11. Photographs
Quella mattina mi svegliai con un sorriso enorme stampato
sul viso, che era lì ancora prima che il mio cervello ricordasse gli eventi
della giornata precedente. Dopo il photoshoot, quella sera Louis era davvero
troppo stanco per fare qualcosa si più che fissare uno schermo. Perciò, eravamo
andati al cinema a guardare un film, accompagnati dagli altri quattro che si
erano autoinvitati dopo che Niall ci aveva sentiti per caso discutere dei
nostri piani. Si erano messi qualche fila dietro di noi e, mentre Louis mi
teneva la mano e sbadigliava di tanto in tanto cercando di seguire il film con
gli occhi pieni di sonno che mi facevano una tenerezza inaudita, ridacchiavano
e a volte lanciavano urletti ma anche popcorn. Sentivo Zayn sbuffare e Niall
ridere di gusto, mentre Liam di tanto in tanto li zittiva con uno «Ssssh» poco
convinto. Ogni volta Louis mi stringeva più forte la mano e mi sussurrava
qualcosa all'orecchio, gli occhi brillanti divertiti da quegli idioti dei suoi
amici. Non avevo seguito mezza battuta del film che avevamo visto, impegnata
com'ero a sorridere tra me e me, fissando di sottecchi nella penombra il
profilo di Louis illuminato dalla luce azzurrina dello schermo e chiedendomi
come avessi fatto a cacciarmi in quella situazione, i capelli pieni di pop corn
e la mia mano in quella di Louis Tomlinson.
Solo una volta usciti, mi ero chiesta se i ragazzi avessero
scelto appositamente un film straniero ed effettivamente poco conosciuto per
evitare di essere riconosciuti e "molestati", visto che in effetti la
sala era quasi vuota e non c'erano stati incidenti. Louis poi mi aveva
accompagnata a casa, o meglio, mi aveva fatta accompagnare da un'autista mentre
lui sedeva con me sul sedile posteriore, e mi aveva posato solo un leggero
bacio sulle labbra prima che scendessi dalla macchina, sorridendo con gli occhi
che erano diventati due fessure, un po’ per la stanchezza e un po’ per la
felicità.
Dopo essermi svegliata, decisi che quella mattina non era il
caso di andare a lezione - non sarei comunque riuscita a seguire una parola -
perciò rimasi per qualche minuto a letto, rotolandomi tra le coperte ridacchiando.
Non riuscivo a stare ferma, era come se avessi dovuto sfogare la mia felicità
in qualche modo. Mi feci una doccia, mi vestii e mi diressi fuori, sentendomi
bene con me stessa come non mi succedeva da tempo. Notai qualche sguardo strano
da parte di qualche studente che mi passava di fianco ma imputai la cosa al
fatto che stessi ancora sorridendo da sola come un'idiota.
Fu passando davanti all'edicola di fronte al chiosco del
caffè che lo vidi.
"Esclusiva: Louis Tomlinson non è più single?"
Il mio cuore smise di battere per un attimo. Con tutti i
colpi che stavo ricevendo in quei giorni non sarebbe durato ancora a lungo.
Afferrai la rivista sulla quale avevo visto il titolo allarmante scritto a
caratteri cubitali e in fretta pagai l'edicolante. Louis non era più single?
Cosa diavolo voleva dire? Con chi si era messo nell'arco di quelle poche ore in
cui non ci eravamo visti? Mi gettai a peso morto su una panchina e iniziai a
sfogliare il giornale con le dita tremanti. Per poco non urlai quando trovai
l'articolo. C'era una foto che occupava tutta la pagina, leggermente buia e
sgranata. Però non c'erano dubbi. Mano nella mano con Louis all'uscita da un
cinema, c'era una ragazza assolutamente ordinaria, lunghi capelli castani un
po’ spettinati e sorriso timido appena accennato. Insomma, in quella foto c’ero
io.
Deglutii forte senza sapere se essere sollevata o
spaventata: mi sentivo solo confusa. Lessi velocemente l'articolo e scoprii che
per fortuna per il momento ero ancora solo una "ragazza misteriosa".
