Harry si sdraiò nel suo piccolo letto nel sottoscala. Calde
lacrime gli inumidivano gli occhi, ma le scacciò
velocemente. Non poteva piangere. Se avesse pianto, Vernon si sarebbe
arrabbiato ancora di più e Dudley lo avrebbe preso in giro e
chiamato femminuccia. Sentiva lo stomaco brontolare, ma sapeva che per
quella sera non c’erano speranze di sgattaiolare in cucina
per prendere qualcosa.
Erano due giorni che non toccava cibo. Non era stupido, sapeva
perché i suoi zii erano tanto arrabbiati: il suo primo anno
di scuola era terminato da appena una settimana e i suoi voti erano
risultati migliori di quelli di Dudley.
Un vero affronto.
Vernon si era infuriato persino con gli insegnanti, ma alla fine a
rimetterci era stato solo Harry. Suo zio aveva urlato davanti a tutti
gli altri genitori che era solo un piccolo ingrato, che aveva
imbrogliato, che non c’era alcuna possibilità che
si fosse guadagnato onestamente quei voti. Gli insegnanti erano rimasti
basiti davanti alla scena, ma poi era intervenuta Petunia, che aveva
spiegato pacatamente che Harry non studiava mai a casa, ma che Dudley
lo aveva più volte visto copiare a scuola e che anche lei
aveva notato comportamenti strani. I docenti non erano parsi
completamente persuasi, però avevano deciso di lasciar
perdere e avevano assicurato che l’anno successivo sarebbero
stati più attenti.
Tornati a casa, Harry era stato spedito nel sottoscala e chiuso dentro,
dopodiché aveva passato la settimana a fare i suoi lavori di
casa, con la minaccia che se non avesse finito tutte le mansioni della
lista compilata da Petunia, non avrebbe cenato. I primi giorni era
riuscito a concludere in tempo per avere qualcosa da mettere sotto i
denti, ma la lista si era fatta ogni giorno più lunga e alla
fine si era ritrovato davvero ad andare a dormire senza aver mangiato
nulla.
Tutto questo non è certo una novità,
pensò amaramente Harry, ma quello che davvero lo riempiva di
rabbia era che aveva pensato che una volta a scuola la situazione
sarebbe cambiata, avrebbe fatto amicizia e dimostrato ai Dursley che
non era un anormale buono a nulla. E invece non era cambiato proprio un
bel niente! Gli altri bambini erano stati avvisati da Dudley: suo
cugino era un pericoloso teppista da evitare. In compenso, Dudley e i
suoi amici avevano fatto del tormentarlo il loro passatempo preferito.
Certo, passare il tempo a scuola era sicuramente meglio che restare con
i suoi zii. Dopo una giornata particolarmente dura, si rifugiava
nell’ambiente intimo e raccolto della piccola biblioteca
scolastica e leggeva storie di principesse e cavalieri, fate e orchi, e
sognava che uno di quei fantastici esseri venisse a prenderlo e lo
portasse lontano dai Dursley.
Era andato tutto bene finché non erano arrivati i
primi voti più alti di quelli di Dudley, che avevano mandato
i suoi zii su tutte le furie. Da quel momento era diventato sempre
più difficile trovare il tempo per fare i compiti: Vernon
pretendeva che tornasse a casa immediatamente dopo la fine delle
lezioni e Petunia gli assegnava ogni giorno lavoretti che lo tenevano
impegnato fino a tardi. Il suo rendimento era calato, spesso si era
ritrovato ad andare a scuola senza aver fatto i compiti,
così era finito diverse volte in punizione e non aveva
più avuto il tempo di andare in biblioteca a leggere.
L’ingiustizia della situazione però gli aveva
finalmente aperto gli occhi: non sarebbe mai riuscito ad avere
l’approvazione e l’amore dei suoi parenti; loro lo
odiavano perché era anormale e nessuno, né i
professori né gli altri bambini, lo avrebbe aiutato per lo
stesso motivo. Era solo.
