ciglia, come risvegliandomi da
un sonno profondo, e mi accorgo di un paio di occhi azzurri che mi studiano con
attenzione. Come indovino dalle sue sopracciglia aggrottate, sicuramente ha
compreso qualcosa. Le dedico un debole sorriso, per comunicarle che sto bene e
non deve preoccuparsi, ma la sua espressione si fa ancora più sospettosa. La
vedo porgere il resto ad un cliente, un ragazzo sui vent’anni, rivolgendogli un
sorriso gentile e ammiccante, per poi strofinarsi le mani sul grembiule viola
che le avvolge la vita e avvicinarsi a me, con passo veloce. Approfittando del
momento di pausa, si siede sul bancone vicino al lavello, in cui le mie mani
sono ancora immerse e impegnate nel lavaggio, e mi rivolge un sorriso triste.
«Hinata, va tutto bene?» mi chiede,
all’improvviso.
Abbasso lo sguardo e sorrido fintamente,
mentre rispondo «Sì, Ino, non ti preoccupare».
Spero con tutto il cuore che questo
basti per convincerla, ma non è affatto così.
«A me non sembra, invece. Hai le occhiaie
e sei ancora più silenziosa del solito. Non c’è niente di male nel soffrire,
Hina-chan, e puoi confidarti con me. Le amiche servono a questo» dice, mentre
allunga un braccio per appoggiare la mano sulla mia spalla. Quel contatto
improvviso mi fa sussultare e allo stesso tempo mi infastidisce. Possibile che
non riesca a capire?
«Ho detto che sto bene, non
preoccuparti. Ho solo dormito poco e ora mi sento molto stanca» sussurro,
alzando brevemente lo sguardo per controllare non siano arrivati altri clienti.
«Certo, come no. Ovviamente il fatto che
oggi sia il 24 Maggio non c’entra nulla, vero?» dice incrociando le braccia al
petto, ancora insoddisfatta.
«Ino, ti prego, lasciami lavorare, non
ho bisogno della tua compassione» sussurro, e questa volta vengo tradita dalla
mia voce ad un tratto tremante. Ino mi osserva un’ultima volta, gli occhi
azzurri incredibilmente affranti, prima di scendere dal bancone e sistemarsi la
gonna, sotto il grembiule.
Poi raddrizza la schiena e si avvicina
di nuovo, dicendomi «Ti ricordo che mancano anche a me, nonostante tutto. Ma
devi andare avanti Hinata, devi smetterla di vivere nel passato e guardare al
futuro. So che è difficile, per te più che per chiunque altro, ma devi
realizzare che non sei sola». Si blocca, forse aspettandosi una mia risposta,
che non arriva.
«Hai me, Hinata. E Sasuke. Sai quello che-».
Sbarro gli occhi nel sentirle
pronunciare quel nome all’improvviso. Ad un tratto ho paura di sentire quello
che potrebbe dire, di quello che potrebbe pensare, di quello che sta
fraintendendo. Perché fra me e Sasuke Uchiha non c’è nulla di ciò che lei si
ostina a pensare. Affetto, malinconia, dipendenza, sì. Ma non amore. Perché ho fatto una promessa un
giorno di Ottobre di sette anni fa e io non mi rimangio mai la parola data. Mai.
«Ino, basta! Smettila, ti prego. Fra me
e Sasuke non c’è assolutamente nulla, perché non vuoi capirlo?».
Queste parole mi escono in un soffio,
come un fulmine a ciel sereno, e mi stupisco del tono arrogante, stridulo, con
cui le pronuncio. Improvvisamente mi
sento in colpa per ciò che ho detto ad Ino, la persona che in questi tre anni
mi è stata sempre accanto e mi ha sostenuta, anche quando non lo meritavo. Esattamente
come adesso. Dovrei chiedere subito scusa, ma la gola sembra essersi seccata e
le labbra rimangono immobili, serrate. Incrocio i suoi occhi, ora spalancati e delusi, e abbasso subito lo sguardo.
«Certo, voi due scopate e basta, giusto?» chiede lei, sottovoce. Ed eccolo, di
nuovo, il senso di colpa. La vista si annebbia, e il mio corpo viene colto da
un tremito improvviso. Sento le guance bagnarsi per le lacrime che sgorgano dai
miei occhi, che non riesco proprio a fermare, e un singhiozzo mi sfugge dalle
labbra, prima che un paio di braccia mi avvolgano. Rimango immobile un secondo,
colta di sorpresa, per poi appoggiare la fronte sulla spalla di Ino, senza
pensare che forse le macchierò di mascara la camicia bianca.
