RIFLESSI
D'ACQUA
Voglio
ricordarti com'eri,
pensare
che ancora vivi,
che come
allora,
mi
ascolti e sorridi.
È
mattina presto, e io non sono ancora arrivata a scuola.
Una mano
calda e forte poggia sulla mia schiena, accarezzandola e fermandosi
di tanto in tanto.
Siamo sulla
riva di un lago, l'uno nelle braccia dell'altro.
Stiamo così
per qualche minuto, fino a quando non sento battere forte il suo
cuore come se volesse uscire dal petto.
“Riven,
che succede?”
Lui si
limita a guardarmi negli occhi, poggiando poi le labbra su una mia
tempia, bagnandola leggermente.
“Facciamo
un bagno?”, sussurra.
Lo guardo
stupita, ricordando quanto non gli piaccia l'acqua e il romanticismo.
Poi mi alzo
sorridendo, trascinandolo con me.
Rifletto sul
suo comportamento stranamente dolce degli ultimi tempi.
Osservo i
nostri corpi riflettere sull'acqua, splendendo di una luce incantata.
Sorrido, poi
lo trascino lentamente con me nel lago.
I nostri
corpi si avvolgono di un calore piacevole, leggermente frizzante.
Incontro il
suo sguardo leggermente malinconico.
Vorrei
chiedergli che cos'ha, perché non me ne parla, ma decido di
non parlare.
Mi avvicino
a lui, stringendolo tra le braccia.
Lui mi bacia
il collo, mormorando qualcosa che non afferro.
Lo bacio, lo
accarezzo, lo coccolo lentamente tra le braccia per quelle che mi
sembrano ore.
Poi la sua
voce rompe il silenzio.
“Devi
tornare a scuola”
“No,
voglio rimanere qui con te ancora per un pò”
Lui mi
allontana dolcemente da sé.
“No
Musa, torna a scuola”
La sua voce
è autoritaria, quasi dura.
Osservo i
suoi occhi viola come ipnotizzata.
Ogni volta
che passiamo del tempo insieme, sembra che esso voli, che non sia mai
abbastanza.
Forse sto
diventando appiccicosa. Forse mi sto illudendo che lui sia ancora
innamorato di me.
Lo perdonai
molte volte, ma ora sono determinata a non farlo più.
Può
capitare un momento di debolezza, ma mio padre mi ha sempre insegnato
che quando una persona ti vuole davvero bene, non ti delude.
Leggermente
offesa, esco dall'acqua e mi asciugo in fretta.
“Sono
tre giorni che salti la scuola per stare con me. Non dirmi che non ho
ragione”
“Pensavo
ti piacesse stare con me”, sussurro delusa.
“Mi
piace stare con te, Musa. Ma entrambi abbiamo dei doveri”
So che ha
ragione. Ma la mia testardaggine e il mio orgoglio non mi permettono
di rivolgergli uno sguardo e chiedergli scusa.
“Ti
accompagno”, sussurra.
Così
ci incamminiamo in silenzio, in direzione di Alfea.
~
Tre giorni
sono passati veloci insieme alle due notti piene di incubi.
Sognavo
delle facce scure, minacciose, mani che mi prendevano e mi sbattevano
violentemente al muro, facendomi sanguinare.
Soltanto la
mattina, la luce del sole mi tranquillizzava e riuscivo a riposare
serena.
È
sera tarda, dovrei essere a letto, ma sono sul balcone della mia
stanza ad osservare il cielo.
Osservo il
giardino di Alfea, nel quale non poco tempo fa si consumò
una violenta battaglia con le streghe e i loro mostri.
Osservo gli
alberi in lontananza, illuminati dalle luminose ali di qualche Pixie.
Poi osservo
il cielo, scuro e minaccioso, che annuncia la tempesta.
Improvvisamente
il mio magico telefono si mette a squillare.
Lo prendo,
portandolo fuori, cercando di non fare il minimo rumore.
Poi alzo la
cornetta e sussurro:”Pronto?”
