ffff
Sono un po’ sfigata
ultimamente.
Persa nei miei pensieri camminavo per la
mia stanza, quando qualcuno si lanciò contro la porta. Mi prese un colpo.
– È aperto, santo cielo! – urlai.
– Si può? – era la voce di Iris,
intimidita forse dal mio urlo. Entrò in camera mia. – Mi… avevi detto che
potevo stare in camera tua ‘sta mattina…
– Certo che puoi! Vieni! – mi lanciai sul
letto e picchiettai su di esso vicino a me. Lei mi fece un radioso sorriso e si
sedette di fianco a me a gambe incrociate verso di me. La imitai e le sorrisi
di rimando.
– Grazie, Annie.
– Ma figurati, mi hai chiesto di venire in
camera, non di mangiare i miei
biscotti.
Lei trattenne una risata, io invece
scoppiai a ridere.
– Ma cosa sto dicendo?
– Tu sei tutta matta! – incominciò anche
lei a ridere. Ripensai a quello che avevo detto e ritornai seria.
– Non chiedermi mai una cosa del genere.
Ci guardammo per qualche istante e
scoppiammo a ridere all’unisono. Andammo avanti a sparare idiozie per una
mezz’oretta, ridendo come delle ebeti. Erano discussioni della serie:
– Iris, lo sai che il mio ornitorinco
Pruffidubbi ha perso una scarpa?
– Oh, di che colore era? Magari l’ho
vista.
– Era arancione come gli occhiali da sole
di una formica.
– Capisco, se o io o il mio unicorno
Marcivisco la troviamo te la riportiamo.
Giusto per farvi un’idea. Eravamo
arrivate ad un punto in cui io mi stavo asciugando le lacrime e lei si teneva la pancia,
evidentemente dolorante. La guardai per qualche secondo: era incredibilmente
bella, con le fossette sulle guance e i capelli scuri che le davano un’aria da
sbarazzina. Anche lei riaprì gli occhi e rimasi incantata dai cambi di colore
che avevano: prima azzurrissimi, poi marroni ed infine ambrati. Non resistetti
più.
– Iris, ma i tuoi occhi…?
Lei tornò seria e vidi comparire delle
lacrime sul suo viso.
– Scusa, non volevo… – ma era troppo
tardi, Iris era già scappata via piangendo.
Sfiga tre, Annabell
zero! Uaaaaaaaaaaaaaah vai così ragazza!
Mi misi la testa tra le mani, incapace di
reagire, per tutto quello che era successo in così poco tempo.
Sono un’idiota. Stupida,
stupida, stupida, stupida.
Non mi accorsi nemmeno che zia Adrianne
stava chiamando per la cena. Ricacciai indietro le lacrime che scalpitavano per
uscire quando Mr. Mason bussò alla mia porta.
– Signorina Annabell, siete richiesta giù
nella sala da pranzo.
– Mr. Mason, addirittura del voi? Ti
prego, dammi del tu.
– Come vole… ehm, come vuoi. – pronunciò
‘vuoi’ come se stesse per vomitare un arcobaleno. Io gli sorrisi.
– Molto meglio, vero?
– È un po’ strano ma… la tua felicità è anche la mia.
AAAAAAAAHW.
– Okay, posso andare di sotto ora. Grazie
per avermi avvisato, Mr. Mason.
– Non c’è di che, Annabell.
Gli sorrisi un’ultima volta poi scesi.
Andai nella sala da pranzo, e mi sedetti tra Iris e Nathan. Fu la cena
probabilmente più deprimente della mia vita. Non parlai con nessuno dei
Parrington. Nessuno. Tornai in camera
mia e probabilmente piansi le ultime lacrime che mi rimanevano da versare.
Il mattino seguente mi svegliai di
soprassalto. Avevo lasciato il cellulare vicino alla mia faccia sul cuscino e
mi arrivò un messaggio. Mugugnai scocciata e mi alzai: come al solito era
prestissimo. Troppo presto.
