7-8
Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!
Buona lettura ;)!
John Watson si stava avvicinando a Thomas Anderson, suo superiore, con aria grave e compita.
“Buon giorno, Anderson.” Salutò John con aria quasi
feroce, mentre l’uomo beveva da una bottiglietta quello che, John
ne era sicuro, era whisky della peggior qualità.
Anderson si riparò la faccia dal sole cocente.
“’Giorno, Watson, che volevi?” domandò.
“Non abbiamo più posto per i pazienti.” Sono venuto
da te, visto che sei il comandante, per sapere dove fosse possibile
metterli.” Fece John con tutta la gentilezza che riuscì a
mettere nelle frasi.
“Sono venuto da te visto che sei il comandante... blablaba…”
Anderson imitò John. “Tu sei il medico, l’unico
medico in questo campo di tortura. È compito tuo stabilire dove
vanno, se non ci sono posti, meglio così. Avremmo meno bocche da
sfamare.” Disse Anderson, facendo ridere coloro con i quali era
andato a bere.
John avrebbe tanto voluto uccidere o zittire Anderson. Mentre stava
cercando il modo di replicare alle infelici parole uscite dalla bocca
di Anderson, si sentì un botto e una puzza di fumo. John si
voltò verso il suono, e vide il proprio campo prendere fuoco.
Gli avventori della locanda corsero fuori, e chi si trovava già
lì corse verso il fuoco con secchi d’acqua.
“Questa è la mia ora. Devo andarmene da qui…”
Disse Anderson, facendo per un attimo distrarre John, che
guardò, con tanto d’occhi, l’uomo andare verso la
parte opposta dalla quale provenivano il fuoco e fumo.
John rimase per un attimo allibito, poi, però, prese un secchio
che gli veniva porto da un ragazzo e corse verso il fuoco per cercare
di dare una mano.
John Watson si svegliò di colpo, sudato e con un dolore alla spalla, dove il proiettile l’aveva colpito.
Ansimò stando ancora sotto le coperte. Non aveva idea di che ore fossero, ma era sicuro che fosse ancora molto presto.
Rabbrividì pensando all’incubo appena fatto, un incubo molto reale, purtroppo per lui.
Si alzò, tanto non avrebbe più dormito, e andò ad accendere il lumicino sul comodino.
Se non fosse stato per gli Holmes sarebbe, sicuramente morto. Doveva
tutto agli Holmes e in particolare a Sherlock, che gli permetteva di
collaborare con lui. Avrebbe fatto qualsiasi cosa il ragazzo gli avesse
chiesto, per ripagare i propri debiti.
Sorrise.
Teneva tanto a Sherlock. Veramente molto, quasi troppo, forse. Da
quando aveva visto quel bellissimo ragazzo, una forte passione si era
impossessata del suo corpo e della sua mente, e da allora non se ne era
più andata.
Scosse la testa, cercando di togliersi dalla mente Sherlock, anche se sapeva che era inutile: non ce l’avrebbe mai fatta.
Ovviamente, John sapeva che certi sentimenti erano proibiti, aveva
sperimentato cosa significava essere diversi, ma non poteva non pensare
a Sherlock con lui per sempre, magari che convivevano insieme.
-Che fantasie che mi sto facendo.- si disse mentre prendeva il lumicino
dal comodino e andava verso il bagno per lavarsi il viso arrossato.
Avrebbe tanto voluto, una volta tanto, sentire sua sorella.
Harriet avrebbe sicuramente saputo cosa fare, ma Harry era lontano e
non voleva di certo sentire lui dato che era stato lui a mandarla via
da casa dopo aver scoperto le sue abitudini sessuali, considerate
imbarazzanti e sconvenienti.
Frustrato, sospirò e si specchiò, cogliendo
l’immagine di un giovane uomo un po’ scosso. Chiuse gli
occhi, si stiracchiò e, pensando che intanto non avrebbe
dormito, si mise a leggere nel letto il libro che aveva preso dalla
biblioteca la sera prima.
***
Gregory Lestrade aveva parlato a sua madre e dopo una lunga
discussione, con rimproveri e sbuffi, erano arrivati a una soluzione:
non si sarebbero fatti prestare i soldi dagli Holmes, se Greg avesse
lavorato al negozio di suo padre abbandonando l’università
che costava troppo per la sua povera madre.
