Liscio
come l'olio
“Fare
del proprio meglio.
Rifare.
Ritoccare
impercettibilmente ancora questo ritocco.”
(Marguerite
Yourcenar)
Prologo
– Domenica
«Sono
un disastro, Vanna.»
La
donna gli riempì di nuovo il boccale di vino scuro e
restò in
silenzio, attendendo che l'uomo seduto di fronte a lei continuasse,
anche se immaginava bene il motivo della sua afflizione. Le faceva
piacere che suo fratello venisse a sfogare la sua frustrazione da lei
piuttosto che in luoghi pericolosi come le osterie, ma negli ultimi
giorni queste serate di autocommiserazione erano divenute
più
frequenti. Troppo, per i gusti di suo marito, che non appena lo
vedeva arrivare si affrettava in bottega, anche se era ancora presto
per impastare. Guido le voleva troppo bene per non permetterle di
aiutare suo fratello quando si trovava in difficoltà, ma
anche la
sua pazienza aveva un limite. E Leo stava tirando troppo la corda.
«Anche
la seconda versione del ritratto di Madonna Caterina non va bene.
Devo inventarmi qualcosa prima di venerdì o sono
spacciato.»
«Almeno
le hai fatto tanti schizzi da bastarti per altri dieci
quadri»,
sospirò Vanna. «Ubaldo Brozzi potrebbe avere
qualche riserva
nell'acconsentire a far posare sua moglie a pochi giorni dalla
consegna. Magari pensa già che siate amanti»,
lasciò cadere con
intenzione. Leo si affrettò a smentire qualsiasi malizia la
sorella
potesse pensare.
«Quella
donna mi ossessiona, ma solo perché non riesco a
ritrarla», si
giustificò. «Ho fatto male ad accettare quella
commissione; non
riuscirò a portarla a termine», gemette.
«Quando dipingo mi sembra
che vada tutto bene, ma appena distolgo un attimo lo sguardo...
puff!, la magia è finita. Ed è troppo tardi per
cambiare qualcosa;
la tempera è già asciutta e il quadro
diventerebbe più orribile di
quanto già non sia.» Bevve un sorso di vino, poi
si perse a
guardare il liquido nero come se potesse leggerci dentro la risposta
al suo problema. «Credevo di aver capito cosa avevo sbagliato
la
prima volta, ma non è ancora abbastanza. Rifarlo non
è servito a
nulla. Non è Madonna Caterina quella che ho
dipinto.»
«E
credi che Messer Brozzi se ne accorga?»
Leo
alzò lo sguardo adirato verso la sorella.
«Non
è quello il problema!» urlò, sbattendo
un pugno sul tavolo. «In
un ritratto deve emergere la personalità di chi rappresento;
se non
sono in grado di farlo, allora non sono un pittore!»
Vanna
lo guardò per un istante più sorpresa che
spaventata, come se non
si aspettasse che suo fratello avrebbe mai osato alzare la voce
contro di lei. Dall'altra stanza di levò il pianto di una
bambina, e
la donna si affrettò ad andare dalla figlia, non prima di
aver
scoccato un'occhiata di rimprovero a Leo. Lui osservò la sua
figura
mentre si muoveva. Aveva sposato un panettiere e aveva avuto cinque
gravidanze in otto anni di matrimonio, ma nonostante si fosse
leggermente appesantita avrebbe ancora potuto fargli da modella.
Certo, non era più quella ragazza sbarazzina che aveva
ritratto nei
panni di Diana cacciatrice, né la giovane madre che aveva
posato
come Madonna col Bambino, ma avrebbe potuto interpretare una perfetta
Giunone. Se gli fosse capitato di dover dipingere la scelta di
Paride, le avrebbe chiesto ancora una volta il permesso di
immortalarla. Del resto, aveva un pregio che la rendeva molto
più
brava di altre professioniste: taceva. Per contro, il fatto che non
potessero andare a letto un po' gli dispiaceva. Soprattutto
perchè
lui sentiva l'impulso, eccome.
Vanna
tornò nella stanza con Tinuccia in braccio.
«Guarda,
è solo lo zio Leo che ha bevuto un po' troppo, non
è nulla», le
stava dicendo per calmarla. La bimba si strinse ancora di
più al
petto della madre.
«Non
saluti lo zio Leo? Ti ho fatto arrabbiare così
tanto?» Lui le si
avvicinò facendo il broncio, nel tentativo di farla
sorridere, ma
Tinuccia si ritrasse al tocco della sua mano sulla guancia.
«Siamo
permalosette, stasera», commentò Leo acido,
sedendosi di nuovo.
«Sei
tu che l'hai svegliata, è perfettamente comprensibile che
non ti
voglia intorno», disse Vanna, slacciandosi il corpetto.
«A-allatti
ancora?» Le parole gli uscirono di bocca senza che ci
pensasse.
«Normalmente
no, è già abbastanza grandina. Però
quando è turbata le serve per
calmarsi.» Leo non si accorse nemmeno del tono piccato della
risposta, concentrato com'era sulle mani della sorella.
Non
era cambiato nulla dai tempi della Madonna col Bambino o della Diana
cacciatrice. Se ne vergognava, ma davanti a se stesso non poteva
mentire: sua sorella non lo lasciava indifferente. Sua sorella, Dio
del Cielo!
«E
l'affresco per il Conventone?»
Leo
cercò di concentrarsi sulle parole della sorella piuttosto
che sui
suoi seni.
«L'arriccio
è steso e il cartone è finito. Fortunatamente mi
ero portato
avanti, nonostante fossi certo che oggi il ritratto sarebbe stato
pronto. Per domenica la Sacra Conversazione sarà finita,
cascasse il
mondo.» Bevve un altro sorso, sconsolato. «Se anche
l'affresco non
va, non terrò mai più un pennello in
mano.»
Osservò
sua sorella, più attenta ad allattare Tinuccia che alla sua
risposta. La sua presa era più salda e i suoi movimenti
più sicuri,
eppure vi era qualcosa in lei che gli ricordava quando posava per lui
ai tempi della Madonna. Doveva essere la dolcezza dello sguardo, o il
lieve sorriso che le increspava le labbra.
Vedendo
che l'imbarazzo nel cavallo dei suoi pantaloni aumentava,
mormorò un
ringraziamento a mo' di saluto e uscì, lasciando Vanna
completamente
ignara della vera causa del suo turbamento attuale. Alla taverna
avrebbe trovato qualcuna che per pochi danari l'avrebbe rimesso a
posto.
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