Decisi di vedere di chi era il messaggio.
Da: Nigel
Ehi, ti ho svegliata? Se
sì scusami. Appena ti ripigli dalla dormiveglia mi chiami?
Manchi.
Sorrisi. Era vero, avevo ancora qualcuno
dalla mia parte. Il mio quartetto.
Grazie, ragazzi.
Risposi al suo messaggio.
Ciao Nigel, grazie per
esserci. Ti chiamo tra poco, fammi preparare.
Inviai il testo e mi fiondai in bagno. Mi
lavai la faccia e mi misi il mio amato mascara waterproof. Misi la divisa della
scuola, (la seconda, ovviamente, la prima era giusto un po’ sporca di sangue ed
era… dai Custodi) lo zaino di scuola, preparato da non-so-chi come al solito,
posizionato vicino alla porta, le scarpe ed uscii dalla mia stanza. Richiusi la
porta dietro di me senza fare rumore e scesi lentamente le scale. Ovviamente ci
fu quel dannato gradino che scricchiolò. Un suono del genere non si sarebbe
nemmeno sentito in una situazione normale, ma nel buio e nel silenzio della
casa sembrò un rombo di un tuono. Maledii la mia grande dote di casinara
provetta, e chiusi gli occhi, pregando affinché nessuno mi avesse sentito.
Ti prego Fortuna, stai
dalla mia parte per una volta…
Era così ovvio che non sarebbe stato così?
Riaprii gli occhi e trasalii nel vedere che avevo una figura di fronte a me
che mi osservava.
Ovviamente.
Temetti che fosse lo zio Parrington. Mi
ritrovai a ripregare la fortuna, che per una volta mi diede ascolto.
– Annabell? – riconobbi in quel bisbiglio
la voce di Mr. Mason. Tirai un sospiro di sollievo.
Grazie.
– Mr. Mason… –
bisbigliai, indecisa su come continuare.
– Annabell, che ci fai
in giro a quest’ora?!
– Ehm… – mi grattai la
testa. Mr. Mason mi ispirava fiducia, ma così tanto da dirgli che stavo
cercando di ‘evadere’? Lui mi osservava, lo vedevo che voleva sapere tutto. Si
portò una mano alla bocca.
– Davvero lo voi fare?! –
mi chiese con voce così bassa che mi ci volle un po’ per interpretarlo.
Mi legge nel pensiero?
– Mi aiuteresti? –
domandai scettica.
– Certo che sì! Non si
vede un briciolo di azione in questa casa da… vent’anni! Allora, devi scappare,
giusto? – persino i suoi occhi sorridevano, non potei non sorridere anche io.
Qual’era il bello della conversazione? Bisbigliavamo!
– Sì, esatto. C’è per
caso… mmh… una seconda uscita?
– Ce ne saranno anche
sei o sette, Annabell!
– Mi ci puoi portare?
– Ovvio! Mi sento così
giovane! – ripeteva mentre scendevamo piano le scale. Risi piano divertita, ma
sembrava più una risatina isterica, in base alla situazione in cui ero.
Scendemmo verso la sala da pranzo, ma svoltammo prima a destra. Mr. Mason si
fermò davanti al muro grigio che si ergeva.
– Eccola. – mormorò, poi
fece una cosa che mi lasciò alquanto scioccata. Di solito come si aprono le
porte segrete? Parole magiche, tocco di alcune mattonelle, magia? Lui invece
tirò un calcio allo stipite e il muro scomparve, lasciando vedere la porta che
stava dietro. Oppure il muro si era trasformato in porta? Fatto sta che Mr.
Mason prese il pomello e me la aprì.
– Io non posso
proseguire oltre. Questo passaggio porta esattamente dall’altra parte
dell’isolato, dalla parte opposta rispetto all’uscita principale. Ti conviene
non fare rumore fino a quando non sarai del tutto fuori.
