IL RAPIMENTO
Quando si
prende il vocabolario e si ricerca la parola noia, esso illustra la
seguente definizione generale:
Noia:
s. f. [prob. dal provenz. noja, enoja; v. noiare e annoiare]. Senso di
insoddisfazione, di fastidio, di tristezza, che proviene o dalla
mancanza di attività e dall’ozio o dal sentirsi
occupato in cosa monotona, contraria alla propria inclinazione, tale da
apparire inutile e vana.
Shikamaru Nara
ed Ino Yamanaka avevano un concetto di noia che li poneva a
180° l’uno dall’altra.
Praticamente
gli opposti.
Secondo il
ragazzo Nara, il crogiolarsi nella fannulloneria era un balsamo per il
suo spirito di pigrone patentato, che anelava alle vette più
alte della tranquillità, arricchita con quale nuvola in un
cielo sereno ed un prato profumato di erba appena tagliata.
Secondo la
ragazza Yamanaka, invece, oziare come se non ci fosse un domani
rientrava nella categoria di piaga dalla quale salvaguardare il mondo.
Lei era sempre in movimento, una trottola iperattiva, e, a dispetto del
suo fisico minuto e flessuoso, quando si muoveva non lo faceva di certo
con la leggerezza di una farfalla che si posa di fiore in fiore
agitando le sue ali fini e colorate.
No.
Lei possedeva
la stessa eleganza di un elefante in una cristalliera.
A volte
Shikamaru si chiedeva come facesse a non distruggere la loro casa con
la sua goffaggine. Ino era, per lui, paragonabile ad una
calamità naturale, una sciagura, una tribolazione. Eppure
quando lo guardava con i suoi occhi limpidi, regalandogli uno sguardo
di intima complicità sentiva lo stomaco annodarsi.
Quando gli
rivolgeva un sorriso radioso, un brivido freddo gli percorreva la
schiena.
Quando si
avvicinava con passo cadenzato, facendo ondeggiare la lunga coda e si
sporgeva fino a far mescolare i loro respiri, allora tutto il mondo
svaniva, come una bolla di sapone che un bambino fa esplodere
toccandone la superficie con un dito incauto.
Era
completamente perso, ma amava essersi fatto incastrare a quel modo da
una persona così tanto diversa da lui.
Quella sera
Shikamaru rientrò tardi dal lavoro, parcheggiò
l’auto nel vialetto di casa e, gettando un’occhiata
veloce al cielo, constatò che stesse per piovere. Una volta
infilata la chiave nella toppa della serratura ed entrato in casa,
tirò un lungo sospiro; le uniche due cose che voleva fare
erano una doccia e dormire.
Una cosa
però colpì le orecchie del padrone di casa, o
meglio non le colpì: c’era silenzio.
Shikamaru si
insospettì. Ino sarebbe già dovuta essere a casa
a quell’ora.
Salì
le scale a due a due, fino a giungere nella loro camera da letto.
La
trovò lì, distesa, con la luce
dell’abat-jour accesa che leggeva un libro, assorta. La
finestra era spalancata ed il vento, conseguente al maltempo, stava
facendo ondeggiare la tenda.
“Ah,
ma allora sei qui.”
A quelle
parole lei trasalì.
“Shikamaru,
mi hai spaventata! Si può sapere cosa ti dice il
cervello?” lo rimproverò tenendosi una mano sul
cuore.
“Io?
Piuttosto mi hai allarmato tu con l’assenza di rumori in giro
per casa.”
Lei
aggrottò le sopracciglia.
“Stai
dicendo che sono chiassosa?”
“No,
intendevo solo dire che quando sei a casa
si sente.”
Evidentemente
lei dovette interpretare quelle parole alla stregua di un “la
casa profuma di te”, perché smise di tamburellare
le dita sulla copertina del libro, addolcendo lo sguardo.
“Ah,
ok. Come è andata la giornata?“
Shikamaru si
strinse nelle spalle, allentando il nodo della cravatta.