Mi morsi un labbro: cavolo, le riviste scandalistiche erano davvero veloci a
scovare e a stampare su carta notizie su avvenimenti che nemmeno io avevo
completamente digerito. Mi portai una mano alla bocca: se la stampa era stata
veloce, non osavo immaginare cosa stesse succedendo su Internet. Estrassi il
telefono dalla tasca e composi un numero.
«Pronto?» rispose al primo squillo una voce fin troppo
sveglia. Non era un buon segno.
«Chels...»
«Lo so. Non hai guardato Internet vero?» mi chiese
leggermente allarmata.
«No, perch...?» tentai di chiedere, ma lei mi interruppe di
nuovo.
"Arrivo." disse semplicemente, chiudendo la
comunicazione.
"Oh mio dio" dissi semplicemente facendo scorrere i risultati della
ricerca che Charlie aveva avviato sul suo portatile. Quello di Chelsea era
esploso pochi giorni prima («tumblr è il male» aveva semplicemente esclamato
lei, a mo' di giustificazione) e il mio era "troppo lento" a detta
della mia migliore amica. Aveva quindi convocato nella mia camera il povero
Charlie, che quando era stato chiamato stava ancora dormendo ma che si era
precipitato subito – con una maglietta scolorita dei Metallica e i pantaloni
del pigiama ancora addosso - pur di farle un favore. Se non fosse stato che
Charlie era l’essere più dolce e gentile sulla faccia della terra, avrei
pensato che per quei due non ci sarebbe mai stato un futuro, per quanto erano
diversi. Avrei pensato questo se avessi avuto in quel momento la capacità di
pensare, invece ero nel panico più semplice e totale.
Se l'articolo sulla rivista mi aveva spaventata, non ero
minimamente preparata a quello che avevamo trovato su Internet semplicemente
digitando "Louis Tomlinson single". Chelsea mi aveva messa in
guardia, ma io, testarda, avevo voluto vedere con i miei occhi e qui era
entrato in gioco Charlie. In pochi minuti avevamo constatato che la fotografia
che avevo visto sulla rivista aveva già fatto il giro del pianeta e gli
articoli delle testate online sulla vicenda si moltiplicavano a vista d'occhio
con il passare dei minuti. Malauguratamente, cliccai un link che portava a
Twitter. Tra centinaia di utenti che si chiedevano semplicemente chi fossi
spiccavano quelli che si chiedevano invece chi fosse "quella pu****a"
che teneva per mano Louis e che mi auguravano di morire per questo. Leggevo
sempre più scioccata pagine e pagine di insulti gratuiti a tutto quello che mi
riguardava, dal mio modo di vestire alla mia postura, il tutto tratto da una
semplice fotografia sgranata. Più leggevo più sbarravo gli occhi, rischiando
quasi che mi uscissero dalle orbite.
Fu Charlie a strapparmi da quella tortura, chiudendo di
colpo il coperchio del portatile. "Ora basta" disse in tono
autorevole e solo in quel momento mi accorsi di avere gli occhi umidi.
Razionalmente, la cosa non avrebbe dovuto toccarmi: si trattava solo di persone
che non mi conoscevano che sparavano a zero su di me per divertimento o perché
sembrava loro giusto farlo. D'altra parte però era difficile non prenderla sul
personale quando gli insulti erano rivolti proprio a me e a tutto ciò che mi
riguardava. Chelsea, dietro di me, era a bocca aperta e non sapeva cosa dire.
La sentii mormorare «Be’, non è stata una buona idea» con aria sconsolata. «Sai
vero che sarebbe lo stesso con chiunque altro?» iniziò Charlie in tono calmo e
con voce paziente. Mi inchiodò con i suoi occhi chiari: «È così che funziona
Internet a volte, tu non c'entri, non sei la prima e non sarai l'ultima a
subire questo trattamento. I fan sfegatati poi possono essere davvero una
brutta cosa» sorrise infine, posando una mano sulla mia spalla nel tentativo di
rassicurarmi. Chelsea lo fissò per un attimo stupita, poi si riscosse e si
rivolse a me: «Sì, Cate, sarebbe stato lo stesso se al tuo posto ci fosse stato
chiunque altro». Deglutii forte fissando il portatile chiuso.
