I am broken, wretched and divine di Pwhore (/viewuser.php?uid=112194)
Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Andy prima di Wretched&Divine
Andy
alzò gli occhi verso il soffitto. Si trovava in un'enorme
camera
d'albergo di Los Angeles, devastata da cima a fondo da una festa
cominciata la sera precedente e finita a un'ora indefinita tra le due e
le cinque del mattino, dopo che il cantante aveva perso la
lucidità ed era collassato sul tappeto leopardato nel bagno;
e
qualche ora dopo avrebbe dovuto presentarsi a una signin’
session
con alcuni dei suoi fan internazionali più vivaci. Si
alzò a fatica, reggendosi con una mano al bordo della vasca
e
massaggiandosi l'altra sulla tempia martellante. Quanto aveva bevuto la
sera prima? Aveva perso il conto dei drink dopo poco tempo, sebbene
avesse provato a trattenersi e mantenersi non proprio sobrio ma
neanche completamente perso, per non sembrare un totale disastro il
giorno dopo. Non ci era riuscito poi così bene,
constatò
guardandosi allo specchio e storcendo la bocca di lato alla vista del
suo viso pallido oltre ogni dire, messo in risalto dalle occhiaie e da
un rivolo di matita colata sulla guancia destra. Si strofinò
il
pugno sull'occhio e si lavò velocemente la faccia con
dell'acqua
fredda, poi barcollò fuori dalla stanza senza asciugarsi e
strizzò gli occhi davanti al salotto, dove nessuno dei suoi
amici si trovava e una dozzina di persone dormiva in giacigli rimediati
all'ultimo secondo – chi per terra, chi sul divano, chi sul
tappeto; c'era perfino un ragazzo crollato sotto il tavolo –;
scavalcò tre ragazze e si appoggiò di peso al
bancone,
sopraffatto da un attacco di nausea.
L'aveva fatto ancora, aveva
partecipato di nuovo a una festa di gente semi-sconosciuta il giorno
prima di un appuntamento importante, proprio quando la sua presenza era
richiesta maggiormente, sia dai fan che dal resto della band. D'altra
parte lo sapeva, che alcuni dei loro cosiddetti fan li seguivano solo
perché il suo bel faccino finiva spesso sui giornali e che
se ne
strafregavano della musica, però c'erano anche quei fan che
con
le loro note c'erano cresciuti e che li consideravano come una seconda
famiglia, come lui a suo tempo aveva fatto con Mötley
Crüe e
Alkaline Trio, ed era per loro che continuava a provare a mantenersi
pulito e dignitoso, anche se poi finiva inevitabilmente con l'imbucarsi
o il venir invitato a party e afterhours che di dignitoso avevano ben
poco, e si sentiva in colpa come un cane a sapere che non riusciva
proprio ad evitarlo. Non avrebbe chiesto aiuto alla band per una cosa
del genere – sapeva ancora gestire la sua vita in maniera
pressoché decente e non aveva contratto alcuna dipendenza di
alcun tipo, se non forse quest'abitudine autodistruttiva di divertirsi
fino a crollare – ma sapeva che loro non erano completamente
d'accordo con quel che faceva, che avrebbero preferito che si prendesse
un po' più cura di sé stesso e che magari si
prendesse
qualche giorno di vera pausa, a casa dei suoi genitori o comunque
lontano se non dal successo dalle tentazioni, ma semplicemente non ci
riusciva. Il loro ultimo disco andava abbastanza bene, i fan lo
apprezzavano e si erano complimentati molto per la copertina e alcuni
testi, alcuni avevano perfino tatuato sul loro corpo i loro nomi e la
data di uscita dell'album; ma non era soddisfatto, sentiva un gusto
metallico in bocca che gli sembrava di scacciare solo con il sapore
dell'alcol e talvolta della droga. Ma no, non lo scacciava, ne era
consapevole; si limitava a coprirlo, nasconderlo alle sue papille
gustative distraendole con qualcosa di più concreto e
inebriante
e stordendole con un fumo amico, che le accarezzava e stuzzicava
finché non si concentravano interamente su di lui,
dimenticandosi il gusto amaro dell'insoddisfazione. La
verità
è che quell'album lo lasciava indifferente, come se non
fosse
neanche suo: non era quello che voleva creare, non era quello che si
aspettava, semplicemente non era. Si limitava a esistere, a segnare un
altro passo sul percorso della band, ma concretamente non significava
nulla: le melodie potevano essere carine, sì, ma ascoltando
tutto il disco di seguito le basi sembravano tutte uguali; e per quanto
potesse essersi impegnato nel comporre i testi alla fine quelli erano
sempre meno profondi e ben esposti di quelli che aveva in mente quando
aveva preso in mano la matita e si era messo a buttarne giù
la
linea generale, un paio di mesi prima. Certo, era stato un periodo
frenetico e l'album aveva praticamente preso vita da solo, ma un altro
mese per rifinirlo avrebbero potuto prenderselo, in fondo i fan non si
sarebbero arrabbiati per un ulteriore miglioramento; e poi avrebbero
dovuto sottoporlo ad altre persone, oltre che a loro stessi e al loro
manager, che per quanto potesse intendersene dopo tutto quel tempo
passato a lavorarci su non avrebbe potuto dire in nessun modo che non
lo convinceva, avrebbe avuto troppa paura di ferirli. Gli era grato per
quella dimostrazione di tatto e affetto, ma ora che il disco era uscito
e il vorticante periodo di stesura era passato, riusciva a rendersi
conto da solo delle imperfezioni e dei difetti che il suo –
il
loro – «bambino» aveva e che avrebbero
potuto
tranquillamente essere evitate se solo avesse avuto la pazienza di
aspettare un altro paio di settimane prima di fare quel regalo ai fan;
e spesso si malediceva per non essersi portato il disco dietro
quand'era andato a casa dei genitori, per riposarsi dopo quelle
settimane d'inferno e tornare un po' coi piedi per terra,
perché
sarebbero bastati un po' di giorni lontano dal lavoro per ascoltarlo in
maniera completamente diversa e rendersi conto delle sue
contraddizioni. I fan non si erano lamentati nel modo più
assoluto, avevano accolto l'album nelle loro case come una madre
accoglie il proprio bambino dopo migliaia di tentativi falliti di
fecondazione in vitro, e si erano anzi complimentati con loro come mai
prima, perché si erano buttati in un'impresa mai affrontata
in
precedenza ed avevano creato pezzi in cui ci si ritrovava facilmente e
sempre molto orecchiabili, checché ne dicesse Andy, e
perché erano comunque cresciuti, a dispetto di quanto ne
pensasse il frontman. Perché bisogna dirlo, agli altri
l'album
piaceva, e anche se non l'avrebbero definito il loro preferito ne
andavano comunque parecchio fieri; erano consapevoli dell'astio che il
cantante provava nei suoi confronti ma non riuscivano a dargli ragione
fino in fondo: okay, magari non era il disco perfetto, ma c'era davvero
pochissima gente al mondo che potesse vantarsi di aver prodotto
qualcosa di perfetto, quindi perché prendersela
così?
