Il custode dellìAldilà cap. uno
Il custode dell’Aldilà
Capitolo I
Il patto
Il vento gelido spazzava via le foglie morte cadute dagli alberi. Il
sole era tramontato da poco e i lampioni illuminavano le strade di una
luce tremula.
Faceva insolitamente freddo quella sera a Nerima e tutti i suoi
abitanti avevano deciso di rinchiudersi in casa a godere del calore
delle stufe e dei condizionatori d’aria calda. Erano pochissime,
ormai, le persone che ancora girovagavano per le strade. Chi non era
ancora rientrato si affrettava a farlo.
Con l’approssimarsi dell’ora di cena il quartiere era
già completamente deserto. Solo una figura si muoveva
silenziosa, aggirandosi per le vie illuminate dalla pallida luce dei
lampioni.
Una figura sinistra, avvolta in un mantello scuro da viaggio. Il
cappuccio tirato sulla testa metteva in ombra il suo volto. Solo i suoi
occhi erano ben visibili.
Occhi rossi come il sangue.
*****
A casa Tendo la famiglia al completo, a cui come sempre si erano uniti
anche Ranma, Genma e Nodoka Saotome, sedeva intorno al tavolo della
sala da pranzo, pronta a consumare la cena che la dolce Kasumi aveva
preparato per loro.
Improvvisamente, Ranma sentì un brivido corrergli lungo la
schiena. Sussultò mentre una sensazione di panico assoluto
l’aveva invaso, stringendogli lo stomaco in una morsa dolorosa.
Aveva un terribile presentimento.
Quando sentì la voce di Akane, capì che i suoi peggiori timori erano fondati.
-Ranma, guarda cosa ti ho preparato!
Akane avanzava pericolosamente reggendo in mano un piatto contenente
una roba bruciacchiata e disgustosa non meglio identificata. Sorrideva
minacciosamente all’indirizzo del povero ragazzo col codino che,
senza nemmeno pensarci, si era alzato in piedi ed era scappato in
giardino.
-E no! Stavolta non mi scappi!
Una padella lanciata da Akane con violenza inaudita colpì forte
Ranma sulla testa, procurandogli un enorme bernoccolo e stendendolo.
Ormai la fidanzata torreggiava sul povero malcapitato scrutandolo con
aria torva, una mano sul fianco e l’altra che reggeva il piatto e
glielo ficcava sotto il naso.
L’odore era ancora più nauseante dell’aspetto.
Ranma iniziò a piangere senza alcun ritegno, ancora a terra.
-Akane, ti prego…perché vuoi farmi questo?
-Niente storie! Ho passato ore in cucina a sgobbare sui fornelli. Che ti costa assaggiarne solo un pezzettino? Dai, fai aaaaaa!
-MAI!
Ranma riprese la sua folle corsa attorno al giardino, inseguito dalla
fidanzata, ormai assolutamente furiosa, la cui aura blu fiammeggiante
ardeva più brillante che mai.
-Ranma Saotome! Che razza di uomo sei? Vieni qui immediatamente!
-Scordatelo! Non mi faccio più avvelenare da te!
Dalla sua postazione al tavolo della sala da pranzo, Ryoga, nelle vesti
del piccolo P-chan, assisteva alla scena, ancora più furibondo
di Akane.
“Quell’idiota di Ranma…” pensava rabbioso,
“ha la fortuna di poter assaggiare un piatto preparato dalle
dolci mani di Akane e scappa come un vigliacco. Vorrei tanto che lei
dedicasse a me tutte queste attenzioni. Io
di certo le merito molto di più di quello stupido insensibile
che non fa altro che farla arrabbiare o addirittura piangere. Ma tanto
lui che ne sa? È troppo impegnato a fare la corte a quattro
ragazze per accorgersi della sofferenza della dolce Akane. Sono io
che spesso devo guardarla piangere senza poter fare nulla e cercare di
consolarla sottoforma di P-chan. MALEDETTO IDIOTA, ME LA
PAGHERAI!”
Con un sonoro grugnito, anche Ryoga partì all’inseguimento
di Ranma per dare manforte ad Akane, la quale continuava ad inveire
contro il fidanzato che la copriva di insulti.
Accecato dalla rabbia, Ryoga si avventò sul viso di Ranma,
graffiando ogni centimetro di pelle scoperta che riusciva a raggiungere.
