Cose che non avranno mai senso

di La Mutaforma
(/viewuser.php?uid=68889)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Se qualcuno gli trova un senso è pregato di dirmelo. 
No perchè io davvero non ho idea di cosa sia uscito.
Salute e pace, La Mutaforma. 




Quest’assurda vertigine.
Non avrà mai senso.
E c’era una bambina che giocava con delle bottiglie d’acqua vuote e che aveva tanta sete.
E le raccontavano la storia di un drago che si innamorò di una libellula.
O forse l’opposto, chissà. Lei cercava nel cielo, ma non vedeva né draghi né farfalle.
Chiese in giro.
Le voci mormoravano.
Se stringi gli occhi vedi i colori, vedi i riflessi, questo modo è una pellicola in bianco e nero.
E lei pur stringeva gli occhi, ma vedeva sempre gli stessi pazzi finti vuoti volti che non conosceva.
Era un sussurro ossessivo, e la paranoia le faceva alzare lo sguardo, per trovare il drago che inseguiva la libellula, o la libellula che inseguiva il drago, e la neve di cui tutti parlavano ma che nessuno aveva visto.
Allora strinse gli occhi così forte che pensò di essere cieca.
Ma il mondo non ebbe colori.
Più forte, bambina mia, non sei lontana.
Corse per una strada che si arrotolava nel vuoto come un gatto che gioca con un filo, come una donna che tira il cavo del telefono mentre ascolta le cattive notizie che si dicono sottovoce.
Corse con le forbici in mano, per puntarsele agli occhi, così li avrebbe stretti meglio.
Sbagliò direzione, e tagliò i capelli.
Alla madre disse che la soffocavano.
Si tagliò i capelli e cadde cenere dal cielo.
E salì, salì, salì, salì lungo delle scale piccole, strette e basse, che si arrampicavano come l’edera sui muri antichi delle case abbandonate in campagne abitate da spettri. E il respiro affannava, la gola si contorceva, e suonava una musica su per quella torre dove si poteva correre solo con gli occhi chiusi, perché nessuno doveva sapere esattamente come raggiungerla.
Ti devi fidare, devi avere fede, non cadrai. Sono scale, ma ad ogni gradino c’è una voragine peccaminosa che non puoi conoscere.
La torre era alta. Alta di un’altezza che non si esprime col metro, ma con le braccia allargate dei bambini.
Perché i loro sogni sono grandi e non si possono misurare.
Si contemplano, a distanza di anni, con quella sorda malinconia, con quel triste rammarico di esser già cresciuti senza parlare ai fiori, senza aver visto il drago che inseguiva la libellula.
Dalla cima, volò. Come volano le foglie in autunno. Abbandonarsi, più che volare, e far finta che duri per sempre.
Volò. E lì lo vide.
Il drago. Con le ali della libellula tra i denti.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1970635