Finalmente il flusso dei suoi pensieri s’interruppe e
scivolò nel sonno.
Lo destò un leggero rumore. Si guardò intorno,
nel buio della sua “camera”, teso. Gli era sembrato
di sentire scattare la serratura. Cauto, si avvicinò alla
porta, e si accorse che era socchiusa. Il suo primo istinto fu di
correre in cucina e mangiare, ma s’impose di riflettere
prima. Il silenzio assoluto che pervadeva la casa sembrava indicare che
fosse notte fonda, ma la porta era stata aperta; significava che gli
stavano tendendo una trappola? Magari in cucina avrebbe trovato lo zio
pronto a picchiarlo per essere uscito dal sottoscala. Non sarebbe stata
la prima volta. Ma non gli importava, aveva troppa fame.
Uscì in punta di piedi. La casa sembrava effettivamente
deserta. Aprì il frigorifero e prese un pezzo di formaggio
che divorò in pochi secondi; ancora affamato, prese a
rovistare nella dispensa, finché un formicolio alla nuca non
lo costrinse a fermarsi.
Tutto il suo essere lo metteva in guardia, il suo istinto gridava che
c’era un pericolo dietro di lui. Si girò
lentamente. Fece appena in tempo a intravedere una figura alta e
longilinea, che la vista gli si annebbiò e perse i sensi.
La prima sensazione che colpì Harry al risveglio, fu un
gradevole tepore e un’insolità
comodità. Si rigirò nel letto, mentre riprendeva
finalmente conoscenza e le piacevoli sensazioni iniziali venivano
offuscate dalle fitte della fame.
Si sollevò di scatto e si guardò intorno. Non si
trovava nel sottoscala, ma in una gigantesca stanza debolmente
illuminata. Sbalordito, tastò le lenzuola, mentre i ricordi
della sera prima gli tornavano alla mente. Aveva visto qualcuno a casa
dei Dursley, qualcuno che presumibilmente l’aveva portato
lì. Un ladro? Un rapitore? In ogni caso, si
disse Harry, non poteva
certo essere peggiore dei suoi zii.
Quasi a conferma di quel pensiero, la sua attenzione venne catturata da
un tavolo posto vicino al letto, colmo di ogni ben di Dio. Si
avvicinò pieno di meraviglia. C’erano salsicce,
uova, toast, decine di tipi di marmellata e di thè, yogurt a
svariati gusti, cereali, succo di frutta, porridge. Abbandonato ogni
interrogativo sulla sua situazione, si sedette e iniziò a
mangiare come non aveva mai mangiato in vita sua, immaginandosi
divertito la faccia di Dudley se l’avesse visto con tutto
quel cibo delizioso.
Quando non ne poté più, decise di osservare
meglio la camera. Era incredibile. Ne esplorò ogni angolo,
mentre all’incertezza del risveglio si sostituiva la
meraviglia e la felicità di ritrovarsi in un posto tanto
lussuoso. Al centro della stanza c’era il letto matrimoniale
sul quale aveva dormito, alla sinistra, un immenso armadio contenente
biancheria e vestiti della sua misura. Vestiti nuovi!
Sulla destra, una porta che conduceva al bagno più bello che
avesse mai visto. A differenza della camera, era illuminato a giorno,
ma non c’erano né finestre né lampade.
Harry considerò questa stranezza, ma poi decise che se ne
sarebbe occupato in seguito.
Tornato nella stanza principale, notò un’altra
porta e scoprì che conduceva a un soggiorno dotato di una
scrivania, un televisore, dei divanetti e una grande libreria piena di
libri. Il piccolo si lanciò subito in quella direzione, ma
rimase amareggiato: nessuno dei libri era in inglese. La delusione ebbe
l’effetto di spazzare via l’entusiasmo.
