Parte IV – I know fine
well that what I did was wrong
Come può qualsiasi
cosa finire?
(Jack Kerouac)
Fu con il volto contratto dalla rabbia e le mani
spasmodicamente chiuse a pugno che decisi finalmente di dirgliene quattro, dopo
tutti quei giorni trascorsi a fingere che non ci fosse nulla che non andava. Ne
avevo abbastanza, di lui e della sua faccia tosta.
“La sai una cosa, Remus? Io non ti sopporto. Forse non ti
ho mai sopportato, in effetti, ma adesso hai veramente superato ogni limite. Mi
hai sempre tacciato di instabilità mentale, ma stavolta non sono stato io a
baciarti e poi sparire come se niente fosse successo!”
Non ci fu alcuna risposta alle mie irose esclamazioni. Fissai
con rabbia la mia immagine riflessa nello specchio, sospirando, mentre iniziavo
lentamente a sentirmi un completo idiota.
Cercai di calmarmi e di riprendere il controllo di me
stesso; era la terza volta in un giorno che mi succedeva di lasciarmi andare a
simili sfoghi, ma non potevo permettermi di esplodere in quel modo, o sarei
finito per prendere a pugni la mia immagine riflessa, e non mi sembrava proprio
il caso di scadere in simili patetismi.
“…E quello con problemi psichici sarei io, secondo te?”
Sobbalzai di scatto, voltandomi verso la porta e sfoderando
la bacchetta nella frazione di un secondo. Inconsapevolmente, avevo
riconosciuto fin da subito la sua voce; ma o l’influenza delle tendenze
paranoiche di Malocchio Moody stava cominciando a produrre gravi danni sulla
mia psiche, o avevo accumulato talmente tanto astio nei suoi confronti da
essere perfino pronto a scagliargli contro un incantesimo.
“Che diavolo ci fai qui?” lo aggredii, senza mezzi termini.
Il mio orgoglio si sentiva profondamente offeso per essere stato colto in pieno
in un momento di debolezza, e quell’ombra di un sorriso divertito che gli
aleggiava sulle labbra mentre mi fissava mi stava veramente facendo irritare.
“Dovevo passare per assicurarmi che fossi vivo. Nessuno ha
più avuto tue notizie in questi tre giorni, e a tutti è sembrato piuttosto
strano, dato che di solito trovi il modo di assillare chiunque per sapere come
vanno le cose”.
Esplosi in una risata beffarda, allontanandomi dallo
specchio.
“Lo dici come se ti dispiacesse che io abbia smesso di
assillare te” gli risposi, sfoggiando il mio miglior tono tagliente.
Remus non batté ciglio.
“Non prenderla come una questione personale, Sirius. Non lo
è” ribatté, in tutta calma, entrando nella stanza a passi silenziosi e
misurati, perfettamente calmo e padrone di se stesso.
Mi irritava profondamente, questa sua capacità di contenere
le emozioni. Da una parte lo invidiavo, perché se anch’io l’avessi posseduta
non avrei avuto certo bisogno di mettermi a gridare ad alta voce contro uno
specchio per dar modo di esplodere alla mia carica di frustrazioni represse;
dall’altra, invece, trovavo quella sua caratteristica altamente detestabile, in
quanto non mi riusciva mai di comprendere che cosa realmente gli passasse per
la testa.
Per esempio, in quel momento non ero affatto in grado di
intendere se davvero fosse venuto fin lì solo per sedare le preoccupazioni
degli altri membri dell’Ordine o se almeno un po’ si fosse impensierito, dopo
aver osservato che da qualche giorno non avevo più fatto avere mie notizie.
Mi faceva andare fuori di testa, tutto quel mistero con cui
Remus persisteva nel coprire le sue azioni. Mai una volta che parlasse chiaro,
che dicesse senza mezzi termini come stavano le cose; i suoi comportamenti
dovevano sempre dare adito a molteplici interpretazioni, e di conseguenza io
dovevo essere condannato ad eterni grattacapi nel tentativo di convincermi che
una delle numerose ipotesi possibili era più convincente delle altre.