«Mi dispiace, non avrei dovuto dirlo,
sono proprio una stupida» mi sussurra all’orecchio, con voce incrinata, e in
questo istante ritorno in me. Mi allontano in fretta e le sorrido dolcemente,
prima di sistemarle una ciocca ribelle dietro l’orecchio.
«Non preoccuparti per me, Ino, davvero.
Ora sto meglio. Tu torna dai clienti, mentre io vado a darmi una sistemata…
Devo sembrare un mostro, con le occhiaie e il trucco tutto colato» le dico,
poi, spingendola delicatamente verso il bancone.
Lei mi guarda per un istante allibita,
cercando di protestare «Ma, Hina-».
Non le do il tempo di terminare. Sorrido
un'altra volta, l’ennesimo sorriso falso, poi le do le spalle e mi avvio verso
il retro del locale, destinato solo al personale. Basta far scorrere la porta
in mogano e varcare la soglia, per essere avvolta dall’oscurità della
stanzetta. Con un ultimo gesto chiudo la porta scorrevole dietro di me e
appoggio finalmente la schiena sulla superficie liscia, facendomi scivolare su
di essa. Non so per quanto tempo rimango seduta sul pavimento freddo e un po’
impolverato, gli occhi chiusi e le lacrime ad inondarmi le guance. Ogni goccia
si ferma brevemente sul mento, prima di scorrere lungo il collo, lasciandomi un
brivido sulla pelle, simile a quelli che si prova quando si ha paura. Non un
singhiozzo od un lamento fuoriesce dalle mie labbra, fastidioso, ad
interrompere questo tanto agognato silenzio. Prego in silenzio di essere
trascinata lontano, di dissolvermi insieme a queste tenebre e sparire,
semplicemente, non provare più nulla. Ad un tratto un suono lontano, fievole ma
udibile, interrompe il mio stato di abbandono. Apro gli occhi, nonostante le
palpebre sembrino essersi fatte più pesanti, e scruto nell’oscurità, cercando
di individuare il punto da cui proviene quel suono molesto. Solo quando
realizzo che proviene dalla mia borsa, appoggiata sul tavolino a qualche metro
da me, mi rendo conto che non è altro che la suoneria del mio cellulare.
Rimango qualche secondo immobile, indecisa sul da farsi, ma alla fine la curiosità
prevale e mi alzo lentamente, aiutandomi con le mani e le braccia. Una volta in
piedi, mi avvicino al tavolino e prendo la borsa fra le mani, facendo poi
scorrere la cerniera; pesco il cellulare, l’unica fonte di luce sepolta da
strati e strati di oggetti vari, con facilità e subito lo stringo fra le mani.
Il display mi annuncia che ho ricevuto un sms e il nome del mittente non mi
stupisce più di tanto, o almeno non quanto l’ansia che mi spinge ad aprirlo
subito.
«Vengo a prenderti alla fine del turno,
fatti trovare pronta» sussurro, leggendo il messaggio tra me e me. Sasuke, conciso come sempre. Mi mordo le
labbra, impensierita e curiosa allo stesso tempo. Non è tipico di Sasuke fare
“sorprese” di questo genere e il fatto che abbia deciso di farmene una proprio
questo giorno, beh, ciò non mi convince per niente. Decido di non rispondere,
anche se so che forse questo lo indispettirà un po’, e controllo invece l’ora
sul display. Mi rimane mezz’ora per rendermi presentabile e sospetto risulterà
un’impresa. Mi lascio sfuggire un sospiro, prima di lasciare ricadere il
cellulare dentro la borsa e pescarne invece l’iPod, il mio inseparabile amico,
per infilarmi subito dopo gli auricolari nelle orecchie. È con un gesto quasi
meccanico che faccio partire la musica e infilo l’oggetto nella tasca dei jeans
sbiaditi, prima di avvicinarmi al muro avanzando a tentoni, fino a raggiungere
l’interruttore e premere il piccolo pulsante. Ci metto un po’ di tempo per
abituarmi di nuovo alla luce, divenuta ora quasi insopportabile, ma alla fine
riesco ad arrancare fino alla porta alla mia sinistra, che conduce al piccolo
bagno. In realtà l’unica cosa di cui ho bisogno ora è uno specchio, magari
anche un po’ d’acqua, sia per rendere la gola meno secca, sia per levare dal