– Ti ringrazio Mr….
– Oh, non ringraziarmi.
È un piacere aiutarti, chiedi pure se avrai bisogno ancora, okay?
– Lo farò di sicuro. –
sorrisi.
– Ora vai, fai quello
che devi fare. – mi indicò il passaggio con il mento.
Gli sorrisi un’ultima
volta e l’ultima cosa che vidi fu la sua immagine che alzava i pollici
divertita, prima di chiudere il passaggio dietro di me. Presi un respiro
profondo e mi diressi verso il fondo della galleria buia. Continuai a camminare
per un bel po’, finché non iniziarono i soliti avvenimenti strani che succedono
solo ad Annabell Davis. Camminando sentii per prima cosa dei bisbigli, poi
delle urla sofferenti. Dovevano essere di un bambino. Mi tappai le orecchie, ma
i suoni erano nella mia testa, non c’era modo di fermarli. Ad essi, si
aggiunsero delle immagini, non so dire se erano nella mia testa o nei muri. Era
una macchina. Andava molto veloce, di fretta. A bordo c’era un bambino, lo
avrei riconosciuto ovunque, era Nathan. L’immagine cambiò. Ora era nel porto di
Amburgo ad osservare le navi che arrivavano, solo. I capelli erano più
riccioluti, diretti verso l’alto. Gli occhi verdi brillavano contenti di fronte
alle navi, ma sembravano anche tristi. Ora Nathan era nel parco, seduto contro
un albero. L’immagine cambiò di nuovo. Nathan era ancora in macchina, i
guidatori questa volta erano un uomo e una donna, che parlavano e gesticolavano
animatamente poi… l’immagine si oscurò e si sentirono di nuovo delle urla di
donna.
– Basta… BASTA! – urlai.
Era troppo.
Cos’era tutta quella roba? Cosa c’entra Nathan con Amburgo?!
Scossi la testa e
camminai ancora un po’. Vidi una luce, così pensai che finalmente ero uscita da
quel tunnel degli orrori, invece mi sbagliavo. La luce era verde, ed ebbi
l’intenzione di ritornare da dove ero partita.
Un coso colorato!
Non appena mi misi di
fronte al coso, diventò rosso con un alone arancione. Ancora quegli urli di
bambino e donna. Mi tappai le orecchie e mi misi a correre, ma la luce mi
seguiva, questa volta, così come le urla nella mia testa.
Correvo, correvo più
veloce che potevo. Stavo scappando da qualcosa che mi sarei portata dietro per
sempre, qualcosa che non sarei mai riuscita a dimenticare. L’unica cosa che
volevo era correre, correre via, ma ero in una dannatissima galleria da cui non
trovavo uscita. La mia collana si illuminò e mi ritrovai con la faccia per
terra, in mezzo alla strada. Non c’era nessuno.
– Nigel. Ho bisogno di
Nigel.
Composi il numero di
Nigel, che conoscevo a memoria e misi il mio Blackberry all’orecchio.
Tuu… tu-tuuuu…
– Pronto, petite?
– Nigel… Nigel… – non
sapevo cosa dire. Avevo così tante cose da dire, mi uscivano persino i pensieri
confusi, come gli avrei spiegato?
– Calma, petite prendo l’aereo e arrivo. – e mise
giù.
Tuu… tu-tuuuu.
Non sapevo che fare. Non
volevo pensare a nulla, a nessuno. Ero completamente sola in quel momento.
Non so nemmeno dove sono.
Guardai la schermata del
telefono. Erano le sei.
LE SEI?!
Ero stata in quel tunnel
per due ore. Due ore. Ora dovevo
trovare la strada per la scuola.
Aspetterò davanti ai cancelli.
A quel punto feci
qualcosa di cui mi stupii persino io. Presi in mano il ciondolo, quello a forma
di chiave di violino che mi aveva regalato Julia e pensai ad alcune parole:
Ho bisogno di trovare la via, chiedo il tuo aiuto per ritrovare ciò che ho
smarrito.