Almeno di qualcosa potevo farmi vanto: io non mandavo in
confusione le persone con discorsi o atteggiamenti equivoci. Io mettevo in
chiaro fin da subito come la pensavo circa un determinato argomento, di modo da
non lasciare spazio a dubbi di nessun genere.
Come quando gli avevo detto di avere una cotta per lui.
Nessuna esitazione, nessun giro di parole, soltanto la
pura, sacrosanta e indubitabile verità.
“Bene, ti sembro per caso un cadavere che cammina? Non
credo, perciò dato che hai svolto il tuo compito puoi anche andartene”.
Anche adesso ero stato perfettamente chiaro.
E invece lui continuava a rimanere lì fermo sulla porta,
osservandomi con un’espressione indecifrabile.
“Credi che andrà avanti ancora per molto?”
“Che cosa?”
“Questo”.
Lo fissai con rabbia, stringendo gli occhi, come se
desiderassi incenerirlo.
“Andrà avanti finché ne avrò voglia. Finché continuerai a
pensare che tu sei sempre quello che ha ragione e io sempre quello che pesta i
piedi e fa i capricci”.
Detto questo, per me la faccenda poteva considerarsi
chiusa. Non avrei tollerato di sentir pronunciare una parola di più. Sapevo
perfettamente che Remus era testardo almeno quanto me, e che pertanto non
avrebbe certo ritrattato le sue affermazioni da un momento all’altro senza
alcun motivo. Non l’aveva mai fatto, del resto, perciò non avevo ragione di
sperare in una sua straordinaria clemenza.
“Non perché io ci tenga ad essere pignolo, ma in questo
momento stai esattamente facendo i capricci” mi disse, con una velata
intonazione di rimprovero. Io lo fulminai con lo sguardo.
“Non dire assurdità”.
In tutta risposta, lui si strinse nelle spalle.
“Mi dispiace che la cosa ti ferisca, ma è vero”.
“Non mi dire!”
“No, infatti! Non ti rendi conto da solo che ti stai
impuntando per una sciocchezza soltanto perché hai detto cose che non volevi
dire e ora te ne stai pentendo?”
Lo fissai, incuriosito. Nella sua voce era comparsa una
marcata traccia di veemenza, cosa che mi stupì non poco: doveva crederci
fermamente, se davvero insisteva fino a tal punto.
“Io dico quello che penso, e lo dovresti sapere bene” gli
risposi, voltandomi e dandogli le spalle. Ne avevo abbastanza che non mi
credesse; non solo era frustrante, ma mi privava anche della voglia di
continuare a dargli fiducia. Remus mi aveva sempre conosciuto meglio di
chiunque altro: c’erano cose che a James non avevo mai confessato perché me ne
vergognavo come un ladro, per quanto fosse mio fratello e non mi facessi mai
problemi nel dirgli ogni genere di sciocchezze, mentre Remus aveva ascoltato
ogni singola parola che usciva dalla mia bocca riguardo a quanto mi sentissi da
schifo perché la mia famiglia mi aveva diseredato o quanto la morte di mio
fratello non mi avesse lasciato indifferente come avrei voluto che fosse, e se
mi ero confidato con lui era perché sapevo di poterlo fare. Non mi avrebbe mai dato
del rammollito, non avrebbe nemmeno pensato che fossi un rammollito.
Secondo lui era perfettamente normale che io, pur facendo costantemente un
vanto della mia condizione di rinnegato, provassi sofferenza di quando in
quando. Non si sentiva come se gli stesse crollando un mito se mi mostravo a
lui in tutto il mio meschino bagaglio di debolezze. E ora, non poteva essere altrettanto
normale che mi fossi… che provassi qualcosa per lui?
“Insomma, mi dici perché sei venuto qui?” gli domandai,
sfinito. Di colpo, lui assunse un’espressione chiusa, quasi tetra.
