UNDER PRESSURE: IL RESTO NON CONTA
“Vi ho detto che posso tranquillamente disinfettarmi da sola,
sono solo ferite superficiali, cristo santo!”
sbottò Temari all’indirizzo delle due infermiere
che la stavano medicando delicatamente. Le due ragazze si stopparono
intimidite, ma lo sguardo di Gaara bastò per permettere loro
di proseguire quanto stavano facendo.
“Smettila, Temari, e risparmia il fiato. Hai subito delle
percosse che difficilmente una kunoichi meno allenata di te avrebbe
potuto sopportare, e sei viva per miracolo. Quindi per cortesia
lasciati curare come si deve.”
Temari sbuffò, soffocando un gemito di dolore quando una
delle due le toccò con più fermezza il livido
sull’occhio.
“Ahia! Cazzo, fa male!” borbottò irata,
dimentica delle parole appena pronunciate due minuti fa.
Gaara scosse la testa, sedendosi accanto a lei stancamente.
C’era mancato poco, questa volta. Maledettamente poco. Se
l’avessero uccisa, a quest’ ora senza alcun dubbio
avrebbe dato ordine di radere al suono Konoha. Un ordine maledettamente
realistico, visti i tempi di guerra.
Kankuro entrò nella stanza in abiti normali, gettando a
terra la sua divisa d’ordinanza, pulendosi rapidamente i
segni rossi sulle guance. Diede un’occhiata a Temari,
sorridendole.
“Ammazza nii-chan, sembri un incrocio tra uno spaventapasseri
e una mummia sanguinante…”
Lei lo fulminò con l’unico occhio che riusciva a
tenere aperto, viste le pietose condizioni dell’altro,
talmente gonfio e pesto che era stato prontamente coperto con bende
bianche.
“Piantale di fare dello spirito, Kankuro. Non ci metto nulla
a darti un pugno anche in queste condizioni, sia ben
chiaro…”
“Non ne ho dubbi, sorellina…” le disse
lui tra l’ammirato e lo stupito.
Sua sorella aveva la scorza dura. Era sopravvissuta a una tortura
mostruosa, e addirittura senza danni permanenti. Scorza dura, oltre che
la giusta dose di fortuna.
Gaara sospirò ancora, e con un cenno fece uscire le
infermiere, zelanti e timorose. Rimasti soli, i tre fratelli si
guardarono a lungo. Finalmente, Kankuro parlò.
“Allora, adesso puoi dirlo. Come hai fatto a scappare?
Nessuno, e dico nessuno, è mai riuscito a evadere dalla
sorveglianza degli anbu di Konoha. Ti ho trovata in mezzo alla foresta
da sola. Cosa significa, Temari?”
Lo sguardo della kunoichi si fece lucido, e chinò il capo
mordendosi forte il labbro. Non voleva pensare a lui, adesso. Non
ancora, non voleva ancora soffrire e ricordare…
“Che diavolo vuoi fare? Liberarmi?”
Shikamaru annuì distrattamente
“Rapida come al solito nei ragionamenti
è?!” la schernì, accarezzandole i
capelli sporchi.
“E perché?” gli chiese lei, ondeggiando
i polsi tumefatti.
“Perché ?” gli chiese ancora, irritata
dall’espressione teneramente scocciata di lui.
“Perché ti amo Temari” le
rispose, uscendo dalla stanza
Temari scosse la testa. Merda. Non ancora, non doveva richiamarlo alla
mente.
Non ce la posso fare. Non sono in condizioni per ricordarmi di
te,
cry-baby, non posso…
Come sempre, la voce tranquilla ma ferma di Gaara la riscosse dal suo
torpore.
“Temari…Konoha è sorvegliata giorno e
notte dalle squadre speciali. Ti avrebbero scoperta, è
naturale. A meno che…”
Temari lo fissò. Dannazione alla maledetta perspicacia di
Gaara. Lui proseguì, gli occhi cerulei improvvisamente
socchiusi.
“…A meno che non sia stato qualcuno ad aiutarti a
fuggire. A farti scappare deliberatamente, facendo in modo che gli
altri credessero che ti avrebbe uccisa. Non è
così? E chi se non una persona avrebbe potuto fare una cosa
del genere?”