mio viso quest’orribile sensazione di appiccicaticcio. Una volta raggiunto il
lavandino, resisto all’impulso di osservare il mio riflesso sulla superficie
dello specchio, e apro invece il rubinetto, facendo scorrere l’acqua fredda fra
le dita, prima di raccoglierla fra le mani a coppa e bagnarmi il viso. Per un
attimo mi godo la sensazione rinfrescante, poi mi abbasso più vicina al getto
d’acqua e comincio a strofinare con forza ogni angolo del mio volto,
soffermandomi in particolare sugli occhi e le guance, che sospetto siano
ridotte alquanto male. Oso alzare lo sguardo solo dopo essermi asciugata con
l’asciugamano appeso accanto al lavandino in ceramica bianca. Per un attimo
rimango immobile e senza fiato, stentando a riconoscermi. Un paio di profonde
occhiaie solcano i miei occhi, solitamente chiarissimi, ma ora resi un po’
rossi dal pianto, e creano un forte contrasto con la pelle bianca, quasi fossi
malata, o in punto di morte. In realtà, ora che ci faccio caso, sembro più uno
di quei fantasmi dai lunghi capelli neri e la pelle bianchissima, ormai un
cliché dei film horror. Sorrido a questo pensiero, realizzando quanto ciò non
sia molto distante dalla realtà effettiva delle cose. Un fantasma, un’anima che viaggia senza meta in un mondo che non le
appartiene, alla ricerca del suo conto in sospeso. Io però non ho un conto in
sospeso. Forse, se lui fosse ancora con me, ora assomiglierei ancora alla
ragazza che ero un tempo, almeno un po’.
I miei pensieri vengono interrotti da un
rumore nell’altra stanza e per un attimo provo paura, il terrore di vedere
davvero un mostro apparire dalla porta, magari per uccidermi. Ora che ci penso,
però, non sarebbe così terribile. La fine di tutto potrebbe portare solo
sollievo, significherebbe smettere di condannarmi e soffrire. Però la porta si
spalanca ed Ino appare davanti a me, l’aria seriamente preoccupata. Per un
attimo provo delusione nel profondo del mio petto, ma scaccio via velocemente
quel pensiero, troppo orribile anche solo per essere concepito.
«Accidenti a te, Hinata, che stai
combinando? È da quasi un’ora che sei chiusa qui dentro!» comincia a dire la
mia amica, gesticolando energicamente con le braccia. Ad un tratto, però, si
blocca e comincia ad osservarmi, tramutando la sua espressione da una
preoccupata in una sollevata.
«Ah, vedo che ti sei ripresa» esclama,
mostrandomi un sorriso incerto. Non posso fare nulla che sorridere a mia volta,
mentre mi tolgo le cuffie dalle orecchie e tengo stretti gli auricolari nei
palmi delle mani. Faccio per rispondere, ma ad un tratto il ricordo del litigio
di qualche minuto prima mi investe, lasciandomi terribilmente imbarazzata e a
disagio per il mio comportamento. Timidamente mi sistemo un ciuffo di capelli
scuri dietro l’orecchio e abbasso lo sguardo, mentre sento le guance pizzicarmi
per l’improvviso calore.
«I-ino, mi dispiace tanto per ciò che è
accaduto prima…» comincio a dire, cercando di porgerle le mie scuse, ma vengo
fermata dalla sua mano, che si posa sul mio braccio con una tale energia da
farmi sobbalzare.
«Non preoccuparti Hina-chan, è colpa
mia! Sai come sono fatta, non riesco mai a farmi gli affaracci miei» esclama
ridendo, per poi farmi la linguaccia. Rimango per un attimo basita e ancora più
imbarazzata di prima, ma poi non posso che sciogliermi di fronte a queste sue
parole. Tra le due sono sempre stata io la più dolce e protettiva, ma spesso
Ino è in grado di stupirmi con improvvise e disarmanti dimostrazioni d’affetto.
Certo, il suo modo di dimostrarlo è spesso un po’ esuberante, ma dietro la sua
maschera di ragazza superficiale ed estrosa si cela una donna ricca di
sentimenti e in grado di consolare e proteggere le persone che ama.
«Ino?» la chiamo gentilmente,
sorridendole sinceramente. Lei sbatte le palpebre e assume un atteggiamento
composto, curioso.