«No, questo lo so» dissi alzandomi dalla sedia barcollando leggermente e
facendo un sorriso poco convincente. Avevo solo un pensiero fisso nella testa.
«Devo parlare con Louis» dissi guardandoli con aria di scuse e uscendo dalla
mia stanza e dall'appartamento, ignorando Sasha che era sdraiata sul divano
intenta a parlare al telefono.
«Mi spiace, Catie» mi disse la voce calda di Louis al
telefono. Era tutto quello che volevo sentirmi dire, ma ancora non bastava a
farmi passare quello strano senso di malessere che mi aveva provocato quella
vicenda. Continuai a camminare avanti e indietro nel tentativo di calmarmi. Sospirò
«Mi spiace davvero, non dovrebbero prendersela con te. Ora scrivo un tweet e…»
iniziò a dire con voce un po’ più animata, quasi arrabbiata, ma lo fermai
subito: «No, lascia stare. Non faresti altro che peggiorare la situazione». Lo
sentii sospirare di nuovo e immaginai che si stesse mordendo le labbra come per
trattenersi dal fare qualcosa di stupido. Mi diedi della stupida egoista perché
l’ultima cosa che volevo era dargli un motivo di preoccupazione, ma il solo
sentire la sua voce in effetti mi aveva fatto stare meglio immediatamente. Per
un attimo immaginai l’effetto che mi avrebbe fatto averlo vicino, i suoi occhi
blu nei miei. Probabilmente mi sarei, come al solito, dimenticata persino il
mio nome.
«Vuoi che venga lì?» disse lui quasi leggendomi nel
pensiero. Mi bloccai fissandomi le scarpe. «Avrei un’intervista tra una decina
di minuti» continuò Louis «e poi dovrei andare in studio fino a stasera, ma
potrei…»
«No» lo interruppi con un sorriso. Era così premuroso che mi
faceva male al cuore: «Non ti preoccupare, sul serio, passerà, starò bene»
dissi sincera.
«È solo che vorrei poter…» aggiunse con voce impotente,
lasciando la frase a metà. Di nuovo, sorrisi. Era così da lui fare qualcosa di
impulsivo e stupido per proteggere una persona a cui teneva. Gli occhi mi si
illuminarono di gioia: era la dimostrazione di quanto tenesse a me?
«Louis, davvero, non fare niente di stupido» lo ammonii. Lui
rise, finalmente un po’ più sereno: «Quindi è questo quello che pensi di me?»
Risi anch’io: «Be’, io… ecco, insomma…»
«Ah, bene!» quasi urlò, fintamente offeso «Comunque sappi
che hai una cattiva influenza su di me…»
Prima ancora che potessi chiedere qualcosa, una voce di
sottofondo, bassa e roca, esclamò: «Calmi i suoi istinti omicidi, Catie!»
«Eh, per una volta ha ragione Hazza» disse Louis quasi
rassegnato «Succede, una volta ogni cinque anni».
«Allora non può essere successo più di due volte» replicai,
prendendo in giro Harry per la sua giovane età. È che dimostrava ancora meno
anni di quelli che effettivamente aveva, era un bersaglio fin troppo facile.
«Non ho dieci anni!» lo sentii brontolare dall’altro capo
del telefono.
«Disse lui mentre faceva capriole all’indietro sul letto del
suo migliore amico» recitò Louis e me lo immaginai che guardava le acrobazie di
Harry con un sopracciglio alzato. Scoppiai a ridere di gusto.
«Non mi piace questa Catie, sai Lou?» sentii Harry aggiungere
con un tono di voce più alto, come se si fosse avvicinato al cellulare
appositamente per farsi sentire.
«A me invece sì» sentii mormorare Louis con quella voce per
cui era palese che stesse sorridendo «tanto».
***
Il resto della giornata passò in un baleno. Chelsea e
Charlie erano rimasti praticamente tutto il tempo con me, tentando di distrarmi
quando passavamo per caso davanti all’edicola del campus esclamando cose
assurde (come il «Oh, guarda, un ufo! No, aspetta… era un piccione» di Charlie
o il «Sapevi che Platone è il padre del… plato…ni…cesimo?» di Chelsea, detto
prendendomi sottobraccio quando un gruppetto di ragazze aveva iniziato a
indicarmi fuori da un’aula). Soprattutto però, Louis ogni tanto mi mandava
messaggi minatori, per assicurarsi che stessi bene a modo suo.