“Al
solito, zeppa di cose da fare.” Replicò piatto.
Lei
ridacchiò.
“Caro
il mio stacanovista, il peso dell’economia mondiale
è tutto sulle tue fragili spalle! Il tuo regno per
un’amaca!” rise più forte.
“Vado
a farmi una doccia.” Tagliò corto lui, evitando di
risponderle con qualche frase sferzante. Non avrebbe certo rischiato di
guastarle il buonumore.
“E
non mi chiedi nemmeno se voglio unirmi a te?” lo riprese.
Lui
tornò sui propri passi, voltandosi.
“Vuoi
unirti a me?”
Lei
ghignò.
“Avrei
potuto, ma visto che non me l’hai chiesto... adesso
arrangiati.” Incrociò le braccia al petto, tirando
su il mento in una posa sdegnata.
“Che
seccatura…” mugugnò lui andando a
rifugiarsi sotto il getto d’acqua calda.
***
Quando
riemerse dal bagno, andò in camera a prendere dei vestiti
puliti per la notte. Ino era ancora sul letto, con le gambe contro il
torace, che faceva zapping con il telecomando. E sbuffava.
Brutto segno.
“Già
smesso di leggere?” le chiese.
Lei
scrollò le spalle.
“Sì,
altrimenti avrei finito tutto il libro e non ne ho di nuovi da
leggere.”
“Quindi
adesso ti diverti a fare impazzire la tv?”
Ino
inarcò un sopracciglio.
“C’è
altro di interessante da fare? No perché ci terrei ad avere
un tuo consiglio, visto quanto sei esperto di attività
ricreative.” Rispose sarcastica.
“In
realtà io…” avanzò cauto
quando lei lo fulminò con lo sguardo, arricciando le labbra.
“Ogni
lasciata è persa.”
Shikamaru
sospirò. Se non altro lui ci aveva provato, anche se la
prospettiva di una moglie che bandiva uno sciopero a singhiozzo del
sesso non lo entusiasmava. Avrebbe dovuto riguadagnarsi i suoi diritti
di marito con qualche bella pensata.
E lui, quanto
a pensate, si poteva dire che fosse un genio.
Ma non quella
sera.
Sì
vestì e si lasciò cadere sul letto supino,
rilassandosi. Aveva davvero avuto una giornata pesante.
Ino nel
frattempo continuava imperterrita a cercare qualcosa nelle centinaia di
canali satellitari.
“Shika,
mi annoio.”
Tre parole,
una condanna.
Quando Ino si
annoiava, questo non portava mai a nulla di buono, e solitamente era
lui a pagarne le conseguenze. Decise quindi di non darle corda, ma di
voltarsi sul fianco e chiudere gli occhi.
Lei si
imbatté infine in un programma di attualità, il
cui argomento principe della serata era il sequestro di persona. Lo
speaker stava illustrando l’incidenza dei casi di rapimento
nel loro paese e nel mondo.
La donna
cominciò ad ascoltare, interessata.
“Nel
2007, il paese che ha portato il più alto rischio per il
rapimento era l’Iraq, mentre nel 2009 il Los Angeles Times ha
dichiarato la città di Phoenix, Arizona, come la capitale
del rapimento, superata nel 2010 da Città del Messico. Paesi
con più casi di rapimento per riscatto erano Colombia,
Libano, Perù e Filippine.”
“Shika,
hai sentito? È davvero terribile!”
Spense la tv
con un gesto secco, voltandosi a guardare suo marito che,
constatò con disappunto, già sonnecchiava.
Come si
permetteva di ignorarla? Con un’espressione poco
raccomandabile sul viso, lo scosse.
“Di
un po’, tu cosa faresti se dovessero rapirmi?”
L’uomo
si scosse dal torpore.
“Come?”
“Cosa
faresti se dovessero rapirmi?” ripeté seccata.
Shikamaru
spalancò gli occhi.
Quella era una
domanda trabocchetto, ci avrebbe giurato.