“Tu non te lo ricordi, vero?” mi chiese lui, in un tono
carico di sottintesi.
“Cosa?” domandai, leggermente confuso.
“Nocturn Alley”.
Continuavo a non afferrare, ma decisi che era meglio fare
lo spiritoso.
“Ho sempre sostenuto che nelle cantine di quel postaccio si
riesca a trovare il miglior Firewhiskey di Londra, ma non credevo che tu fossi
interessato a questo genere di cose…”
Remus scosse la testa.
“Mi riferivo a quando abbiamo incontrato quella strega”.
“Quale?”
“Quella donna anziana, che ti ha fatto degli strani segni
sul viso e…”
Oh. Allora era a questo che si riferiva.
Era successo tantissimi anni fa, se non ricordo male
andavamo ancora a Hogwarts. Un’estate, mentre eravamo a Diagon Alley a comprare
i libri e il necessario per la scuola, io avevo fatto l’incosciente e mi ero
infilato a Nocturn Alley di nascosto. Remus era venuto a recuperarmi. Mentre
cercavamo di uscire da lì, una vecchia incartapecorita vestita di nero mi aveva
fermato, si era messa a cantilenare qualche sciocchezza passandomi le dita
sulla faccia e poi mi aveva detto un paio di cose. Non me le ricordavo neppure
tanto bene. Aveva azzardato qualche generica previsione sul mio futuro,
dicendomi che avrei avuto una vita felice ma che non sarei riuscito a goderne
appieno, se non sbaglio, e poi aveva aggiunto che sarei morto prima di
quarant’anni.
Fissai Moony con un’espressione esasperata.
“Remus, ti prego. Qui non si tratta di Voldemort. Le
profezie ti stanno dando di volta il cervello…”
Lui fece un gesto spazientito con la mano, come per
zittirmi. Scosse la testa, lo sguardo perso nel vuoto.
“Non c’entra assolutamente nulla con l’Ordine o con Voldemort.
Ci ho solamente pensato, ieri sera”.
“Sì, dopo una piacevole visita all’Ufficio Misteri. A chi
vuoi darla a bere? Quella non era una vera profezia. E quella non era una vera
strega. Hai mai visto predire il futuro a qualcuno facendogli dei segni sulla faccia?
Potremo anche non aver mai frequentato Divinazione, ma non ti ritengo così
ottuso da non capirlo…”
Remus, ovviamente, non diede segno di essere d’accordo con
me. Continuò a pensare in silenzio, per qualche secondo.
“Quello che ti ha detto si è avverato, finora. Non credi?”
Scoppiai in una risata amaramente beffarda, distogliendo lo
sguardo da lui.
“Oh, sì, certo, la mia vita è stata davvero felice”
osservai, sarcastico.
“Ma non l’hai vissuta appieno” mi fece notare lui.
“Non è stata una mia scelta, va bene? Per quanto tu possa
ritenermi stupido per aver deciso di scambiarmi con Peter, non è stata una mia
scelta marcire ad Azkaban per dodici anni. È stato Crouch a spedirmici senza
processo. Certo, immagino che se anche avessi avuto questa possibilità nessuno
avrebbe testimoniato in mio favore…”
Mi resi conto che l’avrei ferito un attimo prima che
quell’ultima frase mi uscisse di bocca, ed infatti l’espressione con cui
accolse la mia replica non fu delle più felici. Ma trovò comunque la forza di
rispondermi per le rime, come sempre aveva fatto, anche nei miei momenti di più
acuta cattiveria.
“Se tu ti fossi confidato con me, magari avrei potuto davvero
farti da avvocato difensore” disse, con un lieve sorriso. Io scrollai le
spalle, spazientito.
“Oh, andiamo, non è divertente. Hai cominciato tu ad
allontanarti da me”.
Stavolta, la sua reazione fu ancora peggiore. Lui non si
offendeva mai per nulla, eppure ora sembrava sentirsi insultato per ciò che
avevo appena detto. Ma io non capivo certo perché dovesse.