“Smettila di leggere quella rivista”
“So che lo stai facendo, mettila giù”
“E non accendere il computer”
“Sul serio, è la prima e l’ultima volta che te lo dirò:
studia e non ti distrarre”
“Oh, e guarda cos’ha scritto questa ragazza”
Di seguito mi aveva allegato uno screenshot fatto dal suo
cellulare di un post su Twitter. Questa ragazza, MissToms, scriveva
semplicemente: “Non mi interessa chi sia lei. L’importante è che lo renda
felice. Ed è ovvio che sia così :)”
Mi ero allora fermata ad osservare meglio la fotografia di
me e Louis che aveva fatto il giro del pianeta. Fino a quel momento avevo colto
solo l’idea generale, ovvero che eravamo io e Louis, immortalati all’uscita del
cinema. Questo era quello che avevano notato tutti. La ragazza del post invece
era andata un po’ più in là, cosa che nemmeno io ero riuscita a fare.
La fotografia era buia e sgranata, ma ora notai un minuscolo
particolare: il sorriso di Louis. Un sorriso così felice, caloroso, sincero e
accecante anche se visibilmente stanco e provato, che era dura ignorare. Un
sorriso rivolto a me che, chinata com’ero a fissare i miei piedi, al momento
dello scatto non l’avevo nemmeno notato. Un sorriso che voleva dire mille cose,
che era milioni di volte più importante di qualunque cosa chiunque potesse dire
su di me, su di lui, su quella foto e su di noi.
“Grazie” scrissi a Louis, e con quel ringraziamento avrei
voluto dire troppe cose che invece mi si erano fermate sulla punta delle dita.
***
Quella sera, nemmeno la breve chiamata della buonanotte di
Louis era riuscita a farmi prendere sonno. Era mezzanotte, era ancora in studio
con i ragazzi e ci sarebbe rimasto ancora per un po’, aveva detto. Mi rigirai
per un po’ nel mio letto; ascoltai della musica; mangiai troppi biscotti; lessi
qualche pezzo del libro di linguistica che di solito aveva un effetto
soporifero dopo poche righe. Niente. Rischiavo anche di imparare qualcosa su
morfemi e fonemi. Verso le 3 decisi quindi di alzarmi definitivamente e
prepararmi una tisana o una tazza di tè.
Arrivata nel salotto in tenuta da notte e stropicciandomi
gli occhi, notai che anche Sasha, la mia coinquilina, era in piedi, i lunghi
capelli biondi sciolti sulle spalle, perfettamente ordinati come se la notte
fosse solita dormire in piedi, la vestaglia rosa e le pantofole pelose abbinate
ai piedi. Stava alla finestra e guardava giù; quando mi sentì entrare nella
stanza stranamente mi fece cenno di avvicinarmi e mormorò: «Porca puttana, qui
sotto c’è L... questo cantante famoso... Scommetto che tu non sai neanche chi
è, Catherine» disse con aria sprezzante senza staccare gli occhi dalla finestra
«Passi tutto il tuo tempo in quella stupida biblioteca...» aggiunse con un
gesto della mano come per scacciare una mosca – o me - e poi si ammutolì, come
se avesse finito di parlare. Mandai gli occhi al cielo: «Il punto, Sasha?» le
chiesi con una punta di irritazione.
Lei si riscosse, senza però spostare lo sguardo di un
millimetro: «Oh, sì. È assurdo. C'è quel cantante che dicevo, Louis Tomlinson,
qui sotto che...»
Il terreno mi mancò per un attimo sotto i piedi e per un
attimo pensai di stare sognando. Louis? Sasha aveva fatto proprio il nome (e
cognome) di Louis? Cosa voleva dire “qui sotto”? Appena mi ripresi cercai di
non strabuzzare troppo gli occhi e mi affrettai ad avvicinarmi alla finestra e
a guardare giù. Nel piccolo triangolo di prato appena sotto la finestra del
nostro appartamento, c'era un ragazzo seduto a... un pianoforte. Per quanto mi
dispiacesse ammetterlo, Sasha aveva ragione. Era assurdo. Era Louis. Con un
pianoforte. A coda. Stava suonando e cantando una canzone, le dita sottili che
si muovevano agili sulla tastiera, lo sguardo azzurro intento e concentrato. La
luna si specchiava sulla superfice lucida e scura del pianoforte, conferendo
alla scena una bellezza quasi surreale. Sorrisi, rapita. Non pensavo che Louis
potesse sembrare ancora più angelico del solito.