«Potrei chiederti un favore?» chiedo,
subito dopo. In un qualsiasi altro momento non avrei mai avuto il coraggio di
fare una richiesta simile, ma in parte perché mi sento in colpa per ciò che le
faccio sopportare, un po’ perché ne ho bisogno, prendo un profondo respiro e
parlo, pentendomene un secondo dopo.
«Tra dieci minuti S-sasuke sarà qui e
p-penso di essere ridotta ad uno straccio, in questo momento. Mi aiuteresti?».
Strizzo gli occhi nel momento in cui la sua risposta vivace mi investe.
«Per tutti i Kami! Ma certo, Hina-chan,
ti aiuto volentieri! Ora vado a prendere la borsetta dove tengo il make-up e ti
do subito una sistemata. Ma prima lasciati guardare bene. Eh, sì, sei proprio
ridotta male. Mi sa che dovremo ricorrere ad un bel po’ di fondotinta…».
La lascio parlare per tutto il tempo che
le occorre per smorzare il suo entusiasmo, ascoltandola in silenzio e cercando
di non mostrare tutto il mio sconcerto di fronte alla serie di cosmetici che
escono dalla tanto nominata “borsetta per il make-up”. Lancio un ultima
occhiata implorante al cielo, prima di chiudere gli occhi e sottopormi come
cavia fra le sue mani. Non che non mi fidi di Ino, ma sono sempre stata ostile
al trucco pesante, preferendo sempre indossare un po’ di mascara e un sottile
filo di matita, ovvero lo stretto necessario a migliorare un po’ la mia
immagine. Ma non avrei mai immaginato il miracolo che è in grado di operare
questa ragazza, con un po’ di cipria e ombretto. Quando mi guardo allo
specchio, cinque minuti dopo, sembro un’altra persona. Non ha di certo
esagerato con il fondotinta, come avevo temuto, ma si è limitata ad eliminare
le occhiaie e a darmi un po’ più di lucentezza al volto attraverso un leggero
strato di ombretto ambrato. Rimango senza parole per alcuni secondi, poi le
mostro un sorriso attraverso il riflesso dello specchio, sussurrandole un
grazie pieno di gratitudine.
«Oh, non ti preoccupare» mi risponde
lei, sorridendo di rimando, «ma forse è meglio tornare di là, prima che arrivi
Sasuke».
Ad un tratto sobbalzo e vengo colta dal
panico, mentre mi giro velocemente per guardarla dritto negli occhi.
«Ino, abbiamo lasciato il locale
incustodito per tutto questo tempo, i client-» comincio a dire con voce
stridula, cominciando ad agitarmi, ma vengo subito fermata dalla voce calma di
lei, che esclama «Non temere, ho lasciato Sai di là… Come puoi pensare che
avrei fatto una cosa tanto sconsiderata?».
Ignorando il suo tono leggermente
indispettito, sospiro sollevata. Sai, il ragazzo storico di Ino, è un tipo
affidabile e serio, a tratti freddo, l’esatto opposto della sua ragazza.
Sorrido fra me e me, mentre mi infilo di nuovo gli auricolari nelle orecchie e,
afferrata Ino per le spalle, comincio a spingerla dolcemente fuori dal bagno e,
poi, dalla stanzetta sul retro. Una volta tornate nel locale, mi sporgo dalla
porta e individuo subito Sai, i capelli neri e il fisico slanciato, intento a
parlare con qualcuno al di là del bancone.
«Ciao, Sai» esclamo, salutandolo
timidamente. Lui si volta lentamente dalla mia parte e mi mostra un sorriso
gentile, mentre ricambia il mio saluto. Scuoto la testa, nel momento in cui Ino
si avvicina a lui con fare capriccioso e comincia a lamentarsi per il
trattamento subito. Faccio per voltarmi, con l’intento di andare a recuperare
la borsa, quando la voce di Ino mi blocca, lasciandomi immobile, come fossi
stata colpita da un fulmine.
«Ehi, ciao, Sasuke! Hinata mi ha detto che saresti venuto a prenderla… Guarda,
è proprio lì vicino alla porta sul retro, ti stava aspettando» dice Ino,
parlando a macchinetta con una velocità disarmante. Ma è il nome di quella persona che mi fa gelare
all’istante e girarmi di nuovo, molto lentamente, semplicemente per
incontrare un paio di occhi neri, penetranti, al di là del bancone.
«Buongiorno» dice, con quella voce fredda e altera, che subito mi fa arrossire.
