One Step Closer
One
Step Closer
Capitolo
quattro: Il tuo principe azzurro.
Progettare non era mai stato il mio
forte, soprattutto quando c’entrava la mia vita. Odiavo fare programmi, più che
altro perché non riuscivo mai a mantenere quello che mi ero prefissata,
mandando così tutto all’aria.
Non era fondamentale, per me,
pianificare tutto con cura, per lo più vivevo alla giornata, da come mi
svegliavo la mattina capivo ciò che potevo fare. Avevo iniziato a tener conto
di orari e giorni quando era nata Evelyn, perché non sarebbero stati facili i
primi tempi da neomamma in cerca di lavoro con solo un diploma in mano.
Ma qualcosa stava cambiando e me ne
stavo accorgendo solo in quel momento, al silenzio, nel letto tanto grande
quanto vuoto, da sola, al buio.
Il mio cuore non batteva come prima:
andava più veloce, quando la mia mente sfiorava una certa immagine iniziava a
volare, quasi riuscivo a sentirlo da sotto la pelle. Controllarlo era
impossibile, provare a capire il perché era incerto… Anzi, in realtà un’idea ce
l’avevo, e anche abbastanza chiara.
Da quando, una settimana prima,
Edward aveva iniziato a parlarmi seriamente,
non solo più sorrisi e cenni di testa e mano, mi sentivo a due palmi da terra. Tipico
comportamento da ragazzina, ma non mi capacitavo di quel capovolgimento di
situazione.
Mentre mi lavavo per andare in
ufficio, continuavo a ripensare al suo discorso. Sotto sotto, c’era qualcosa
che non mi tornava. Perché i suoi occhi erano diventati lucidi mentre parlava
di cambiamento? Cosa stava succedendo nella sua vita privata?
Ben presto, mi ritrovai nel
corridoio dello studio con in mano un caffè bollente, un mal di testa atroce e
le gambe intorpidite per i tacchi alti.
«Buongiorno, Bellina! Dormito bene?»
Angela mi arrivò alle spalle, con un sorriso a trentadue denti stampato in viso
e sembrava aleggiare in un aurea celestiale.
«Sì, abbastanza.», mormorai
mentendo. Dormire era un termine eccessivo viste le ultime notte trascorse a
rigirarmi tra le coperte e Evelyn con febbre e malanni vari. «Tu? Stamattina mi
sembri molto su di giri, cos’è successo?»
Mi prese per il braccio e mi
trascinò fino al suo ufficio, dove chiuse la porta a chiave e ci si appoggiò
sopra.
«Cos’è tutta questa enfasi? Angy, mi
devo preoccupare?», borbottai posando il caffè sulla sua scrivania. «Sicura di
stare…»
«Hanno accettato la nostra pratica
per l’adozione.», esordì e sentii le ginocchia cedere, sia per la felicità sia
per la sorpresa.
«Cosa?! Angela, non dirai sul
serio?»
Si asciugò la fronte madida di
sudore, le mani le tremavano visibilmente. «Invece sì. Oddio, non ci credo
nemmeno io. Ieri sera ho acceso il portatile e ho visto una mail, ma non
pensavo fosse vero e… Sì, c’era scritto che accettavano la nostra richiesta,
avremo un bambino, diventeremo genitori.»
Continuava a farneticare senza
sosta, fissandomi con gli occhi che le brillavano intensamente.
D’impulso mi avvicinai a lei e l’abbracciai
stretta, cercando di calmarla. «Sta’ tranquilla.»
La feci sedere e le portai un
bicchiere d’acqua. Erano mesi che lei e suo marito aspettavano quella risposta,
c’erano stati giorni grigi e bui e altri pieni di speranza. Aveva pianto
tantissime volte, Angela, sulla sua scrivania, con le braccia intorno alla
testa; aveva tirato a terra tutto ciò che si trovava nel suo passaggio quando
la rabbia raggiungeva livelli mai visti; voleva smettere con tutto quando non
trovava altra soluzione.
