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L’Ape
Emma
rientrò sbattendo la porta del suo appartamento con un colpo
sonoro.
‘Finalmente
a casa’ pensò.
Aveva passato
una giornata terribile. Lo aveva capito da subito quella mattina, da
quando si svegliò quasi un’ora in ritardo perché la
sveglia non aveva suonato.
Ovviamente
questo piccolo intoppo le fece perdere il treno che l’avrebbe
portata al lavoro, ma soprattutto le costò una vigorosa
strigliata da parte del suo capo per un ritardo così
clamoroso. Per tutta la giornata ebbe una quantità esagerata
di pratiche da sbrigare, indiscussa punizione proveniente dall’alto
del suo superiore, tanto che quasi non riuscì a perdere anche
il treno del ritorno.
Ma gli
imprevisti non erano ancora finiti per quella giornata, così
che la sua auto, fedele quanto scassato mezzo di trasporto, decise
allora di lasciarla a piedi. Emma dovette quindi, suo malgrado,
tornare a casa a piedi: una deliziosa passeggiata di oltre mezz’ora
sotto una pioggerellina che, ben presto, si trasformò in un
vero e proprio acquazzone.
Ed ora eccola
qui, bagnata fradicia, appoggiata al portone come se le sue gambe da
sole non fossero in grado di reggerla. Aveva lo sguardo un po’
appannato, distante, lo sguardo di chi non desidera altro se non
riposare. Lasciò cadere la borsa intrisa di pioggia sul
pavimento e si diresse verso il divano. Al contrario del solito,
questa volta non le importava affatto di bagnarlo o di macchiarlo: in
quel momento voleva solo sedersi.
Non riusciva a
smettere di pensare a tutto ciò che le era successo in quelle
ore, a partire dalla sua amata sveglia a forma di orsetto. ‘Quella
maledetta sveglia, domani giuro che vado a comprarne una nuova…’.
Non c’era dubbio, quella giornata andava assolutamente dimenticata.
E lei sapeva anche come fare.
Allungandosi
verso il tavolino del salotto, prese in mano il telecomando dello
stereo, con il quale accese l’apparecchio a tutto volume sulla sua
canzone preferita dei Linkin Park. Chiuse gli occhi per concentrarsi
sulla musica e non pensare a nient’altro e così, a poco a
poco, sentì tutti i muscoli ancora irrigiditi distendersi,
come sotto l’effetto di un massaggio. Anche quel fastidioso pulsare
alle tempie, in cui si era tradotto tutto lo stress della giornata,
stava lentamente scomparendo.
Ma proprio
mentre si stava totalmente abbandonando in quella melodia così
familiare, sentì un rumore passarle accanto all’orecchio
destro. Sembrava un ronzio, come quello prodotto dal volo di una
mosca. Ed invece era un’ape. Se ne accorse quando le passò
sfacciatamente di fronte, svolazzando tranquilla intorno al mazzo di
fiori posto in bella vista sul tavolino. ‘Accidenti, ci mancava
anche questa!’ fu la sua reazione.
La rabbia che
fino a pochi minuti prima sentiva premerle in fondo allo stomaco le
ritornò in un baleno, così come il fastidioso pulsare
alle tempie. Doveva essere entrata dalla finestra semi aperta, e
doveva essere eliminata al più presto. Così, stizzita,
si alzò di scatto dal divano, con l’intenzione di cacciare,
con le buone o con le cattive, quella piccola intrusa disturbatrice.
Prese uno
straccio dalla cucina e cominciò ad agitarlo in tutte le
direzioni, nel tentativo di indirizzarla nuovamente verso la finestra
e farla uscire. Ma dal momento che quella non aveva la minima
intenzione di andarsene, e tanto meno di farsi uccidere con un
canovaccio, la caccia, dopo una serie di colpi spietati su ogni
superficie della stanza, finì con un clamoroso uno a zero per
l’ape.
Allora Emma,
ancora più stremata di prima, si buttò sul divano priva
di forze. Non aveva rinunciato alla caccia, per lei era semplicemente
un time-out. Ma, proprio nel momento in cui stava per rialzarsi, i
suoi pensieri apicidi furono interrotti dal suono del campanello.
Istintivamente
si alzò per andare ad aprire, pensando a chi potesse essere a
quell’ora insolita. ‘Strano, non ricevo mai visite dopo le 6…’.
Guardò dallo spioncino ma, non riconoscendo la persona
dall’altro lato della porta, la aprì per chiedere cosa
desiderasse quello sconosciuto visitatore.
-“Buona
sera, posso fare qualcosa per lei?”-. E mentre pronunciava quella
frase di cortesia, le venne in mente chi era l’uomo di fronte a sé.
Lo riconobbe dallo sguardo: due occhi vispi ed azzurrissimi, gli
stessi di molto tempo prima.
Quell’uomo
era suo padre.
Senza pensarci
due volte, entrambi, si abbracciarono forte, un abbraccio che aveva
atteso quindici anni prima di poter essere finalmente celebrato, in
circostanze di cui, sinceramente, non importava nulla a nessuno dei
due. Aspettavano solo che accadesse.
E con
quell’abbraccio furono istantaneamente cancellati quindici anni di
incomprensioni, dissapori, silenzi dolorosi. Da quando Emma, dopo un
litigio amaro con suo padre, era andata via di casa e si era
trasferita in un’altra città, in cerca di un lavoro che
potesse donarle una nuova vita. Da allora non avevano più
avuto notizie l’uno dell’altra, entrambi per un orgoglio ostinato
che li rendeva in fondo così simili.
Ma tutto
questo ormai non importava più. Ora che il tempo aveva
cancellato con un colpo di spugna tutti gli equivoci del passato,
potevano finalmente ritrovare una strada insieme, mano nella mano,
dopo anni di patita solitudine. E lo stavano già facendo.
Emma invitò
il padre a restare a cena, per quella sera: ordinarono una pizza da
asporto, chiacchierarono, guardarono vecchie foto, e le ore passarono
tranquille e liete fino a quando, a mezzanotte inoltrata, si
salutarono con la promessa di un nuovo incontro l’indomani stesso.
Questa volta non era un addio, bensì un ‘arrivederci a
domani’, un saluto più che normale tra padre e figlia, ma
che veniva pronunciato da loro per la prima volta nella vita.
Quando Emma
chiuse la porta, prima di rassettare un poco il salotto, si guardò
intorno in cerca di un qualcosa lasciato in sospeso qualche ora
prima. Ma l’ape era sparita. Effettivamente la ragazza non
ricordava di averla ancora sentita ronzare, né di averla vista
uscire dalla finestra. Semplicemente, dopo l’entrata di suo padre,
dell’ape non ne era rimasta traccia.
Solo in quel
momento, pensando all’insolita coincidenza, Emma si ricordò
di una cosa: un articolo che aveva letto qualche giorno prima in una
rivista.
Era
un articolo che parlava di tutte le antiche superstizioni riguardo
alle api. In particolare, tra le altre dicerie, veniva spiegato che,
se un’ape entra in salotto attraverso la finestra, essa porta con
sé la visita di una persona. E questa visita per lei era stata
particolarmente gradita.
La ragazza
rimuginò per un attimo sulle cose che ricordava, indecisa se
considerarle possibili o solo una lista di assurdità. Alla
fine, prima di andare a letto, giunse alla conclusione che,
coincidenza o no, la sua vita stava prendendo una svolta e, tutto
sommato, non le dispiaceva l’idea di darne il merito ad un’ape.
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