E qualsiasi
risposta le avrebbe dato, probabilmente non si sarebbe salvato dai guai.
“Chiamerei
la polizia.”
Lei scosse il
capo e lui comprese di aver appena bruciato la sua
possibilità numero uno.
“Loro
ti dicono che non vogliono che tu avverta polizia. Centoventisette
milioni e trecentotrentacinquemila yen entro quarantotto ore, cosa
fai?”
“Come
faccio a farmi dare una somma così elevata in banca se non
avverto le forze dell’ordine prima?”
obiettò.
“Ma
loro non vogliono. Ti minacciano, che so, di mandarti un mio orecchio
in una scatola.”
Shikamaru
levò gli occhi al cielo.
“Assumo
un investigatore privato, il migliore su piazza, e ti faccio
rintracciare.”
“Decisamente
no.”
Ipotesi due
bruciata.
“Metto
insieme i risparmi e poi accendo un mutuo.”
Ritentò.
“Poco
fattibile.” Rispose lei annoiata.
La lista delle
soluzioni logiche e plausibili si stava pericolosamente assottigliando.
“Allora
faccio una colletta con i soldi di tutti e poi vengo a
riprenderti.”
“Tu
pensi che qualcuno metterebbe i soldi di tasca sua? E poi quale parte
del ‘non avvertire nessuno’ non hai
capito?” si puntellò i fianchi con le mani,
sdegnata.
Bene, se le
risposte razionali non la soddisfacevano, allora non gli restava che
cominciare con quelle impossibili.
“Rapinerei
la banca.”
Ino si
bloccò, immaginando il volto di suo marito coperto da un
passamontagna, che intimava con voce seria di riempire una valigia di
soldi. Rise, guardandolo quasi con compatimento.
“Certo,
come no, così ti faresti arrestare ed io sarei
spacciata.”
“Avanti
Ino, questa domanda è inutile!” esclamò
stufo.
Per tutta
risposta si beccò un’occhiata decisamente
inceneritrice e parole sibilate a denti stretti.
“Che
significa, che non ti interesserebbe minimamente se mi
rapissero?”
Ma
perché quella donna era così insistente? Come
faceva a trovare ogni possibile modo per tediarlo? Shikamaru, ormai a
corto di genialità, optò per una classica e
sempre appropriata ritirata strategica, visto che la conversazione
stava decisamente degenerando.
“Mi
è appena tornato in mente che ho un’importante
telefonata da fare, giusto un minuto, torno subito.”
Afferrò
il cellulare precipitandosi per le scale, mentre la voce di Ino lo
incalzava.
“Te
la stai elegantemente squagliando, coniglio! Vieni qui che ti apro
quella testaccia vuota in due!”
Shikamaru non
le badò, e si chiuse a chiave nello studio, tirando un
profondo sospiro.
Mancava poco
alla trasformazione di Ino nella versione femminile di Jack Torrance e
di certo la mossa seguente sarebbe stata quella di inseguirlo, come
nella famosissima scena di Shining, con l’accetta in mano,
spaccando poi la porta in mille pezzi.
In effetti lo
sguardo assassino di sua moglie ricordava molto Jack Nicholson, per sua
somma sfortuna. Ma questo era meglio non farglielo presente.
Shikamaru,
cellulare alla mano, cominciò a scorrere la sua lista di
contatti.
Avrebbe certo
potuto escogitare qualcosa di meglio per rabbonirla, ma era troppo
stanco e non aveva nemmeno la forza di pensare. E, a quanto sembrava,
gli era stato precluso anche il dormire. E lui desiderava tanto dormire!
Però,
in quel caso di palese isteria ingiustificata, occorreva di certo
l’aiuto di qualche benevola forza esterna, e chi meglio dei
suoi amici avrebbe potuto dargli una mano? Magari a qualcuno di loro
era già capitato di avere a che fare con la fase:
“Cosa faresti se mi rapissero.”
“Potrei
chiamare Choji, lui ha sempre qualche buon suggerimento da
darmi…” rifletté Shikamaru.