E in quel momento seppi
dove andare. Mi diressi lentamente verso la scuola, finché non incominciai ad
intravedere l’edificio da lontano.
Non ricordo nulla di
quello che successe poi, so solo che mi appoggiai ai cancelli della scuola, con
le urla che mi rimbombavano ancora nelle orecchie e che mi risvegliai in una
stanza completamente bianca.
– Tranquilla, ora stai
bene.
Mi misi seduta a fatica
e vidi che di fronte a me c’era una signora che mi sorrideva appoggiata ad un
tavolo con le braccia incrociate. Mi toccai la testa, scuotendola piano.
– Abbiamo intuito che
eri una studentessa dalla divisa – mi indicò, – altrimenti ti avremmo lasciato
là svenuta.
– Ero svenuta?
– Sì, eri appoggiata ai
cancelli, quando ti abbiamo trovata non avevi polso, pensavamo fossi morta,
così ce ne stavamo andando ma Adrian, un alunno di seconda, ha urlato che eri
viva e ti ha portato fino a qui.
Ho sentito bene?
– Adrian?
– Sì, Adrian. Lo
conosci?
– L’ho… l’ho visto poche
volte. È amico di mio cugino.
– Ah, Parrington?
– Nathan, sì.
– Pappa e Ciccia quei
due.
– Ho notato…
Parlare di mi cugino mi
faceva venire male al cuore. Lui non era lui. Mi misi la testa tra le mani.
Cosa sta succedendo? Cosa mi sta succedendo?
– Tutto bene?
– Sì – mentii, –
probabilmente ho una ricaduta…
L’infermiera aprii una
cartella con scritto il mio nome sopra. Accorgendosi che la guardavo stranita
parlò lei per prima.
– È stato sempre Adrian
a dirmi come ti chiami.
– Lo sapeva?
– Lo ha detto con una
naturalezza da far paura, ti teneva in braccio e ti sorrideva.
Arrossii. Non potei
farne a meno. L’infermiera girò qualche foglio del mio fascicolo e poi mi
riguardò sorridendo. Chiuse il fascicolo e mi toccò la fronte.
– La febbre non ce
l’hai, prendi que…
– BELL! – Dave irruppe
nella stanza e mi abbracciò – Avevano detto che eri morta, collassata davanti
ai cancelli, ommioddio, non ci ho voluto credere, non potevi essere morta!
– Dave, che piacere
vederti! – gli diedi qualche colpetto sulla schiena – Ma se molli un po’ la
presa…
Lui si tolse subito –
Sì, ehm, scusa.
– Tranquillo! – questa
volta lo abbracciai io.
– Ehm-ehm! – questa era
l’infermiera. – Johnson, non è questo il modo di entrare in un’infermeria!
– Mi scusi, signora
Smith.
Lei sospirò. – Annabell
sta bene, puoi portarla in classe ora. Avete… – ci pensò su per un attimo –
inglese, no?
– Si, signora Smith. –
Suonò la campanella.
– Beh? Cosa fate ancora
qui? Correre, l’intervallo è terminato!
Dave mi prese per il
polso e mi tirò giù dal lettino, per poco non caddi con le ginocchia per terra,
iniziando a correre, ma appena girato l’angolo prese a camminare
tranquillamente. Notai con un certo fastidio che le persone nel corridoio mi
guardavano e mi fissavano, e quelle nelle classi sporgevano in fuori la testa.
– Ero così orrenda da
collassata sui cancelli?
– Non sembravi morta,
eri bellissima.
– Ma mica non c’eri…?
– Scusa, era un pensiero
di quel ragazzo là. – indicò un biondiccio che pareva Justin Bieber.
– Vero, tu leggi nel
pensiero. – ci pensai un secondo – Di tutti tranne che nel mio.
– Me lo devi rinfacciare
ancora?
