I fiori nel fango[*]
Lasciami fuori con
la spazzatura,
questo
comportamento non è da me…
E’ il tipo di
posto sbagliato, per pensare ancora a te
E’ il momento
sbagliato, c’è qualcuno di nuovo
E’ un piccolo
crimine, ed io non ho scuse;
e va tutto bene,
vero?
Abbiamo dato via
la pistola quando era carica,
e va tutto bene,
vero?Per te…
(Damien
Rice – 9 Crimes)
Pt. 1: Can’t Wash It All
Away[**]
Sono così stanca
di stare qui,
oppressa da tutte
le mie paure infantili…
E se devi
andartene,
vorrei che te ne
andassi e basta,
perché la tua
presenza indugia qui
e non vuole
lasciarmi sola…
(Evanescence – My Immortal)[***]
“Tesoro, mi raccomando, non far tardi!”
“Tranquilla mamma, tornerò in orario…e non abbandonerò il
sentiero né mi fermerò a parlare con gli sconosciuti...”
Lily Evans strizzò l’occhio a sua madre, le diede un bacio
sulla guancia e uscì di gran carriera. Il sole estivo le baciò il volto e
rimase intrappolato tra i suoi capelli, legati in una coda alta sulla nuca.
Lily si stiracchiò, godendosi l’aria tiepida e limpida. Che giornata
magnifica. La giornata perfetta per celebrare la fine…beh, esattamente non
sapeva di cosa. Della sua infanzia, forse, molto alla lontana. Mancava una settimana,
solo una settimana al suo matrimonio. Lily aveva espresso a James il desiderio
di passare qualche giorno da sola a casa dei suoi genitori, cosa che lui aveva
appoggiato pienamente, ma quel periodo era ormai finito e quella sera, alle
sette in punto, James sarebbe venuto a prenderla per riportarla a Londra, dove
convivevano da due mesi e dove si sarebbero sposati. Come minimo, quel giorno
era l’ultimo che la signorina Lily Evans avrebbe passato nella sua
vecchia casa. E Lily aveva deciso di doverlo trascorrere in maniera
particolare, anche se non aveva un piano preciso. Sapeva solo che voleva uscire
di casa, e stare un po’ con se stessa. E questo, apparentemente, aveva mandato
sua madre in fibrillazione. Da quando le aveva comunicato le sue intenzioni, la
donna aveva potuto ripeterle non meno di una trentina di volte di non arrivare
tardi, di essere a casa entro e non oltre le sette, per carità. La scusa era
che non sarebbe stato carino far aspettare James. La verità, pura e semplice,
era invece che alle sette e mezza sarebbe arrivato per cena Vernon, il grasso,
maleducato, ottuso fidanzato di Petunia, e Petunia non voleva assolutamente che
Vernon e James si incontrassero. La loro madre, povera donna, cercava di
salvaguardare la pace in casa. Aveva anche cercato, molto discretamente, di
persuadere la figlia minore a rimanere a casa, ma Lily era stata irremovibile:
sarebbe tornata sì prima delle sette, ma aveva deciso che quel giorno era
speciale, e andava festeggiato. Lily amava profondamente quel genere di cose:
compleanni, onomastici, anniversari…momenti che dessero un senso al tempo,
insomma.
Mentre toglieva il lucchetto dalla bicicletta, le balenò
l’idea di fare un giro del paese, di visitare tutti i posti che per lei avevano
significato qualcosa e salutarli. Sì, era una buona idea. Lily saltò in sella e
iniziò a pedalare di buona lena, la gonna a fiori che fluttuava sinuosamente
poco sopra il ginocchio.
Passò velocemente di strada in strada, riconoscendo di tanto
in tanto qualche posto che ricordava dalla sua infanzia, ma senza particolare
interesse…sentiva di star cercando qualcos’altro, qualcosa di più speciale.
Sfrecciò così lungo Hawthorn Boulevard, curandosi poco dei
bei negozi d’abbigliamento Babbano che l’avevano tanto attirata da bambina,
quando ce la portava Petunia, ma rallentò davanti alla sua vecchia scuola
elementare, salutando con la mano le imponenti mura, riverniciate di fresco.
Svoltò poi in MayFlower Lane, la strada che più aveva amato da ragazzina: il
grande negozio di giocattoli del signor McCallister, meta obbligata della
Vigilia di Natale, era sparito, sostituito da un anonimo negozio di
elettrodomestici, ma il Bar dei Tigli era ancora là, amichevole e familiare.
Lily ricordava i pomeriggi passati lì con sua sorella e sua madre a trangugiare
gelati, e il proprietario le regalava sempre un sacchetto di caramelle gommose:
“un premio per gli occhioni più belli della città” diceva, orgoglioso come un
nonno. Lily sorrise, quasi commossa, e considerò di fermarsi a prendere
qualcosa: alla fine decise di no, tutto sommato sarebbe stato imbarazzante, e
poi aveva voglia di continuare a muoversi…c’era una specie forza che la tirava,
una voglia imprecisata di qualcosa che era lì, molto vicino, ma comunque altrove.