“Credi che l’abbia fatto senza motivo?” mi chiese.
“Credo semplicemente che tu, Remus Lupin il licantropo
vittima dei pregiudizi, ti sia fatto contagiare come tutti gli altri dal mio
simpatico bagaglio familiare, sebbene avessi fatto di tutto per prenderne le
distanze”.
Questa volta, Remus mi fulminò con uno sguardo truce.
Cominciai a pensare che ci fosse davvero qualcosa che mi sfuggiva, a parte il
suo perenne desiderio di aver ragione.
“Allora non hai capito proprio un bel niente”.
“Spiegamelo, se pensi di essere tanto bravo”.
“Non sei sempre tu la vittima della situazione, che
diavolo! Sirius, io ho cominciato ad allontanarmi da te da quando tu hai
deciso di tradire la mia fiducia per uno stupido scherzo!”
Rimasi a bocca aperta per qualche secondo. Quello era
l’argomento che più di tutti mi ero sforzato di evitare, da quando io e Remus
ci eravamo ritrovati; era ciò che più mi vergognavo di aver fatto in vita mia, l’unica
cosa capace di farmi davvero sentire un verme della peggior specie, e da un
tempo interminabile speravo che lui se lo fosse dimenticato.
E invece, era colpa mia. Dannatamente solo colpa mia.
“Pensavo che la faccenda fosse stata dichiarata chiusa” gli
dissi, a mezza voce. Lui sospirò.
“Non si è mai chiusa, e non dirmi che non te ne sei
accorto”.
“Può darsi, ma ho cercato di umiliarmi in ogni modo per far
sì che tu potessi metterci una pietra sopra, finché non mi sono stufato”.
Non riuscivo ad accettarlo, che per colpa di un errore che
avevo compiuto quando ero soltanto un ragazzino incosciente fosse successo
tutto il resto. Avremmo potuto fermare Peter, avremmo potuto salvare James e
Lily, avremmo potuto essere ancora tutti qui, se soltanto io e lui fossimo
restati uniti.
“Magari ho sbagliato a covare delle remore in merito, ma
evidentemente doveva andare così”.
“Doveva? Remus, niente doveva andare in un certo modo
perché una vecchia strega con il cervello in fumo mi ha detto che non avrei
potuto godere appieno della mia felicità!”
Sentivo che sarei potuto esplodere da un momento all’altro.
Cercai di calmarmi.
“Sapeva già che sarebbe andata così, molto semplicemente”.
Sospirai, arrendendomi. Stavo lottando da troppo tempo.
“Ti stai lasciando abbindolare da un mare di sciocchezze”
gli dissi soltanto, scuotendo la testa. Lui continuò a guardarmi con quell’espressione
dolorosa negli occhi, che invece di smorzarsi aumentò terribilmente
d’intensità.
“Non ci hai pensato, allora? Al fatto che potresti morire
entro pochi anni, forse mesi, vuoi farmi credere che non ci hai mai pensato?”
chiese lui, con una stravolta disperazione negli occhi. Poche, pochissime volte
in vita mia l’avevo visto lasciarsi travolgere così. Mi passai una mano fra i
capelli, lasciandomi cadere a sedere sul letto.
“Ho desiderato che succedesse con sufficiente intensità da
aver esaurito la voglia di pensarci, ora come ora. Sai com’è, l’argomento
finisce per diventare un po’ monotono se ripetuto in tutte le salse per dodici
anni di galera”.
Ecco, ora avevamo decisamente toccato il fondo. Era
riuscito a farmi parlare anche del carcere, la seconda cosa che ancora non
riuscivo ad ammettere di aver vissuto davvero.
Continuare in quel modo era semplicemente una tortura. Non
avevo fatto altro che pensare al perché gli avevo confessato di avere una cotta
per lui, durante i giorni precedenti, e mi ero reso conto che c’era una sola
risposta possibile a quella domanda: l’avevo fatto perché era vero. Non mi ero
mai innamorato di nessuno, in vita mia, perché nessuna donna era mai giunta a
rappresentare per me quello che lui rappresentava da un tempo interminabile.