Loro si accontentavano di esser migliorati come persone e come
musicisti, di aver creato qualcosa di buono dal nulla, di aver
trasformato la loro negatività in qualcosa di positivo, di
aver
soddisfatto i fan e le loro famiglie, e semplicemente amavano andare in
tour e vedere la felicità sui volti degli altri, che le
canzoni
fossero perfette o meno; quindi per loro era molto più
facile
accettare le critiche e buttarle velocemente nel dimenticatoio, come se
non fossero mai esistite. Per Andy invece era diverso: era lui il
promoter, il creatore, la mente dietro la quale tutto aveva cominciato
a prender vita; era lui che aveva scritto i testi e le melodie
principali, era lui che aveva pensato al booklet, era lui che aveva
tirato fuori l'idea generale e che si era applicato con costanza
affinché tutti facessero la loro parte; era lui che aveva
messo
sé stesso dentro l'album più di tutti, fino a
diventare
parte portante dell'album stesso. Aveva messo l'anima nel progetto fin
dal primo giorno e vederlo così smembrato dai critici lo
lacerava dentro, soprattutto perché sapeva che alcune delle
loro
frecciatine erano fondate su argomenti validi e che non avrebbe potuto
smontarle in un quattro e quattr'otto come invece facevano gli altri:
era consapevole di aver sbagliato in più di un punto e gli
rodeva, gli rodeva da morire; ma gli rodeva ancora di più
che
gli altri non se ne rendessero conto. Possibile che non si prendessero
una quarantina di minuti per ascoltare in tutta calma l'album, mettendo
da parte orgoglio e sentimenti e concentrandosi davvero sugli
arrangiamenti, sui testi e sul risultato d'insieme? Per Andy era
qualcosa d'impensabile, era semplicemente assurdo credere che non lo
facessero, ma allora perché sembravano comunque
così
soddisfatti, così felici dei loro errori, dopo aver visto
quanti
ne avevano fatti? Ad Andy non piaceva come si erano messe le cose ed
era difficile non notarlo, e si chiedeva perché fosse
l'unico
caduto in quel turbine di delusione, amarezza e insoddisfazione.
Attribuiva la cosa allo scarso interesse dei suoi compagni di band per
i passi falsi appena fatti, ma sapeva che non era così: a
loro
importava eccome, solo che sapevano metabolizzare le cose negative e
buttarle fuori sotto forma di sorrisi, quindi non prendevano neanche in
considerazione di comportarsi come lui e prenderla sul personale al
punto di cadere anche loro nel suo turbine autodistruttivo. Andy li
stimava per quello, ma sapendolo non si sentiva meglio in alcun modo,
anzi.
Rimase accasciato sul bancone un altro po', finché l'attacco
non
passò e la stanza smise di girare, e si appoggiò
con la
schiena al muro, recuperando un po' di forze prima di lanciarsi
giù dalla porta e prendere un taxi. Mosse qualche passo
incerto
e ondeggiò, così tornò al suo posto.
''Devo
mangiare qualcosa" pensò, e aggrappandosi al bancone
scivolò fino in cucina. Aprì la credenza, si
guardò alle spalle per controllare che tutti dormissero e ne
tirò fuori un paio di zollette di zucchero, che si fece
scivolare nella tasca; cercò qualcosa che potesse aiutarlo a
svegliarsi e lo sguardo gli cadde casualmente sull'orologio:
mezzogiorno e un quarto, non aveva tempo per farsi un caffè.
Mugugnò, afferrò una manciata di biscotti e
uscì
dall'appartamento, chiudendosi la porta alle spalle il più
delicatamente possibile; entrò in ascensore e
barcollò
nella hall, senza salutare gli uscieri e togliendosi le briciole di
biscotto dalle labbra. Appena si ritrovò in strada una
sinfonia
di rumori assordanti lo accolse, costringendolo a stringersi le mani
sulle orecchie e gemere per il dolore, ma in un modo o nell'altro
riuscì a chiamare un taxi. Al sicuro dal caos del mondo
esterno,
Andy diede l'indirizzo al tassista e si accoccolò contro il
finestrino, socchiudendo gli occhi per poter dormire qualche secondo di
più. Il tassista –
si chiamava Kent, a quanto diceva la licenza appesa in bella vista –
avrebbe
voluto fare un po' di conversazione con quel suo ospite fuori dal
comune, ma quando mise il gomito sul sedile e fece per voltarsi si rese
conto che sarebbe stato un viaggio a dir poco silenzioso.
Ingranò la marcia e accese la radio.
Nei suoi sogni Andy non era così. Era il ragazzo timido e
audace
che era prima, quand'era ancora un impiegato e aveva appena trovato il
coraggio d'incidere un disco coi suoi amici, ed era felice. Niente
album mal fatti sbranati dalla critica, niente afterhours disumani con
impegni all'alba del giorno dopo, niente ragazzine urlanti che lo
pregavano di portar via la loro verginità, niente tour
stremanti
che duravano mesi e appena finiti lasciavano una sensazione di nulla in
corpo; niente di niente. Solo lavoro, amici, musica e ogni tanto
qualche birra, senza sbronze, straordinari e situazioni a dir poco
imbarazzanti: una vita normale, qualunque, che però lo
soddisfaceva e lo faceva sentire amato; sensazione che adesso faticava
a trovare. Quando ti amano tutti, come fai a sapere chi ti ama davvero?