-E tu che diavolo vuoi, stupido suino senza alcun senso dell’orientamento?
-Ranma! Devi piantarla di offendere P-chan!
-Oink oink!
Intanto il resto della famiglia si godeva la cenetta senza prestare
minimamente attenzione a ciò che stava accadendo in giardino.
Quelle erano scene all’ordine del giorno, in casa Tendo.
Kasumi stava servendo la terza porzione di riso al curry al signor
Saotome, che divorava avidamente tutto quello che gli capitava a tiro,
cena del figlio compresa, Nabiki assisteva divertita al litigio e
Nodoka discuteva tranquillamente con Soun del futuro dei loro figli.
Ranma continuava a fuggire da Akane, che, disperata, aveva cominciato a
lanciargli pezzi di quello strano cibo bruciacchiato nella vana
speranza di centrare la bocca di Ranma. Inutile dire che non ottenne
altro risultato, se non quello di sparpagliare il cibo per tutto il
giardino. Ranma ormai rideva sguaiatamente e le faceva le boccacce.
Akane, le braccia abbandonate lungo i fianchi, allentò la presa
e il piatto che reggeva nella mano destra, ormai completamente vuoto,
cadde sull’erba con un tonfo sordo. Lacrime di rabbia le
sgorgavano libere dagli occhi. Ranma si fermò di botto e si
avvicinò titubante ad Akane. Lei aveva abbassato il viso, gli
occhi nascosti dai capelli scuri. Il ragazzo col codino avvicinò
il suo volto a quello di lei.
-A…Akane…?
Lei non disse nulla. Alzò lo sguardo e il cuore di Ranma parve
fermarsi. C’era qualcosa nello sguardo di Akane…qualcosa
che faceva così male da impedirgli quasi di respirare. Era molto
più di semplice rabbia. Sembrava odio allo stato puro. Fu questo
a convincere Ranma a far qualcosa che generalmente non avrebbe mai
nemmeno pensato di fare. Stava per aprire la bocca per scusarsi, quando
una voce gelida lo interruppe.
-Davvero patetico!
Sia Ranma che Akane sussultarono per la sorpresa e Ryoga, che aveva
ancora le sembianze d P-chan, iniziò ad emettere versi allarmati
in direzione della voce. Per quanto sia Ranma che Akane strizzassero
gli occhi per tentare di scorgere qualcuno nell’oscurità,
non riuscirono a vedere nessuno, né a percepire alcuna presenza.
D’istinto, Ranma si posizionò di fronte alla fidanzata.
-Chi è là? Fatti vedere!
Dall’oscurità emerse la stessa figura incappucciata che si aggirava poco prima per le strade di Nerima.
Il bagliore sinistro dei suoi occhi di fuoco fece gelare il sangue
nelle vene di Akane, che strinse forte il braccio del fidanzato, come
in cerca di protezione.
Il ragazzo col codino osservava ogni mossa del nuovo arrivato, che si
stava avvicinando a loro, uscendo dal suo nascondiglio tra gli alberi
del giardino. Capì all’istante che non era affatto il caso
di sottovalutare chi gli stava di fronte. Del resto, non era nemmeno
riuscito a percepire la sua presenza per tutto quel tempo.
-Si può sapere chi diavolo sei?
Lo strano individuo ignorò la domanda e continuò a
proseguire, superando un Ranma infuriato ed un’Akane
tremendamente spaventata ed entrando in soggiorno.
Alla luce, i suoi occhi erano ancora più terrificanti.
-Ne è passato di tempo, vero Soun Tendo?
L’estraneo si sfilò il mantello da viaggio.
Una cascata di capelli d’argento liscissimi ricadde sulle sue
spalle arrivando fino alle caviglie. I suoi lineamenti erano delicati,
quasi femminei. Aveva sopracciglia fini e chiarissime, dello stesso
colore dei capelli e dita affusolate che terminavano con lunghi
artigli, all’apparenza letali. A giudicare dal suo viso, non
sembrava avere più di vent’anni.
Indossava un lungo kimono bianco, bordato di rosso. Lo stesso rosso dei suoi occhi.
Osservava Soun con crudele divertimento, lo stesso di cui era intrisa la sua voce.
