Prologo
…capo chino.
Nerissimi capelli a celare lo sguardo.
Trascinava i piedi nudi sull’asfalto. Le pietre vi si
insinuavano taglienti,
aprendo profonde vesciche in essi. Ella non pareva farvi caso. Non
pareva far
caso a niente. A nessuno. Visi vuoti si voltavano ad osservarla. Forse
ridevano. Forse indicavano. Forse. Ella nulla vedeva. Nulla udiva.
Trascinava i
suoi piedi feriti. A capo chino. A nessuno era dato vedere i suoi
occhi. Pelle
bianca come morta. Figura esile. Polsi sottili. Polsi che conservavano
tracce
di sangue. Sangue fresco. E, quasi a far loro il verso, sbiaditi
vestiti
colorati, memori di una speranza ormai morta. Di un sogno infranto.
Testimoni
di un’agonia malcelata dalla barriera di vuoto che la
circondava. Ma la ragazza
indifferente trascinava i piedi sull’asfalto, lasciandosi
alle spalle una
luccicante scia scarlatta. Alcuni indicavano. Altri ridevano. O
gettavano
soldi. Ringraziavano per lo spettacolo. Ella camminava.
L’immagine confusa
della massa indistinta dei corpi circostanti non la sfiorava. Non
riusciva a
penetrare quel buio torpore che la avvolgeva e che, paradossalmente, la
proteggeva. E giunse in un vicolo. Grigio e cieco. Alcune ragazze la
salutarono. Non un cenno da parte sua. Crollò al suolo,
schiena al muro. Le
ragazze si scambiarono uno sguardo. Muta compassione. Disapprovazione e
pietà.
Tossica, pensavano, meglio girare alla larga. Ma la ragazza accasciata
contro
il muro sapeva, anche se non udiva. Poggiò il capo sulle
ginocchia e il crine
le nascose interamente il viso. Non desiderava compassione. Desiderava
solo
restituire la sua vita per un’altra. Forse migliore. Forse. E
le sue labbra si
schiusero, per la prima volta, in un sussurro. “Difficile
mantenersi in vita”
mormorò. Poi, più niente. Le altre condivisero
una seconda occhiata, perplesse.
Scrollarono le spalle. Nei loro occhi si poteva leggere ancora una
finta pietà,
mescolata al disprezzo, prima che tornassero ad ignorarla… |