L'Andy del sogno correva lungo un prato coi suoi amici e rideva, rideva
come non mai, senza notare nuvole all'orizzonte e senza che ci fossero
preoccupazioni a gravargli sul cuore; correva spensierato, felice, come
se non avesse altro motivo d'esistere se non quello, e ogni volta che
si fermava a riprender fiato si sentiva la persona più
fortunata
del mondo.
L'Andy della realtà sobbalzò e aprì
gli occhi di
scatto, ritrovandosi catapultato nella chiassosa e complicata Los
Angeles, dove un motociclista aveva appena tagliato la strada al suo
taxi, che era stato costretto a frenare all'improvviso e prendersi un
bello spavento. Il tassista gridò qualcosa contro il
ragazzotto
riguardo la sua imprudenza e la sua stupidità; ma quello era
ormai scomparso, come la possibilità per Andy di dormire un
altro po'. Sospirò fra sé e sé e fece
scorrere lo
sguardo sul finestrino, ricevendo in cambio in parte la
città e
in parte la sua immagine riflessa. Storse la bocca e si fece passare
una mano tra i capelli, la rasatura che gli pungeva le dita. Li aveva
tagliati tempo prima, visto che si era rotto di venir preferito agli
altri perché «ommioddio
quanto sei cucciolo, ti prego fatti abbracciare, ispiri troooppo amore!»;
e per un certo senso aveva funzionato, visto che molte ragazzine,
schifate dal suo nuovo taglio e dal sound della band che si erano
finalmente ritrovate a fronteggiare se n'erano andate e li avevano
lasciati in pace; ma quando quelle erano scomparse si erano
materializzate quelle fan di Skrillex, che pensavano ci fosse un
rapporto tra il loro amato idolo e il cantante tutto vestiti stracciati
e trucco appariscente. Una volta capito che no, non c'erano legami di
alcuni tipo tra loro, e che i due generi che facevano erano
completamente diversi, se li erano lasciati alle spalle sbuffando,
deluse, che erano solo dei copioni e non avevano neanche abbastanza
fantasia per crearsi un taglio di capelli tutto loro, invece di copiare
quello di gente famosa e con talento. Ad Andy i commenti erano
rimbalzati completamente; a lui i capelli piacevano e chissenefrega se
li aveva così anche qualcun altro, in fondo al mondo c'erano
centinaia di migliaia di persone con le stesse scarpe, figurati quante
ce ne sarebbero state con lo stesso taglio, se solo le avessero
contate. Girò lo sguardo verso l'autista e notò
sollevato
che era riuscito a calmarsi e riassumere la stessa aria paciosa di
prima, come se niente fosse successo, ma all'improvviso si
sentì
in colpa: perché il tassista riusciva a mettere da parte le
cose fastidiose della sua vita e lui no? Si morse il labbro. Era
davvero così stupido, lui, per non rendersi conto di quanto
fosse facile mettere ordine tra i propri sentimenti e riuscire a trarre
il meglio da ogni giornata? Stava passando un periodaccio, è
vero, ma c'era sempre riuscito anche lui, perché ora non era
capace di mettere tre pensieri positivi riguardo al suo «lavoro»
uno dietro l'altro? Era il suo sogno, aveva scelto lui di proseguire
per quella strada, quindi perché ora si sentiva
così
sbagliato, così fuori posto, così...
non-abbastanza? Fu
tentato di abbassare il finestrino e sputare, invece mangiò
un
altro biscotto e calmò i crampi che gli avevano attanagliato
lo
stomaco da almeno un'ora, riempiendo il silenzio che aleggiava nella
vettura. Si sentiva stupido, in fondo che stava facendo per cambiare le
cose che non andavano nella sua vita? Posò il biscotto,
agguantò il telefono e chiamò i ragazzi.
Mezz'ora dopo era seduto al banchetto con i suoi amici, un sorriso
esagerato stampato sul volto e il trucco appena sistemato da una
professionista, e firmava autografi ai ragazzi che trovavano il
coraggio di sorpassare la glacialità dei suoi occhi per
venire a
parlargli. Lui si comportava gentilmente, li trattava con tatto e
affetto, come se fossero amici di vecchia data, e scherzava ogni volta
che gliene si presentava l'occasione; ma qualcuno si accorgeva che non
stava bene e gli dava qualcosa di suo come per dire «ecco,
tieni, ci sono io qui per te», e il frontman si sentiva in
debito, perché avrebbe dovuto essere lui quello forte, lo
scoglio contro cui abbattere le proprie paure, l'antidoto a tutti i
loro guai. Sorrideva e li ringraziava, ma dentro si sentiva male,
perché non era nemmeno capace di far stare meglio chi
dipendeva
da loro e dalla loro musica, e la cosa lo faceva sentire piccolo come
non mai, come se in tutti quegli anni non avesse imparato niente di
niente, come se avesse buttato al vento gli insegnamenti che lui stesso
aveva dato loro. Deglutì. Non riusciva a sopportare che
tutti
quei ragazzi gli dicessero che gli aveva salvato la vita, che se non ci
fosse stato lui ora sarebbero morti, che se lui non avesse intrapreso
questa carriera la cronaca nera avrebbe avuto qualcosa in
più di
cui
parlare; perché non si riteneva all'altezza del suo compito,
non
in quel periodo, non in quelle condizioni, non lui. Amava i suoi fan e
amava la musica, come amava i suoi migliori amici e i loro caratteri
contrastanti, ma c'era qualcosa che non funzionava più; un
meccanismo dentro di lui si era inceppato e non riusciva in nessun modo
a riaggiustarlo, per quanto ci provasse, e scontrarsi con la
realtà non lo aiutava affatto, anzi. Sprofondava ancora di
più dentro il suo guscio, si convinceva ancora di
più che
indossare una maschera ed essere quello di cui la gente aveva
più bisogno fosse la cosa più giusta da fare, e
quando si
rendeva conto che la cosa lo distruggeva dentro non poteva che sentirsi
inadatto a tutto, anche ad aiutare gli altri. Non era sicuro che i suoi
amici se ne fossero accorti –
sicuramente avevano capito che qualcosa non andava in lui, ma
probabilmente non avevano immaginato che si stesse avvicinando
così tanto al limite e che stesse passando un periodo
così di merda, altrimenti sarebbero già accorsi
in suo
aiuto e avrebbero mandato a farsi fottere il suo diritto di aiutarsi da
solo –,
ma non aveva alcuna intenzione di prenderli per le spalle e dirgli che
aveva paura, cazzo, ne aveva da morire, e che senza il loro appoggio
non... Non.... Già, non cosa? Non lo sapeva neanche lui, e
la
cosa lo paralizzava; non riusciva a pensarci senza sentirsi smarrito,
completamente fuori posto, in balia del mondo esterno, ed era
consapevole di ciò che il mondo esterno fosse capace di fare
a
chiunque si mostrasse fragile. Aveva visto quel film mille volte: i
pianti di aiuto, le grida, la paura, l'enorme desiderio di trovare
qualcuno disposto ad ascoltarti, la voglia di farti valere e il terrore
di dover sentire un paio di occhi soffermarsi sulla tua pelle; tutte
cose che aveva letto negli occhi dei suoi fan e che si era
già
trovato a fronteggiare, sebbene in quantità molto ridotte, e
che
non avrebbe voluto provare mai più. Sospirò. Agli
occhi
degli altri era forte, certo, ma fino a quando avrebbe resistito?