– Naah, ho finito.
– Comunque, non è solo
perché eri collassata davanti ai cancelli. Che poi, perché eri collassata davanti ai cancelli? Vabbè, fatto sta che
sono attratti da te. – disse, con tutta la naturalezza del mondo.
– D-da me?!
Ma chi è quello stupido che può anche solo immaginare di essere attratto da
me? Oh, e comprendo anche Jason.
– Mi prendi in giro? –
gli domandai.
– Perché dovrei, scusa?
È la verità. È tutto questo strabumbum di potere che ti porti dietro che li
attrae, ora che stai scoprendo i tuoi poteri ancora di più. Più diventi potente
più loro sono attratti. Poi dobbiamo parlare dei tuoi occhi? Incredibilmente
ipnotici.
… quadra.
– Ma con chi funziona? –
dissi, pensando a Jason. Poteva essere stato attratto dal mio potere ma non
appena la magia era finita mi aveva urlato addosso.
… no, non voglio che sia così.
– Ora ti interessa, eh? –
disse Dave, ficcano il gomito nelle mie costole.
Arrossii.
– Dipende dal fandom a cui ti vuoi
attaccare. – continuò – puoi chiamarli babbani, mortali, mondani…
– O semplicemente persone normali. –
intervenni.
– Io volevo renderlo più interessante, ma
il concetto è quello.
– Ah, okay…
– Per loro sei tipo una dea scesa in
terra.
– Non esageriamo.
– Una dea un po’ rude, ma è così.
Questa volta fu il mio gomito a finire
nelle sue costole.
– … e anche manesca. – rise lui. – Siamo
arrivati, entri prima tu o io?
– Vado io prima.
– Vai, Mrs. Sicurezza. – mi diede una
piccola spintarella.
– Che cosa… – mi ritrovai sulla porta, Mr.
Shuffle mi osservava, insieme a tutta la classe, ovvio.
– Oh, ecco la nostra Bella Addormentata!
– Ehm… sarebbe un complimento, Mr.
Shuffle?
– Prendilo come tale. – mi sorrise – Ora
stai meglio?
– Sì, grazie.
– Brava, in tempo per l’ultima ora.
Sorrisi, non sapendo cosa dire e andai a
sedermi al mio posto seguita da Dave.
– Complimenti Johnson, ce l’hai riportata
viva.
– Oh, è troppo forte per arrendersi. Non è
una che lo fa. – mi sorrise sedendosi.
– Evita, per favore. – gli bisbigliai. Lui fece spallucce e tornò ad
ascoltare Mr. Shuffle parlare. Io ovviamente lo ignorai. Ero troppo presa a
pensare a tutto quello che mi era successo da quando ero arrivata a Londra.
Troppe cose a cui pensare. Mr. Shuffle richiamò la mia attenzione quando disse:
– Ed ora, le presentazioni! Suppongo che nessuno si sia ancora presentato
decentemente, vero? Magari non sai nemmeno i nomi di tutti. – batté le mani due
volte – Okay, ragazzi, presentatevi pure alla nostra nuova arrivata, Annabell
Davis.
– Solo Annie, vi prego.
A quel punto tutti, e dico tutti, si alzarono e corsero verso il
mio banco. Ognuno iniziò ad urlare il proprio nome, altri volevano che cantassi
una canzone.
– Aspettate un secondo! Tutti fermi! –
tutti mi obbedirono. – Come hai detto che ti chiami tu, George? D’accordo ora
passi avanti un altro, per favore. – sospirai. Non stava nel mio carattere fare
cose del genere. – Voglio conoscervi tutti ma… con calma.
– Io mi chiamo Sean! – urlò un altro.
– Ciao Sean.
Ed andò avanti così fino al suono della campanella.
Finalmente. Mi ricordavo solo qualche nome: Michael, Ares (sì, uno si chiamava
come il dio della guerra), Bob, Luciana, Crystal e… Louis. Gli altri… vuoto
totale. Presi la mia cartella e me la misi su una spalla sola.