Riprese quindi a pedalare, un po’ più speditamente,
godendosi la sensazione della brezza fresca sul volto. In poco tempo fu lontana
dal centro cittadino, e iniziò a percorrere i deserti vialetti alberati dai
quali si poteva già scorgere, nera e svettante contro il cielo, l’enorme ciminiera
di Spinner’s End. La ragazza non la curò di alcuna attenzione, concentrandosi
invece sul paesaggio, attenta a ogni strada che apparisse familiare…era
all’incirca cosciente di star girando intorno a un’idea piuttosto precisa, una
che non voleva rivelare nemmeno a se stessa, a quanto pareva…non se ne curò, e
continuò invece il suo giro, canticchiando un motivetto famoso.
Si fermò la prima volta all’angolo di Lavender Avenue, al
vecchio pioppo da cui a sette anni aveva salvato un gattino. Nessuno, nemmeno lei,
aveva capito lì per lì come fosse riuscita a salirci e recuperare il micio.
Lily rise, guardando ora l’albero come fosse un vecchio amico: col senno di
poi, quella era stata probabilmente la prima volta che aveva usato la magia.
Rimontando in sella, considerò che forse sarebbe stato
meglio non essersi fermata: i muscoli delle gambe erano troppo in tensione, la
breve sosta li aveva raffreddati di colpo, e adesso faticavano a riprendere il
ritmo. Iniziava a sentire anche una leggera fitta all’altezza del polpaccio,
così decise che fosse ora di tornare a casa…dopotutto, qualsiasi cosa stesse
cercando, pareva chiaro che non l’avrebbe trovata lì. Senza pensarci svoltò a
sinistra, prendendo quella che a rigor di memoria era la via più diretta per
casa sua, pedalando senza fretta, per non sforzare i muscoli doloranti. Quella
strada aveva un aspetto del tutto desolato: Lily superò cercando di non
guardarle nemmeno una schiera di vecchie villette scrostate e dalle finestre
cieche, un chiosco da giornalaio distrutto e pieno di graffiti, un parco giochi
abbandonato…inchiodò di botto. Nonostante il suo buonsenso e i suoi muscoli le
gridassero all’unisono –anche se per ragioni diverse- di assolutamente continuare
verso casa, non poté fare altro che tornare indietro, e fermarsi a fissare
le vecchie altalene arrugginite, totalmente ipnotizzata. Quel posto era così
cambiato, da quando era bambina…Era stato un posto discretamente tranquillo e
allegro, un tempo, una delle mete preferite nei pomeriggi delle sorelle Evans: adesso,
a malapena riusciva a riconoscerlo. Smontò dalla bici, scavalcò la recinzione
arrugginita e si avviò verso le altalene, in una sorta di trance, senza quasi
notare la polvere sabbiosa del recinto che le entrava nei sandali, pizzicandole
i piedi. Non poteva credere che lì fosse lo stesso posto di quando era
ragazzina. Si sedette, allacciando le braccia alle corde logore dell’altalena,
improvvisamente preda di nostalgia e rammarico: le faceva male al cuore vedere
quel posto che tanto aveva significato per lei, dove aveva passato tante ore
felici, dove…beh, dove aveva scoperto di essere una strega…così desolato, così
logoro e dimenticato.
Calciò un po’ di sabbia con la punta della scarpa, a
malapena cosciente dei suoi gesti, incredibilmente intristita.
Il parco non è l’unica cosa di quel periodo ad essersi
logorata e che rimpiangi, non è vero?
Sua Maestà la Realtà dei Fatti la rincorreva con voce
suadente e fredda nella sua mente, dove non poteva nascondersi, né rifiutarsi
di guardarla. Lily scosse la testa, cercando di zittire quella voce fastidiosa.
Sollevò finalmente lo sguardo dai propri piedi e si ritrovò a fissare un gruppo
di vecchi cespugli raggrinziti e secchi. Per un assurdo istante sperò di veder
spuntare oltre essi un ragazzino dal viso affilato e pallido, vestito di abiti
troppo grandi per la sua statura, e un attimo dopo aveva chinato il capo,
lottando furiosamente contro le lacrime che, non invitate, le premevano forte
agli angoli degli occhi.