Riesco a reggere quello sguardo solo per pochi istanti, il tempo necessario per
sentire il mio cuore accelerare indistintamente i suoi battiti, la gola
seccarsi e uno stupido sorriso
incresparsi sulle mie labbra. Abbasso subito lo sguardo, sentendomi
terribilmente sciocca e intimorita, in parte dal suo sguardo, in parte da me
stessa. Cos’è questa strana sensazione?
«Buongiorno, Sasuke» dico a mia volta,
con un tono apparentemente calmo. È proprio Ino a rompere questa strana
atmosfera, porgendomi la borsa nera che deve aver preso dalla stanzetta mentre
ero troppo occupata a controllare il mio respiro.
«Su, su! Non perdete tempo» esclama con
un sorriso, spingendomi delicatamente verso il passaggio che conduce oltre il
bancone del bar. Per un attimo le rivolgo uno sguardo allarmato, forse una
richiesta di aiuto, ma lei finge di non vedere e, anzi, sorride a Sasuke, che
nel frattempo si è fatto terribilmente vicino a me.
«Ora andate e, Sasuke, vedi di trattarla
bene».
Sobbalzo al tono minaccioso insito nelle
parole di Ino e guardo preoccupata Sasuke con la coda dell’occhio, ma lui non
sembra essere rimasto colpito.
«Contaci» risponde, con aria annoiata e
piatta, poi si rivolge a me e mi rivolge un accenno di sorriso, prima di dire
«Andiamo, Hinata».
È così strano il modo in cui pronuncia il mio nome, quasi avesse timore di
storpiarlo, di contaminarlo, con la sua pronuncia. È il suo modo di dimostrarmi
quell’affetto e rispetto che riserva a me soltanto, sentimenti che spesso
vengono celati dalla fredda corazza che lo circonda. Non posso fare a meno di
sorridere, mentre lascio che la sua mano circondi la mia e mi trascini gentile
verso la porta del locale, verso il mondo esterno. Faccio in tempo a salutare
Ino e Sai, prima che la porta si chiudi dietro di me. Certo, mi sentirei un po’
in colpa a lasciarli lavorare da soli, ma i clienti sono davvero pochi a
quest’ora e inoltre sarò assente solo per poche ore, il tempo di vedere dove
Sasuke ha intenzione di portarmi, nonostante una parte di me lo sappia già. Infondo,
oggi è il 24 Maggio.
Per un po’ di tempo camminiamo in
silenzio, con passo spedito. Osservo il profilo di Sasuke, la sua pelle chiara
e liscia, i capelli neri –così simili ai miei- scompigliati e gli occhi scuri
che fissano con sguardo fiero davanti a sé, senza timore. In realtà vorrei
chiedergli dove mi sta portando, ma ho paura che così facendo lo renderei
nervoso. Con il tempo, ho imparato a conoscere ogni lato del suo carattere e a
riconoscere il suo umore, spesso variabile. Oggi non sembra affatto di buon
umore, soprattutto è ben visibile il velo di tristezza calato sui suoi occhi.
Questa giornata è dolorosa per lui quanto lo è per me, per questo abbiamo
imparato a condividere insieme con la nostra sofferenza e i nostri silenzi.
Eppure, è proprio lui a rompere il silenzio, una volta accortosi del mio
sguardo insistente.
«Perché continui a fissarmi?» mi chiede,
all’improvviso, con un leggero tono di fastidio nella voce. Sobbalzo e
arrossisco per l’imbarazzo, rendendomi conto di essere stata troppo indiscreta.
Le mie guance diventano, se possibile, ancora più rosse, quando dico, senza
pensare «Scusami, ti guardavo solamente perché sei… bello».
Vedo la sua pelle nivea chiazzarsi
leggermente di rosso e mi mordo le labbra, maledicendomi per la sciocchezza che
ho appena detto.
«Anche tu sei molto carina, oggi»
sussurra tutto ad un tratto, sperando forse di non essere udito, per aggiungere
subito dopo a voce più alta «Ma non farti strane idee».
Soffoco una risata che potrebbe
imbarazzarlo ancora di più coprendomi la bocca con una mano, mentre con l’altra
stringo più forte la sua.
Per un attimo torna il silenzio fra di
noi, interrotto dopo un po’ nuovamente da lui.
«Che cosa stai ascoltando? È da prima
che tieni quell’affare acceso».
Con imbarazzo mi rendo conto di avere
ancora l’iPod acceso. «Oh, scusa, ora lo spengo subito» mi sbrigo a rispondere,
mentre con la mano libera cerco di sfilarmi gli auricolari, preceduta da lui,
che ne sfila uno dal mio orecchio destro e lo infila nel suo.
