Memorie dello scantinato

di superheroine
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PARTE 2. SEATTLE
Capitolo 1. L’arrivo
Da lì iniziò a formarsi nella mia mente il piano malefico numero 2.
Lo portai avanti durante tutto il mese seguente, tra controlli, accertamenti e attestati.
Una sera, pensavo. Una sera e sarà tutto finito. Ma io non voglio che finisca. Io voglio che continui. Che lei si ricordi di me, che Taylor Swift sappia chi è Shannon Henley. Che sappia che sono io. E che io possa sempre averla accanto, come mi è sempre stata accanto indirettamente attraverso la sua musica.
Iniziai a preparare lo scantinato. Una poltroncina, un tavolino. Coperte, un ventilatore. Pian piano l’idea logorò la mia mente e mi ritrovai a perfezionarla alle tre di notte prima di rendermi conto che non dovevo lasciarmi trascinare. No, dovevo essere calma. Rifletterci. Pensarci su. Era davvero questo che volevo? Oh sì. Non per sempre. Per un tempo utile. Mi avrebbe odiato? Oh sì. Ma non importava.
In quei momenti rasentai la follia.
Quando mi ritrovai all’aeroporto di Washington con Alexia, Kate e Ivy, una biondina francese e le sue amiche in attesa di un aereo per Seattle ero consapevole di essere completamente pazza.
Vennero a prelevarci degli energumeni in camicia grigia che ci fecero un sacco di controlli anche dopo il check-in, e controllarono almeno tre milioni di volte la nostra identità. Ammetto che rimasi impressionata. Impiegammo circa tre ore e mezzo per lo stato di Washington, sull’altra sponda rispetto all’omonima città, e fummo subito scortate in un hotel carino con l’ordine di non muoverci per nessuna ragione e aspettare l’arrivo dell’auto in camera. Cioè, sì, non è che l’auto arrivasse in camera. Anche se non sarebbe stato scomodo.
Ripassai i dettagli del mio piano con le mie amiche per almeno un’ora, dopodiché nelle successive due e un quarto ci preparammo per il concerto. Ci volle non poca fermezza per impedire a Ivy di indossare una maglietta degli AC/DC, ma alla fine ci considerammo pronte e l’accurata ispezione di Alexia lo confermò.
Il nostro arrivo al concerto fu strepitoso. Non mi era mai capitato di vivere un’esperienza del genere quindi non ero a conoscenza del fatto che ci fosse tutta quella… atmosfera. Oh, nell’aria si respirava pura e autentica gioia. Persino le persone che attendevano da giorni in fila ignorando se sarebbero riusciti o no ad ottenere un biglietto erano euforiche, perché come ben sapete è l’attesa stessa il piacere. Campari, red passion. E che noi avevamo pure il trattamento speciale, perché non fummo costrette a passare per la biglietteria e ci sistemammo direttamente ai nostri posti, non proprio in piedi attaccati al palco ma comunque molto vicini. Beh, per quello che ci importava avremmo anche potuto essere tanto in fondo da vedere solo chiazze gialle e rosse al posto della nostra star: avevamo comunque un’occasione alla fine del concerto.
 




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