Una ragazza bionda –
'mi chiamo Abbie' si era presentata imbarazzatamente, porgendogli un
diario traboccante di foto, articoli e pezzi di canzoni –
lo squadrò, perdendosi per una decina di secondi nei suoi
occhi,
che più che essere uno specchio dell'anima che custodivano
sembravano acque ghiacciate in cui annaspare senza
possibilità
di essere aiutati, e si morse il labbro. Riavuto indietro il quaderno
con un sorriso e un 'ciao Abbie, grazie per essere venuta' fece per
andarsene, poi esitò e tornò indietro,
scoprendosi
velocemente i polsi. Andy sobbalzò alla vista dei tagli e il
suo
sguardo sgomento faticò a rimanere focalizzato su di loro,
mentre si mordeva le labbra e un paio di brividi gli scuotevano il
corpo, come a rammentargli che non doveva andare così, che
poteva ancora farcela, che per lui c'era ancora una speranza. – You're not alone,
we'll brave this storm. Let's face today, you're not alone –
sussurrò la ragazza, guardandolo con aria decisa e
deglutendo quasi impercettibilmente. –
Non sei solo Andy. Io ci sono. Noi ci siamo. Ci saremo sempre –
disse, con un tono abbastanza alto affinché lui potesse
sentirla
ma che non fece girare gli altri a guardarli, e abbozzò un
sorriso con un angolo della bocca. –
Non finire come me. Puoi fare una scelta, ma fa in modo che sia quella
giusta –.
Gli lanciò un ultimo sguardo, più per cercare
d'infondergli l'immensa fiducia che aveva in lui che per altro, e
scappò via, facendosi finalmente notare con un aggrottamento
di
fronti da parte degli altri membri della band. 'Ma che caaazz....?'
sembrarono dire le loro facce confuse, prima di tornare a firmare
autografi e sorridere ad altri fan, di nuovo presi dal loro lavoro.
Andy annaspò per un respiro, il battito cardiaco accelerato
e
una sensazione di devastazione addosso, e deglutì
ripetutamente,
tentando di riprendere controllo di se stesso. Non era la prima volta
che vedeva dei polsi tagliati, ma era la prima volta che l'idea che
avrebbe potuto finire così anche lui l'aveva sfiorato; e la
cosa
l'aveva terrorizzato come non mai, al punto che neppure il trucco
riuscì a far sembrare il suo pallore intenzionale. Tremante,
si
alzò dal tavolo e andò a rifugiarsi in bagno. Si
spruzzò dell'acqua addosso e si aggrappò con le
mani al
bordo del lavandino, alzando lo sguardo per studiare il suo riflesso
nello specchio sporco. Se possibile sembrava ancora più
distrutto di com'era poche ore prima, anche se il trucco era stato
sistemato e i capelli allisciati alla bell'e meglio, e la cosa lo
spaventò. Si passò una mano umida sul volto e si
stropicciò gli occhi, spargendo il nero sui palmi e sulle
guance, e si sentì crollare, nonostante non avesse la minima
intenzione di piangere. Si guardò un'altra volta e
sussultò, mordendosi le labbra e costringendosi a non
distogliere lo sguardo dalla figura esile e tremante che gli veniva
proiettata davanti. Aveva bisogno di aiuto.
Un paio di giorni dopo, Andy si svegliò di soprassalto
all'interno del bus che usavano quando andavano in tour, con addosso la
sensazione che qualcosa fosse fuori posto. Scivolò fuori
dalla
cuccetta e tese le orecchie, ma tutto sembrava avvolto da una calma
rilassata, rotta ogni tanto dal sospiro soddisfatto di Ashley, che la
sera prima aveva fatto conquiste e ora riviveva la serata in sogno,
eliminando le parti per lui prive d'interesse e rivedendo
più
volte quelle che invece si erano rivelate un successone.
Avanzò
di qualche passo e urtò uno spigolo, facendosi scappare un
suono
di disappunto. Improvvisamente un paio di 'cazzo, qualcuno si
è
svegliato; andiamocene, presto' si levò dal retro del bus e
uno
scalpiccio di piedi prese vita, mentre il cantante collegava le due
cose e si lanciava fuori dalla vettura, per trovare solo il vuoto e la
luce traballante di un lampione ad accoglierlo. Non c'era nessuno ma
poteva sentire nell'aria che qualcuno c'era stato, anche se non aveva
la minima idea di chi, e la cosa lo fece sentire a disagio, quasi
avessero rischiato qualcosa. Fece per rientrare nel bus quando vide una
bomboletta a terra, accompagnata da un rotolo di carta igienica ancora
intonso, e si avvicinò per raccoglierli. Girandosi di nuovo
verso la vettura lo vide, e le parole lo colpirono come un pugno nello
stomaco, lasciandolo spaesato per un attimo. 'Andy è uno
stronzo'. La delusione e il senso di stupore fecero presto spazio alla
rabbia e il ragazzo tirò il rotolo contro il tourbus,
urlando. – Cazzo!
Cazzo, cazzo, cazzo; vaffanculo!