Guardò poi l’orologio, che segnava le 22 passate.
No, Choji probabilmente stava riposando e non aveva intenzione di
disturbarlo, sapendo che l’indomani sarebbe dovuto andare
presto al lavoro.
“No,
andiamo avanti. Vediamo…Shino.”
Con Shino non
aveva mai avuto un rapporto molto confidenziale, non gli sembrava certo
il caso di chiedere consiglio per una cosa del genere.
A dire la
verità non era nemmeno certo di come l’Aburame
avrebbe potuto prendere la sua telefonata: tanto avrebbe potuto
regalargli qualche perla di saggezza, tanto avrebbe potuto infilargli
uno scarabeo nella maglietta alla prossima rimpatriata.
Nell’incertezza, meglio lasciar perdere.
“Naruto.
A quest’ora sarà in casa e, se non lui, almeno
Hinata potrebbe aiutarmi a venire a capo
dell’arcano…” stava per cliccare il
tasto verde di chiamata, quando qualcosa scattò nella sua
testa, una specie di campanello d’allarme.
Naruto non
brillava certo per perspicacia, era invece abbastanza ingenuo, e
avrebbe fatto il diavolo a quattro qualora lui avesse chiesto di
parlare con la Hyuuga. Constatò che, una volta rivelata la
vera causa della telefonata, come suo solito non avrebbe capito un
beneamato niente, anzi, avrebbe allarmato tutti cominciando a
comportarsi da forsennato, terrorizzando anche Hinata con un:
“Hanno rapito Ino!”.
Decisamente da
escludere.
“Sasuke…”
storse il naso pensando al ghigno malefico che gli si sarebbe stampato
sul viso se l’avesse chiamato. L’Uchiha avrebbe
risposto e poi gli avrebbe di certo rifilato tutta una serie di epiteti
poco gradevoli per averlo disturbato per qualcosa di così
stupido, raccomandandogli anche di tenere a bada Ino, o peggio: gli
avrebbe detto che se si fossero messi insieme, questi episodi con lui
non sarebbero mai accaduti.
Al solo
pensiero lo stomaco di Shikamaru si annodò.
Ma lui non era
minimamente geloso, la gelosia era una seccatura, ed anche quei
pensieri che stava facendo erano molto seccanti.
“Per
quello lì poi avrei la cura perfetta: proporre a Sakura la
stessa domanda di Ino e poi sedermi, popcorn pronti, e godermi lo
spettacolo epocale di Sasuke spiaccicato al suolo.”
Quell’ipotesi
parve rincuorarlo, ma la scacciò, non era di certo il
momento di comportarsi da bambino immaturo e capriccioso. Lui non era
così. Doveva essere l’influenza di Ino, si disse.
“Neji.
No, mi manderebbe a quel paese e poi, al prossimo incontro, non
mancherebbe di lanciarmi frecciatine.”
Rifletté
anche sul fatto che Sasuke e Neji sembravano separati alla nascita, per
certi atteggiamenti che avevano in comune, tipo l’aver
ingoiato la stessa mazza di scopa.
Shikamaru si
sentiva molto scoraggiato, la lista si andava esaurendo.
Lee.
Lee avrebbe
proposto di riconquistare l’amore di Ino con una
romanticissima sfida a morra cinese, o un singolar tenzone con Sasuke
(ma anche Sai andava bene).
Da evitare.
Quanto a Sai,
non era molto ferrato quando si trattava di rapporti sociali e di
coppia. Probabilmente gli avrebbe consigliato qualche libro, o la
rubrica del cuore di un giornale da signora annoiata sotto
l’ombrellone.
Bocciato in
pieno.
Kiba.
Kiba forse si
sarebbe rivelato la scelta peggiore.