Greg era molto soddisfatto di ciò: avrebbe potuto vedere quasi
liberamente Mycroft e conoscere il minore, Sherlock.
Dopo aver contrattato con sua madre era partito per la dimora degli Holmes senza avvertire Mycroft della sua visita.
Era arrivato trafelato al portone e si era fatto annunciare dalla domestica, che l’aveva scortato in biblioteca.
Nella biblioteca c’erano due persone. La prima sedeva su una
poltrona, la seconda era in piedi e stava parlando con l’altra,
agitando le lunghe braccia come a voler enfatizzare un concetto di
grande importanza.
Gregory osservò il quadretto in silenzio fin quando non fu notato dall’uomo in poltrona.
“Sherlock.” Mormorò l’uomo, e indicò Greg.
Il ragazzo chiamato Sherlock si fermò un momento e
scrutò negli occhi neri Gregory. Sherlock era un bel ragazzo, a
detta di Greg, che fu rapito dagli occhi allungati.
“Chi è lei?” domandò Sherlock fissando
sospettoso il viso di Greg: quest’ultimo fece per rispondere, ma
fu interrotto da una voce che conosceva bene.
“Lui è con me, Sherlock.”
Greg si girò seguì il suono della voce, ritrovandosi a guardare il volto austero di Mycroft Holmes che lo fissava dalla porta.
“Greg, ti presento Sherlock, mio fratello, nonché tuo
fratellastro, e John Watson, medico militare.” Disse Mycroft.
Gli sguardi che si lanciarono Sherlock e Greg furono stupiti, eppure
Greg sapeva bene chi era il ragazzo che lo guardava. Aveva infatti
visto dei ritratti nella camera di Mycroft, ma mai si era aspettato di
trovarsi davanti un giovane attraente come lui… e così
diverso da Mycroft.
“Piacere.” Salutò Greg porgendo la mano a Sherlock,
che non la strinse, limitandosi a guardare Greg come si guarderebbe un
insetto.
Greg riprese la mano, capendo l’astio del ragazzo moro:
probabilmente ce l’aveva con lui per via del fatto che suo
padre aveva tradito il sacro vincolo del matrimonio con un’altra
donna che non era sua madre, generando un bastardo, cioè
lui… guardò verso Mycroft pensando a cosa avrebbe fatto
se mai l’altro l’avesse tradito: sarebbe diventato matto,
altro che!
“Cosa ci fa lui qui?” quasi soffiò Sherlock fissando il fratello negli occhi.
“Già… Cosa ci fai qui?” ribatté Mycroft.
“Sono venuto a parlarti, Mycroft.” Fece Lestrade alzando il viso fiero.
“Perfetto. Andiamo. John, Sherlock, ci vediamo.” Disse
Mycroft facendo strada a Gregory, che salutò i due con un cenno
del capo.
“Che succede, Greg?” domandò Mycroft quando furono nel suo studio.
“Sono riuscito a far ragionare mia madre circa la nostra situazione.”
“E quindi…?”
“Quindi abbiamo risolto in questo modo: io andrò a
lavorare al negozio di mio padre rinunciando
all’università, in modo tale che mia
madre non vi chieda più soldi e io le potrò dare una
mano.”
“No.” Mycroft parlò piano, eppure per Greg fu come un urlo.
“Non ti permetterò di rinunciare
all’università per noi.” Mycroft ci pensò un
po’ su. “Penso che parlerò a tua madre…
è l’unica soluzione.” Ammise alla fine.
Il suo amante lo fissò per un lungo momento in silenzio: parlare
a sua madre significava rivelare, in parte, la grande attrazione che
c’era fra lui e Mycroft, poiché sua madre avrebbe fatto
domande… e lui questo non lo voleva, non voleva soffrire di
nuovo né far soffrire Mycroft.
“Non c’è un’altra… scelta?”
“Un’altra scelta ci sarebbe, Greg. Separarci, tenerci
lontano per un po’ di tempo… così che non
soffriresti tu e non soffrirei io.” Rispose quasi con freddezza.
“Io… Non voglio allontanarmi da te, Mycroft.”
“Non vedo altre soluzioni, Greg.” Fece Mycroft.
Greg ci pensò un po’, per poi annuire tristemente. Era
così felice quand’era arrivato, e adesso era così
triste.
