Nell'aria
c'era un odore acre: fumo, sudore e dolore.
Stavo
camminando e senza accorgermene mi ero ritrovata in un quartiere
popolato da tossicodipendenti abbandonati a sé stessi, senza
una
casa, senza persone da amare, consumati dalla dipendenza, logorati
dalla droga.
Camminavo
cercando di evitare i loro sguardi, carichi di storie mute, di
delusione, di rabbia e di malinconia, lucidi e arrossati, forse dalle
lacrime o forse da ciò che avevano appena sniffato.
I
loro corpi erano magri, poiché i soldi servivano solo ad uno
scopo
primario, tutto il resto veniva dopo.
Purtroppo
veniva dopo anche la Vita.
Avrei
voluto correre, ma una sensazione mi fermava.
Capii
cos'era solo quando lo vidi, sentii un tuffo al cuore e mi
paralizzai.
Stavo
guardando un ragazzo dall'aria disorientata che
era
seduto sopra la scalinata di un palazzo popolare con i gomiti
appoggiati sulle ginocchia che reggevano il suo capo rivolto
all'insù.
Era
giovane, il suo viso era scavato e gli zigomi sporgevano con
violenza; spiccavano i suoi occhi azzurri velati e arrossati, ed una
bocca, anche se di un colore innaturale e percossa da qualche
tremore, ancora carnosa.
I
capelli erano di un biondo spento, privi di ogni vitalità,
opachi e
trascurati.
Il
suo corpo era magro, troppo magro, la pelle era poco spessa e
sembrava che le ossa l'avrebbero spaccata da un momento all'altro.
Non
mi stava guardando, il suo sguardo era perso nel cielo blu estivo,
non si era ancora accorto della mia presenza.
Portava
dei pantaloncini e una maglietta troppo grandi di circa due taglie
abbinati a delle scarpe consumate e vecchie.
Ma
nonostante tutto l'avevo riconosciuto, non avrei mai potuto non
riconoscerlo.
Tormento
di ogni mio sogno.
Di
ogni mio pensiero.
Di
ogni mia paura.
Vederlo
così indifeso e così sofferente, bisognoso di
cure, bisognoso di
qualcuno che lo abbracciasse, che lo aiutasse mi fece quasi cadere a
terra.
Ai
miei occhi lui era sempre lo stesso, non era cambiato ed ogni
sentimento dentro di me tornò al suo posto, ogni mio disagio
cancellato.
La
mia missione era lui.
Affrettai
il passo e senza alcuna esitazione mi parai davanti a lui.
Il
suo sguardo saettò verso di me in un attimo, i suoi occhi si
allargano per lo stupore, capii che mi aveva riconosciuta, nonostante
gli anni e nonostante non portassi più un paio di jeans e un
maglietta presa a caso dall'armadio, nonostante non fossi
più
un'innocente adolescente.
Si
alzò di scatto come se tutto il suo corpo fosse stato
attraversato
da una scarica di corrente elettrica e cercò di correre via,
ma io
rapida bloccai la sua fuga.
Ci
ritrovammo senza accorgercene vicini e di istinto lo abbracciai, lo
strinsi a me.
Sentii
le sue lacrime bagnarmi la spalla.
Forse
finalmente quelle lacrime rimaste in attesa di essere consolate e
asciugate erano uscite dal loro nascondiglio, forse in quel momento
qualcosa dentro di lui si era smosso e aveva lasciato uscire
ciò che
era sempre stato celato.
L'abbraccio
durò un tempo indefinito o forse il tempo di un attimo, ma
non
importava perché in quel momento il tempo non esisteva o
più
probabilmente per noi non era mai esistito.
Sciogliemmo
quell'abbraccio e ci guardammo negli occhi.
Intensamente.
Sentivo
i miei occhi riempirsi di lacrime e udivo l'aria intorno a noi rotta
dai miei singhiozzi.
Allora
fu lui ad abbracciarmi per consolarmi.
Sentivo
che cercava di stringermi con tutte le sue forze, anche se non erano
poi così tante.
Mormorava
qualche parola di conforto al mio orecchio.
La
sua voce era piacevole, melodiosa, un po' stanca, ma l'unica cosa
immutata, sentirla mi calmò all'istante e mi lasciai cullare
da quel
suono.
Mi
accarezzava la schiena lentamente.
Poi
mio malgrado sciolsi ancora una volta quell'abbraccio.
Avrei
dovuto fargli mille domande.
Chiedergli
perché era in quello stato.
Come
mai era diventato un barbone tossicodipendente.
Ma
molto probabilmente una persona sana di mente, non si sarebbe mai
avvicinata a lui anche se lo avesse conosciuto benissimo.
Ma
io non ero normale.
-Io
ti aiuterò- dissi con le lacrime che ricominciavano a
scendermi.
Il
ragazzo davanti a me mi guardò stupito, ma per la prima
volta la sua
bocca si piegò facendo qualcosa che assomigliava vagamente
ad un
sorriso.
-Se
avrai bisogno di me, di una comunità, di qualcuno con con
cui
confidarti, di una casa io ci sarò- sapendo benissimo che
aveva
bisogno di tutte quelle cose che avevo elencato.
Mi
prese il viso fra le mani e piantò i suoi occhi azzurri nei
miei.
Per
un attimo rimasi incantata, era stanco, sciupato, ma era ancora
bello.
