Gallavich
Week. Day 5 (June 27th) - My creys
(time
for the angst works)
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Quella
che ho scritto per oggi è la ff più corta,
ma anche la prima ad essere uscita dalla tastiera.
Non
sono sicura che sia tanto angst, però avevo già
descritto la loro separazione dal punto di vista di Mickey,
quindi volevo provare con Ian. Spero non sia proprio un
disastro...
Ci
sono problemi tecnici con la mia Ceci, quindi per il
momento niente cover. (luv u, babe)
Shot through
the heart
Era
la prima volta che sparava da
quando aveva iniziato il programma di addestramento
dell’esercito e si stava
rivelando un disastro.
“È la terza volta che
fallisci, Ian. Concentrati. Sei
sempre stato un buon tiratore. Non è proprio possibile che
tu non riesca a
beccare quel fottuto cerchio rosso.” si disse, con le lacrime
che gli sfocavano
i contorni del bersaglio rendendolo traballante. Come se non bastasse,
la presa
che aveva sull’arma non era sicura come avrebbe dovuto
essere; gli tremavano le
dita attorno all’impugnatura e non riusciva a tener ferma la
colonna
vertebrale.
«Gallagher!
Che diavolo stai
facendo? Ti manca la mamma? Contegno, sei
nell’esercito!» urlò il sergente
incaricato di supervisionare quello specifico addestramento
preliminare. Ian
scorse con la coda dell’occhio uno dei compagni, un certo
Tennison del cazzo,
scuotere la testa, farsi una ghignata in solitaria e lanciargli una
rapida
occhiata di scherno.
Stuzzicato
nell’orgoglio di
giovane uomo e di soldato, Ian si sfregò in fretta gli occhi
col dorso del
polso e spazzò via le lacrime senza tante cerimonie.
«Nossignore!» ringhiò,
mirò. Il proiettile con un fischio andò a
conficcarsi al centro esatto della
testa del sagomato.
Ce
l’aveva fatta, cristo,
finalmente.
Il
fatto è che, adesso, dopo un
po’ di cose accadute nella sua vita, reggere fra le mani una
pistola era come
un morso che affondava impietosamente nel pericardio e gli tranciava
via il
cuore di netto.
Nella sua testa il calcio del revolver andava ancora a
schiantarsi contro la faccia di Mickey per togliergli i sensi. E lo
scoppio dei
colpi che esplodevano dalla canna sapeva di tutte le volte in cui quel
ragazzo
difficile aveva barricato dietro la facciata da duro
un’angoscia commista di
silenzi e paure.
Il loro stesso amore era stato come una serie di
spari: li
aveva travolti con violenza e li aveva ridotti a corpi crivellati che
cadevano
in pezzi, con tante mancanze profonde come voragini impossibili da
riempire se
rimanevano uno lontano dall’altro.
Per
quello Ian non vedeva l’ora
di passare al fucile di precisione M24.
Perché era come se
su ogni pistola
fosse inciso a caldo il nome “Mickey Milkovich”.
Pensò anche che probabilmente
se fosse stato lì, Mickey avrebbe fatto assaggiare polvere e
sangue a Tennison
lo stronzo che continuava a guardarlo come se fosse un poppante. Ma no,
Mickey
era a Chicago, basta.
Ian
serrò l’occhio sinistro,
puntò con forza gli scarponcini nello sterrato,
irrigidì le spalle e la cassa
toracica, e poi sparò di nuovo. Si chiedeva se quel dolore
atroce sarebbe mai
diminuito.
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