Il capofamiglia, dal canto suo, era impallidito e aveva preso a tremare
visibilmente. Gli altri commensali osservavano attoniti la scena,
posando lo sguardo ora su Soun, ora sullo sconosciuto.
Nessuno, però, proferiva parola.
-Ma come, nemmeno saluti i tuoi vecchi amici?
Soun non riusciva ad aprir bocca. Sudava freddo e continuava a fissare
l’intruso, che sorrise ancor più malignamente osservandolo.
Akane e Ranma, intanto, si erano cautamente avvicinati, e la minore
delle Tendo guardava il padre, senza capire cosa gli stesse succedendo.
Non l’aveva mai visto in quello stato. Timidamente ritrovò
la voce.
-Papà…chi è quest’uomo?
Per la prima volta dal suo arrivo, l’individuo dal kimono bianco
posò lo sguardo sulla piccola Akane. La giovane scorse nei suoi
occhi un guizzo di pura malvagità che non sfuggì nemmeno
a Ranma, il quale prontamente strinse a sé la fidanzata e si
rivolse allo sconosciuto con tono ancora più rabbioso. Non gli
piaceva affatto il modo in cui la stava guardando.
-Allora? Ti ho chiesto chi sei! Sei sordo, forse?
Ancora una volta l’intruso parve non accorgersi nemmeno che Ranma
avesse detto qualcosa. Tornò a rivolgersi a Soun senza nemmeno
degnare di uno sguardo il ragazzo col codino, facendo come se non
esistesse.
E Ranma si infuriò ancora di più. “Questo maledetto
bastardo…lo rompo tutto…lo faccio a pezzi…ma come
osa? Maledetto!”
-Ah, Soun. Vedo con mio immenso dispiacere che non hai parlato a nessuno del nostro piccolo incontro, avvenuto qualche tempo fa.
L’uomo deglutì sentendo quelle parole e posò lo
sguardo su Akane, per poi abbassarlo verso il pavimento. Stringeva i
pugni convulsamente, e sembrava non avesse il coraggio di parlare.
Tutti nella stanza osservavano Soun in attesa di spiegazioni che
sembrava non sarebbero arrivate. Nessuno, però, pareva
intenzionato ad intromettersi nella discussione tra il signor Tendo e
l’uomo dai capelli d’argento, nemmeno l’indomita
Nabiki, che assisteva silenziosa alla scena. Nella sua mente, un solo
pensiero: “Ma che diavolo sta succedendo?”
Akane non riusciva a spiegarsi quella paura istintiva che le faceva
martellare il cuore in petto. Sebbene non conoscesse quell’uomo,
sentiva di essere lei la causa per cui si trovava lì. Ne aveva
avuto quasi una certezza assoluta quando pochi secondi prima suo padre
aveva posato lo sguardo su di lei.
-Già. Vedo che le tue figlie sono cresciute molto. Akane
soprattutto, la ricordavo molto, molto diversa, vero? E adesso è
diventata una così bella ragazza. Quanti anni ha? Quasi
diciotto, giusto? Già.
Volse nuovamente lo sguardo verso Akane, mentre Ranma le si era parato
davanti, assumendo una posa d’attacco, nel caso in cui fosse
stato necessario combattere contro quel tipo e digrignando i denti per
la rabbia. Aveva avvertito quella nota di bramosa perversione che aveva
impresso alla sua voce. Come si permetteva quel bastardo anche soltanto
di pronunciare il nome della sua fidanzata?
P-chan, intanto, rendendosi conto della gravità della
situazione, era salito al piano di sopra, si era diretto in bagno e,
con una certa difficoltà, aveva aperto il rubinetto
dell’acqua calda e lasciato che il getto lo investisse,
facendogli riacquistare le sue fattezze di ragazzo.
Da maiale non avrebbe potuto dare alcun aiuto.
Quando tornò nella sala da pranzo, la situazione era più tesa che mai e nessuno si accorse del suo arrivo.
Lo sconosciuto guardava Soun con freddo distacco, era quasi annoiato,
mentre quest’ultimo trovava finalmente il coraggio di aprir bocca.
-Stai lontano da lei.
Un sorriso storto, crudele, deformò il volto dell’uomo dai
capelli argentei, rendendo il suo viso delicato terrificante. La sua
voce era un sibilo gelido che faceva venire la pelle d’oca.
