Instantanee

di La neve di aprile
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Due di Uno
Greta e Marta

Il ticchettare dei tasti del pc la innervosisce come poche altre cose.
Greta sbuffa, trattenendosi dall’afferrare lo schermo del malcapitato computer e scagliarlo contro la parete immacolata che ha davanti: sul muro, il sole ha bruciato la pittura e i vuoti lasciati dalle fotografie rimosse sono un pugno allo stomaco che le fa male. Troppo male.

Si trattiene perché Marta sta ancora digitando.
Si trattiene anche se non sopporta di sentirsi dire le cose così, come se i tanti anni di amicizia accumulati alle loro spalle sparissero nel nulla all’ombra di un litigio e non fossero che due sconosciute che chiacchierano su Facebook per far passare il tempo.
Si trattiene anche se detesta, letteralmente, discutere con qualcuno a cui vuole bene senza potergli leggere gli occhi, senza poterne valutare l’espressione e la risposta fisica alle parole.
Si trattiene proprio perché conosce Marta da così tanto tempo da sapere invece quanto grande sia il suo disagio se posta davanti ad un litigio, ad un’immagine differente dalla propria, ad un profilo che non si sposa con il suo ma ci cozza contro con tanta violenza da minacciare di frantumarlo.

Greta affonda le dita tra i capelli, ignorando la protesta annodata delle ciocche bionde, e aspetta.
La sua ultima risposta è ancora lì, lunga e arrabbiata, ispida di una logica inappuntabile. Esattamente come è lei, esattamente come non è Marta.
Marta che s’infiamma per le piccole cose, Marta che piange per le piccole cose, Marta che strepita per le piccole cose. Marta che pesta i piedi e stringe i pugni, Marta che reagisce prima di pensare e non sa tenere le sue cose per sé, Marta che sbatte la testa contro i muri prima di vederli perché perennemente impegnata a puntare il naso per aria e respirare il cielo di un mondo tutto tuo.
Un mondo che a Greta è precluso, un mondo che le si è rivoltato contro e le è saltato alla gola dopo mesi di silenzi, e assenza.  Un mondo da cui si è sentita esclusa, giudicata, tradita.

“Non sei più la persona che conoscevo” le ha detto quel mondo “Non so se mi piaci più, non so più chi sei”.

E Greta ha incassato con grazia, sbattendo le ciglia lunghe su occhi grigi e gelidi come spuntoni di ghiaccio. Ha immaginato Marta e la sua postura triste, gli occhi troppo scuri per saper essere gentili e le dita nervose nel saltellare da un tasto all’altro per comporre una confessione tanto crudele e dolorosa. Ha spostato la pila di appunti di microbiologia, dimenticando per un istante l’esame imminente, ed è affogata in una palude di incredulità melmosa, sgradevole, che le si è appiccicata addosso e li era rimasta, marcendo in fastidio.

“E perché tutto questo non me lo dici in faccia?”

È stata la sua prima risposta, in uno scatto d’ira che era sfuggito alle strette maglie del suo autocontrollo. Marta non ha risposto subito e Greta si è chiesta sotto quante parole fosse rimasta sepolta prima di trovare quelle che, senza esser calibrate al loro peso, sapessero suonare giuste nel pentagramma confuso dei suoi pensieri. Perché Marta non è tipo da procedere in linea retta, e Greta lo sa. Per ogni passo avanti, almeno cinque la portano a destra e per farne uno solo a sinistra ce ne sono altri due indietro: non è facile essere amica di una persona così, non lo è mai stato. Eppure per anni hanno condiviso gioie e dolori, risate e lacrime, caffè e gelati nella bozza sicura di un rapporto solido, sincero. Anni, non mesi. Anni che adesso Greta sente scappare via come granelli di sabbia in una tempesta che non può essere contrastata, perduti in un oceano di insicurezze e paure.

Cosa sia cambiato, non l’ha mai capito.
Poco alla volta la distanza è cresciuta, le cose non dette di sono accumulate sul profilo sottile di una lontananza sempre maggiore, l’affetto si è trasformato in acredine e prima che Greta potesse rendersene conto era troppo tardi per tendere la mano e trovare delle dita da stringere.
Un ping attira la sua attenzione, assieme al comparire di una nuova notifica.
Ma non è Marta.

È Alberto, il suo nuovo ragazzo, che le chiede se vuole uscire a cena.
Quello che ha conosciuto nel momento in cui le cose con Marta hanno iniziato ad andare male, a cui si è aggrappata nei momenti di solitudine, a cui ha permesso di prendere tutto il posto che prima riservava all'amica. Con una scrollata di spalle scaccia un pensiero troppo sgradevole per poter essere pronunciato e digita rapida la sua risposta.
Ha esitato, ma è stato solo un secondo, indugiando nella speranza di potersi vedere con la sua amica per poterla guardare negli occhi e chiederle con che coraggio ha potuto scrivere certe cose, con che cuore non le ha voluto parlare per capire chi fosse diventata.
Ma Marta tace, Marta ha smesso di scrivere, e Greta non può perdonarle questa ennesima debolezza.
Non sa andare oltre alla nuova manciata di parole taciute, non ha voglia di aspettare i tempi della sua fragile e insicura vecchia amica.

Perché l'amicizia è la più crudele forma d'amore, la più pura, scevra d'ogni desiderio.
Quella che fa più male se tradita o calpestata, quella che è più facile tradire o calpestare perché spoglia di ogni pretesa di possesso: dove amicizia è condivisione assoluta, Greta è stanca di condividere solamente lacrime e malumori senza ragione. Stanca di perdonare, stanca di aspettare i tempi immutati di una persona che ha preferito affidarsi alla falsa sicurezza di una chat impersonale per dire qualcosa che era suo diritto sentire con le proprie orecchie.

Greta non piange, mentre con uno scatto secco chiude il pc e recupera gli appunti di microbiologia.
Ma il sorriso che ha sulle labbra è amaro come la sconfitta che, assieme a Marta, incassa in silenzio. 





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