Temari voltò la testa, perché sapeva
perfettamente che al momento era del tutto vulnerabile, un libro
aperto. Incapace di fingere e negare. Con la coda dell’unico
occhio sano vide Kankuro rabbuiarsi.
“Shikamaru Nara…Avrei dovuto
capirlo…Quel tipo in un modo o nell’altro sa
sempre come interferire tutt’oggi nelle nostre vite. Lo
faceva anni fa. E tutt’ora continua a
farlo…”
Gaara lo interruppe, sempre con il solito cenno. Bastava che alzasse la
mano per ricordare che era lui, adesso, ad avere il comando. A decidere
chi e quando dovesse parlare.
“Perché lo ha fatto, Temari?”
Lei non rispose, lo sguardo ostinatamente fisso sulla parete bianca.
Sentì mormorii pensierosi di Kankuro.
“Possibile…Possibile che dopo quello che gli
abbiamo fatto, dopo come l’abbiamo conciato, dopo la
disgregazione dell’alleanza tra Suna e Konoha e tutti e gli
anni trascorsi…Possibile che la ami ancora?”
Nessuno fiatò.
Temari si girò lentamente, mettendosi a sedere con fatica,
attenta a non premere sulle numerose ecchimosi che aveva sul corpo. La
sua voce giunse rabbiosa e ostile, lasciando di stucco entrambi i
fratelli.
“Non parlate più di Shikamaru. Questo non
è affare vostro, così come non lo sono le vostre
domande. Lasciatemi da sola. L’importante è che
adesso sia qui. E la guerra prosegue, inutile perdersi in chiacchiere
inutili.”
Si rimise sdraiata nel letto, per l’ennesima volta girando la
testa, che pulsava.
Oh sì, mi ama ancora. E io lo amo esattamente come
il primo
giorno. Sei tornato ad essere il mio fantasma, Shikamaru. Cazzo.
“Tu mi devi dire il perché!!!Io ho il diritto di
sapere il perché, ne ho il diritto, dannazione!”
Le urla sconnesse e disperate di Ino non sembravano sortire alcun
effetto su Shikamaru, che sedeva silenzioso su una scomoda sedia di
legno, lo sguardo assente, la sigaretta che pendeva dalla labbra, ormai
quasi finita.
Ino gli si inginocchiò di fronte, ansante, e
scoppiò in lacrime accucciando la testa sul suo grembo.
Shikamaru parve destarsi all’improvviso, come se solo allora
si fosse accorto della testa bionda che gli premeva sul torace.
Ma, a ben pensarci, non sentiva nulla. Non avrebbe sentito nulla
nemmeno se qualcuno gli avesse conficcato un kunai alle spalle.
Ino continuava a piangere. Esaurite le lacrime, ricominciarono i
lamenti, stavolta sussurrati, stavolta rabbiosi, pieni di
incredulità.
“Perché non l’hai uccisa? Hai mentito a
me, hai mentito a Choji, hai disobbedito ad ordini ricevuti
dall’alto…Tutto per quella maledetta puttana di
Suna, ti rendi conto?! Ma perché l’hai lasciata
andare, Shika, perché?!”
Lui non rispose. Non le sfiorò i capelli per consolarla, non
proferì le parole dolci e confortanti che Ino avrebbe
disperatamente voluto sentirsi dire. Shikamaru, semplicemente, rimase
immobile, lo sguardo perso ancora nel vuoto, la sigaretta ridotta a un
moncherino.
Ino alzò lo sguardo, tirando su col naso. Letteralmente
terrorizzata. Quando Shikamaru era così apatico vi era
solamente un motivo. E non presagiva nulla di buono.
Si scostò, e subito lui ne approfittò per
alzarsi, e lentamente appoggiarsi alla parete. La guardava tristemente
ora. Dio, si sarebbe potuto dire che la compativa.
“Cosa vuoi che ti dica, Ino.” La voce di Shikamaru
giunse amara, perfettamente in tema con il suo stato d’animo.
Ino si morse un labbro, fronteggiandolo, cercando gli occhi che erano
invece fissi verso il basso.