-Lontano da lei? Ah bè, mi dispiace davvero deluderti ma non sei
affatto in condizione di dettar legge, mio caro amico. Devo ricordarti
il patto che abbiamo stretto dodici anni fa? Devo rinfrescarti la
memoria, eh? Non credo che ce ne sia bisogno. Sono sicuro che mi
aspetti da allora.
Ancora una volta, Soun Tendo ammutolì.
Ranma perse definitivamente la pazienza e, abbandonando ogni prudenza,
si avventò sullo sconosciuto, afferrandolo per il kimono,
ignorando i richiami di Akane e il suo tentativo di trattenerlo per un
braccio.
Non gli avrebbe mai permesso di toccarla.
-Non so chi tu sia, né perché sia venuto qui, ma avvicinati ad Akane e ti ammazzo, è una promessa!
-Tsè! Commovente.
Per niente intimorito, lo sconosciuto volse finalmente lo sguardo su
Ranma, abbozzando un mezzo sorriso crudele. Senza che l’intruso
muovesse un muscolo, Ranma venne spinto via da una forza misteriosa che
lo fece cadere rovinosamente sul pavimento.
Akane gli corse incontro per aiutarlo a rialzarsi.
-Moscerino. Stammi lontano se non vuoi farti male.
-Che cos’hai detto?
Liberandosi ancora una volta dalle braccia della fidanzata, che tentava
di trattenerlo, Ranma si rialzò in piedi e caricò il
destro, pronto ad avventarsi di nuovo sul suo avversario, ma la voce di
Soun lo bloccò.
-No, Ranma. Non c’è nulla che tu possa fare.
-Sciocchezze, lo ridurrò in poltiglia!
-No. Stanne fuori.
Fu il suo tono fermo, unito alle suppliche di Akane, ormai praticamente
in lacrime, a fargli recuperare l’autocontrollo. Continuò
a scrutare torvo l’intruso, che ormai non lo degnava più
di uno sguardo.
Intanto Ryoga, che aveva assistito alla scena allibito, si era avvicinato al ragazzo col codino.
-Non puoi batterlo nemmeno tu, Ranma. Quel tipo…ha qualcosa di strano. Non so, non sembra nemmeno…
-…umano.
Fu Ranma a completare la frase per lui.
Se ne era accorto. Aveva percepito distintamente qualcosa di
ultraterreno nella sua aura e poi quella forza misteriosa che aveva
emanato…
Questa volta erano in serio pericolo. Più serio di qualunque altro pericolo in cui si fossero mai trovati.
E Ranma temeva non per sé, ma per Akane. Non poteva rischiare che le succedesse qualcosa. Non di nuovo.
L’avrebbe protetta a qualsiasi costo.
Dopo alcuni istanti di silenzio, il signor Tendo riprese la parola.
-Sapevo che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato. Lo aspetto da
dodici anni. È arrivato il momento della resa dei conti, alla
fine. Del resto, era inevitabile. Allora, qual è il prezzo?
-Il prezzo? Niente di che. Soltanto Akane.
Il signor Tendo sgranò gli occhi per la sorpresa, poi una cieca
furia si impadronì di lui mentre, ancora una volta, lo
sconosciuto sorrideva beffardo.
Sembrava oltremodo divertito da quella situazione.
Quando Soun Tendo riprese la parola, la sua voce tremava di rabbia.
-Akane? Impossibile, avevi promesso che sarebbe stata salva. Ora non puoi portartela via.
-Ah, temo proprio che ci sia un errore. Io ho detto che quella volta
l’avrei salvata. E l’ho fatto. Adesso, invece, la porto via.
-Tu non la porti da nessuna parte, maledetto bastardo!
Ranma, seguito da Ryoga stava per avventarsi nuovamente sullo
sconosciuto, che continuando a mantenere lo sguardo fisso sul signor
Tendo, con un gesto svogliato della mano li mandò a schiantarsi
contro una parete. Entrambi i ragazzi persero conoscenza sul colpo.
A quel punto l’intruso, si avvicinò ad Akane, che si stava
precipitando a raggiungere Ranma. Quando però l’uomo
incombeva ormai su di lei, si fermò, paralizzata dal terrore.
-Già, tu sei esattamente quello di cui ho bisogno.
-No…non ti avvicinare!
Akane tentava di arretrare, ma sembrava che le sue gambe non volessero
funzionare adeguatamente e non volessero permetterle di scappare.