Più volte mi aveva parlato di quel
suo problema, erano anni che cercavano un bambino, ma purtroppo avevano
scoperto che le loro possibilità rasentavano il 10 percento, quindi pressoché
nulle, ma non si erano arresi, avevano lottato per giorni per diventare idonei
all’adozione, avevano sconvolto il loro piccolo appartamento per farlo
diventare a prova di bambino, avevano messo a soqquadro le proprie vite per
donare il proprio amore a qualcuno da accudire, e vedere quella luce nei suoi
occhi ora era la prova che non tutti i mali vengono per nuocere.
«Non hanno detto nient’altro? Quando
dovrete presentarvi…?»
Scosse il capo, finendo l’acqua nel
bicchiere. «No, ci avviseranno loro, ma penso ci vada qualche mese ancora, non
ne sono sicura.»
Annuii, carezzandole una spalla.
«Andrà tutto bene, tu e Richard ve lo meritate, siete due persone splendide.»
Sorrise appena, per poi alzarsi e
sistemarsi la camicia. «Bene, ora però devo darti una seconda notizia, ma per
questo prima devo chiamare una persona. Tu siediti, io arrivo subito.» Mi accomodai e lei sgusciò fuori
dalla stanza come un razzo; sentii il picchiettio dei suoi tacchi lungo tutto
il corridoio.
Il mio cuore continuava a battere
forte per la novità comunicatami poco prima, perché facevo fatica a crederci…
Mi bastava vedere come Angela guardava Evelyn per capire quanto amore materno
ci fosse dentro di lei, che non veniva abbastanza consumato ma che sarebbe
stato pronto per quel bambino che avrebbe rivoluzionato al meglio le loro vite.
«…Ho in serbo una grande idea, ne
rimarrete entusiasti.»
Mi voltai appena in tempo per
scorgere Angela rientrare e Edward avvicinarsi cauto all’altra sedia accanto a
me.
«Ehm… Ciao.», mormorò alzando la
mano a mo’ di saluto. Ricambiai, cercando di apparire il più naturale
possibile, ma fu ovviamente impossibile, non quando lui mi stava a meno di
trenta centimetri di distanza.
Angela si sedette davanti a noi,
sbatacchiando le mani sul tavolo con energia. «Non vi ho chiamati qui a caso,
sul serio, ma c’è una scelta ben precisa. Volete che vi dico tutto?»
Ed alzò le spalle, indifferente e
indeciso. «Se è per questo che siamo qui…»
Angy congiunse le mani in grembo,
adagiandosi meglio sullo schienale della sua sedia. «Ci hanno affidato
un’importante caso, e dato che per una persona sola è un lavoro troppo
complicato, ho pensato di unire le vostre menti geniali e vorrei che
collaboriate al fine di ottenere un ottimo risultato. Cosa ve ne pare?»
Strabuzzai gli occhi e quasi mi
soffocai con la mia stessa saliva. «Cosa?»
Edward era altrettanto stupito e sul
suo viso era dipinta l’espressione della totale sorpresa. «Sul serio?»
Angela sorrise a entrambi, con una
tranquillità disarmante come se si trattasse della cosa più facile del mondo.
«Ovviamente. Però ho bisogno che cominciate subito, è molto importante per
tutti.»
Sospirai e quando feci per alzarmi e
tornare a smistare le scartoffie, la donna mi prese il polso e mi bloccò.
«Cosa c’è, Angela?», bofonchiai,
guardandola torva. Forse mi stavo comportando decisamente male, ma non poteva
organizzare tutto senza dirmi nulla.
«Non mi pari entusiasta…»
Sbuffai, appoggiandomi al muro. «Non
quando una delle mie migliori amiche decide come regolare la mia vita
lavorativa tenendomi fuori. Sai com’è, mi sarebbe piaciuto saperne qualcosa prima.»
«Ci ho pensato in fretta, non ho
avuto il tempo di programmare. Comunque almeno avrete l’occasione di parlare un
po’, ti ricordo che ancora ho in testa la conversazione che abbiamo avuto poco
tempo fa.»