– Si prese il volto fra le mani e le ginocchia gli cedettero,
facendolo crollare su sé stesso in mezzo alla terra. Si
coprì gli occhi con le dita, le lacrime che si facevano
strada
attraverso le palpebre strette ermeticamente, e rimase in ginocchio,
tremante, per la manciata di secondi che ci misero gli altri a correre
fuori dal mezzo e venirgli incontro. –
Andy! –
esclamò Ashley, saltando giù dal bus e
correndogli
incontro, stringendolo con le braccia. Alzò velocemente lo
sguardo per incontrare il graffito e deglutì, stordito e
svuotato quanto l'amico, e lo serrò più forte
nella sua
stretta, mordendosi le labbra. Andy strinse i denti e
percepì
l'abbraccio, senza però rispondervi per la prima decina di
secondi; poi scattò all'improvviso e spinse il viso contro
il
petto dell'altro, lasciandosi accarezzare, senza smettere di tremare
per un istante. C.C. ringhiò tra sé e
sé e si
allontanò di corsa portandosi dietro Jake, per cercare di
vedere se chiunque avesse lasciato lì quella scritta fosse
ancora nei dintorni, e, in caso l'avessero trovato, per riempirlo di
botte; mentre Jinxx deglutì e guardò con aria
spaurita il
bassista, senza la minima idea di cosa fare. Quello gli
indicò
il tourbus e Jinxx annuì, rientrando per prendere una
coperta e
dell'acqua per lavar via la scritta prima che altre persone la
vedessero, lasciandoli soli per un po'. Andy tirò su col
naso,
stringendo le labbra per trattenere dentro i gemiti, e
deglutì
più volte, aggrappandosi alle mani dell'amico, che gli
accarezzava la schiena e gli sussurrava dolcemente all'orecchio,
cercando di calmarlo. –
Ash –
sussurrò dopo un po', alzando gli occhi, la bocca impastata
dalla delusione, –
faccio davvero così schifo? –.
Il bassista ricambiò lo sguardo, accarezzandogli lentamente
i capelli. –
No, Andy, neanche un po'. Sei la persona più bella che
conosca –
rispose, pacato. –
Allora perché mi capitano queste cose? Perché la
gente mi odia? –
domandò quasi impercettibilmente, deglutendo. Ashley
percepì la sua paura e il suo smarrimento e si
sentì
invadere dall'affetto. –
La gente sbaglia, Andy. Pensa di sapere tutto di te quando in
realtà non ha capito proprio niente, e crede di essere nella
posizione per giudicare tutto e tutti. Si sbaglia. Nessuno
può
giudicarti se non te stesso, lo sai. E visto che non sei nello stato di
poterlo fare lucidamente, te lo posso tranquillamente dire io chi sei:
il ragazzo più sincero, profondo e altruista che abbia mai
conosciuto e che mai conoscerò, quello che ogni sera
dà
il massimo di sé sul palco e fuori; quello che quando ne ha
la
possibilità non prende mai l'ultima bottiglia di
birra,
quello che prima di entrare in bagno bussa per evitare di causare
situazioni imbarazzanti; quello che pensa sempre agli altri e mai a
sé stesso, ma che tutte quelle cose belle che dice e fa le
fa
perché ci crede davvero; quello che quando sorride lo fa
perché lo sente, non perché deve. Quello che
qualunque
cosa succeda è sempre pronto a farci sentir meglio, quello
che
piuttosto che commettere qualcosa di brutto si taglierebbe un dito,
quello che non fa, è. Sei il mio migliore amico e l'angelo
custode di un'infinità di gente, l'orgoglio dei tuoi
genitori e
di chiunque ti abbia visto crescere, e sei quello che ha reso davvero
possibile tutto questo. Senza di te non saremmo mai andati da nessuna
parte, Andy, spero che tu lo sappia –
mormorò, sorridendo lievemente. Andy tacque e il bassista
sospirò, ricominciando a parlare. –
Quando abbiamo cominciato questa band, non avrei mai pensato di poter
arrivare anche solo lontanamente vicino a dove siamo ora, e pensavo che
non ci saremmo mai fatti conoscere, che non avremmo mai inciso un
album, che ci avrebbero presi in giro e trattati nel peggior modo
possibile. Avevo gettato la spugna quasi ancor prima di cominciare, ma
poi sei arrivato tu e mi hai letto nel pensiero; mi hai preso per mano,
mi hai guardato negli occhi, mi hai sorriso e mi hai fatto cambiare
idea su tutto. Hai dissipato ogni mio dubbio e mi hai riempito di una
speranza che non avevo mai provato prima, e per la prima volta in vita
mia mi hai fatto sentire come se ciò che facessi fosse
davvero
la cosa giusta, come se fossi finalmente sulla strada fatta apposta per
me. Quel
giorno sono tornato a casa e al posto di addormentarmi tra le
angosce, ho sorriso. Ho sorriso e ho pensato a te, a che ragazzo
speciale avessi incontrato, e ho giurato a me stesso di fare tutto
ciò che fosse in mio potere per non farti mai, mai, mai
piangere, e da quel giorno ho visto ogni cosa con una luce diversa.
Migliore. Mi rendo conto di non aver fatto poi un ottimo lavoro, ma per
quello che mi riguarda chi ha scritto quella stronzata non ti ha mai
guardato attraverso i miei occhi e non si è mai reso conto
di
che persona meravigliosa e piena di pregi tu sia, perché
basta
sentirti parlare per tre secondi per capire che sei davvero il
salvatore che tutti stavamo aspettando, e non un altro impostore. Non
so chi abbia scritto quella cosa e perché - è
ovvio che
anche tu abbia le tue debolezze e i tuoi cali di gentilezza e che
quindi tu abbia potuto trattare duramente qualcuno -, ma se davvero si
fosse soffermato su di te si sarebbe conto della stupidaggine che stava
per fare e avrebbe cambiato idea. Sei un ragazzo meraviglioso, Andy,
non è colpa tua se certa gente preferisce mentirsi piuttosto
che
ammetterlo –.
Andy deglutì un'altra volta ma sorrise e, mordendosi le
labbra, lanciò uno sguardo grato all'amico. –
Ash? Credo che dovresti scriverli tu i testi, te la cavi molto meglio
di me con le parole –.