“Dovresti dirmi molte cose, Shikamaru. Mi accontento
però di saperne una. La ami ancora?”
Lui finalmente trasalì, guardandola negli occhi. Eccola, la
domanda che aspettava. La domanda che si era costantemente rifiutato
anche solo di considerare, di pensare lontanamente che lo riguardasse
tuttora.
Guardò Ino. Per un attimo la contemplò, e
pensò che avrebbe potuto mentirle, che in fondo farla
soffrire non avrebbe avuto senso.
Ma poi bastò un flash che gli colpì senza alcuna
pietà la mente. Una immagine anche abbastanza confusa, poco
chiara: dei capelli stopposi e scarmigliati che gli ricadevano sul
petto, le gambe lisce e tornite che si intrecciavano con le sue, gli
occhi blu socchiusi, e un buffo sorriso sulla bocca sottile e ben
disegnata. Temari.
L’ultimo ricordo di lui e Temari insieme, ormai risalente ad
anni lontani, quando ancora erano felici, quando ancora la guerra non
aveva mandato tutto a puttane. E poi, subito dopo, un ricordo
più vivido, più recente.
Il loro ultimo, disperato bacio, risalente solo a tre giorni fa. Un
bacio che doveva essere un definitivo addio, e che invece ancora una
volta gli aveva fatto capire che non era in grado di mentire tanto a
lungo.
Poteva essere un genio, Shikamaru. Un brillante stratega, una persona
ragionevole e decisa quando era il momento giusto. Ma con Temari, tutte
le sue convinzioni e le sue razionalizzazioni andavano
letteralmente a farsi fottere.
Gettò il mozzicone di sigaretta, e guardò il bel
volto di Ino, ansioso. Inconsapevolmente già conscio della
risposta.
“Si, Ino. Io l’amo ancora. E
l’amerò sempre.”
Temari giaceva nel letto ormai da quattro giorni ma era ancora
dolorante, in stato di semi incoscienza, incapace di addormentarsi sul
serio per le numerosi escoriazioni che aveva nei punti più
delicati del corpo. Si toccò l’occhio, adesso
senza bende, sempre gonfio ma almeno mobile. Sì, riusciva ad
aprirlo. Anche il labbro era quasi tornato a posto, e lo stesso il
naso. Certo, evitava di guardarsi allo specchio, questo
perché non avrebbe potuto sopportare il volto conciato il
quel modo. E non certo per vanità.
Quelle ferite erano portatrici, per l’ennesima volta, di
ricordi dolorosi. E soprattutto troppo, troppo recenti.
Percepì improvvisamente le voci dei suoi fratelli che
parlavano dietro la sua porta: probabile che pensavano stesse dormendo,
visto che non si curavano di non farsi udire. La voce squillante ed
energica di Kankuro si alternava a quella più composta e
ovattata di Gaara.
“Orochimaru e i suoi del Suono vogliono attaccare
direttamente Konoha…L’ennesimo tentativo di
raderla al suolo…”
“E tu cosa hai intenzione di fare, Gaara?”
“Non lo so…Le nostre forze sono debilitate, molti
dei migliori jonin sono ancora in infermeria…Non voglio
andare incontro a un suicidio. E inizio ad essere abbastanza stufo
delle manie megalomani di quel pazzo scriteriato.”
“Dici che…Dici che forse dovremmo rompere
l’alleanza?”
Temari sentì Gaara sospirare rumorosamente.
“Non lo so, Kankuro. Al momento, ti assicuro, non so
più nulla…”
“E per Temari? Non pensi che sia il caso di impedirle di
combattere ancora nei tempi a venire, soprattutto con Shikamaru di
mezzo? Non credi che sarebbe un rischio troppo grande mandarla a Konoha
un’altra volta?”
La ragazza trattenne il fiato, aspettando la riposta del fratello
minore, che arrivò secca e dura come un colpo di frusta.
“Ci ho già pensato. Farò in modo che
non si allontani da Suna. Non lascerà il villaggio per
nessuna ragione al mondo, questo è poco ma sicuro.”
Temari strinse forte il lenzuolo, digrignando i denti.
Potete scordarvelo.