Non l’avevo mai detto a nessuno tranne a lui, quello che pensavo dell’amore:
che se tra due persone non c’era un’intesa pressoché totale, era stupido
innamorarsi. Ma nessuno mi aveva mai capito bene quanto Remus, o mi aveva dato
il tormento al pari di lui. Mi resi conto che mi faceva un male incredibile il
fatto che non mi volesse credere.
“Mi dispiace. Mi dispiace veramente” esalai, col capo
chino. Mi sentivo uno schifo, per quanto fosse una sensazione che avevo sempre
cercato di non provare. A quel punto, però, non riuscivo più a farne a meno.
“Considerati fortunato, perché se si fosse trattato di
qualcun altro non l’avrei mai ammesso” aggiunsi, e improvvisamente Remus mi si
era avvicinato e mi stava abbracciando. Strinsi le braccia intorno ai suoi
fianchi e posai la guancia contro il suo stomaco, mentre lui stava in piedi di
fronte a me e mi accarezzava la testa, come faceva sempre quando mi trasformavo
in Padfoot.
Capii in quel momento che Remus aveva ragione. Non c’era
futuro per due come noi, che persistevano nel rifugiarsi nel passato e nei suoi
attimi di confortante intensità che sapevamo di aver vissuto appieno. Anche
ora, il motivo per cui Remus era tornato da me affondava le sue radici nel
passato. Nel presente, entrambi non eravamo che straziati brandelli di esseri
viventi.
“Non voglio che tu muoia” lo sentii sussurrare, ed era la
prima, vera confessione dei suoi reali sentimenti che ottenevo da tempo. Mi costrinsi
a sorridere.
“Morirò comunque” gli dissi, sforzandomi di essere
filosofico. Ma non mi riuscì molto bene. Di solito quello saggio e pragmatico
era lui, non io. Io non sapevo recitare quella parte.
Rimasi in attesa di una risposta a tono, di un commento
sarcastico per smorzare la tensione. Ma non udii niente, non una sola parola.
Mi ricordai della rabbia smarrita con cui mi aveva chiesto se avevo mai pensato
alla possibilità di morire, poco fa, e mi resi conto, forse per la prima volta
da quando ci conoscevamo, che Remus mi aveva a cuore sul serio. Era una cosa
che avevo sempre dato per scontata, ma più per comodità mia che perché lui me
l’avesse mai esplicitamente detto. Era sempre riuscito a far sì che la parte
più insicura e nascosta di me si domandasse per tutta la vita se forse, a
dispetto del nostro essere amici, Remus in segreto non mi detestasse. Ovviamente
non avevo mai esplicitato la cosa, ma ora mi sentivo stranamente commosso
al pensiero che gli importasse così tanto di me.
“Senti, non… non fare così. Diavolo, Moony, non è
necessario. Non sto morendo ora”.
Era imbarazzante, per me. Avevo sempre fatto schifo a
consolare la gente. Quando i genitori di James erano morti non avevo saputo che
dire, eppure avrei voluto con tutte le mie forze farlo smettere di piangere.
Adesso, perlomeno, ero riuscito a mettere insieme una frase, il che forse
poteva considerarsi un segno del fatto che ero cresciuto, anche Remus sarebbe
riuscito a mettere in discussione anche quel dato di fatto. Lui ci riusciva con
tutto ciò che dicevo, ed era per quello che aveva cominciato a darmi sui nervi,
quando ci eravamo appena conosciuti. Eppure, non avevo mai messo in discussione
il fatto che fosse mio amico, né avrei mai permesso che qualcuno lo facesse. Mi
ero attaccato a lui in maniera contorta ed inconscia, e anche se alle volte non
facevamo altro che beccarci, facendo quasi concorrenza a James e Lily prima che
si mettessero insieme, per me lui doveva esserci, sempre. Doveva prendere parte
ad ogni dettaglio della mia vita. Era una cosa che non aveva senso, una cosa in
cui mi ero buttato senza neanche pensarci, ma forse aveva ragione lui, doveva
andare così. In tutti gli anni precedenti non avevo mai capito, neppure in
prigione ci ero riuscito, ma ora comprendevo benissimo che cosa mi rendesse
così attaccato a lui.