Sentii le guance avvampare e subito
le coprii con le mani fredde. «L’importante è che non ne fai parola con lui,
per favore.»
Sorrise e mi lasciò andare.
«Preferirei che fossi tu a fare la prima mossa, non sarebbe tanto male.»
Osservare gli occhi verdi di Edward
di nascosto era rilassante come poche cose in quel momento. Era intento a
leggere le scartoffie che Angela ci aveva prontamente portato nell’ufficio
dell’uomo dai capelli ramati; in quel momento portava un paio di occhiali che
gli davano un aspetto ancora più adulto e severo, anche se l’aspetto del
ragazzino persisteva sul suo viso angelico.
«Penso si possa fare.»
Alzai il capo, sbattendo più volte
le palpebre. Mi ero fatta cogliere proprio in castagna. «Cosa?»
Il suo sguardo si intensificò sul
mio e sentii lo stomaco aggrovigliarsi. Come ci riusciva? «Ho detto che è
possibile fare questo lavoro, se ci mettiamo di buona lena.»
Annuii e mi massaggiai le tempie
sapendo bene che mi stava guardando. «Non ti senti bene, Bella?»
«Solo mal di testa, ma passerà.»
Chiuse la cartellina e la ripose in un cassetto della scrivania, per poi
controllare l’ora.
«E se andassimo a mangiare qualcosa?
Sembri stanca, magari staccare un po’ la spina ti può servire.»
Feci spallucce. «Se non è un gran
problema per te.»
Scosse il capo con un sorriso
pacifico sulle labbra; il mio cuore perse un battito. Era così bello, cordiale,
sempre alla mano…
Pensai per un nano secondo se le sue
labbra erano così morbide come sembravano, la sua pelle profumata, i suoi
capelli setosi, la sua voce vellutata se sussurrata nell’orecchio.
«… andare?»
Ero rimasta così imbambolata dal
quelle sottili linee carnose che avevo compreso solo metà frase.
«Dove vorresti andare?», ripeté con
calma, allentandosi il nodo alla cravatta. Deglutii rumorosamente e mi infilai
il cappotto. «È indifferente.»
Venti minuti più tardi, dopo essere
stata nella sua Mercedes, aver ascoltato un po’ di musica – scoprii che era un
fan sfegatato di Adele, dei Coldplay e di Céline Dion, e aver chiacchierato del
più del meno, ci trovammo seduti in un bar al caldo, con la pioggia che
scrosciava sui marciapiedi all’esterno, decine di ombrelli colorati che
brillavano sotto il cielo grigio londinese, e un caffè bollente fra le mani.
«Adoro questo posto.», sussurrò
Edward, accomodandosi meglio. «C’è sempre un’atmosfera così… famigliare.»
Annuii e subito mi trovai nello
stesso locale dove avevo lavorato anni prima. La musica era simile, le persone
sorridevano nello stesso modo, ero senza pensieri come allora.
«Comunque, sarebbe bene se
cominciassimo da subito a lavorare. Non dico da oggi, perché è un po’ assurdo,
ma in settimana vorrei stilare una scaletta.»
Dentro di me si accese una spia di
allarme: era un maniaco del controllo. «Ehm… d’accordo.»
Posò la tazza di caffè e si rilassò
sullo schienale della sedia, alzando le mani in segno di resa. «Voglio dire,
non vorrei che ci trovassimo a poco tempo dalla consegna del lavoro con ancora
tutto da fare. Odio ridurmi all’ultimo.»
«Non c’è problema», mormorai
sorridendo. «Per me va benissimo.»
«Ti ringrazio, davvero.» Mi sorrise
a sua volta e sentii nello stomaco qualcosa di strano, ma non erano le
farfalle. Lo conoscevo da troppo poco, eppure nel suo sorriso c’era qualcosa
che mi trapelava sincerità, e quasi capii che mi sarei potuta fidare.