Prima di tutto
lo avrebbe rimproverato per averlo interrotto nel bel mezzo di qualche
appuntamento galante con le sue richieste cretine, poi, dopo aver
realizzato il quesito, l’avrebbe preso in giro senza
pietà, condendo il tutto con le sue risa sguaiate. Per
concludere, l’avrebbe umiliato citandogli Tolkien, tra una
risata e l’altra: “Un anello per ghermirli e nel
buio incatenarli!”.
“Certo
che ho davvero degli amici d’oro!”
pronunciò Shikamaru, sconsolato.
L’unica
alternativa, se voleva una risposta seria, rimaneva quindi Choji.
Guardò
il telefono più annoiato che mai, ma questo, prese a
squillare: miracolosamente era lui. Un po’ di fortuna
finalmente arrivava dalla sua.
“Pronto…”
“Ehi
amico, come stai? Non ci si sente da un po’!”
esclamò gioviale.
“Sì,
stavo appunto pensando di chiamarti, ma non ero sicuro che fossi
sveglio.”
“Ah,
domani devo andare al lavoro più tardi, quindi ho
approfittato di questo momento di pausa per chiamarti. Ma dimmi,
è successo qualcosa? Perché hai un tono di voce
dell’oltretomba, più stanco e stufo rispetto al
solito.”
“Hai
perfettamente colto nel segno. Vedi, Ino oggi ha deciso di scocciarmi
con una domanda che più stupida non poteva trovarla nemmeno
con il campanello: vuole sapere cosa farei in caso di suo
rapimento.”
“E
tu che le hai detto?”
Shikamaru
elencò le varie risposte, e Choji scoppiò in una
fragorosa risata.
“Tu
sei davvero un caso disperato!”
“Come?
Perché?”
“Davvero,
non so come tu abbia fatto a sposarti!”
Shikamaru
inarcò un sopracciglio.
“Illuminami
con la tua saggezza.”
“Ino
vuole solo essere rassicurata. Vuole che tu le dica che per lei faresti
qualsiasi pazzia, che ti preoccupi e le sarai sempre vicino.”
Batté
le palpebre, stranito.
“Ma
tutto questo non ha senso! Insomma, ci siamo sposati.”
“Lei
vuole solo che tu glielo ripeta, fine. Viviamo in un mondo tanto
frenetico, che non lascia spazio al tempo da dedicare alle persone che
amiamo, così, quando siamo con loro, è cosa buona
rassicurarle sui propri sentimenti.”
“Donne…”
mormorò Shikamaru.
“Quindi
adesso torna da lei e diglielo.” Ordinò perentorio.
“Sissignore.”
Replicò senza molto entusiasmo l’altro.
“E
per favore, non tenere su quella tua solita aria annoiata, mostrale un
po’ di vivacità!”
“Ci
proverò, sperando che dopo mi faccia dormire.”
Choji rise di
nuovo.
“Ora
ti saluto, fammi sapere come è andata.”
“Va
bene, grazie.”
“Di
niente, alla prossima!”
Una volta
terminata la chiamata, Shikamaru si stiracchiò e si
massaggiò la nuca. Guardò fuori e vide che ormai
aveva smesso di piovere e c’era una bella notte stellata.
Aprì la porta e tornò su da sua moglie.
***
Ino se ne
stava seduta al centro del letto, imbronciata. Picchiettava il
telecomando nel palmo della mano.
“Ah,
finalmente ti sei degnato di tornare. Ti consiglio però, di
prendere il cuscino e tornartene da dove sei venuto.”
Sentenziò lei.
“Se
dovessero rapirti, non saprei cosa fare.” Esordì
lui senza giri di parole.
Lei mise da
parte la sua aria combattiva, colta in contropiede, e gli fece cenno di
continuare.
“Probabilmente
impazzirei al solo pensiero che potessero farti del male, ed ogni
buonsenso andrebbe a farsi benedire. Farei sicuramente qualsiasi cosa,
nonostante tu sia la donna più querula e scocciante
esistente sulla faccia della Terra.”
Ino scosse la
testa, stavolta sorridendo.
“Quindi
diciamo che ti preoccuperesti.”
Picchiettò
sul materasso invitandolo a sedersi vicino a lei.