«Chissà cosa cazzo ci fa qui. E chissà chi è la stronza
fortunata che se lo fa» esclamò Sasha risvegliandomi bruscamente dai miei
pensieri aulici e ricordandomi vagamente perché non eravamo amiche. Avrei
voluto dirle qualcosa, rivelarmi a lei come "la stronza che si fa Louis
Tomlinson" e tanto piacere, ma chissà come mi trattenni. Senza dire
niente, ma con un sorrisino vendicativo che mi affiorava sulle labbra, afferrai
il giubbino di jeans che avevo lasciato appeso all'ingresso e me lo misi in
fretta sulle spalle, aprendo la porta e uscendo dall'appartamento. Feci le
scale due gradini alla volta e solo quando fui fuori rallentai, dirigendomi
lentamente verso il prato dove Louis continuava a suonare, timorosa di rompere
quell'incanto. Era incredibile vedere lui, che di solito era sempre carico di
quell’energia solare che lo faceva saltellare da una parte all’altra incapace
di stare fermo, seduto così tranquillo al pianoforte, come se la musica fosse
quello che lo teneva ancorato con i piedi a terra, che lo calmava, che lo
faceva sentire al sicuro, in un posto dove poteva essere sé stesso senza
esagerare, senza preoccuparsi degli altri costantemente. C’era solo lui, il suo
pianoforte e la sua musica. Man mano che mi avvicinavo lentamente a passi
felpati quasi come per non disturbare, riconobbi le note della canzone che
stava suonando.
Don’t want your picture on my cell phone
I want you here with me
Don’t need those memories in my head, no
I want you here with me
Era una canzone che adoravo letteralmente. E ora l’avrei adorata ancora di più. La voce di Louis era
perfettamente intonata, roca nei punti giusti, emozionante, perfetta. Seguiva il
flusso delle note senza sforzo, in modo completamente naturale. Mi si stringeva
il cuore a guardarlo così e per poco gli occhi non mi si inumidirono. Quando
fui abbastanza vicina, alzò gli occhi verso di me e rimasi per un attimo
interdetta, bloccandomi sul posto. Tutto il suo calore, quello che normalmente
esprimeva toccando gli altri costantemente, sorridendo in quel suo modo solare,
facendo scherzi e battute e molto altro, era in quel momento concentrato nei
suoi occhi, che brillavano di un azzurro intenso, come di luce propria,
contrastando con il blu scuro del cielo tutt’intorno a noi.
«Buonasera, splendore» disse semplicemente, sorridendo
tranquillamente come se quella fosse la cosa più normale del mondo. Suonare un
pianoforte venuto chissà da dove nel bel mezzo di un campus universitario alle
due di notte. Oltretutto, be’, se mi trovava uno splendore con addosso i
pantaloni grigi della tuta e la maglia larga con sopra un disegno di Snoopy che
usavo per dormire, allora era vero, doveva essere proprio...
«Sei pazzo» gli dissi con un sorriso felice, sedendomi
accanto a lui, con il mio corpo che bramava il calore del suo.
«Ma come hai fatto a…» iniziai a chiedere, lasciando che la
domanda mi morisse in gola. Era tutto talmente assurdo che non sapevo neanche
cosa dire.
«Niall» fece lui scrollando le spalle «e un pick-up»
aggiunse come se quelle due cose insieme bastassero a spiegare tutto. Rimasi a
bocca aperta a fissarlo per qualche secondo, indecisa se essere più divertita o
spaventata.
«Non riuscivo a dormire» disse poi. Appoggiai la mia testa
sulla su spalla e mi lasciai cullare dalla musica prodotta dalle sue dita che
mi muovevano leggere sulla tastiera.