Dopo gli avvenimenti accaduti con
Sam, avevo chiuso il mio cuore a tanti uomini e di sicuro lo avrei fatto ancora
per molto tempo, eppure… Eppure con Edward era diverso.
«Tua figlia è adorabile.», disse ad
un certo punto, guardando fuori dalla finestra. «Mi ricorda tanto mia nipote,
anche fisicamente.»
«Oh, davvero?»
«Sì, è veramente dolce. Ha quel viso
così angelico che ti fa scogliere…» I suoi occhi erano così vivi e sereni come
mai li avevo visti. «Proprio come mia nipote.»
«Ad Evelyn piaci molto, è difficile
che si fidi così facilmente di qualcuno, proprio come è capitato a te alla
cena. È… molto timida, anche all’asilo ci mette un po’ prima di legare
veramente con qualcuno.»
«Mi piacerebbe rivederla.», mormorò
con enfasi, chinandosi in avanti. «Se non è un problema.»
Vedendo la mia espressione, subito
si ritrasse ma lo tranquillizzai con uno sguardo. «Non c’è problema, potresti…
tipo stasera? Sarà a casa, i miei genitori la portano lì poco dopo che io sono
tornata.»
«Sarebbe perfetto.», mormorò,
piegandosi sopra la tazza di caffè. «Sarebbe perfetto.»
Quando aprii la porta di casa, le
farfalle nello stomaco erano raddoppiate e il solo pensiero di aver Edward nel
mio salotto mi fece vorticare la testa.
«Scusa per il disordine.»,
bofonchiai, togliendomi la giacca e aspettando che mi porgesse la sua. «Di
solito non è così.»
Lui sorrideva come se niente fosse,
si guardava attorno con gli occhi lucenti. «Sta’ tranquilla, non c’è problema.»
Rassettai i giochi di Evelyn dal
pavimento, infilandoli nella cesta. Edward seguiva ogni mio movimento e mi
sentii per qualche secondo messa in soggezione, ma quando distolse lo sguardo
verso le fotografie appese al muro capii che si stava solo guardando in giro.
«Posso farti una domanda?»
Mi voltai verso di lui,
aggiustandomi i capelli. «Sì, certo.»
«Dov’è il padre di Evelyn?»
Spalancai la bocca per dire
qualcosa, elaborai in testa la risposa più adatta ma in quel momento suonarono
al campanello, e nella mia testa ringraziai quella persona.
«Magari ne parliamo un’altra
volta…», sussurrai avvicinandomi alla porta. Non volevo svelare quella storia
fin troppo personale, ma più che altro perché era relativamente presto.
Quando spalancai la porta, Evie si
gettò fra le mie braccia, con il cappotto pieno di neve e il nasino ghiacciato.
«Ciao, mamma!» La sua voce era uno
scampanellio di campanelle, così angelica e argentina. Mi era mancata
tantissimo e in quel momento, mentre la stringevo a me, sentivo che era al
sicuro… Non che con i miei genitori non lo fosse, ma mi preoccupavo sempre
tantissimo per lei.
«Ciao, amore.» Le carezzai i capelli
e acconciai dei ciuffi dietro alle orecchie, prima di voltarmi verso Edward.
«Guarda chi c’è.»
Lui le sorrise, mentre la bambina si
nascondeva tra le pieghe del mio collo. «Evelyn, ciao.»
Mia figlia sorrise quando Ed
cominciò ad avvicinarsi, e gli tese una manina paffuta quando si chinò
all’altezza del suo viso.
«Se tu giochi un attimo con Edward,
io preparo la cena.», mormorai, baciandole la testa. Con mio gran stupore,
scese e subito afferrò l’uomo per la giacca, portandolo a vedere la sua
cameretta.
Mia madre mi bussò sulla spalla
vedendomi assorta. «È lui?»
«Cosa?»
«È lui l’uomo che ha fatto perdere
la testa a mia figlia?», sussurrò e io arrossii. Non ero così cotta di lui da
non avere la testa sulle spalle… Ero semplicemente attratta, tutto lì. Mi
piaceva, era vero, ma non ci morivo dietro… almeno non in quel momento.