Così rimase lì, inerte, finchè l’uomo dal
kimono bianco non le si parò davanti. Quest’ultimo con due
dita premette un punto alla base del collo della ragazza che cadde tra
le sue braccia, svenuta.
Prima di perdere i sensi riuscì soltanto a pronunciare una parola, in un sussurro.
-Ran…ma.
A quel punto, sia Soun che Genma si stavano avvicinando allo
sconosciuto, pronti ad attaccarlo e a tentare di portare in salvo
Akane. In realtà, sapevano che era perfettamente inutile. Se
nemmeno Ranma e Ryoga erano riusciti ad avvicinarsi a lui, le loro
speranze erano assolutamente nulle. Ma erano pur sempre i fondatori di
due illustrissime scuole di arti marziali e non potevano tirarsi
indietro di fronte ad una sfida. Soprattutto non quando c’era
così tanto in gioco.
-Ti prego, farò tutto quello che vuoi, ma risparmia la mia bambina.
-Che buffo. Questa frase mi sembra di averla già sentita.
E mentre una risata crudele riempiva la stanza, l’uomo misterioso
scomparve, tenendo tra le braccia il corpo di un’Akane priva di
sensi.
Ranma riaprì gli occhi giusto in tempo per vedere la sua fidanzata sparire.
-AKANE!
Era troppo tardi. L’aveva portata via. Akane era sparita sotto il
suo naso mentre lui era svenuto come un’idiota. Quel maledetto
bastardo l’aveva portata chissà dove…e
chissà cosa le avrebbe fatto.
“Non sono riuscito a proteggerla.”
Soun Tendo si era accasciato a terra, piangendo disperatamente, mentre
Nabiki continuava a fissare il punto in cui la sorella era sparita.
Sembrava sotto shock.
Kasumi stava abbracciando suo padre, nel tentativo di consolarlo, ma piangeva anche lei.
I signori Saotome erano immobili, incapaci di credere a ciò che
i loro occhi avevano appena visto. Nel frattempo anche Ryoga aveva
ripreso i sensi e si era avvicinato a Ranma.
-Ranma…Akane…l’ha portata via?
La risposta era chiaramente visibile negli occhi del ragazzo col
codino. Lo sguardo di Ranma, di solito così vivace e
strafottente era…spento. Continuava a guardare Ryoga come se in
realtà non lo vedesse e ripeteva continuamente la stessa frase:
-Non sono riuscito a proteggerla. Di nuovo.
Lacrime amare presero a scorrere sul suo volto.
Il ricordo di Jusenkyo, del corpo di Akane freddo come il ghiaccio
stretto al suo, riprese a tormentarlo. Aveva permesso ancora una volta
che la sua fidanzata fosse messa in pericolo. Non era riuscito a
salvarla, di nuovo. E aveva la sensazione che quella volta le cose non
si sarebbero risolte tanto facilmente. Che cosa poteva fare?
Ryoga prese Ranma per le spalle e lo scosse forte, per tentare di farlo tornare in sé.
-Ranma, ascolta. La ritroveremo, capito?
Ranma si accasciò a terra e con un pugno colpì il pavimento, per scaricare la sua ira.
-MALEDIZIONE!!!
Ripensò amaramente agli ultimi istanti prima dell’arrivo
dell’uomo dal kimono bianco, e inorridì al pensiero che
l’ultima cosa che aveva detto ad Akane prima che fosse rapita era
che non voleva farsi avvelenare da lei. Le ultime parole che le aveva
rivolto, erano offese. E l’ultima volta che Ranma aveva guardato
i suoi occhi, gli era sembrato di scorgervi odio. Quei pensieri
facevano ancora più male. Non aveva neanche potuto chiederle
scusa.
Mentre le lacrime continuavano a rigargli il volto, si rivolse a Soun,
in cerca di spiegazioni. Perché gli aveva permesso di portare
via Akane? Come avrebbero fatto a ritrovarla, adesso?
-Tendo, chi diavolo era quell’uomo?
Soun smise di singhiozzare e si sciolse dall’abbraccio protettivo
di Kasumi. Si alzò incerto sulle gambe e, col viso rivoto verso
il basso e i pugni serrati, rispose alla domanda.
-Quello, Ranma, era il custode dell’Aldilà.
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