«E poi volevo dirti queste due cose...» disse serio
guardandomi e smettendo di suonare «Che non mi basta avere una tua fotografia,
non mi bastano dei ricordi. Noi non siamo una fotografia. Voglio te, voglio che
sia reale».
Smisi per un attimo di respirare.
«È che» iniziai, tentando di rovinare tutto come al solito e
di trovare qualcosa che non andasse in quel momento perfetto «non c'è un attimo
di pace. Avevamo appena superato tutti quei problemi sulle tue bugie...» fece
segno delle virgolette in aria con le dita e io annuii accondiscendente «e oggi
questo... Vorrei solo un attimo di pace...» dissi alzando un poco le spalle.
Lui mi circondò le spalle con un braccio, tirandomi a sé: «Be'» fece indicando
con la mano libera tutto quello che c'era intorno a noi. Il campus era deserto
e una brezza primaverile scuoteva lievemente le cime degli alberi, rischiarati
dai lampioni e dalla luna piena.
«Eccolo» disse lui fissando il cielo con gli occhi che
brillavano «un attimo di pace.» concluse portando lo sguardo su di me e
sorridendo in un modo che avrebbe fatto crollare qualsiasi muro. Mi avvicinai a lui e gli posai un bacio
leggero sulle labbra, sentendo
qualcosa sgretolarsi dentro di me.
***
A Louis dopo qualche minuto si chiudevano gli occhi come a
un bambino che avesse saltato il suo pisolino quotidiano, quindi gli proposi timidamente
di salire in camera mia, ma non avevo nemmeno pensato alla possibilità che
potesse passare la notte nel mio appartamento. Invece, naturalmente e
spontaneamente, fu proprio quello che successe. Con lui niente era forzato,
niente era fuori luogo e per me, che mi sentivo sempre un po’ fuori luogo, sentirmi
così di riflesso era una ventata d’aria fresca.
Fu una notte in un letto troppo stretto per due persone, che
però bastava lo stesso. Una notte di bisbigli nel buio, di risatine soffocate e
di parole, tante parole, sussurrate a fior di labbra e sbiascicate per la
stanchezza o, con un piccolo sforzo in più, pronunciate chiaramente con occhi
attenti quando ne valeva davvero la pena, per assicurarsi che venissero capite.
Una notte di mani che accarezzano capelli, di dita che sfiorano pelle che si
scopre accidentalmente, di piedi e ginocchia che si toccano appena, di baci che
non si spingono troppo in là e di occhi così vicini che la vista si confonde.
Louis si addormentò esausto dopo qualche ora con un braccio
a cingermi le spalle e una mano ancora posata leggera sulla mia guancia, il
tocco caldo e morbido dei suoi polpastrelli sulla mia pelle. Dopo aver constatato
con un sorriso che somigliava ancora di più a un folletto quando dormiva, mi
decisi ad abbandonarmi anche io al sonno tra le sue braccia, non prima di aver
tentato di allungarmi a prendere il cellulare sul comodino per scattargli una
fotografia, senza successo. Non valeva la pena di allontanarsi da lui, per
nessun motivo.
Il mattino successivo, quando mi svegliai, Louis non c’era
più. Provai immediatamente una fitta allo stomaco – mancanza, desiderio e
ancora mancanza – ma proprio in quel momento sentii Shasha lanciare un urlo al
di là della porta della mia stanza. A piedi nudi, mi precipitai a vedere cosa
stesse succedendo e la scena che mi si presentò davanti agli occhi fu davvero
troppo per il mio cervello appena sveglio.
Louis era in piedi dietro il bancone della cucina con dei
ridicoli boxer a pois e con la mia t-shirt che gli avevo prestato per dormire
con la scritta “I’m not crazy, my mother had me tested” e stava apparentemente
preparando la colazione, sorridendo e canticchiando a bassa voce. Il suo essere
così solare, attivo e pimpante contrastava con l’immobilità totale di Sasha,
che stava in piedi davanti alla porta della cucina e non faceva altro che
fissarlo a bocca aperta. Evidentemente la sera prima non mi aveva vista parlare
con lui.
«Ehilà!» disse Louis rivolto alla mia coinquilina, girando
in una padella qualcosa che poteva essere bacon «Ho finito il succo d'arancia,
spero non sia un problema...»