– Posso accompagnarti? – mi chiese Louis.
– Ehm… sto con Dave, grazie.
– Ci vediamo domani ai cancelli, allora!
– Non collassare ancora!
– Domani vieni al tavolo con me?
La testa mi scoppiava. – Dave! Vieni, ti
prego. – presi Dave per un braccio e mi avvicinai al suo orecchio – Non ce la
faccio.
– A chi lo dici! Troppi pensieri, mi sono
scoppiati tutti i neuroni!
– Ommioddio, domani si mangia qua?
– Sì, solo al giovedì.
Tirai un sospiro di sollievo e mi diressi
verso l’uscita. Lì, c’era Jason ad aspettarmi. Il mio cuore si fermò.
ORA non ho polso.
–
Ciao. – disse lui. – Vogliamo andare?
–
Pronta quando lo sei tu, Jason. – dissi fredda. Lui prese il mio zaino e
se lo mise in spalla, avviandosi.
– Ciao Bell! – mi salutò Dave e si avviò
raggiungendo sua sorella Hope. Erano gemelli, ma lui insisteva a dire di essere
il maggiore, solo, testuali parole di Hope, perché era nato qualche ora prima.
Fatto sta che salii in macchina con Jason,
alla guida stava Dalton. Jason guardava fuori dal suo finestrino in silenzio, e
mi dovetti imporre di non guardarlo. Alla fine di quell’interminabile viaggio
Jason mi aiutò a scendere dalla macchina e mi condusse nella sala del
pianoforte, la ‘nostra’ sala, dove avrei dovuto svolgere gli allenamenti.
– Dai, cambiati. – Jason si diresse verso
una pigna di vestiti e me li lanciò. Erano i vestiti del giorno precedente, la
maglietta verde con il sette dietro, i jeans e le vans. Li presi al volo e gi
feci segno di voltarsi. Lui fece spallucce, appoggiò il mio zaino al muro e si
sedette, iniziando a smanettare con il suo iPhone. Io mi cambiai e mi feci una
coda. Risciolsi i capelli.
Era più bella quella che
mi ha fatto lui ieri…
Sospirai.
– Posso girarmi? – chiese lui.
– Sì, ho finito. – gli risposi con
l’elastico in bocca e i capelli in mano.
Lui rimanendo seduto si girò verso di me e
mi prese il braccio, attirandomi a sé.
– Faccio io. – e mi prese l’elastico dalla
bocca sorridendo. Io mi girai dandogli la schiena e lui mi fece la coda. – Et
voilà! – allargò le braccia.
Io lo scrutai mentre rideva. Mi resi conto
che amavo la sua risata.
Avrà qualche difetto
questo ragazzo?
– Prima i portali o i compiti, signorina?
– Leviamoci i compiti, dai. – dissi
alzandomi e andando a prendere lo zaino.
– Oh, allora mi devo armare. – si frugò
nella tasca e tirò fuori un paio di occhiali. Sembravano… ray-ban.
Occhiali da vista?
Beccato, difetto.
Sbagliato. Se li mise ed era ancora più
sexy di prima. Strizzò gli occhi.
– Non guardarmi così.
– Come ti sto guardando?
– Sono orrendo con gli occhiali, lo so.
– Non è assolutamente vero. – dissi
prendendo il libro di inglese.
– Sarà…
– Sei figo sempre e comunque, a parte
quando mi urli addosso.
Si azzittì.
Sospirai. – La. – un pianoforte si
materializzò davanti a me. Mi schioccai le dita e mi sedetti aprendo il libro.
– Cosa devi fare, piccola?
– Imparare un sonetto di Shakespeare.
– Oh, facile.
– Per te è tutto facile.
– Non è vero.
– Sì che lo è.
– Tu
sei la cosa più difficile che mi sia mai capitata.
– Io sono un errore.