«È carino.», continuò sorridendomi.
«Sembra un bravo ragazzo.»
Avrei voluto risponderle: “Sì, hai
ragione.”, ma purtroppo non lo conoscevo bene quanto pensassi, ma magari
l’aspetto esteriore rivelava davvero quell’uomo di buon cuore qual era Edward.
«Secondo me, è perso di te, glielo
si legge negli occhi.» Renée mi guardò per un lungo, interminabile istante;
forse aspettava una risposta che non ero capace di dare, ma nella mia mente era
stampata a fuoco.
«Vedremo.», borbottai, girandomi
dall’altra parte. «In ogni caso, grazie, mamma.»
Mi carezzò una spalla, comprensiva e
con un’espressione carica d’amore. «Sai dove trovarmi, tesoro.»
La accompagnai fino al ciglio della
strada, aspettando che facesse retromarcia nel vialetto e sparisse nel buio
della via.
Tornai dentro e trovai Edward
appoggiato allo stipite della porta a osservare Evelyn. La guardava con occhi
rapiti, come se fosse l’unica stella nel cielo. A passi lenti e silenziosi
sgattaiolai in cucina, dove cominciai a mettere su la cena, con la stessa manualità
e quotidianità con cui lo facevo tutte le sere. Feci bollire l’acqua della
pasta, scaldai il sugo e preparai la tavola per tre, come sempre: solo che, per
una volta, al terzo posto non c’era Jacob.
Quando ebbi finito di cucinare e
mettere la pasta nei piatti, mi incamminai verso la stanza di Evelyn; trovai
Edward sdraiato sul letto con Evie che dormiva accanto a lui, a pancia in giù.
I capelli erano sparsi sul cuscino, i codini si erano sciolti a forza di
saltellare ovunque.
«Di là… è pronto, se ti va.»,
mormorai, appoggiandomi allo stipite della porta. Fissavo Ed mentre,
delicatamente, scostava Evelyn da sé e la posava sui cuscini; era gentile e
prudente in ogni sua azione, cercava di non svegliarla e, quando pensò che non
lo stessi osservando, baciò la testa di mia figlia come se fosse il gesto più
naturale al mondo.
«Ho preparato la pasta, spero ti
piaccia. Sono una frana in cucina.», gli dissi mentre percorrevamo il piccolo
corridoio. Aspettai che si accomodasse per farlo anche io, e quando mandò giù
il primo boccone, attesi il suo responso.
«Per essere una frana, te la cavi
egregiamente, complimenti.», bofonchiò, prendendo con la forchetta altra pasta.
«Grazie, forse è l’unico piatto che
preparo decentemente.», ridacchiai. «La mia unica giudice è Evelyn, si
accontenta di tutto.»
Rise con me, e ancora una volta sentii
le farfalle nello stomaco. Parlammo del più e del meno, mangiando e ridendo
come due persone che si parlano da una vita. Mentre chiacchieravamo, ci
avvicinavamo sempre di più, i nostri respiri si scontravano con il passare dei
minuti, quasi riuscivo a sfiorargli la mano.
«Prima non hai risposto alla mia
domanda.», mormorò ad un certo punto, finendo il suo bicchiere di vino. Scossi
il capo, confusa. «Quale?»
«Del padre di Evelyn.» La sua voce
per un attimo scaturì una serie di ricordi che poi sparirono; abbassai il capo,
aggiustandomi i capelli su una spalla. «Be’…»
Sembrava quasi che qualcuno non
volesse farmi raccontare quella parte del mio passato. In quel momento esatto,
le luci del lampadario lampeggiarono fino a spegnersi e rimanemmo al buio.
«Cavolo…», sospirai e mi alzai di
scatto per cercare le candele. Edward mi aiutò illuminando la cucina con il
display del telefono, e quando ne trovammo alcune e un accendino, le mettemmo
in mezzo al tavolo in un vasetto, almeno per finire la conversazione.
«Quindi?»