Choji fissava sconsolato Shikamaru, intento a indossare il suo
giubbotto da jonin e a legarsi i capelli nella sua solita coda alta.
Era girato di spalle, ma ciononostante poteva percepire gli occhi
tristi e buoni dell’amico che lo guardavano, in una muta
preghiera.
“Hai veramente deciso, Shikamaru?” la voce di Choji
uscì malinconica e mesta.
“Devo, Choji. Non posso restare qui, adesso, sto rischiando
seriamente di impazzire. Sono successe troppe cose,
troppe…”
“Forse sarebbe meglio che dicessi la verità. Ne
è successa una, ma così grande che adesso non
riesci più a fare finta di niente. Giusto?”
“Forse.”
“E offrirti come volontario in tempi di guerra per portare un
messaggio agli alleati del villaggio della Pioggia ti sembra la
soluzione migliore?”
“Ho bisogno di stare da solo. Ho bisogno di
pensare.”
“Tu vuoi fuggire per non affrontare le conseguenze di quelle
che hai fatto. E parlo semplicemente di quello che il tuo cuore sa
perfettamente. È la tua stramaledetta razionalità
che ti impedisce di prenderne atto.”
Shikamaru si voltò di scatto. Choji lo guardava con aria
fiera, la mole imponente che troneggiava più che mai
all’interno della stanza.
Come sempre, lui capiva. Come sempre, lui sapeva. Ma qualsiasi cosa
avrebbe detto, o fatto, non poteva certo cambiare la sua decisione.
Temari era ormai diventata un pensiero fisso, infuocato, delirante.
Doveva agire, doveva andarsene per non stare con le mani in mano.
Mise una mano sulla spalla dell’amico, accendendosi una
sigaretta.
“E’ solo una missione. Tornerò presto,
Choji. E forse, quando tornerò, avrò risolto i
miei demoni.”
Fece per andarsene, ma la voce dell’amico lo raggiunse ancora.
“E Ino? Cosa dirai ad Ino? Cose le dovrò dire
io?”
Ino.
Shikamaru scosse tristemente la testa.
“Ino sa già più di quanto avrei dovuto
farle sapere. Choji, prenditi cura di lei. Tu sei la persona che
più saprà renderla felice. Io non posso farlo. E
non ho mai nemmeno potuto…”
E uscì definitivamente prima che le parole del ragazzo lo
potessero fermare una seconda volta.
Una pazzia. Non c’erano altre parole per definire quello che
Temari aveva appena fatto, ancora debole, sotto l’effetto
degli analgesici. Aveva appena varcato il confine del villaggio, e
trattenne a stento un risolino.
Chissà Gaara cosa farà non appena si
sarà accorto della mia fuga…
Si fece forza, ignorando il dolore alle gambe indolenzite, correndo
più forte. Aveva rubato dall’armadietto dei
medicinali delle pillole energetiche, avrebbe continuato a correre per
tutta la notte, se necessario.
Una pazza scriteriata, di certo non avrebbe saputo descriversi in
maniera migliore in quel momento.
Fuggire di nascosto dalla sua camera a notte fonda, eludendo la
sorveglianza. Fuggire in quelle condizioni, poi.
E tutto per…Tutto per…
Tirò via alcuni granelli di sabbia che le impregnavano gli
occhi, senza smettere di correre.
Molto probabilmente rischiava la morte, ne era certa. Potevano
sorprenderla i nemici, o più semplicemente finire sbranata
da qualche bestia feroce. Chissà se c’erano, nella
foresta che portava dritta a Konoha.
Oh sì, stava seriamente commettendo una pazzia.
Ma del resto doveva assolutamente vederlo. Era impensabile concepire i
giorni a venire senza potergli dire quello che l’altra volta,
come una sciocca, non era stata capace di dirgli.
Ancora una volta non era riuscita a dirgli in tempo che
l’amava. E stavolta preferiva correre il rischio di essere
ammazzata piuttosto che trascorrere i giorni nel rimpianto
più totale.
Glielo devo dire…Devo dirglielo, devo dirglielo, ti
prego
devo trovarlo, devo farcela…
Un mantra lento, ripetitivo, che serviva a farla proseguire, a non
farle pensare al dolore, alla stanchezza, al freddo che le intirizziva
le ossa.