Giuro
che se non avesse parlato in quel preciso momento non avrei resistito
dal baciarlo.
-Perché
mi vuoi aiutare?- Mi chiese.
La
risposta mi sembrava ovvia, ancora non aveva capito che quando vedevo
lui il resto non era più importante, non aveva ancora
compreso
quanto il tempo non fosse niente senza di lui, non aveva sentito che
nonostante quello che avevo passato, ancora non riuscivo a
dimenticarlo.
La
risposta uscì spontanea -Perché ti amo-
Rimase
un attimo in silenzio, forse stava pensando, anzi sicuramente stava
pensando.
-Ma...Cosa...Dopo
tutto questo tempo...Tu devi essere pazza- Mi disse, mentre io ancora
ancora non mi capacitavo di quello che avevo detto, non potevo averlo
pronunciato io.
Intanto
lui mi lasciò il viso e si girò di schiena.
Non
sentire più il suo sguardo su di me, non sentire
più le sue mani
sul mio viso, non sentire più il calore del suo corpo mi
procurò
dolore fisico.
-Ti
prego- Lo implorai ricominciando a piangere sommessamente, ero
patetica come potevo solo pensare che lui capisse i miei sentimenti.
-Girati
guardami-
Lui
lo fece, ma era ancora lontano da me.
-Sarò
pazza,anzi sicuramente sono pazza, sono pazza d'amore e se questo ti
spaventa lo posso capire, ma io...- E mi ritrovai piangere
singhiozzante inginocchiata a terra con le mani davanti al viso.
Lui
si avvicinò a me e si abbassò fino a far
riavvicinare i nostri visi
poi con gentilezza spostò le mani che coprivano la mio volto
poi mi
prese il mento con le dita, ritrovai di nuovo i suoi occhi dentro i
miei e ne restai nuovamente incantata.
-Io
pensavo che tu non mi avessi mai amato- e mi sorrise -Ricordi alle
medie, ricordi le nostre chat, ricordi come ci punzecchiavamo-
Mi
persi nei ricordi, ore passate davanti al computer con il sorriso
stampato sulle labbra aspettando che lui mi scrivesse
“Ciao” e
quando lo faceva mi rendeva la ragazza più felice della
Terra.
Quell'imbarazzo
quando non sapevo come rispondere a certe domande.
Il
dolore quando mi diceva che gli piaceva la mia migliore amica.
Quelle
stupide domande, quelle invece che mi hanno fatto tremare il cuore
del tipo “Cos'è l'Amore?”, le piccole
litigate, le prese in giro
e la punizione di mio padre di non usare internet per una settimana
che mi fece piangere tantissimo.
Le
piccole bugie di quando gli ho detto che mi era piaciuto quel libro
che mi aveva prestato di nascosto in classe.
Il
batticuore quando eravamo sulla mia bicicletta: lui pedalava ed io in
piedi sul portapacchi mi tenevo stretta alle sue spalle forti e
volevo che quel momento non finisse mai più.
-Ricordo
tutto- Esclamai sorridendo.
-Ricordi
di Pavia- Continuò.
Eccome:
ero davanti al computer sorridente.
G:Oggi
sono andata a Pavia e l'ho visitata.
R:Brava,
ma scommetto che non l'hai girata tutta: per esempio sei andata al
parco della Vernavola.
G:No,
beh forse allora potresti farmi tu da cicerone la prossima volta.
R:Ok.
G:Guarda
che io non sto scherzando.
R:Ok.
Il
mio cuore stava scoppiando di felicità, lui voleva veramente
venire
con me a Pavia, solo con me, già mi immaginavo come sarebbe
stato
baciarlo e accarezzargli il viso, ma niente di tutto ciò
sarebbe
accaduto.
L'estate
si sarebbe frapposta tra noi e poi le superiori, ma soprattutto la
mia stupida paura di essere troppo lontani e di frequentare due
scuole diverse in due città diverse.
-Sì
ricordo- Risposi guardando a terra.
-Perché
non ti sei più connessa in chat? Perché non mi
hai più voluto
sentire?- Mi chiese lui guardandomi sempre fisso negli occhi.
-Perché
volevo dimenticarti, andavamo in due città diverse ed in due
scuole
diverse, poco dopo me ne sono pentita, ma tu eri insieme ad una
ragazza era tardi ormai, troppo tardi- E ricominciai a piangere come
si conviene ad un'adolescente e non ad una donna di venticinque anni
che si stava per laureare per poi continuare la sua carriera con la
gavetta in ospedale.
-Volevo
dimenticarti, ma non ci sono mai riuscita completamente ed eccomi
come una stupida a confessarti ora quello che avrei dovuto dirti
allora- Aggiunsi.
-Alzati-
Mi disse e lo feci senza tante storie.
Appena
fui in piedi sentii le sue labbra sulle mie, prima mi diedero un
lieve e casto bacio sfiorandomi appena la bocca poi lentamente sentii
la sua lingua farsi strada e senza indugio alcuno l'accolsi.
Le
nostre lingue giocavano fra loro in una danza che non sembrava non
voler finire mai, il bacio fu un crescendo di emozioni e sensazioni,
mi sentii di nuovo adolescente e capii in quell'istante preciso che
nonostante le mie scelte, nonostante la mia volontà nel
dimenticarlo
lui c'era sempre stato e che io per quanto possa sembrare strano o
improbabile l'avevo sempre amato.
|