Lo guardai intensamente negli occhi,
scrutai il suo viso perfetto: il naso diritto, gli smeraldi che brillavano
sotto la luce fioca delle candele, le labbra sottili ma allo stesso tempo
carnose… Sembrava una statua vivente di Apollo, era stupendo e…
«Quindi?», mi incalzò e mi sembrò di
averlo ancora più vicino. «Non me lo vuoi dire?»
«È una storia lunga.», sussurrai, il
suo respiro mi solleticava la pelle. «Molto lunga.»
«Ho tempo: è ancora presto.»,
rispose di rimando, passando il dito sul bordo del bicchiere. Gli raccontai
tutto, dal mio amore per Sam, sebbene non fosse stato corrisposto, alla nascita
di Evelyn, lasciando però molti particolari, come ad esempio la notte in cui
mia figlia entrò dentro di me, quando Sam mi prese con l’inganno.
«Non è stato giusto per nessuno dei
due, evidentemente doveva capitare.», dissi infine, aspettando una sua
risposta. «Evelyn però è stata la svolta della mia vita, è tutto per me, è
tutto ciò che ho, la mia famiglia, il mio cuore.»
Sorrise e una sua mano, dolcemente,
mi carezzò una guancia. Sbattei più volte le palpebre, incredula, e i suoi
polpastrelli sfioravano il mio zigomo, dopo scendevano verso il mio mento; lambivano
la pelle come se fosse stata seta, la accarezzavano, la baciavano con piccoli
tocchi.
«E tu? Com’è la tua vita?», ebbi la
forza di mormorare, senza distogliere lo sguardo. Scosse il capo, continuando a
sfiorarmi. «È normale, niente che possa inciderla profondamente.»
«Ma qualcosa ci sarà anche.»,
sussurrai, accarezzandogli la mano. La sua pelle era così morbida, leggermente
increspata e screpolata, ma comunque soffice. «La vita non è mai piatta.»
Lo vidi avvicinarsi ancora di più, i
nostri nasi quasi si toccarono. «Dici? Be’, a parte un semi divorzio alle
spalle, c’è qualcos’altro che potrebbe cambiarmi.»
Non capii perfettamente la prima
parte della frase, ma ignorai tutto semplicemente. «Cioè?»
«Questo.», sussurrò, e poco dopo le
sue labbra premettero sulle mie. Non c’era impeto, violenza o arroganza, ma
solo dolcezza. Quel bacio era diverso dagli altri che avevo mai provato,
qualcosa di totalmente diverso.
Le mani di Edward si legarono dietro
al mio collo, aumentando il contatto tra di noi. Il suo respiro mi accarezzava
le guance, il suo cuore palpitava veloce sotto la mia mano, le sue dita
accarezzavano la mia nuca.
In quel momento, il mio stomaco si
svuotò, le farfalle sparirono, il mio cuore prese a volare e sembrò voler
balzarmi fuori dal petto, la mia anima vacillò un attimo. Il profumo di Ed mi
invase i polmoni, lo percepii in bocca, sulla lingua, sulle sue labbra. Dei
brividi salirono lungo la schiena, dal basso fino a dove i polpastrelli dell’uomo
mi accarezzavano l’attaccatura dei capelli.
Poteva essere il gesto più sbagliato
al mondo, come quello più giusto, nessuno poteva dircelo. Dopo anni, finalmente
il mio petto si era alleggerito da quell’enorme peso che per tanto tempo mi
aveva fatto vivere nel peggiore dei modi; Edward l’aveva fatto sparire,
liberandomi.
Quando mi sporsi di più verso il
viso del ragazzo, una candela si spense e la fiamma ondeggiò per qualche
secondi prima di sparire; feci cadere il bicchiere colmo di vino, che cominciò
ad espanderli e colare su tutto il tavolo, scivolandoci addosso, ma a chi
importava?
Non a me, non in quel momento, e
probabilmente nemmeno a Ed.