In fondo aveva già percorso oltre metà del
percorso; il sole stava sorgendo, e a quell’ora probabilmente
nel palazzo i suoi fratelli si erano accorti che era sparita.
Quanto ci avrebbero messo per capire dove era andata? Poco.
Ma l’importante era che avesse un buon margine di vantaggio,
e che riuscisse a raggiungere Konoha entro la fine della giornata.
Strinse un lembo della veste, cercando di ignorare il corpo che
implorava pietà, riposo.
Sei la migliore kunoichi del villaggio. Piantala di lamentarti.
Soltanto quando vide il sangue gocciolare da sotto la tunica viola si
arrestò, confusa, e si riparò sotto un albero.
Le ferite che aveva sulle braccia e sulle gambe si erano riaperte. Si
toccò tremante il viso, ma almeno quello sembrava a posto.
Provò a rialzarsi, ma inutilmente. Improvvisamente la
stanchezza l’aveva stesa, e respirava a fatica.
Il dolore. Quel maledetto dolore.
Asciugandosi le lacrime di rabbia e frustrazione, provò a
medicarsi e a fasciare la ferite, ma inutilmente.
Ecco cosa ho sempre segretamente invidiato a Sakura Haruno,
cazzo.
Oh dio, non poteva mollare adesso. Non ora che ci era dentro fino al
collo. Non poteva arrendersi prima di averlo rivisto.
Stremata, si accasciò al suolo, appoggiandosi al tronco.
Che situazione di merda. Aveva pure la vista annebbiata adesso, e fu
costretta a socchiudere gli occhi, che le pulsavano senza
pietà.
E iniziava ad avere le allucinazioni, come se non bastasse. Vedeva
contorni sfocati e confusi, e come se non bastasse le sembrava di
vedere Shikamaru davanti a sé. Un abbaglio perfetto, nulla
da dire: la sua mente l’aveva ricreato perfettamente: una
versione di Shikamaru sorpreso e annichilito, quello che lei preferiva.
E, incredibile, la sua allucinazione lo faceva anche parlare, muoversi,
correre verso di lei.
Fu soltanto quando sentì una presa che la cingeva forte, e
una voce sgomenta gridare “Temari!...”, che si rese
conto che quella davanti ai suoi occhi non era affatto una proiezione
della sua mente.
Shikamaru non si scomponeva quasi mai.
Faceva parte del suo carattere essere metodico, rigoroso, sempre capace
di tenere sotto controllo ogni situazione.
Per questo era riuscito come sempre a non far comprendere tutta la
verità a Choji, quella mattina.
Sì, si sarebbe recato al villaggio della Pioggia; ma non
prima di essere passato a Suna. Il che voleva dire che
l’avrebbero ammazzato, ma non importava.
Shikamaru non aveva numerose certezze, nella vita. Ma di sicuro la
più importante era il bisogno vitale che aveva di lei.
Doveva rivederla, doveva parlarle, doveva
riabbracciarla…Prima che passassero ancora mesi, forse anni,
prima che altre guerre inutili e sanguinose li dividessero per
l’ennesima volta, fino a che la parola fine non avrebbe
definitivamente messo fine alla loro rincorsa.
Sì, Shikamaru, anche nella sua marcia verso Suna, non si era
scomposto mai.
Era proceduto diritto e instancabile. Fino a che non si era ritrovato
proprio lei, prostrata contro un albero, e proprio davanti ai suoi
occhi.
E allora sì che divenne definitivamente, inesorabilmente
incapace di qualsiasi pensiero razionale.
“Temari, per la miseria…Cristo, ma sanguini
ovunque! Ma dove diavolo stavi andando, dove…”.
Shikamaru non riusciva nemmeno a finire una frase, mentre la stringeva,
mentre tirava fuori il suo kit del pronto soccorso fasciandole con cura
e al tempo stesso angoscia le ferite sulle gambe e sulle braccia.
Lei fece una smorfia di dolore, e poi sorrise.
“Potrei farti la stessa identica domanda. Perché
sei qui?”
Lui la guardò frastornato, e scosse la testa.
“Perché stavo venendo a
Suna…” un bisbiglio appena accennato.