“Musa...”
Riconosco la
voce ansiosa e preoccupata di Bloom.
“Che
succede?”
La sua voce
non prevede assolutamente nulla di buono.
“Mi
dispiace...”
“Per
cosa?”, domando curiosa.
Cosa sta
succedendo?
“Riven...è
morto”
Il cuore
comincia a battermi forte nel petto, quasi come se volesse scappare
dalla cassa toracica.
Rimango in
silenzio, come congelata, con il telefono all'orecchio, in attesa di
qualche segnale.
Forse sto
aspettando un “Tranquilla Musa, è tutto uno
scherzo!” con una sonora risata.
Ma non
arriva nulla.
Sento Bloom
sospirare e ripetermi con voce angosciata “Mi dispiace”
Poi chiudo
la chiamata, immobile, senza pensare a niente.
Improvvisamente,
sento un violento bisogno di andare via da qui, di isolarmi, di stare
solamente con me stessa.
Corro in
direzione del lago di quella mattina, veloce, come se fosse
l'ultima cosa che faccio.
Non importa
se qualcuno mi vede. Non m'importa più nulla.
Non trovo
nessuno, la spiaggia è deserta.
Mi siedo
proprio nello stesso punto in cui ero seduta l'ultima volta, o almeno
così credo.
Osservo il
blu immenso che si trova davanti a me.
Ora non
riesco a distinguerne la fine.
Il mio cuore
è come anestetizzato, muove battiti lenti e regolari.
Mi sdraio
sulla sabbia senza pensieri, quando improvvisamente una voce sussurra
qualcosa.
Riconosco
Aisha accanto a me, la mia grande amica.
“La
morte è strana perché riesce a far emergere il meglio e
il peggio delle persone contemporaneamente. Accende la luce della
verità e rende la vita chiara in modo abbagliante”,
mormora sedendosi sulla sabbia.
Penso alle
sue parole. Penso al fatto che abbia ragione. Glielo dico.
Poi lei si
sdraia supina, chiudendo gli occhi.
Alzo lo
sguardo al cielo, quando una lacrima offusca la mia vista per poi
scendere lentamente sulla guancia destra.
Sto
cominciando ad affrontare la realtà. Sto cominciando a capire
che lui è morto davvero, che non c'è più, che
questa volta non tornerà.
Una miriade
di lacrime adesso sgorgano dai miei occhi.
Ma Aisha
non se ne accorge, rimane ad occhi chiusi.
Poi emetto
un sibilo simile più ad uno squittio, e finalmente apre gli
occhi.
Ma non si
mette a sedere. Rimane nella stessa medesima posizione.
“La
morte è come il passato. Il passato non torna più. E le
persone che muoiono, non torneranno”
Penso ancora
alle sue parole. Penso di nuovo che ha ragione.
Osservo il
lago scuro, che si confonde con la notte.
Poi mi alzo
lentamente, camminando verso di esso.
Osservo il
mio riflesso alla luce della luna, ricordando il suo viso
accanto al mio in quell'acqua calda solo qualche giorno prima.
Mi staranno
cercando. Ci staranno cercando.
Ma questo
ora non importa.
“Nessuno
se ne va per sempre”, sussurro piano.
Forse in
risposta alle sue parole.
Ma
lentamente, anche queste volano via nell'aria torbida, scappando
lontano, dove cantano i fagiani e i draghi combattono.*
Lasciando dietro di sé soltanto una scia magica, una linea
immaginaria dove la speranza è scomparsa e la tristezza domina
su ogni cosa.
*: Citazione
di Ueda Akinari (1734 – 1809), scrittore giapponese, che
descrive il suo libro più famoso, “Racconti di
pioggia e di luna”, con
questa frase:”Per caso possedevo alcune futili storielle e
quando le ho buttate giù esse hanno creato un mondo
fantastico, dove cantano i fagiani e i draghi combattono”.
Ecco da dove ho preso parte della frase presente nel testo.
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