«Non andartene.», mormorai sulle sue
labbra, vedendo che si stava per allontanare. Come risposta, mi trovai le sue
mani a cingermi i fianchi e mi fece sedere sulle sue ginocchia, senza porre
fine a quel contatto nemmeno per un secondo.
«Devo andare.», sussurrò poco dopo,
accarezzandomi i capelli. Dio, mi sentivo come un’adolescente. E se Evelyn ci
avesse scoperti così, al buio? Cosa avrebbe pensato? Era una bambina ma non
stupida, anzi.
«Per favore…», dissi, sfiorandogli
il naso. Scosse il capo, baciandomi di nuovo. «Non posso, Bella.»
Annuii e lasciai che si alzasse; mi
sistemai i vestiti stropicciati e raccolsi i capelli in una coda di cavallo.
Lui rimise a posto il nodo alla cravatta, continuando a sorridermi. I suoi
occhi mi sembrarono ancora più belli, quel sorriso ancora più amorevole.
Lo accompagnai fino davanti alla
porta, porgendogli poi la giacca. «Grazie.»
Corrucciò la fronte, fissandomi
stralunato. «Per cosa?»
«Per questo.» Mi alzai sulle punte
dei piedi per arrivare all’altezza delle sue labbra che catturai in un bacio.
Di nuovo percepii i brividi lungo la colonna vertebrale mentre la sua bocca si
modellava sulla mia, come se fossero fatte a posta per completarsi.
Si staccò per prendere fiato e
carezzarmi una guancia con il dorso della mano. «Per così poco.»
Sorrisi imbarazzata e gli presi la
mano fra le mie. «Allora… Ci vediamo domani.»
«Ovvio. A domani.», sussurrò e fece
per allontanarsi ma ci ripensò su. Posò entrambi i palmi a lato del mio viso e
baciarmi di nuovo, come se fosse l’ultima volta che potesse farlo. Appoggiai le
mie mani sulle sue dita cercando di fargli capire che non volevo che se ne
andasse, ma non potevo impedirglielo.
Si staccò e mi posò un bacio sulla
fronte. «Allora ci vediamo domani.»
«Certo… A domani.»
Lo guardai salire sull’auto, mettere
in moto e lo salutai quando abbassò il finestrino e mi rivolse un ultimo
sguardo amorevole.
Lo amavo, ne ero certa. Non avevo
bisogno di altro, se non della certezza che anche lui provava i miei stessi
sentimenti, non se lui mi aveva dato la sicurezza che c’era qualcosa nel suo
cuore, una sensazione uguale a quella che provavo io ogni volta che lo vedevo.
Quando chiusi la porta, trovai
davanti a me Evelyn che mi scrutava attenta.
«Che succede, amore?», sussurrai.
Lei non si mosse di un centimetro e sbatté velocemente le palpebre.
«Mamma, lui ti ama, è lui il tuo
principe azzurro.»
Angolo Autrice: Salve salvino, gente! Non ero sparita, ma si sa, gli utlimi due mesi di scuola sono abbastanza stressanti, e ne ho avuto la prova. Avete
presente quando la gente vi dice che il liceo è difficile e voi non
volete crederci? Io ho dovuto ricredermi, ecco perché sono sparita. Ma ora sono di nuovo qui, con un aggiornamento carino caruccio (spero). Il primo bacio, awwwww! Ammetto che ho ascoltato tantissime canzoni dolci e mielose, roba da diabete, insomma. Se
avete avuto un aumento della glicemia, di sicuro non è colpa mia, ma di
questi due u.u Ebbene sì, si amano, Edward si è buttato, che dolce awww. Comunque, il prossimo è l'ultimo capitolo ç____ç Di già, uff. Spero
di riuscire a scriverlo in una settimana o magari di meno, ora che sono
in vacanza muahaha Però devo anche aggiornare AITC, non me ne sono
dimenticata, tranquilli u.u Bom, è tutto... Spero vi sia piaciuto
questo capitolozzo qui :3 Aspetto le vostre recensioni, come sempre! E
scusatemi se aggiorno così sporadicamente. Un bacio, Giulia ♥
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