Ashley ridacchiò tra sé e sé e scosse
la testa, senza smettere di allisciargli i capelli. –
Di niente, Andy –
ribatté, stringendogli dolcemente la testa al petto.
Rimasero in
silenzio un paio di minuti, l'unico suono percepibile quello del
lampione scricchiolante e dei loro respiri, e il bassista si
ritrovò a pensare che no, non se lo meritava affatto, e che
sì, c'era rimasto malissimo, e che forse non c'era niente di
davvero concreto che potesse fare per aiutarlo, se non
rimanere
lì ad abbracciarlo e accarezzargli i capelli. Jinxx riemerse
silenziosamente con una spugna e cominciò a strofinare via
il
graffito, alzandosi sulle punte dei piedi per raggiungere i punti
più alti, e Andy rimase tra le braccia dell'amico a tremare,
fissando il vuoto con occhi vitrei e assenti, il sorriso nuovamente
scomparso dal viso scarno. Ashley si voltò e Jinxx
ricambiò lo sguardo preoccupato, serrando le labbra e
cercando
di darsi una mossa a pulire tutto, ma nessuno dei due aprì
bocca
per spezzare il silenzio. Quando il chitarrista tornò dentro
a
prendere un'altra secchiata d'acqua, Andy irrigidì i muscoli
e
prese un respiro, deglutendo. –
Ash, io ho bisogno di aiuto –.
Alzò gli occhi verso l'amico. –
Non posso farcela –
sussurrò con voce rotta, le lacrime di nuovo nascoste dietro
agli occhi azzurri. Ashley si sentì stringere il cuore. –
Ehi, Andy, io sono qui. Davvero. Per ogni cosa, io ci sono. Lo
supereremo assieme, okay? Io e te. Come ai vecchi tempi –.
Il cantante annuì, senza sapere se ci credesse davvero, e
appoggiò il capo sul braccio dell'altro. Ci credeva. Doveva
crederci.
–
Andy, ti muovi? Abbiamo appuntamento con gli altri tra venti minuti, se
usciamo ora arriviamo in ritardo di solo dieci. Forza, alza il culo,
principessa! –
esclamò Ashley dalla stanza accanto, saltellando in giro
contorcendosi su sé stesso nel vano tentativo di infilarsi
le
scarpe più velocemente di quanto facesse
normalmente. Andy
sorrise sotto i baffi e non rispose all'urlo, finendo di scrivere il
racconto che aveva cominciato qualche ora prima. Piegò il
foglio
e si alzò dalla scrivania, dirigendosi verso la libreria
dove
teneva le cartelline con le sue storie, le sue poesie e i suoi disegni;
li guardò un attimo e sorrise. Ashley apparve allo stipite
della
porta, il portafogli in bocca e la giacca mezzo infilata, e si
fermò ad aspettarlo, addolcendosi improvvisamente. –
Sei pronto? –
ridomandò con più calma, senza mettere piede
nella stanza. –
Sì, metto questo a posto e... –
posò lo sguardo sul foglio ripiegato e abbozzò un
sorriso, sentendosi improvvisamente pronto ad affrontare la giornata.
Se lo infilò in tasca e superò Ashley, che
finì di
infilarsi la giacca e lo seguì con uno sguardo confuso. –
Su, andiamo, non vorrai arrivare in ritardo? –
lo incalzò il ragazzo, afferrando le chiavi e uscendo dalla
porta senza fermarsi per un secondo. Ashley
corrugò le sopracciglia e si affrettò a corrergli
appresso, senza capire, ma dopo aver percorso qualche metro decise di
lasciar perdere, l'importante era che il suo amico fosse felice.
Scesero le scale in silenzio, trotterellando giù per gli
scalini, e Ashley notò con sollievo che il frontman non era
solo di un umore raggiante, ma che riusciva a trasformare tutto quello
attorno a lui in qualcosa di buono, per quanto scuro fosse all'inizio;
e fu tentato nuovamente dal chiedergli cosa gli fosse successo di
così bello, ma stavolta ciò che lo
fermò fu il fatto che i segreti, quando positivi, gli
piacevano e che non avrebbe mai voluto forzarlo a parlare di qualsiasi
cosa, figuriamoci una così vitale; così si
limitò a sorridere e lo sorpassò, venendo presto
avvolto dal caos dell'ora di punta.
Una ventina di minuti dopo erano seduti sui divanetti della hall
dell'hotel dove risiedevano Jinxx e Jake, un paio di bottigliette
d'acqua ghiacciata e di bicchieri di plastica sul tavolino davanti a
loro, e chiacchieravano amabilmente dei loro progetti e di come
stessero andando le canzoni su cui stavano lavorando da un po' –
niente pressioni, niente 'come possiamo migliorarci?', solo una
chiacchierata fra amici su una cosa che ritenevano andare per il
meglio, per quanto fosse prematuro dirlo. Andy si sporse in avanti,
stappò una bottiglietta e si portò il bicchiere
alle labbra, poi colse un momento di silenzio e tirò fuori
il pezzo di carta dalla tasca. –
C'è una cosa che vorrei che leggeste –
disse, aprendo il foglio e lisciandolo velocemente con la
mano, poi tornò a posare lo sguardo sui compagni. –
Non è il testo di una canzone, ma è un progetto
su cui sto lavorando da un po' e mi piacerebbe se mi diceste cosa ne
pensate veramente, in tutta sincerità –.
Si sporse e passò il foglio ad Ashley, che si
alzò e si sedette ai piedi di C.C., in modo che potessero
tutti leggere nello stesso momento. Si scambiarono delle occhiate
insicure, poi Ashley si unì agli altri e s'immerse nel
testo, mentre il frontman lasciava vagare lo sguardo sui volti di
tutti, alla ricerca del minimo segno d'indecisione da parte loro. Per i
successivi cinque minuti non riuscì a trovarne, poi Ashley
abbassò il foglio e lo guardò, gli occhi scuri
sgranati al massimo, annuì quasi impercettibilmente un paio
di volte e deglutì, e l'unica cosa che gli sembrò
il caso di dire fu 'woah'. Andy annaspò per un appiglio in
quegli occhi tumultuosi, ma pochi secondi dopo un enorme sorriso prese
vita sulle labbra del bassista e il suo cuore ebbe un tuffo. Uno era
andato, mancavano gli altri tre. –
Porca miseria, è una cazzo di figata –
esordì C.C. appena lo pensò, come se si fosse
reso conto che il suo intervento era necessario, –
dico davvero, è il miglior racconto breve che tu abbia mai
scritto, è grandioso –.