«Non preoccuparti… Ti dispiacerebbe
aumentare un po’ il volume? Non si sente nulla» dice subito dopo, aggrottando
leggermente le sopracciglia.
Obbedisco velocemente e subito perdo un
battito, nel sentire la canzone che casualmente è cominciata proprio ora. Conosco
bene questa canzone, legata a molti miei ricordi proprio con Sasuke. Mi sono
ritrovata spesso, negli ultimi tempi, ad ascoltare questa canzone, quasi
inconsciamente. Con la coda dell’occhio vedo Sasuke sorridere leggermente, gli
occhi farsi un po’ meno tristi. Forse i miei stessi pensieri stanno affollando
la sua mente. Forse anche lui, come me, sta pensando a quando, come, è cominciato tutto.
Si presentò a casa mia all’improvviso, un giorno di pioggia. Non so per
quale motivo quel giorno abbandonai, per la prima volta dopo mesi, l’oscuro e
sicuro rifugio della mia stanza, come risvegliata da quell’unico, solitario,
trillo del campanello. Semplicemente mi alzai e con passo incerto raggiunsi la
porta. Me lo ritrovai davanti, completamente fradicio, i capelli neri
appiccicati al volto e alla nuca. Furono i suoi occhi vuoti, freddi, a
colpirmi. Erano così simili ai miei, così… insensibili. Lo lasciai entrare,
facendomi da parte. Non gli ho mai chiesto perché quella sera venne da me,
semplicemente per sedersi sul mio divano e fissare il vuoto, in silenzio. Forse
perché già allora aveva capito quanto fossimo simili, noi due. E non era solo
per i capelli neri, la pelle chiara e la naturale ritrosia che ci caratterizza.
Entrambi eravamo –siamo- ombre, che vagano alla ricerca di un più piccolo
raggio di sole, di una più piccola speranza, perché entrambi abbiamo perso il
nostro personale sole.
All’inizio le sue visite furono sporadiche. Si presentava all’improvviso
e velocemente spariva, come era arrivato. Poi, ad un tratto, le sue visite
cominciarono a farsi più frequenti, fino a divenire giornaliere. Se all’inizio
ci limitammo a sorseggiare del tè in silenzio, o a guardare dei film, al buio,
poi cominciammo a parlare, discutere di ogni argomento, dal più leggero al più
personale. Cominciai a scoprire nuove cose di lui, piccoli dettagli che un
tempo non avevo notato, perché tutta la mia attenzione era concentrata sul suo
biondo migliore amico. Scoprii che amava i film d’autore, leggere romanzi
d’avventura e che il suo cibo preferito sono i pomodori, che lui adora la
musica rock e il suo colore preferito è l’azzurro, mentre avevo sempre pensato
fosse il nero, colore che occupava la maggior parte del suo abbigliamento.
Cominciai a vedere in lui un’ancora di salvezza, l’unico scoglio a cui
aggrapparmi per non essere trascinata via dalla corrente della vita. E poi, un
giorno, accadde. Fu tutto talmente veloce, che realizzai a malapena ciò che
stava accadendo. Prima arrivarono le sue labbra, poi le sue mani. Nei pochi
sprazzi di lucidità che seguirono quel bacio, prima che tutto diventasse più
confuso e meraviglioso, notai che le sue mani erano terribilmente calde, come
anche le sue labbra, che avevo sempre immaginato fredde. Il suo tocco era
gentile, il suo modo di amare dolce e delicato, per quanto passionale. C’erano
talmente tante cose che avevo giudicato in modo sbagliato, sul suo conto.
Quella non fu l’ultima volta. Lentamente, con il passare dei giorni, la
presenza di Sasuke si fece sempre più vivida nella mia vita. Tutto avvenne in
modo naturale, spontaneo. Io e lui eravamo amici, fratelli e amanti, uniti da
un affetto che non andava oltre la dipendenza e comprensione reciproca, a legarci
un passato in comune. Io e Sasuke, legati a doppio filo per via della stessa
sofferenza e dello stesso amore per due persone che non ci avrebbero
corrisposti mai più.
