Via di fuga - parte 2
La sera si avvicinava pian piano
facendo trasparire piccole luci colorate azzurre che si infragengevano
sulla vetrata della finestra di Elisabeth. Lei aveva sempre odiato quei
piccoli aggeggi che le regalava la madre, erano solo un ostacolo al
meraviglioso panorama che le si rifletteva nella stanza. Avrebbe
voluto prendere quei scacciasogni, così li
chiamava la madre, e li avrebbe voluti gettare dalla finestra e farli
infrangere nell'acqua fredda e calma. Avrebbe anche voluto dare un
calcio alla scrivania, gettare i libri sul pavimento e magari
rispondere male a qualcuno. Elisabeth, avrebbe voluto sfogarsi e dare
la colpa, non più a se stessa, ma a chiunque le avrebbe
girato attorno e le avrebbe dato fastidio facendola deconcentrare dal
suo imperterrito pensare.
Il pensiero che le ronzava da tempo nella mente si faceva sempre
più sentito, sempre più insistente nella sua
testa che a fatica respingeva quel sentimento tanto represso da anni.
Il volere di scoprire davvero cosa significasse essere libero ed avere
una vita fatta anche di soddisfazioni e da tante piccole cose che ti
facevano sorridere, le si materializzò davanti ai suoi occhi
ricordando di quando, nella villa di Montjiuc, spiava i vicini. Per
quindici anni era stata in cerca del significato della parola
'felicità' scoprendola negli occhi dei passanti, nei sorrisi
che si scambiavano gli innamorati dopo un dolce e flebile
bacio.
Nella piccola casa di Montjiuc, intravedeva, nascosta dal velo della
tenda, una luminosità mai vista negli occhi della giovane
Kate che, accolta tra le braccia del marito, mimava parole
incomprensibili per Elisabeth ma che comunque le avevano toccato il
cuore facendole sperare che il futuro preservasse anche per lei una
gioia simile. Da quella sera trascorsa avvinghiata alla tenda della sua
camera avrebbe giurato che non le si sarebbe presentanto un futuro
tanto frustante come quello dei suoi genitori, Elisabeth non avrebbe
permesso a nessun uomo di farla sentire triste e inutile sotto
l'effetto delle sue mani pesanti sul suo volto. Lei non avrebbe
commesso lo stesso errore della madre. Nella sua camera, le ore passavano
a fatica. I libri aperti per studiare erano ancora lì da
quando il sole li rischiarava a quando, per la poca luce, Elisabeth
emise lo sforzo di alzarsi dalla poltroncina e ad accendere la luce che
avrebbe rischiarato non solo i suoi quaderni ma anche la sua mente
permettendogli di immaginare il suo futuro. Irrequieta sulla
poltroncina ascoltava i vari rumori che provenivano dalla stanza
adiacente.
Urla strozzate e lamenti sommessi. Nella normalità di
Elisabeth rientrava tutto ciò. Ma quella sera, tra le grida
di esasperazione della madre ne riconobbe un singhiozzo continuo che,
chiunque l'avrebbe ascoltato, avrebbe intuito che stesse succedendo
qualcosa di brutto, molto brutto.
Le immagini giornaliere di lividi e ferite si presentarono nella sua
mente spingendola sempre di più a non trattenere quella
rabbia che soffocava scrivendo quel che pensava su un pezzo di carta
che poi avrebbe bruciato con il suo accendino. Vedeva
l'immagine della fiamma ardente che bruciava su quel che rimaneva di un
"un giorno tutto questo finirà" scritto su un foglietto
giallo, uno di quelli che aveva rubato alla sua compagna di
banco.
Le lacrime si davano spazio tra quei sfondi dolorosi che facevano parte
della sua vita. Quella vita che, prima di aver conosciuto altri
bambini, le sembrava così normale, così serena.
Gli anni della scuola elementare passarono lenti e sfiancanti per
Elisabeth che si sentiva dire, giorno per giorno, i vari motivi per cui
la reputavano "strana". Quelle parole pronunciate dalle bambine
più vanitose della classe le si ripetevano, ancora ora, tra
i banchi del liceo.
Un grosso baccano si faceva sempre più insistente tra quelle
mura che avevano sopportato il peggio.
La mano della ragazza si agitava lentamente per scrivere su uno dei
soliti foglietti colorati. Scriveva d'impulso, nessuno l'avrebbe letto.
L'avrebbe bruciato come tutti gli altri facendone un piccolo cumulo di
cenere che avrebbe gettato dalla finestra, come faceva da
anni.
Ma con quale scopo?
Per la prima nella sua vita, Elisabeth, massaggiandosi le tempie, si
chiese il perchè delle sue azioni.
Perchè scrivere su un
foglietto per poi bruciarlo e non far avverare ciò che
voglio?
In preda all'emozione di
lasciar perdere la ragione e fiondarsi sull'istinto,
agguantò più cose possibili e le mise in uno
zainetto che posizionò sulle spalle.
Sapeva di non essere una ragazza gentile o generosa. Dai professori non
era mai stata valutata come un' alunna modello per il suo comportamento
quantomeno per lo studio. Dentro lei sapeva di correre un grande
rischio, ma i suoi sogni non potevano non avverarsi. Lei aveva bisogno
di sognare, di tornare a dimenticare le disavventure e sostituirle con
storie d'amicizia o addirittura d'amore.
Prese l'orlo del piumone e lo strinse forte per poi scoprire il resto
del letto. Lo piegò in modo che le fosse utile.
La felpa più pesante ed il suo portafogli. Le sarebbero
bastate poche cose per sopravvivere lì fuori.
Aprì la finestra. Una folata di vento le
scompigliò i capelli lunghi e lisci, chissà
quando li avrebbe avuti, di nuovo, così morbidi quando lo
smog e i fetori della città saranno le uniche cose che li
toccheranno. Calò giù il
pesante piumone ed aggrappandosi a esso, si appoggiò al
muro. Un ultimo sguardo al suo passato e alla sua camera. Subito
toccò la lieve sabbia che copriva quello strato di
sofferenze. Tra i granelli riusciva ad intravedere pezzi colorati dei
suoi foglietti.
Le urla dei suoi genitori
furono solo un rumore lontano al suono dei suoi passi sulla sabbia
umida. Fu una soddisfazione quando, a vari metri di distanza, la sua
mente si era sgombrata di ogni singolo pullulare di quella
casa.
Non sapeva dove dirigensi precisamente. In quel momento un gruppo di
amici le sarebbe stato d'aiuto. Il vento si faceva sempre
più deciso, la sabbia pizzicava sulle caviglie da far male,
ma nessun male era paragonabile a quel che di sconfortante aveva nel
suo cuore. Nel buoio che si ergeva su quel paesaggio, Elisabeth non si
era mai sentita meglio. Elisabeth si sentiva libera. Era
pronta per spiccare il volo alla scoperta di tutto ciò che
la vita non le aveva fatto ancora scoprire. Era pronta a ricominciare a
vivere, a camminare tra le strade della città con dei
pensieri felici. Era pronta a scappare da quel che il destino voleva
affligerle per poterlo riscrivere dettato da lei stessa.
Questa
volta andrà bene, non permetterò a nessuno di
fermarmi. Questo sarà l'ultimo foglietto che
toccherà la mia mano tremante. Ciao mamma, ciao
papà. Vi voglio comunque bene.
Elisabeth
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