“Molto.”
“Niente
collette salviamo Ino o altro?”
“No.
Non permetterei che ti rapissero e basta. Con una buona dose di
certezza mi farei ammazzare per difenderti.”
“Ma
che dici, devi venirmi a salvare, come nei migliori film!”
sorrise contenta.
“E
poi cavalcheremo insieme su una spiaggia con il tramonto a fare da
sfondo al momento idilliaco?” domandò lui.
“Certo,
mi sembra il minimo.” Asserì lei. Poi si
allungò, fino a cingergli il collo con le sue braccia,
stringendosi al petto di suo marito, che le circondò le
spalle in un gesto rassicurante.
“Scusa
se ti ho aggredito.”
Lui fece
spallucce.
“Vedi,
io a questo punto non mi preoccuperei troppo. Sei talmente seccante che
dopo ventiquattro ore i rapitori ti riporterebbero a casa, e darebbero
loro dei soldi a me per sopportarti.”
“Povero
martire Nara! Mi raccomando, fatti scucire il doppio della somma. Noi di sicuro non valiamo
così poco.” Disse lei scostandosi e guardandolo
negli occhi.
“Ovvio.”
Rispose veloce. Poi si fermò.
Aveva sentito
bene? Ino aveva appena detto
noi?
“Aspetta.
Noi?”
“La
dottoressa me l’aveva detto che avrei cominciato ad avere gli
ormoni in subbuglio…” brontolò lei,
rivolgendogli poi uno sguardo felice. “Eh già, ora
come ora avresti ben due persone da salvare. Che seccatura,
vero?”
Il suo viso si
illuminò e le regalò la sua espressione
più felice. Finalmente capiva la vera ragione delle paure di
sua moglie: il diventare genitori era un’impresa ardua e
c’era sempre il timore di essere impreparati, di non essere
all’altezza. Lei aveva bisogno del suo supporto e aveva
bisogno di sapere che sarebbe stato al suo fianco.
Allungò
la mano coprendo la pancia di Ino.
“Ciao,
tu che prospetti essere la più grande seccatura della mia
vita dopo tua madre.”
“Non
è un nome troppo lungo per un bambino?”
ridacchiò Ino.
“Tu
dici? Mi sa che dobbiamo trovare un diminutivo…”
“E
questo è solo l’inizio…” fece
lei prima di sporgersi verso suo marito e baciarlo dolcemente. Lui si
distese supino continuando a stringerla, schiacciando il telecomando
che lei aveva precedentemente abbandonato.
Il canale
passò su un’emittente musicale che in quel momento
stava trasmettendo il ritornello di una vecchia canzone.
All
I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
[Tutto ciò che ho sempre voluto/ Tutto
ciò di cui ho sempre avuto bisogno/ È qui nelle
mie braccia]
Shikamaru
sorrise contro le labbra di Ino. Non poteva fare altro che concordare.
Quanto a
Choji, l’avrebbe sicuramente richiamato il giorno dopo, ma
qualcosa in cuor suo gli diceva che ormai sapeva già tutto.
***
Lo so, dovrei
smetterla di assecondare le voci nella mia testa che dicono:
“Continua a scrivere ShikaIno stupide e fluffose, vile
marrana!”.
Purtroppo loro
sono numerose e non posso ribellarmi, abbiate pietà!
Dunque,
passiamo alle note del caso: centoventisette milioni e
trecentotrentacinquemila yen corrispondono ad un milione di euro,
mentre il ritornello finale è di Enjoy the silence, dei
Depeche Mode.
Bene, adesso
vi saluto e spero che l’ennesimo parto di Jo & Le
Voci vi sia piaciuto.
Alla prossima
puntata!
Nota postuma:
Avevo postato questa shot oggi pomeriggio, ma siccome il sito mi dava
problemi con la visualizzazione (mi saltava dei pezzi non so per quale
oscuro motivo), l’ho cancellata e l’ho ripostata
adesso. Chiedo venia!
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