“Hai fatto la scelta giusta, Greg.” Annuì Mycroft.
“Aspetta… lasciami dire che lavorerò per mia madre
comunque… cercando di andare anche all'università,
in modo tale da non crearti più problemi.”
Mycroft lasciò andare Greg e sospirò. Aveva fatto bene a
lasciarlo andare via. Non voleva avere più casini di quanti non
avesse avuti finora e Greg si era presentato a lui con una così
bella novità.
Si prese la testa fra le mani e sospirò nuovamente.
Un bussare alla porta lo fece voltare: era sua nonna, Cora Holmes che
lo guardava. “Ciao, Mycroft. Ho visto un giovanotto scappare da
questo studio… chi era?” domandò sua nonna.
Mycroft per poco non le scoppiò a ridere in viso…
possibile che proprio fra tutti i suoi parenti, proprio lei, la madre
di suo padre, venisse a chiedere chi era Greg??
“Non era nessuno, nonna. Vieni a sederti qui, per favore.”
Implorò Mycroft. Era vero, non sopportava i suoi parenti in
generale, ma in quel momento aveva bisogno di un po’
d’affetto. E poi sua nonna era l’unica che avrebbe fatto
qualsiasi cosa per la famiglia, proprio come aveva fatto lui.
Cora si sedette accanto al nipote e lo guardò con occhi blu che
ricordavano tanto Sherlock. “Non mi vuoi dire nulla?”
domandò.
“No. Ho bisogno di averti accanto, però.” Disse Mycroft. Lady Cora Holmes sorrise abbracciando il nipote.
-Aveva fatto veramente bene a lasciare andare Greg?- si chiese Mycroft lasciandosi abbracciare dalla nonna.
***
Sherlock Holmes osservò la porta chiusa dalla quale erano usciti il suo fratellastro e Mycroft.
Un vago pensiero di seguirli gli entrò in testa, subito
scacciato dal caso che doveva seguire e che si stava facendo sempre
più complicato. Inoltre non poteva abbandonare John che lo
fissava dalla poltrona.
Fu a lui che dedicò uno sguardo lungo: quella notte John non
aveva dormito bene. Aveva avuto degli incubi, riguardanti probabilmente
quello che era successo nella cittadina di Old Town.
Sherlock poteva vedere chiaramente il viso pallido e le occhiaie, ma
soprattutto, dato che la sua stanza era sotto a quella di John, aveva
sentito i piedi muoversi sul pavimento.
“Tutto bene, Sherlock?” domandò John fissando il suo viso.
“Certamente. Vogliamo pensare alla scomparsa, piuttosto?”
ribatté freddo il consulente investigativo: non voleva pensare a
Greg o a Mycroft, o ancora peggio, al viso di John.
Non si voleva far coinvolgere da qualcosa che non fosse il lavoro; e
quel particolare lavoro si stava rivelando più complicato del
previsto, ma a detta del maggiordomo con il quale John, secondo
consiglio di Sherlock, era andato a discutere, era scomparsa anche la
donna ritratta nella fotografia.
“D’accordo.” Annuì John riportando un’altra volta l’attenzione del Consulente sul caso.
“Che fine può aver fatto Miss Amanda?” chiese Sherlock; Amanda era il nome della committente e scomparsa.
“L’ipotesi più plausibile è che sia stata
rapita, magari dalla stessa persona che ha preso le fotografie.
Comunque, se anche fosse stata rapita… da chi? Perché e
quando?” Sherlock fermò il suo lavorio e guardò
verso John, che era rimasto in silenzio a fissarlo senza interrompere
la sua parlata.
“Diamoci da fare, John: voglio trovare risposte; desidero
sapere.” Disse Sherlock con una strana luce negli occhi chiari.
“Non sei l’unico, Sherlock.” Ammise John, che si era
appassionato al caso e il cui umore migliorava ogni volta che si
trovava coinvolto.
________________________________________________________________________________________________________________________________
Buonasera,
scusate il ritardo nel pubblicare questo capitolo, ma gli esami all'uni mi hanno preso molto, molto tempo.
A questo
proposito, vi voglio dire che sicuramente non potrò scrivere per un
pò di tempo poichè ho un altro esame il 25 giugno...
Spero che questo capitolo vi piaccia e di ricevere commenti, anche se è un capitolo di transito.
Un bacio.
Giù
|