Era questo, dunque. Giù la maschera, signorina Evans. Aveva
voluto ricordare, ed era arrivata a doverci fare i conti. Era vero, il parco
non era l’unica, e assolutamente non la più importante, delle…cose…di
quel periodo che si erano perse, rovinate, e di cui sentiva la mancanza, la
maledetta mancanza. Aveva cercato di non pensarci, si era sforzata di
dimenticare, per tutto quel tempo, per tutti quegli anni…era stata brava, oh
sì, molto brava: aveva tenuto il ritmo, non s’era fatta raggiungere dal
rimorso, era sgattaiolata ogni volta, protetta da nuovi affetti, da nuovi
interessi. Si era sentita sicura. E adesso, adesso che sarebbe dovuto essere
tutto nell’oblio, adesso che non si vedevano da tre anni, adesso che era il
giorno meno opportuno, adesso, le tornava tutto in mente.
“Oh beh, ovviamente” pensò, in un improvviso moto di
stizza. Aveva sempre avuto un’abilità particolare nello scegliere il momento
meno opportuno per parlare e la cosa meno opportuna da dire, lui. Era
naturale che anche il suo ricordo decidesse di rifarsi vivo in quella
precisa, sconvenientissima data. Ed era naturale che un attimo prima lei stesse
piangendo, piangendo per lui, e che un attimo dopo fosse
decisamente incavolata, ancora con lui. Sempre stato così, dopotutto, tra loro.
Si asciugò gli occhi col dorso della mano, lottando per rimpossessarsi di
quello strato fondamentale di rabbia che l’aveva difesa e trattenuta in tutti
quegli anni. Non ci riuscì del tutto, ma tanto quanto bastò a restituirle un
minimo di vigore: si alzò dall’altalena, scrollandosi la polvere dalla gonna con
aria risoluta. Adesso non aveva più voglia di tornare a casa. Certo, la
tentazione di correre a rifugiarsi lontano dai ricordi tra le mura domestiche
era forte, ma Lily si conosceva troppo bene per cedervi. Rientrare adesso
avrebbe significato rintanarsi in camera sua, nella disperata attesa
dell’arrivo di James, mentre i ricordi di quel tempo, gli spettri di lui, di
lei, di quel che erano (o piuttosto che non erano) stati insieme le
avrebbero divorato il cervello, sbranandolo pezzo a pezzo. Invece, avrebbe
ripreso la bicicletta e avrebbe continuato il suo giro, e avrebbe lavato via il
ricordo di lui dai suoi pensieri. Sì, era un buon piano. Poteva farcela.
Ma già mentre si dirigeva verso la bici non poté fare a meno
di deviare verso i cespugli secchi, accovacciandosi accanto alle radici
sporgenti. Aveva piovuto di recente, e il terreno sotto i rami era ancora tutto
limaccioso. Raccolse dal fango un piccolo fiore, rattrappito e nerastro, e lo
tenne stretto nel palmo alcuni secondi. Era sembrato così facile, così
naturale, da bambina…adesso dovette fare appello a tutta la propria
concentrazione. Ma quando riaprì la mano, un fiorellino di un lilla accecante
salutò il suo sguardo. Oltre i petali, un accenno di stelo con sottilissime
radici le si attorcigliava tra le dita, pulsando e crescendo
impercettibilmente. Composta e intenta, con un sorriso umido di lacrime sulle
labbra, Lily scavò due dita di terreno umido, e vi piantò il suo fiore, felice
di vederlo star dritto sullo stelo.
Rimase alcuni istanti, che avrebbero potuto essere alcune
ore, inginocchiata lì a contemplarlo, seria e concentrata come una religiosa di
fronte a una reliquia.
Poi, asciugandosi per la seconda volta le lacrime con la
manica, Lily concluse la sua piccola celebrazione, si alzò e raggiunse la
bicicletta cercando di tenere il passo fermo.
Si voltò un’ultima volta verso i cespugli: tirando un lungo
respiro, disse addio al fiore, sperando di lasciare legato ad esso il ricordo
di loro due bambini, di quello che avevano deciso di perdere per sempre.
Montando in sella, pensò di essere ancora in tempo per
ricominciare quella giornata.
Rimettendosi sulla strada, credette scioccamente che quel
piccolo pegno floreale avrebbe pagato i conti in sospeso tra loro.
*
*
*
Se vi è piaciuto almeno un po’ questo capitolo,
Vorrei che vi uniste a me nel ringraziare di cuore
La mia specialissima Clara
Senza il cui paziente lavoro di betaggio
(e di supporto psicologico all’autrice)
non avreste mai potuto legger questa storia.
Quindi,
…Grazie
Clara!
*
*
*
[*] il titolo è liberamente ispirato a un verso della
canzone “loose control” degli Evanescence, anche se lì in realtà i fiori
finiscono nella polvere, non nel fango…
[**]
altrettanto liberamente ispirato dalla canzone “Understanding”, sempre degli
Evanescence.
[***]
Sì, a Amy Lee dovrei farle una statua, lo so.
**Appuntamento a Domenica
prossima per il secondo capitolo!!**
non mancate e ricordatevi di
RECENSIRE!!
(a voi porta via
un minuto, a me davvero risolve una giornata)