Mentre pensavo, lui si sciolse dal mio abbraccio. Si
inginocchiò di fronte a me, mi prese il viso tra le mani e mi baciò, per la
seconda volta. Fu il bacio più delicato e più carico di sentimento che avessi
mai dato.
Did I say that I loathe you,
Did I say that I want to
Leave it all behind?
(Damien Rice, “The Blower’s Daughter”)
Nota di
fine capitolo: il
titolo è un verso della canzone “Make This Go On Forever” degli Snow Patrol.
Mi scuso
profondamente per aver aggiornato così tardi. Per questa fic è stato un periodo
critico, lo ammetto, dovuto al fatto che in estate ho dovuto studiare come una
pazza per superare il test d’ammissione all’università e poi, dopo aver
cominciato, mi sono ritrovata con pochissimo tempo libero. Ho finito per perdere di
vista la storia e mi è dispiaciuto un sacco. Il desiderio di vederla
completata era sempre rimasto grande come una casa – non perché non ne potessi più,
ma per potermi confrontare con il prodotto finito e anche per farmi perdonare
da chi la seguiva. Non ho mai avuto alcuna intenzione di lasciarla incompiuta,
solo che trovare il tempo per terminarla mi è risultato profondamente
difficile. Mi mancava quel qualcosa che permettesse alla
trama di arrivare dove volevo, non riuscivo a venirne fuori e non volevo buttar
giù qualcosa di banale solo per terminare la storia. Ho avuto il lampo di genio
poco tempo fa, dopo aver letto un articolo che promulgava ipotesi sulla
possibilità che Remus si fosse avvicinato ai Mangiamorte rompendo con i
Malandrini – ipotesi assurda, ma che tirava in ballo anche il fatto che, al
momento della morte di Sirius, Remus reagisce con una rassegnazione che,
all’autore dell’articolo, sembrava quasi distacco. Ed è vero, l’ho sempre
notato anch’io. Poi ho pensato a tutte le profezie dell’Ufficio Misteri, e con
un paio di voli di fantasia ho costruito una spiegazione che mi soddisfacesse per rendere l'idea che, in un certo senso, Remus se l'aspettasse, di perdere Sirius di nuovo.
Alla fine mi rendo conto che la trama di questa fanfiction è un bel po’
confusionaria e forse troppo piena di spunti, ma essendo la mia prima storia su
questa coppia mi ha fatto comunque bene sperimentare. Tutta questa lunga nota
solo per dire che sono contenta di essere tornata a scrivere di loro :)
Rispondo
alle recensioni per l’ultimo capitolo. I miei ringraziamenti più sinceri a tutti quelli che hanno commentato perché facevo davvero fatica a credere di aver ricevuto delle recensioni del genere.
x ivy_: mi dispiace di non aver potuto
aggiornare presto. Ti ringrazio comunque per i complimenti, mi hanno fatto
molto piacere.
x Ginny
W: ti ringrazio
molto ^^ il seguito è arrivato tardi, ma l’importante per me è che sia
finalmente riuscita a sbloccarmi, anche se mi dispiace per i miei lettori. A
presto!