Sasha non dava segni di vita, perciò, dopo aver ridacchiato
senza farmi vedere, la sorpassai e ritornai seria all’improvviso: «Sì che è un
problema, signor Tomignon...»
Vidi con la coda dell’occhio Sasha deglutire e correggermi
con un filo di voce: «Tomlinson...»
«Be’», continuai «se lei pensa di venire qui e poter fare
colazione a sbafo in un appartamento qualsiasi e di poter finire il nostro
succo d'arancia impunemente solo perché è un famoso cantante del gruppo degli
One Perfection…»
Di nuovo Sasha mi corresse con la voce quasi spezzata,
sempre fissando Louis che nel frattempo aveva cominciato a sorseggiare caffè
dalla mia tazza preferita: «Direction...»
Rischiando di scoppiare a ridere guardai Louis con tutto il
finto astio che potevo ed esclamai, puntandogli un dito conto: «Dimension o no,
lei si sbaglia!»
Vidi Louis cercare di non sputare il caffè e deglutire a
fatica: «Bene!» esclamò dopo qualche secondo di lotta interiore «Visto che non
sono gradito in questa casa, me ne vado!» disse in tono melodrammatico,
buttando indietro la testa. Sentii Sasha mormorare una specie di lamento
disperato e la vidi allungare appena una mano verso di lui, ma continuò a non
muoversi di un millimetro. Louis mi fece l’occhiolino senza farsi vedere e uscì
dalla porta indignato, sbattendola dietro di sé. Dopo qualche secondo
riapparve, solo per urlare: «Ma ritornerò!». Diede un morso in modo drammatico
a una fetta di toast tirata fuori da chissà dove e si chiuse di nuovo la porta
alle spalle.
Aspettai qualche secondo, ridendo sotto i baffi; poi non
resistetti più e mi fiondai dietro di lui, trovandolo appena fuori dalla porta,
tranquillamente appoggiato mezzo nudo al muro del corridoio: «Buongiorno,
splendore» disse sorridendomi e dopo avermi dato un bacio sulle labbra si
guardò intorno lievemente imbarazzato ed esclamò: «Dici che riusciamo a
recuperare i miei pantaloni o devo andare in giro per il campus con te… così?»
e si indicò le gambe nude.
Ridacchiai, pensando che, be’, in fondo non sarebbe stato
così male. Soprattutto la prima parte: con me.
N.d.Summer
Madòòòò chiedo immensamente perdono. È che ho un lavoro
ora (e per ora)(pffft w l’estate) e non ho praticamente più tempo per scrivere
(se non in macchina in coda quando vado al suddetto lavoro, vedi Pieces of you
and me e how to make
me fall in love with you che ho scritto in 5 minuti netti), sigh,
povera me. Mi avete commossa con i commenti allo scorso capitolo, quindi mi
sono impegnata e ho postato! Spero che vi piaccia questo… Ho fatto fatica a
scriverlo perché ultimamente sto vedendo cosa combina il vero Louis e… mi trovo
sempre a pensare che il Louis reale spacca i c*** al mio! Perciò mi deprimo un
po’, perché vorrei renderlo com’è veramente :P Be’, come sembra che sia!
C’è una citazione di un telefilm da qualche parte
(ehe), vediamo se la beccate :P
L’ispirazione comunque per la scena del pianoforte mi è
venuta da tre o quattro cose:
UNO:
DUE (muoio): http://www.youtube.com/watch?v=yslrb52Di5w
TRE (una delle mie canzoni preferite, sigh E LA SUA VOCE,
oddio): http://www.youtube.com/watch?v=ZuwTY4gqu0Y
QUATTRO: il fatto che sono andata al concerto dei The
Killers e WOW ce l’ho ancora negli occhi, nelle orecchie e nel <3.
Va be’, la smetto con lo spam.
Più: ho promesso che avrei tradotto una Ziam e vi
annuncio che, con immensa fatica, ho fatto anche quello!! La trovate QUI. Mi
raccomando se la leggete e vi piace e vi va recensite pure, perché l’autrice è
francese e qualche parola di italiano la sa, quindi le farebbe strapiacere
(credo. Immagino.).
Alla prossima! Sum