Un dì di festa

di La Mutaforma
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Ricordi il dì della festa? Giù in paese, in piazza, fuori la chiesa, tutta la città. Mille colori sotto quel cielo nero, i venditori di sogni e palloncini ad elio, l’odore dello zucchero filato, la musica e le luci della giostra.
Ma tu hai troppa paura per salire, non lasci la mano della mamma che ti prende in braccio.
Hai sette anni e tutto intorno è sempre troppo rumoroso e i tuoi occhi vedono solo i colori splendenti della plastica dei palloncini che emana mille scintille e bagliori tutt’intorno.
Ne vorresti uno, a forma di delfino. Perché ti diverte l’idea di un delfino che vola nell’aria sopra il tuo naso.
Sorridi.
Ma sei così piccola che se ti legassi un palloncino al dito voleresti con lui, oltre il cielo, oltre le stelle, oltre i rumori della festa.
E scoppiano i fuochi d’artificio, e piangi perché sembra che il cielo bruci, che il mondo stia per finire.
A sette anni è sempre troppo rumoroso, e ti metti le mani in testa per proteggerti, perché hai paura che il fuoco ti bruci.
 
Or non si festeggia più. Ti affacci al balcone troppo tardi e cerchi i colori dei fuochi dietro i palazzi.
Resta solo l’ultimo rimbombo, il più forte di tutti, che copre le risate, le lacrime dei bambini spaventati, le chiacchiere e il disprezzo.  
È perché i bambini vedono il cielo troppo, troppo vicino, e hanno paura di bruciare sotto i fuochi d’artificio.
E tu ormai non sei più bambina, e il cielo è volato via, poco più in alto del tuo naso, e quasi non si vede. 
Perché prima o poi tutti i bambini imparano che legandosi al dito un palloncino non possono volare via. 




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