Sentì la mano di Temari posarsi sul suo giubbotto.
“Buffo. Io stavo venendo a Konoha.”
Si guardarono entrambi, silenziosi. Fu lui a parlare per primo.
“Temari…Ti rendi conto del fatto che non saresti
mai giunta a Konoha? Che se io stavo facendo una pazzia tu al confronto
stavi commettendo un vero e proprio suicidio? Che non ce
l’avresti fatta in queste condizioni? Se io non ti avessi
trovata…” Si strinse a lei, assaporando il calore
del suo corpo, respirando il profumo dei suoi capelli secchi e bruciati
dal sole. Le carezzò delicatamente l’occhio pesto.
“Forse…”. Sempre il tono ironico, sempre
la stessa cadenza beffarda. Quella che lui amava.
“Ma allora… perché?”
“L’altra volta sei uscito prima che te lo dicessi.
E non volevo aspettare.”
Lui la guardò intensamente. Prendendo tempo.
“Vuoi sapere il perché?”
“Sì, voglio sapere il perché.”
I ruoli si erano ribaltati, adesso. Ma lei non sarebbe uscita, non se
ne sarebbe andata. Al contrario di Shikamaru, Temari sapeva affrontare
le conseguenze di quanto affermava.
“Perché ti amo. Ti amo, e questo non
cambierà mai.”
Lui deglutì. Lei sorrise ancora.
“E dovevo affrontare pur questo viaggio per
dirtelo…Non volevo…Non volevo che pensassi che
non avrei più potuto dichiarartelo.”
Stavolta fu lui a sorridere. Lentamente, le baciò la fronte,
per poi soffermarsi sugli occhi, sulle ciglia. E poi arrivò
a un centimetro dalla bocca, i fiati caldi di entrambi che si
confondevano.
“Alla fine ce l’hai fatta a dirmelo,
mendokuse…”
“So riconoscere quando è il momento giusto,
cry-baby…”
I loro respiri si fusero, le loro bocche si unirono, avide, frementi, i
loro corpi si cercarono, ancora increduli di quel contatto che avevano
aspettato per anni, che temevano ormai di avere cancellato, dimenticato.
Insaziabili, inappagabili. Finalmente liberi di esprimere tutto quanto
erano stati costretti a nascondere per troppo tempo, un sentimento solo
addormentato, sopito. Ma che aspettava solo di essere violentemente
risvegliato.
“Shikamaru?”
Il sussurro di Temari lo costrinse ad aprire gli occhi, già
socchiusi dall’estasi.
“Lo sai…Lo sai che domani ci sarà
ancora la guerra? E lo stesso dopodomani. E anche nei giorni a
venire.”
Lui le accarezzò il viso.
“Lo so.”
Temari si accoccolò sul suo petto, sfiorandogli i
capelli.
“E cosa ne sarà di noi?”
Lui affondò il volto sul suo collo liscio.
“Non lo so. So solo che ora siamo qui. Ora siamo insieme. Ora
siamo uniti. Il resto…Il resto non conta.”
Lei sorrise, baciandolo sul petto.
“Il tuo QI sa sempre venire fuori nei momenti migliori,
grazie al cielo. Hai ragione. Il resto non conta…”
Angolo Autrice
Questa one-shot non avrebbe avuto luogo se non ci fosse stata
“Under pressure - Tortured”, una
delle
più belle shika-tema mai lette, opera di bambi88.
Chiaramente consiglio a tutti la lettura, perché lascia
davvero senza fiato.
Naturalmente quindi la dedica speciale va alla mia adorata sempai, a
roberta, un’autrice bravissima e una persona speciale.
Io ho cercato di continuare quello che non era stato concluso: Temari e
Shikamaru che non si rassegnano alla guerra immaginata che impera tra
Suna e Konoha, che sfidano la sorte, e finalmente si ritrovano.
Perché l’amore è più grande
di ogni altra cosa, e il resto non conta.
E poi ultimamente sono stata un po’ tragica in quello che
scrivo, un po’ di positività ci vuole!
Spero che sia piaciuta, aspetto i vostri pareri e mando a tutti un
abbraccio
arwen
|