Ma, poche settimane fa, avvenne il nostro primo litigio. Lui era seduto
su una sedia in sala da pranzo, vicino alla radio, e mi osservava da lontano
affettare dei pomodori freschi, che avevo comprato per lui la mattina stessa. Ad
un tratto una canzone risuonò nella stanza. Identificai subito il cantante, ma
non la melodia, così melanconica e allo stesso tempo romantica. Cominciai a
canticchiare e Sasuke doveva averlo notato, perché si era avvicinato a me e aveva
appoggiato le mani sui miei fianchi, chiedendomi silenziosamente di ballare.
Cominciammo a volteggiare per la stanza, le sue braccia a stringermi e le mie
mani appoggiate sulle sue spalle. Mi ero sentita incredibilmente felice in quel
momento e davvero, per un solo istante, avevo dimenticato ogni cosa. Per un
solo istante, i miei occhi avevano visto solo Sasuke e il suo raro sorriso.
Poi, un paio di occhi azzurri si erano sovrapposti a quelli neri di lui. Un
paio di occhi celesti, terribilmente solari e allegri. Improvvisamente sentii
il rimorso farsi spazio dentro di me, inevitabile. Mi resi conto che quei
sentimenti così forti, che da tempo avevano cominciato a fiorire dentro di me,
erano terribilmente pericolosi. Rischiavo di infrangere quella promessa, fatta tanti
anni fa, e non avrei permesso che ciò accadesse. Mi staccai da Sasuke, quasi
avessi visto un fantasma, e lo allontanai da me bruscamente. Ma mai mi sarei
aspettata lo sguardo ferito che Sasuke mi rivolse e le parole che qualche
secondo dopo uscirono dalla sua bocca, piene di rabbia. «Dannazione, non dirmi
che stai ancora pensando a lui». Se ne era andato, lasciandomi sola in
quella stanza, le note finali della canzone che rimbombavano nelle casse. Fu
così strano perché, proprio nel momento in cui sentii la porta sbattere dietro
di lui, provai paura. Paura che non lo avrei mai più rivisto entrare in casa
mia, che non avrei più udito la sua voce e visto uno dei suoi rari sorrisi.
Piansi dalla gioia quando, il giorno dopo, lui mi strinse a sé e mi
chiese scusa, dicendo che non mi avrebbe mai più lasciata sola.
«Hinata?».
La voce di Sasuke, improvvisamente
vicina al mio orecchio, mi fa sussultare. Mi volto verso di lui e scorgo un
sorriso sghembo sul suo volto, probabilmente di derisione a giudicare dal suo
sguardo. «Perché stai ridendo?» gli chiedo, curiosa ed indispettita allo stesso
tempo.
«Perché ti sto chiamando da dieci
minuti, ma a quanto pare eri persa nel tuo mondo» risponde lui prontamente,
schietto come sempre.
Gli tiro un leggero schiaffo sul
braccio, imbarazzata, ma alla fine sono obbligata a chiedergli scusa per la mia
sbadataggine.
«Scuse accettate» dice lui, distogliendo
lo sguardo e assumendo la sua solita aria indecifrabile. Rimango per un po’ in
silenzio ad osservare il cemento sotto i nostri piedi, ancora persa nei ricordi
delle giornate trascorse insieme a lui, sovrapposte talvolta a quelle di
indimenticabili giornate di sole, passate in compagnia di un ragazzo dai
capelli biondi, la mia sorridente migliore amica e il silenzioso ragazzo dai
capelli neri. In quei momenti ricordo come entrambi ci sentavamo quasi fuori
luogo, trascinati da quei due soli pieni di vita, così simili e così diversi,
un po’ come noi due. All’improvviso sollevo lo sguardo e scorgo un negozio di
musica. Me lo ricordo perché ci sono passata davanti tanti di quei giorni,
quando la nostalgia mi spingeva ad avventurarmi su questa strada.
«Dove stiamo andando?» chiedo a Sasuke,
con voce quasi allarmata.
«Lo vedrai presto» è la sua secca e
concisa risposta.
Inconsciamente mi avvicino di più a lui
e mi stringo al suo braccio, percependo il suo corpo caldo irrigidirsi al mio
tocco. Pochi passi, un albero di ciliegio in fiore, e subito ci troviamo davanti
ad un grande cancello e ad un’insegna, che ho letto altre mille volte.
Trattengo il respiro e mi lascio guidare
da lui, in silenzio. Sento la tristezza farsi spazio dentro di me, insieme ad
un improvviso senso di pace. Ad ogni passo, ad ogni secondo che passa, ci
avviciniamo sempre di più al luogo in cui riposa il nostro cuore.
Superiamo un’altra lapide ed eccoli,
davanti a noi.