x
sanzina89: hai
steso proprio un’analisi accurata, non c’è che dire. I problemi erano
esattamente quelli che hai elencato: il risentimento che ancora covava tra i
due, e l’incapacità di Remus di aprirsi. Ora che gli è tornato in mente tutto
questo, però, è riuscito a fare uno sforzo. Grazie ancora per il bel commento
^^
x
Kaya86: mi sento
davvero onorata per averti fatto tornare la voglia di commentare una
Sirius/Remus… non l’avrei mai creduto, dato che è la prima che scrivo. Il
sarcasmo è pane per i miei denti e mi fa piacere che l’apprezzi, e anche che il
modo in cui hai sempre immaginato il rapporto tra i personaggi coincida con il
mio… per me come autrice non c’è cosa più bella. Grazie ancora.
x suni: chissà se leggerai mai questa mia
risposta, o il capitolo stesso… cara, ricevere i tuoi complimenti mi ha
ovviamente fatto un immenso piacere. Non mi stancherò mai di ripetere che adoro
le tue storie. Se la seconda parte ti era sembrata campata in aria lo capisco,
ma per me partiva così: prima i fatti, poi le spiegazioni. Ora che ho scritto
anche questa parte, il quadro dovrebbe risultare completo. Ti ringrazio tanto
per il tuo sostegno.
x
Sibil: grazie per
il giudizio positivo al capitolo, e grazie anche per i complimenti allo stile…
ci tengo a non scadere, cavoli, dopo 5 anni di liceo classico…! Magari riuscirò
ad apprezzare Charlie, un giorno o l’altro, non ti preoccupare ^^ a presto.
x
LCasssieP:
spiacente, per quanto mi riguarda niente scene hot ^^ la storia è shonen-ai, e
non yaoi, non a caso… sia perché sono alle prime armi, sia perché la fanfic è
prevalentemente basata sui sentimenti di Sirius e Remus, e non sentivo il
bisogno di tirare in ballo altro. Grazie comunque per i complimenti, come vedi
la situazione migliora e spero ti faccia piacere ^^ a presto.
x
twinkle: grazie
mille… e hai ragione, son proprio destinati a stare insieme.
x Chu: non sai quanto mi abbia fatto
piacere ricevere la tua recensione. Davvero, è stato bello sapere che
nonostante la tua lontananza da EFP e il tuo semi abbandono del fandom la
storia ti sia piaciuta così tanto… ho apprezzato ogni singolo complimento che
mi hai fatto, soprattutto perché hai colto ognuno degli aspetti che mi è caro
di questa storia, ed è anche questo che mi ha dato la spintarella necessaria
per rimettermici al lavoro. Mi dispiace averti fatto aspettare,
e lo dico sinceramente; ho detestato il mio blocco per giorni e giorni, quindi
ora sono più che mai felice di avercela fatta. Sicuramente continuerò a
scrivere sulla coppia, ormai li amo alla follia; spero dunque di risentirti
presto. Grazie ancora, di cuore.
x
magnolia: sai che
ho letteralmente adorato la frase che mi hai scritto? Che ha centrato alla
perfezione il rapporto fra loro due, fatto di cose dette e non dette, di paura,
ansia e smarrimento, ma anche di un sentimento che non si riesce a definire
nella sua complessità, fra affetto e sensi di colpa e timore e rimpianto. È
bellissima. Davvero. Io stessa non avrei saputo dirlo meglio. Sono contenta di
averti fatto amare la coppia, e ti sono grata per i complimenti.
x Evan88: ti piace “Lei non è una di noi”…
io la adoro. Ho gustato ogni virgola di quella fanfic. Mi fa strapiacere che
andiamo d’accordo per il modo di vedere Sirius e Remus, io come te non sopporto
quel genere di fanfic. Davvero, non per lanciarmi in un’invettiva, ma che hanno
di dolce? Sirius è la persona più caustica e Remus quella più chiusa di questo
mondo, dovrebbero lanciargli un Imperius per far uscire dalle loro bocche frasi
stucchevoli… detto questo, recupero il mio contegno e ti dico che i tuoi complimenti
mi han fatto venire i lucciconi. Sono contentissima di aver soddisfatto i tuoi
gusti, è una delle cose che più mi riesce a render fiera di ciò che scrivo.
Grazie, grazie davvero.