RITORNO ALLA VITA
“E guardo il mondo da un
oblò…” una radio, da qualche parte,
urla questa vecchia canzone.
È così che mi sento. Vivo guardando il mondo da
una finestra. Vivo…che parola grossa.
Un giorno di alcuni anni fa una malattia si è presa la mia
vita, e da allora combatto contro di lei. Ma ogni giorno che passa
diventa sempre più difficile.
Tutto cominciò in luglio. Un dolore insistente al ginocchio,
e il medico sosteneva che non ci fosse niente che non andava, che era
tutto nella mia testa, che avevo qualche difficoltà che
somatizzavo. Come no…la difficoltà di ascoltare
le sue stupidaggini!
Passati alcuni mesi, si convinse a farmi fare delle analisi. La
situazione precipitò: farmaci, visite specialistiche,
radiografie…ed infine il verdetto. Era un giorno
d’autunno, mi ricordo che le foglie cadevano, come lacrime
rosse che il mio cuore straziato piangeva.
Ero malata, di una malattia cronica. Per tutto il resto della vita
avrei dovuto confrontarmi con lei, avrei dovuto soppesare ogni
decisione tenendo conto della sua presenza. Dubbi, paure, incertezze da
allora affollano i miei pensieri. E lo sgabello rosso su cui mi sedevo
ogni sera aspettando il tramonto rimane vuoto, giù al porto.
Ho smesso di andarci. Non voglio che la gente mi veda e pensi:
“Ecco la piccola Mughain, sai è
malata”. Non voglio che mi guardino pensando che
per fortuna non è capitato a loro. Ci sono già
passata.
Caomhán mi ha lasciato “Perché sono un
pescatore, non voglio che tu ti preoccupi per me”. Storie. Se
solo avesse avuto il coraggio di dirmi che non voleva stare con me
perché avrò dei periodi cattivi e non
riuscirò a badare alla casa, e i medici non sanno se
potrò affrontare una gravidanza. Siamo cresciuti in un
paesino di pescatori, casa e figli sono il traguardo di ogni uomo.
Doverci rinunciare è considerata una disgrazia.
I miei genitori, però, non hanno questa
mentalità. Hanno fatto sacrifici per permettere a tutti i
figli di studiare. Ma solo io mi sono laureata. Storia
dell’arte. E poi sono tornata qui, perché in ogni
mia cellula ci sono il cielo e il mare della mia terra, di un azzurro
così dolce che separarsene è doloroso. I miei
fratelli sono stanchi di vedermi così, rassegnata. Urlano,
cercano di convincermi. Inutilmente, perché quello che
vorrei fare è addormentarmi e non svegliarmi più.
Perché non voglio continuare a vivere più
nell’incertezza di come mi sentirò il mattino
seguente, non poter programmare viaggi nel lungo periodo, non sapere se
starò mai abbastanza bene da poter non prendere farmaci e
iniziare una gravidanza, dover vedere medici. E mi monta dentro una
rabbia, quando mi dicono di pensare che c’è chi
sta peggio di me. Lo so, come so che c’è anche chi
sta meglio di me. Non è giusto che sia capitato a me. Sono
sempre stata una brava ragazza, seria, studiosa. Queste cose non
dovrebbero succedere alle persone come me. O forse non dovrebbero
succedere e basta. Ma ho imparato che al mondo niente è
giusto.
Due settimane fa a pranzo c’era un ospite, si chiama Finn e
conosce mio fratello Séamus dai tempi della scuola. Ha
voluto che lo accompagnassi al porto ad aspettare la barca della mia
famiglia. All’inizio ho cercato di evitarlo, ma lui e mamma
hanno insistito tanto che ho ceduto. Ha parlato molto, mi ha raccontato
che è uno scrittore e sta cercando casa in un paesino
tranquillo per finire il suo libro. Un thriller, pare. Quando ho visto
il mio sgabello rosso mi sono fermata. Non riuscivo più a
proseguire. Finn se n’è accorto, ma non mi ha
chiesto niente. Evidentemente Séamus l’aveva
avvertito. Mi ha preso per mano, mi ha sussurrato dolcemente che ce
l’avrei potuta fare e mi ha accompagnato allo sgabello. Un
passo dopo l’altro, con la consapevolezza di quel tepore che
mi sosteneva, che mi avrebbe aiutato ad andare avanti, ma ci sarebbe
stato anche se avessi deciso di tornare a casa. La sicurezza di una
presenza amica, un’anima eletta che in quel momento riteneva
che io fossi la persona più importante sulla terra,
completamente concentrata su di me e sulla mia paura. E quando mi sono
seduta, ho capito che solo lì sarei potuta tornare ad essere
felice. Quanto mi era mancata la vista dal porto, l’odore
pungente di salsedine e pesce fresco, le chiacchiere in sordina di
vecchi pescatori con la nostalgia per la navigazione, la profonda
sensazione di libertà che il mare mi ha sempre
dato…tutto questo è parte di me e io
l’avevo dimenticato, reciso per la paura di aprirmi agli
altri. In questi anni ho imparato che io sono la peggior nemica di me
stessa, mi pongo dei limiti, costruisco steccati e mi lascio abbattere.
Come se, in questo modo, volessi prevenire le delusioni. Ho sempre
amato troppo la vita per vivere nell’amarezza, ma sono ormai
consapevole che è inutile preoccuparsi del futuro,
perché può cambiare in un instante.
Quando papà mi ha visto al porto, i suoi occhi sono
diventati lucidi, i miei fratelli così stupiti che
riuscivano solo ad abbracciarmi. Solo Séamus, ho notato,
continuava a fissare me e Finn con un’aria divertita, ho
sentito che gli diceva: “Ce l’hai fatta,
amico!” con una complicità un po’
sospettosa. Ma ero così felice ed orgogliosa di me stessa,
che non ci badai molto. Organizzammo una festicciola che
durò fino a notte tarda. Ad un certo punto Finn mi ha
chiesto il permesso di leggere i miei racconti. Affermò che
era stato Séamus a raccontargli che mi piaceva scrivere di
mondi sconosciuti e fantastici. Il giorno successivo Finn è
partito per la città per sbrigare le ultime faccende,
portandosi via i miei racconti, rassicurandomi che sarebbe tornato
presto e che forse mi avrebbe portato buone notizie.
È arrivato ieri, ha annunciato che i miei lavori sono
piaciuti molto al suo editore e che vorrebbe pubblicarli.
Ma soprattutto ha detto che non ha fatto altro che pensare a me e al
mio sgabello rosso. Ha affittato il villino accanto al nostro e stasera
andremo a cena insieme, noi due. E mentre sto scrivendo non posso non
pensare allo sgabello sul quale sono seduta. Un oggetto insignificante,
che è il simbolo del mondo da cui provengo e a cui sono
tornata. Il mio ritorno alla vita è partito da
qui…ora tocca a me navigare verso la felicità.
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