Andy sorrise rincuorato e Jinxx subentrò, rincarando la dose
di complimenti. –
Questa storia starebbe benissimo dietro a un album –
commentò invece Jake, prendendo il foglio dalle mani del
bassista e tornando a dargli un'occhiata, –
potremmo tirarne fuori qualcosa di davvero stupefacente –.
I compagni annuirono con convinzione e Andy colse la palla al balzo. –
Sono felice di vedere che la pensate come me, perché
stamattina ho chiamato il produttore e l'ho licenziato –.
Bam, la bomba era lanciata. –
Tu hai fatto cosa?! –
esclamò Jinxx rendendosi portavoce
dell'incredulità degli altri, Andy deglutì. –
Fammi spiegare –
disse alzando le mani, pregandolo con gli occhi. –
E le canzoni su cui stavamo lavorando? Stavamo andando alla grande, che
diavolo ti passa per la testa? –
scoppiò C.C., senza provare a nascondere un moto di rabbia, –
seriamente Biersack, noi ti amiamo e ti supportiamo, ma non ci sei solo
tu in questa band, che cazzo ti frulla nel cervello, si può
sapere? Cazzo
–. Buttò la schiena contro il divano dopo aver
imprecato, si prese il viso fra le dita e un secondo dopo le
spostò su un ginocchio con uno sbuffo seccato, distogliendo
lo sguardo. Jake non aveva detto nulla, ma la sua faccia era un
sinonimo di 'non avvicinarti o ti stacco la testa a morsi', e la sua
espressione gelava il sangue nelle vene al cantante, che si volse verso
Ashley conscio che fosse la sua ultima speranza. Per sua fortuna lo
trovò a occhi sgranati ma desideroso di capire, e lo
ringraziò con un sorriso accennato. Ashley annuì
lievemente, frastornato dalla notizia; Andy prese un respiro e
guardò in faccia i compagni. –
Sentite, so quanto siate fieri di queste cinque canzoni e credetemi,
piacciono da morire anche a me, ma sono proprio come la gente si
aspetta che sia il nostro seguito. Sono belle, hanno ritmo,
è divertente suonarle, ma sembrano delle b-side per Set The
World On Fire, non delle canzoni composte per un nuovo album. Ognuna di
loro ha carattere, un bel testo, un ritmo incalzante, una melodia
più che orecchiabile, ma non sono niente di speciale, e
potremmo appunto rilasciarle come bonus track o qualcosa del genere, ma
non sono adatte a un nuovo album –
mormorò, arcuando le sopracciglia, –
non volevo farvi un torto, ma se suoniamo sempre allo stesso modo che
senso ha essere i Black Veil Brides? Abbiamo sempre detto di essere una
band in continua evoluzione, ma se fossimo rimasti con lui non avremmo
fatto altro che creare un sequel uguale al predecessore; non sarebbe
stato buono. Non l'ho fatto solo per un raptus di onnipotenza, ma per
il bene stesso dell'album
–. C.C. lo guardò di rimando. –
E cosa ti dice che con lui non saremmo potuti migliorare? Sarebbe
bastato prendere una direzione diversa, dire 'guarda, non vogliamo fare
un disco come quello vecchio, dobbiamo un po' cambiar le carte in
tavola e vedere come va' e chi lo sa, magari sarebbe pure uscito fuori
un capolavoro –.
Lo sguardo di Jake urlava a tutti che per lui Andy aveva sbagliato, e
il frontman ebbe un istante di puro terrore. –
Non credo sarebbe stato così facile –
intervenne Ashley all'improvviso –
se uno ha lavorato in un certo modo tutta la sua vita, non si
può pretendere che di punto in bianco cambi. Gli ci sarebbe
voluto del tempo, e probabilmente avrebbe trovato un modo per
rinnovarsi a spese del nostro album, quindi alla fine meglio
così. Ha ragione Andy, non ha senso continuare ad essere un
gruppo se non vogliamo rischiare e correre a rotta di collo lungo nuove
strade, alla fine potrebbe essere l'opportunità della nostra
vita e se non ci buttiamo non lo sapremo mai. Sono d'accordo nel dire
che avrebbe dovuto avvertirci, ma è inutile piangere sul
latte versato andando a prendere altro latte, bisogna asciugare la
macchia e impedirle di mandare a puttane il pavimento –.
Guardò C.C., che nel frattempo aveva un po' abbassato la
cresta, e poi Jake, silenzioso ma meno contrariato. –
Forse le modalità con cui le cose sono avvenute non sono le
più perfette, ma quella che ne è venuta fuori
potrebbe diventare l'avventura più grande di sempre, e non
cogliere la palla al balzo sarebbe da scemi, non credete? Anzi,
prima di far qualsiasi cosa andrei a conoscere il nuovo produttore che
ha trovato Andy, poi dopo decideremo se scuoiarlo o portarlo in
trionfo. Che dite? –. C.C. sbuffò dal divano, ma
lasciata da parte la rabbia doveva ammettere che si stava comportando
come un bambino. Jake annuì e Jinxx seguì il suo
esempio, ancora impegnato a digerire la notizia; e da qualche parte la
bella giornata di Andy rinacque.
– Gran bella cosa il dialogo –
commentò vivacemente Purdy, mentre Christian reprimeva un
sorrisetto. Andy riempì il silenzio dopo il bassista e
tirò fuori il cellulare dalla tasca, accendendolo. –
Abbiamo cominciato a lavorare su qualche traccia, la settimana scorsa,
e da quando l'ho incontrato ho capito che è lui l'uomo fatto
apposta per noi. In ogni caso, abbiamo una registrazione che lo prova
quindi sì, er, ecco qua –. Una manciata di secondi
dopo le note avevano invaso la hall, dove la gente si spostava troppo
freneticamente per far caso al gruppo, e i cinque ragazzi avevano
abbassato ciascuno la propria guardia per lasciare che le note
invadessero anche la loro anima, prima scetticamente e poi con
entusiasmo sempre maggiore. La voce roca di Andy riempiva ogni spazio
nella sala, gli strumenti creavano un'atmosfera mai percepita prima, e
nonostante il criticismo orgoglioso con cui era partito, C.C.
finì col restare a bocca aperta, totalmente spiazzato. 'Woah'
riuscì a spiccicare nello sbalordimento generale. L'ascolto
non era durato più di una trentina di secondi, ma l'effetto
era stato così intenso che gli era sembrato che il cellulare
avesse riprodotto la traccia all'infinito, e non una singola volta.