Chiudo gli occhi e inspiro profondamente
l’aria calda, che subito entra nei miei polmoni. Trattengo le lacrime, mentre
sussurro «Ciao, Naruto».
Sasuke stringe forte la mia mano nella
sua e so che in silenzio sta salutando la sua Sakura, forse cercando di
trattenere i ricordi di quella notte e cancellarli dalla sua mente. Mi volto
verso di lui e mi accorgo subito del suo sguardo vuoto, della lacrima solitaria
che veloce gli attraversa la guancia. Prima di riuscire a fermarla, la mia mano
raggiunge il suo viso e asciuga quella goccia salata, poi si posa lì, senza
lasciare la sua guancia. Lui si gira di scatto a guardarmi e, nel vedere il mio
sorriso triste, stringe la mia mano sul suo volto, chiudendo gli occhi. Non so
per quanto tempo rimaniamo così, immobili.
Naruto Uzumaki, 10 ottobre 1985-24 maggio 2009
Sakura Haruno, 26 marzo 1986-24 maggio 2009
Sasuke, perché mi hai portata qui?
[And finding answers , is forgetting all of the questions
we call home. Passing the graves of the unknown]
Note dell’autrice: Oddio,
non posso credere di averla pubblicata! In realtà avevo
progettato questa storia ancora un anno e mezzo fa, ma
in teoria dovevano essere otto capitoli e doveva essere un po’
diversa, ma,
insomma, ho pensato sarebbe stato un parto leggere otto interi capitoli
di puro
angst e “ti-prego-dammi-una-lametta-che-mi-taglio-le-vene”.
Il SasuHina è una
coppia che mi piace tantissimo nonostante il mio smodato amore per il
NaruHina
e la poca probabilità che effettivamente la coppia si realizzi
dato che, beh,
quante volte si sono rivolti la parola? (Zero, una?) Perciò ho
rinunciato in
partenza a tifare per questa coppia, nonostante il 100% pucciosaggine
(esiste
questo termine?). Scrivere questa storia dopo il capitolo 631 di Naruto
è
stato un parto, nel senso che dopo lo schifio che mi ha trasmesso quel
capitolo (rigorosamente letto su mangareader xD) ho cominciato a
provare
disgusto per qualsiasi cosa si ricollegasse a questo Fandom…
Però, vedere
Naruto morto, almeno in questa fic, non so, mi ha ispirata… *E
fu così che in
un pomeriggio scrisse una storia di quasi venti pagine, e non se la
tira
nemmeno (?)*
Questa fic si è (miracolosamente) aggiudicata il primo posto nel "Tear contest- Il contest della lacrima facile"
indetto da MinorityVicious sul forum di Efp, e il premio
originalità :D Se vorrete, per curiosità, sbirciare il
commento della giudiciA basterò guardare nelle recensioni, li
troverete la valutazione (spero xD). Dato che mi è stato fatto
notare, volevo chiedere scusa per l'eventuale OOC di Sasuke. Il fatto
è che per esigenze di trama, l'essere troppo Sasuke
non avrebbe permesso alcuno sviluppo della storia. Inoltre, io il
Sasuke innamorato lo vedo un po' così, sempre introverso, ma
comunque dolce e in grado di prendere l'iniziativa (specialmente
perchè, soprattutto in una coppia formata da due individui che
sicuramente non sono l'espressione della vivacità, qualcuno che
porti avanti il rapporto ci vorrà pure xD). Questa storia
partecipa anche al SasuHina contest indetto da Dolcemente Complicata sul forum di Efp, i cui risuotati saranno dati ad ottobre *incrocia le dita*.
Spero
che la storia, aldilà della coppia che può piacere o no,
possa interessare qualcuno e di ricevere dei commenti a riguardo, che
siano positivi o negativi ;)
La canzone utilizzata è
“Shattered” dei Trading Yesterday, che potrete ascoltare qui se vi interessasse (è
da suicidio. Mezzi avvisati, mezzi salvati): https://www.youtube.com/watch?v=F_uUE6zBMpE
Ah,
altra cosa. Il
nome del locale di Hinata ed Ino possiede lo stesso nome del locale di
un’altra
mia fanfiction in cui Naruto e Hinata si incontrano per la prima volta
(in
questa, però, è Hinata a morire… che
originalità xD), che si chiama :Aiko: (potrete trovarla
nella pagina autore, se interessati :D)
Detto questo, mi
ritiro in pace. Halo
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