Inarcò un sopracciglio e fece spallucce. –
Allora sei l’errore più bello della mia vita.
Alzai gli occhi al cielo.
– Cos’hai, piccola?
– Ieri mi hai urlato addosso, non è stato
bello.
Ci pensò su. – Oh…
– Perché non hai voluto che ti dicessi
quello che so?
– Perche tu non sai, piccola.
– Perché nessuno mi spiega! Siete degli
amanti degli indovinelli, se mi date una spiegazione è solo la punta
dell’iceberg, e la maggior parte delle volte non è quello che volevo sapere!
Ora che ho io un’informazione per voi, mi trattate male?
– Questo non è un argomento che ti
riguarda, piccola.
– Julia era mia zia! – urlai
– Devi tacere, dannazione! – mi urlò di
rimando.
Non piangere, Annie, non
te lo permetto!
Troppo tardi, le lacrime cominciarono a
scorrermi lungo le guance, non singhiozzai. Mi girai di colpo: non doveva
vedere quanto stavo soffrendo, e buona parte della colpa era sua. Chiusi il
libro e feci per andarmene, ma Jason mi afferrò il polso.
– Dove vai, adesso?
– Il più lontano possibile da te.
– Menomale che ieri mi amavi.
– Non è cambiato nulla, è ancora così.
Jason strinse di più il mio polso. – Ah,
sì? E perché allora non mi guardi in faccia quando parli?
A quel punto non ce la feci più, con uno
scatto della testa mi girai.
– Ti piace farmi piangere, non è vero? gli
urlai.
Jason mi guardò negli occhi e da dietro le
lenti sembrò avere un guizzo. Potrebbe anche darsi di no, non vedevo nulla con
le lacrime che offuscavano la visuale.
– La smetti di trattarmi come una merda,
adesso?
Lui non rispose e questo mi fece scoppiare
ancora di più. Mi liberai dalla sua presa e mi asciugai gli occhi, ricacciando
indietro le lacrime.
– Hai ragione, sono solo un errore, un
dannatissimo errore. Tu sei attratto dalla settima nota, dal mio potere, come i
miei compagni di classe! Non ti interesso io
veramente! Invece a me non è andata bene, sai? Io sono innamorata persa di te,
mi perdo nei tuoi occhi ogni volta che ti guardo, la tua risata mi fa sorridere
fino alla punta delle orecchie. Era troppo bello per essere vero. Tu farai
presto a dimenticarti di me, con tutte le ragazze che ti corrono dietro non
sarà difficile. Io invece dovrò guardarti e ammirarti da lontano continuando ad
amarti, rimanendo per te solo una ragazzina bassa con le lentiggini che doveva
allungarsi ber baciarti!
Jason mi abbracciò, tenendomi stretta per
non farmi scappare dalle sue braccia.
– Queste cose non le devi neanche pensare.
– mi passò un dito sotto il mento tirandomi su la testa. Teneva ancora gli
occhiali, il che lo rendeva incredibilmente serio. – Tu sarai anche bassa, a me
va bene. Hai le lentiggini? Amo le tue lentiggini. Ti chiami Annabell? Amo il
suono della tua voce, passerei delle ore ad ascoltarti parlare. Sei rude? Lo
sono anche io. E sei bellissima. Sei la mia
piccola.
Mi tolsi dalla sua presa prima che lui
potesse baciarmi. – Non sono una bambola! Proprio non riesci a essere sempre
così, vero?
– Smettila di rendere le cose più
difficili di quanto già non siano.
– Sei tu che rendi la mi vita ancora più
complicata.
– Pensi che solo la tua vita sia
complicata?
– Di sicuro di più rispetto alla tua,
Custode. – mi girai – Re. – un portale si materializzò di fronte a me, mi girai.
– Non sei costretto ad accompagnarmi. – con il libro sottomano mi buttai nel
portale, e un dolore lancinante alla spalla mi avvolse.
|