Andy fermò l'inizio del brano successivo, una delle sue
canzoni preferite dei Misfits, e incrociò lo sguardo dei
suoi amici, il cuore bloccato in gola. –
Allora? –
mormorò flebilmente. Le sue parole ruppero la cortina che li
aveva avvolti e i ragazzi si voltarono verso di lui, mentre un sorriso
si propagava pian piano sul viso di tutti. –
Abbiamo il nostro produttore –
disse C.C., e un paio di secondi dopo il buon'umore aveva riaffermato
il controllo sul gruppo, più entusiasta che mai. Andy
sorrise sinceramente e li abbracciò uno dopo l'altro,
riservando l'abbraccio più sentito ad Ash, che
ricambiò con un 'lascia stare, non ho fatto niente di che;
è stata la canzone a conquistarli', anche se poi non si
tirò indietro e lo strinse con forza. Quando Andy sciolse
l'abbraccio Jinxx gli chiese di rimettere su il pezzo, e dopo
più o meno venti secondi commentò con un sorriso
'certo che avete proprio bisogno di un buon chitarrista per sistemare
questa parte'. Andy rise, e per la prima volta da tanto tempo si rese
conto che le cose avevano davvero cominciato ad andare per il verso
giusto. Rimise il pezzo da capo, e mentre i suoi compagni ridevano e
scherzavano, canticchiando tra di loro un possibile continuo della
canzone, pensò che forse non era l'eroe di nessuno, ma
poteva essere il suo. Spostò i braccialetti e si
guardò il polso, le vene evidenziate dalla sua finezza, e
nella penombra sorrise. Pulito e scarno, come avrebbe dovuto essere.
Rimise a posto i braccialetti e guardò i suoi amici,
fulminati dagli sguardi degli impiegati per il casino che stavano
facendo. Sentì la mano di Ashley posarglisi sulla spalla e
sorrise, senza voltarsi. –
Fearless, fight until we die. I am broken, the wretched and divine –
mormorò sottovoce. Forse era vero, forse era davvero uno
stronzo; ma non avrebbe lasciato perdere così facilmente.
Fece qualche passo in avanti, spense la registrazione e sotto gli occhi
di tutti esclamò 'forza Brides, tutti in studio!'. Jinxx si
alzò e gli diede il cinque, stringendogli la mano, e sulle
labbra degli altri si dipinse un sorriso deciso. I due chitarristi
precedettero tutti, entusiasti, e C.C. aspettò i due amici
davanti alla porta, l'avambraccio appoggiato al vetro appena lucidato. –
Ricordami di non dubitare mai di te –
abbozzò radiosamente una scusa, e Andy sorrise, rispondendo
attivamente al pugnetto. Poteva anche essere lo stronzo più
stronzo di tutti, ma finché fosse riuscito a far sentir bene
le persone attorno a lui non si sarebbe lasciato inghiottire dal suo
lato autodistruttivo, mai e poi mai. Si passò le dita sulla
nuca e incontrò i capelli, lunghi e corvini; se li
attorcigliò attorno al polso e poi li lasciò
andare, sospirando duramente. –
Avete delle forbici? –.
Se dovevano cambiare, l'avrebbe fatto anche lui, a partire da quello
che i suoi finti fan amavano di più. Afferrò le
forbici che gli aveva passato Jinxx e tagliò la ciocca con
un colpo secco, rigirandosela fra le dita per una manciata di secondi
prima di alzare lo sguardo e incrontrare quello degli altri.
Lasciò ciondolare il braccio lungo la gamba e schiuse le
dita, lasciando che il vento si portasse via l'onda corvina, e quando
in mano non rimase più niente fu chiaro a tutti che una
nuova era era iniziata e che non sarebbero più potuti
tornare indietro. Andy restituì le forbici a un Jinxx senza
parole e si avviò lungo il marciapiede, lasciandosi la band
alle spalle. Alzò lo sguardo al cielo e sorrise alle nuvole
che gli sfrecciavano sopra, sospinte verso l'alto dal vento. –
A world of hate awaits - we are the Wild Ones, they all look the same.
Our time has come –
sussurrò. Quando abbassò gli occhi i ragazzi
erano al suo fianco e gli sorridevano, uniti. Tirò un
sospiro di sollievo e chiuse le palpebre. Forse non ci voleva poi
così tanto a salvarlo. Forse aveva solo bisogno che i Wild
Ones uscissero allo scoperto. Ricambiò il sorriso e
ricominciarono a camminare, spediti. Le parole gli si stavano
affollando in mente come non succedeva da tempo, e in quell'istante
realizzò che un braccio era già fuori dal buco e
che ormai non ci sarebbe voluto molto perché lo seguisse
anche il resto di sé. Con quel pensiero fra le mani,
tirò fuori il cellulare e chiamò Feldmann.
Sarebbe andato tutto bene.
Angolo dell'autrice:
Mi sto abituando a questo spazietto, che figata haha. Volevo solo dire
che a parte la location della hall, il taglio di capelli e il meet
& greet, tutto quello che succede è reale e
ricostruito attraverso le interviste che sono riuscita a trovare in
giro – Andy era davvero in bilico e in preda a queste feste
autodistruttive, qualche coglione gli ha davvero scritto che
è uno stronzo sul tourbus e ha davvero licenziato il vecchio
produttore senza dire nulla agli altri. Se vi sembra una fine un po'
brusca avete ragione, ma non sono riuscita a trovare nient'altro e ho
preferito attenermi a quello che sapevo essere vero piuttosto che
inventarmi qualcosa di sana pianta. E niente, tutto qua, mi sono
sentita molto americana a fare tutte ste ricerche e
bho, niente, spero che vi piaccia. Ciao c:
|
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1979195 |