Pensa, si
disse. Si trovava in un luogo sconosciuto, ed era probabilmente stato
rapito. Certo, c’era la possibilità che il
rapitore fosse suo amico – vecchie fantasie di ricchi parenti
che andavano a prenderlo gli tornarono alla mente – ma era
una possibilità remota. Sapeva per esperienza che nessuno si
sarebbe preso la briga di aiutarlo, e i Dursley erano i suoi unici
parenti. Un pensiero terribile lo attraversò. Forse lo
avevano venduto?
Gli venne in mente la storia di Hansel e Gretel, con la strega cattiva
che dava da mangiare al bambino solo per farlo ingrassare. Ma era solo
una favola, no? Nella vita reale i bambini non si mangiano.
Giusto?
Preso dal panico, si mise a cercare una via d’uscita, ma non
c’erano né porte né finestre. La camera
era completamente illuminata, ma anche lì non sembravano
esserci lampade. Si chiese se ci fossero telecamere. Magari qualcuno lo
stava spiando in quel preciso momento. Il pensiero era
inquietante.
Passarono diversi giorni. Ogni mattina al risveglio, Harry trovava il
tavolo vicino al letto con la colazione pronta e per il pranzo e la
cena il cibo sembrava apparire magicamente, così come le
luci della stanza apparentemente non venivano da nessuna fonte
elettrica. Si era arrovellato per giorni sulla questione, senza venirne
a capo.
Nessuno andò a visitarlo.
Aveva elaborato decine di teorie sulla situazione e via via che
passavano i giorni si era fatto sempre più depresso. Era
abituato a stare da solo, ignorarlo era la tattica preferita dei
Dursley, però non era mai stato tanto tempo senza vedere un
altro essere umano. La cosa iniziava a mandarlo sui nervi. Come se non
bastasse, non aveva assolutamente niente da fare: passava le giornate a
guardare distrattamente trasmissioni in una lingua a lui sconosciuta,
chiedendosi nel frattempo quando avrebbe finalmente scoperto qualcosa.
C’erano giorni in cui si sforzava di pensare ai
vantaggi di questa nuova vita, altri in cui passava delle ore immerso
apaticamente nella gigantesca vasca in marmo, annoiato.
Col passare delle settimane divenne sempre più disperato.
Arrivò a chiedersi se sarebbe mai uscito da quella stanza,
che diventava ogni giorno più soffocante. Si domandava il
perché di quella prigionia, cosa avesse mai fatto per
meritarla, e se fosse tutta una punizione per i voti troppo alti. Ma
no, i Dursley non l’avrebbero certo lasciato in una stanza
così lussuosa.
Così, cercava di deviare i suoi pensieri sui misteri della
sua confortevole prigione, a cominciare dal cibo. Più volte
gli era capitato di vederlo apparire dal nulla davanti ai suoi occhi.
Sembrava una magia, ma non poteva essere.
Con un brivido, si chiese come avrebbero reagito i Dursley se avessero
scoperto che un pensiero simile gli era passato per la testa:
l’ultima volta che Vernon l’aveva trovato leggendo
un libro di stregoni l’aveva picchiato con una violenza
inusuale.
Harry sapeva che la magia non esisteva e che solo le persone malvagie
ne parlavano, quindi vedere il cibo apparire dal nulla lo terrorizzava
talmente tanto che per un periodo aveva cercato di non mangiare, ma
dopo alcuni giorni di dolorosi crampi allo stomaco aveva desistito.
I suoi sogni si erano fatti sempre più cupi, e questo, unito
alla paura che qualcuno lo attaccasse nel sonno, rendeva le sue notti
agitate. Ogni giorno, guardandosi allo specchio, notava occhiaie sempre
più profonde.
Dopo tre settimane da quando era stato rinchiuso,
iniziò a battere i pugni contro le parete, urlando che lo
facessero uscire, che si mostrassero. Nonostante inizialmente si fosse
riproposto di mantenere la calma, anche per evitare di peggiorare la
situazione, si ritrovò a piangere disperato e supplicare.
Nel prossimo capitolo: il
primo incontro tra Harry e il suo rapitore e alcune risposte. Alla
prossima :)
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